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Autore: C r i s    15/06/2010    2 recensioni
«E pensi che l’abbia scelto io? Pensi che io abbia scelto di innamorarmi di te?! Di passare le mie giornate come un automa, fossilizzata davanti a quella finestra, aspettando che arrivi la neve, come se arrivasse la fine del mondo?! No! Non l’ho scelto io, dannazione, eppure ogni giorno, quando apro gli occhi, sento un’angoscia nascermi dentro, sento il cuore pronto all’esplosione per quanto io abbia paura di affacciarmi fuori dalla finestra. Io ho paura, Mark!»
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Miele -

 

Sally aveva racimolato la cifra adatta per acquistare una torta dalla Pasticceria all’angolo, era tornata indietro di tutta corsa per afferrare lo Champagne dal suo amico Mike, che lavorava in un negozio di liquori, e saliva rapida gli scalini dell’ospedale. Preferiva camminare, perché stare ferma la rendeva nervosa. Per di più, sostenere lo sguardo di altre persone, ugualmente angosciate per motivi differenti, era troppo, anche per lei. Sally non si illudeva, sapeva perfettamente che il mondo non era fatto di rose e fiori, ma le piaceva pensare che, anche un solo istante poteva esserlo. Aveva quarantacinque anni e la sua vita era stata segnata da eventi più tristi che allegri. Ma non rinnegava nulla, anzi, secondo il suo ragionamento, le esperienze costituivano ciò che la persona poi diveniva un giorno.

Si ridestò dai pensieri quando giunse dinanzi la porta. Estrasse la torta dal suo involucro e la fece volteggiare nell’aria, spargendone il suo aroma per l’intera camera. Gli occhi di Mark luccicarono per quanto fossero estasiati all’idea di poter immettere finalmente qualcosa degno di essere definito ‘cibo’ e si sistemò sul materasso, per poter afferrare il piattino che zia Sally si accingeva a preparargli. Intanto, Molly aveva abbandonato la stanza e nessuno sapeva dire con precisione se e quando sarebbe tornata, non dopo quell’ultimo dibattito.

Sally si sedette sullo sgabello al fianco del letto e portò alle labbra una cucchiaiata di quella meravigliosa torta, con tanto di glassa al cioccolato.

«Sei magica, zia. Ricordarmi di denunciarti per quello che mi stai facendo», affermò Mark, annuendo alle sue stesse parole e mordicchiando un pezzetto di torta.

Sally si versò dello Champagne nel calice e lo alzò in segno di brindisi. Mark le sorrise, benevolo, procedendo nella sua attività più ambita degli ultimi minuti.

«Mi denuncerai perché sono magica? Oh, tesoro, sai quanti uomini allora dovrebbero denunciarmi per questo?», ammiccò la donna, strizzando l’occhio e bevendo un sorso dal calice.

Continuarono a punzecchiarsi, fino a quando il ruoto della torta supportò l’ultima fetta, con tanto di briciole rimanenti.

La Dottoressa Parker entrò nella camera, decisa nel dire qualcosa, ma fissando il vassoio semi vuoto, le si mozzò il fiato.

«Non si usa offrire?», domandò con finta aria piccata, mentre zia Sally spiccò in piedi e scolò dello Champagne in un nuovo calice. La Dottoressa rifiutò a malincuore.

«Devo lavorare, non posso permettermi simili distrazioni».

«Avanti, cara! Questa non è una distrazione, è una tentazione bella e buona!»

«Io non cado in tentazione, mi spiace», si giustificò, risoluta, la Dottoressa, passando ad esaminare il viso di Mark.

Quel giorno le sembrava più stanco degli altri giorni e, in fondo al cuore, sperava che quella sofferenza cessasse il più presto possibile.

Pensò all’incontro con quella ragazza, Molly. Nonostante fosse un anno che Mark Marshall ‘alloggiava’ nel loro ospedale, Melanie – alias Dottoressa Parker – non aveva mai scambiato più parole del dovuto con quella ragazza. E si stupì quando, quel giorno, se la trovò dinanzi il suo tavolo da pranzo, con le mani strette al petto e uno sguardo perso nel vuoto.

«Posso fare qualcosa per te?», le aveva chiesto, posando il panino neanche morso nel piatto, con una stretta mostruosa allo stomaco.

La ragazza si era dondolata sulle gambe e aveva puntato gli occhi per terra. Evidentemente quel passo le era costato davvero tanto.

«Io…Volevo domandarle se sarete voi a procurargli quelle…Compresse».

La sua voce era appena un bisbiglio, ma non perché si vergognasse; semplicemente non ne aveva. Melanie la fissò, cercando di leggerle l’espressione, ma fallì. Si schiarì la gola, accavallando le gambe.

«Deve procurarsele il paziente, in questo caso un parente. Puoi farlo tu, sei vuoi».

Melanie sapeva di essersi spinta oltre, troppo in oltre, dato che non aveva mai avuto alcun tipo di relazione con quella ragazza, ma quest’ultima mosse i muscoli del viso, trovandosi a sorridere.

Uno dei sorrisi più tristi che avesse mai visto fino a quel momento.

«Era proprio quello che volevo sentirmi dire. La ringrazio», e con quella frase si era dileguata.

Erano le cinque del pomeriggio e di Molly non c’era ancora un’impronta. La neve era caduta per qualche minuto solo quella mattina, ma per Mark l’effetto c’era stato.

«Dottoressa Parker, non rifiuti: è omaggio della casa», ironizzò Mark, facendo luccicare i suoi occhi blu.

Melanie sorrise e si avvicinò al letto, sfoderando il suo aspetto materno.

«Mark…Vuoi ancora mantenere la parola data? Non sei tenuto a…»

«Prima o poi toccherà a tutti», interruppe il discorso della Dottoressa perché aveva ripetuto talmente tante volte quella frase da farlo impazzire, «E a me prima di tutti quanti. Sono stanco, Dottoressa Parker. Sono stanco di vedere entrare da quella porta persone che sono costrette a dover sopportare la mia presenza. Non lo capisce? Ormai sono diventato un peso agli occhi di tutti».

La voce squillante di Sally fece capolino.

«Non dirlo neanche per scherzo, signorino!», si alterò così tanto da rischiare di far cascare la preziosa bottiglia di Champagne dalle sue mani, «Chi ti ha mai ritenuto un ‘peso’?!»

Si avvicinò, quasi brutale, e si posizionò dinanzi il viso inespressivo del nipote. Tutta la forza che l’aveva spinta a parlare, d’un tratto sembrava vacillare.

«Io, zia. Io so. So perfettamente cosa significa dover assistere costantemente un malato. Ricordi? Anche mio padre lo era».

Mark socchiuse gli occhi, cercando di scacciare l’immagine del padre, sdraiato in un letto con mille flebo attaccate al braccio, mentre sua madre sgolava una bottiglia di birra al minuto, sdraiata sul tappeto del salotto.

La mano di zia Sally raggiunse la sua, la strinse affettuosamente e gli fece capire che anche lei comprendeva. Tutti potevano comprendere, probabilmente.

«Tesoro, tu non sei affatto un peso. La tua compagnia mi rende…»

Cercò il termine adatto, ma Mark fraintese quel silenzio, cosa del tutto estranea alla zia, e arricciò le labbra.

«…Triste? Ti spinge ad essere altruista? Vorresti darmi tutto pur sapendo che mi mancano pochi giorni alla fine?»

Il modo in cui pronunciò quelle frasi fece rabbrividire zia Sally.

Mark, con sguardo aspro, fissò la zia. «Forse perché mi reputi il figlio mai avuto?»

A quel punto, fu zia Sally a distaccarsi. Si sistemò meglio la maglia lungo il corpo e si avvicinò alla bottiglia di Champagne. La Dottoressa Parker, dal suo canto, si schiarì la gola e si avvicinò alla porta.

«Passerò in serata, Mark».

Salutò con un cenno Sally, la quale, con stupore, sembrò aver perso tutta la sua allegria. La polverina di Pollon era finita, per caso?

Il silenzio gravò per circa dieci minuti buoni: Sally tratteneva i pensieri nella scatola cranica, mentre Mark intratteneva il tempo, focalizzando le figure al di fuori della finestra, neanche fosse un bambino.

Quando poi Sally poggiò il bicchiere sul tavolino, si voltò e fissò il nipote con aria assorta.

«Scoprii di essere sterile soltanto a vent’anni. Rimasi incinta di uno spogliarellista e mia madre mi obbligò ad abortire. Sono sempre stata contro a determinate azioni, ma non mi potei opporre, poiché all’epoca avevo soltanto sedici anni. A vent’anni avevo già conosciuto James, come tu ben sai, e, dopo vari tentativi, decisi di fare degli esami, per accertare i miei dubbi. Non lo dissi a mio marito, fino a quando, dopo ben cinque anni, non mi obbligò alla fecondazione assistita. Tutto venne a galla e cominciò ad essere assente, sempre più assente, fino a quando non lo trovai a letto con un’altra…»

Sally si interruppe per sfogare il dolore nello Champagne, e probabilmente era l’ennesima volta in undici minuti che lo faceva. Riprese il discorso che aveva la voce sempre più debole.

«Ecco perché lo sbattei fuori di casa, in mutande per giunta. Ricordo ancora la sua mascella, gli serviva il riavvolgi nastro per tirarla su. Per non parlare di quando gettai la sua collezione di dischi giù dalla finestra: ah, che spettacolo!», al solo ricordo, le spuntò un sorriso divertito.

Mark si pentì amaramente delle sue parole, non voleva interpretare il ruolo da vittima, ma neanche quello del carnefice.

«Voleva farmi causa! Sciocco, l’ho ridotto al lastrico! La prossima volta impara a cornificare una povera moglie sterile con il colesterolo alto!», Sally si massaggiò la fronte, dopo aver percepito la sensazione di aver parlato da sola fino a quel momento. Beh, in realtà le capitava spesso.

Si voltò verso il nipote, trovandolo supino.

Sì, stava decisamente parlando da sola.

Ma ci aveva trovato così gusto nel potersi sfogare, dopo tanto tempo, che le fu difficile smettere.

«La fine che feci fare ai suoi dischi fu d’esempio per tutto ciò che riguardava lui e sua madre. Oh, soprattutto sua madre! Quella vecchia bisbetica che sapeva soltanto entrare in casa mia, sedersi sul trono e bacchettarmi come se fossi la sua schiava d’onore! ‘Sal, fai questo’, ‘Sal, fai quello’. Fortuna che quella era casa mia!»

Lo schiarirsi di voce alle sue spalle la fece immobilizzare. Si voltò, robotica, e notò gli occhi neutri di Molly osservarla, senza capire. Sembrava avere stampato in faccia un enorme punto interrogativo nero.

«Tranquilla, termino il mio monologo quando torno a casa. Mi piace prendere a parole la fotografia del mio ex marito. L’ho anche appesa al bagno, così quando mi siedo sulla tavoletta tutto è più semplice», ironizzò, strizzandole l’occhio.

Molly non sorrise, né ci provò. Si avvicinò alla finestra e sbirciò verso il cielo plumbeo che minacciava un futuro temporale.

«Le ho prese io», mormorò la ragazza a denti stretti.

Sally, in un primo momento, inarcò le sopracciglia senza capire. Quando poi sbirciò in direzione delle sue mani, avvinghiate in un pacchetto della farmacia, capì e annuì, rapida.

«Ah, hai fatto bene, cara. Io non avrei avuto tempo. Oh! E’ avanzata della torta, che dici, ti va un boccone?»

Neanche rispose.

Sally preparò il piattino e glielo avvicinò, ma Molly neanche lo sfiorò. Sembrava così intenta nello scrutare il cielo, come se fosse alla ricerca di navicelle spaziali o di qualche aquilone perso dalle mani.

Sally si lasciò andare contro una poltrona, decisamente comoda e testata nelle innumerevoli notti rimaste a sorvegliare Mark. Lasciò vagare il vuoto per qualche istante, quando prese carica e si rivolse alla ragazza.

«Sai, all’angolo ho visto un negozio proprio carino. Hanno messo in vetrina dei vestiti davvero deliziosi e uno di quelli te lo vedrei proprio! Potresti domandare se hanno qualcosa sull’azzurro, valorizza molto la tua carnagione e…»

«Ci passerò», fu il commento microscopico della ragazza. Tutto, pur di farla tacere.

«Sì, ma quel che voglio farti capire è che potremmo andarci insieme! Sarebbe una splendida idea! Magari potremmo comprare qualcosa da indossare e far vedere a Mark! Sarebbe davvero contento e ammaliato se ti presentassi qui con un vestito da sera, magari senza spalline e…»

«Sally, la pianti?»

Sally pensò di non aver capito bene. Scrutò il volto della ragazza e, dopo qualche istante di riflessione, assimilò quelle singole parole. Annuì, con asprezza, e focalizzò la sua attenzione verso il letto di Mark.

«Lui ti ama. Possibile che tu non lo capisca? Perché lo tratti così…Freddamente? Come se ti fosse indifferente?»

La ragazza non parlò.

Sally sapeva che non lo avrebbe fatto. Spesso reputava quella ragazza una codarda, ma già il secondo dopo si ammoniva, dicendo che alla sua età simili cose non doveva neppure pensarle. Era ancora una ragazza, aveva soltanto vent’anni e non sapeva ancora distinguere determinate emozioni.

«Anch’io lo amo, ecco perché mi comporto così».

Quella risposta, seppur in ritardo, arrivò e Sally ne fu così  fiera che quasi le scoppiava il cuore. Aspettò qualche istante prima di replicare, ma, trovandosi a riflettere, non sapeva cosa dirle, esattamente.

Fu Molly a prendere le redini della discussione, quella volta. Si sedette sul marmo della finestra e prese a giocare con delle briciole di torta.

«Ho vissuto per tutta la vita con una corazza, neanche fossi una lumaca. So che il paragone fa decisamente schifo, ma al momento non ho altro animale nella testa con cui fare il paragone. Mi odio, Sally. Non sai neanche quanto mi odi per il mio atteggiamento da menefreghista. Odio ogni volta che sento i suoi occhi su di me. Vorrei voltarmi, o alzare la testa, tutto pur di poter ricambiare un qualsiasi cenno. E invece cosa faccio? Lo evito. Tutto quello che ho fatto fino ad ora è stato evitare la situazione, evitare lui, evitare noi. Non è una cosa di cui andare fiera».

«No, per niente», annuì Sally, afferrando il calice riempito nuovamente di Champagne e sorseggiandolo. Lo sguardo perplesso di Molly le fece riprendere il discorso. «Puoi sempre rimediare, cara».

«E come? Qualunque cosa io faccia, sarò sempre tormentata dai sensi di colpa che mi attanagliano giorno e notte! Come posso vivere così? Lo sto lasciando morire, Sally! Neanche questo mi rende fiera di me stessa! Dovrei lottare, convincerlo a restare, di lottare fino alla fine! Ma poi…Non ce la faccio».

Sally indurì i tratti del suo viso. Si sistemò meglio sulla poltrona e fece scivolare acida le parole dalla sua gola.

«Non lo stai lasciando morire, lo stai lasciando andare! E’ ben diverso, Molly. Lo sappiamo tutti che sarebbe arrivato il momento degli adii, lo sapevamo tutti, inclusa tu. Non dirmi che oggi ti sei svegliata da questo sogno e hai realizzato tutto quanto, solo perché hai visto la neve. Sì, Mark aveva deciso di avviare il suicidio assistito nel momento in cui sarebbe caduta la neve, entro l’anno, altrimenti l’avrebbe avviato l’ultimo dell’anno. Ricordati, nessuno lo sta lasciando morire».

Molly fissò intensamente la donna vissuta che aveva davanti a sé. Provava un affetto profondo per quella donna, che spesso sembrava una ragazzina ancor più piccola di lei per come si comportava.

«Non voglio che lui vada via…», mormorò Molly con voce spezzata.

Si portò le ginocchia al petto e le strinse forte, sperando che il dolore fisico soffocasse il dolore emotivo. Certo, anche il suo cuore faceva parte del corpo, ma era proprio questo muscolo a procurarle il dolore emotivo. Certe volte pensava che il corpo umano fosse una fregatura e quando guardava Mark, pensava che quell’idea aveva preso piede nella realtà.

Tanta gente moriva di cancro all’anno e, molte volte, mentre si rigirava tra le lenzuola la notte, pensava: ‘Perché Mark?’

E, tante altre volte, si era domandata: ‘E se io fossi stata al suo posto?’ Come si sarebbe comportato Mark? Cosa avrebbe fatto? Mi avrebbe appoggiato o mi avrebbe respinto?

Tante domande, alle quali non aveva mai osato rispondersi, pur sapendo le plausibili frasi.

La mano di Sally le sfiorò la gamba. «Nessuno lo vuole, cara, ma lui sì. Ecco perché non combattiamo: sarebbe una causa persa».

Molly sentì gli occhi ardere, aveva l’immensa voglia di sprofondare la testa nel cuscino e lasciar uscire le lacrime che tanto esigevano trovare la via d’uscita. Molly aveva imposto un labirinto senza uscita.

«Sarebbe tutto più semplice se fossi un animale…», sbottò con un finto broncio Molly. Sally non si lasciò ripetere due volte la stessa frase.

«E quale vorresti essere? Vediamo, io ti vedrei come…Un orso!»

Molly spalancò le pupille e digrignò i denti: «Io? Un orso?!»

Sally annuì, fiera delle sue parole. «E Mark è il tuo miele: non puoi farne a meno, anche quando decidi di metterti a dieta».

«Gli orsi non si mettono a dieta, Sally», le fece ricordare la ragazza, scuotendo il capo.

Sally sembrò interdetta per un breve istante, poi scrollò le spalle.

«Vanno in letargo, è lo stesso: al risveglio, saranno così affamati da ingerire qualsiasi cosa, ma ciò non toglie la loro necessità del miele».

Sentirono picchiettare alla porta e si ammutolirono.

La Dottoressa Parker entrò con il fiato mozzato, aveva gli occhi leggermente sgranati e uno strano rossore sulle guance.

«Avete…Avete visto?», domandò, ansante.

Le presenti in questione fissarono la donna con uno strano cipiglio, ma, seguendo la direzione del suo sguardo, si voltarono di scatto.

Come se non fosse già ustionato dalle fiamme dell’inferno, il cuore di Molly sembrò balzar fuori dalla pentola a pressione e cascare nell’oceano di lava fuoriuscito dal vulcano che teneva dentro di sé.

Non poteva farci niente, ormai odiava la neve e l’avrebbe odiata fino alla fine dei suoi giorni.

In quel momento, pregò soltanto che Mark non si svegliasse.

O magari, che si svegliasse sul serio.

 

 

 

 

Ed eccoci con il secondo capitolo. Prima di tutto, ringrazio tutte voi per aver letto e recensito questa storia *-* E, forse notizia più gradita ù.ù, questo è il penultimo capitolo =) Come già detto, questa è una storia che non si prolungherà, nonostante i capitoli megalitici, per cui spero vogliate sopportarmi un altro po’. Un bacio e grazie ancora. Cris.

 

   
 
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