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Autore: Akemichan    08/09/2005    1 recensioni
Un triangolo a tre fra una famosa regina, il suo più fedele servitore e una pittrice... Ai tempi dell'antico Egitto!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Antichità
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Attenzione

Attenzione: prima di leggere questo capitolo, bisogna tornare a leggere quello precedente, perché ho completamente modificato l’ultimo pezzo, perciò non si capirebbe più nulla del corso della storia.

 

Teti sentiva sul collo il fiato caldo di Tefnut, mentre, sulla cima della Valle dei Re, pregava Ptah di concederle ancora una volta il suo talento, per onorare al meglio i signori delle Due Terre. In realtà, del suo talento non aveva dubitato neppure per una volta, essendo la cosa più cara che avesse, e che ormai le fosse rimasta, perciò la preghiera risultava più come un desiderio nascosto.

Desiderava ardentemente continuare a dipingere sulle pareti rocciose delle dimore d’eternità, come aveva fatto fino a quel momento, ma temeva che, dopo ciò che era avvenuto tra lei e la regina, nessuno le avrebbe più commissionato lavori, soprattutto non Hat che, da futura reggente come probabilmente sarebbe stata, era quella che doveva dare ordini per la costruzione delle tombe. Sorrise debolmente: che razza di persona era, se dubitava della saggezza della regina d’Egitto, nonché sua amica d’infanzia? Eppure, aveva delle buone ragioni per farlo.

Si alzò, camminando quasi in bilico sullo strapiombo delle rocce. Adorava profondamente l’aria che si respirava in quel lungo, dal quale si poteva osservare la Grande Prateria in tutta la sua estensione e si assaporavano i suoi e gli odori dei ricordi dei re defunti. Teti percepiva chiara la loro presenza, come la presenza dei suoi antenati che avevano eretto Per-Maat, ma non riusciva a comunicare con loro. Avrebbe tanto voluto: almeno, non sarebbe stata sola come in quel momento.

Guardando all’orizzonte, verso il fiume Nilo che, da quella distanza, somigliava veramente ad un sottile e agile serpente che striscia sinuoso ed elegante sulla terra, intravide la barca che trasportava il corpo del defunto Tuthmosis II, assieme alla sua famiglia. Il funerale stava iniziando e lei, come a tutti quelli a cui aveva assistito finora, sarebbe arrivata in ritardo. Dopotutto, si recava sempre sulla cima prima di questa cerimonia, quasi volesse accertarsi che gli altri ospiti accettassero il nuovo venuto.

Quella volta, però, non aveva avuto lo stesso motivo per andarci. Non nutriva alcuna simpatia per Tuthmosis, forse perché ne aveva sentito parlare solo male da Hatshepsut o, forse, perché aveva fatto arrabbiare e soffrire la sua amica, perciò poco le importava di quello che avrebbe potuto capitargli nella sala della giustizia. Era venuta per lei stessa, per chiedere ai Faraoni, dei sulla terra, una grazia. Voleva che le fosse restituita l’amicizia di Hatshepsut. Perché se era vero che preferiva la solitudine alla confusione, era pur vero che quella totale la spaventava. Aveva bisogno ancora della sua migliore amica.

Scese più in fretta che potè dall’altopiano e si ritrovò nel paese di Per-Maat, completamente vuoto. La processione doveva essere già partita per raggiungere la dimora d’eternità prestabilita. Riprese quindi il l’alito di Shu che le serviva per correre ancora verso la valle dei Re, ma dalla parte di sotto.

«Teti» la chiamò leggermente con la mano una ragazzina, quando finalmente raggiunse la coda della processione. La pittrice le si affiancò senza proferire parola, guardandosi bene dal dimostrare anche il solo minimo stupore per trovarla in quel luogo e non a capo del gruppo, visto che lei adorava tutto ciò che le era nuovo, fosse anche un funerale.

«Anche io sono arrivata tardi» La spiegazione venne da sola, di getto come l’acqua che esce dalle bocche di Hapy.

«Davvero, Hebi?» Quella parola non voleva esprimere né rimprovero né incredulità, ma solo una constatazione per niente filtrata da alcun sentimento.

Fu proprio questo che fece irritare la ragazza, ossia la poca considerazione che stava dimostrando nei suoi confronti. «Si, esatto» E cercò di ignorarla guardando davanti a sé.

Teti la osservò leggermente. Hebi era piccola e minuta, e sembrava molto più giovane della sua età. Di viso, ricordava vagamente Hatshepsut da giovane, per quella piega accigliata che spesso assumeva, ma non aveva né la forza di cuore né la bellezza sensuale della regina. Forse l’avrebbe acquisita con l’età, ma Teti ne dubitava seriamente. Gli unici pregi di Hebi erano le mani, perfette e affusolate, che maneggiavano fra i colori come se questi fossero solo un’estensione del suo braccio, la bocca, assolutamente da baciare, e i capelli, a boccoli naturalmente perfettamente ordinati senza nemmeno aver bisogno di pettinarsi, a differenza di quelli di Teti, sempre intrigati

Hebi era stata assegnata, con disappunto totalmente celato di Teti, a dipingere le pareti della tomba della nutrice Hatshepsut, morta negli stessi giorni di Tuthmosis. Lei la conosceva, proprio perché amica d’infanzia della bambina che la donna accudiva e, perciò, sarebbe stato un grande onore procurarle una dimora d’eternità rispecchiando il carattere che aveva avuto in vita. Invece, non le era stato concesso e, per questo, temeva che non le venissero affidati altri incarichi. A quel punto, vivere sarebbe stato solo un peso di troppo.

Non era arrabbiata con Hebi, che dopotutto aveva fatto il suo lavoro, né provava rabbia o invidia. In realtà, la maggior parte dei sentimenti le erano decisamente sconosciuti, mentre preferiva l’indifferenza che teneva costantemente appresso, certo come alibi per non soffrire. Tuttavia, non poteva negare a sé stessa che fra il suo talento e quello di Hebi ci fosse un abisso largo come il deserto rosso che sin estendeva ai confini dell’Egitto. Non che Hebi non sapesse disegnare, o che i suoi dipinti non rispecchiassero la realtà, solo che non aveva capito cosa veramente significasse essere una pittrice in una dimora d’Eternità.

I disegni sui dipinti delle tombe rappresentavano il mondo in cui il defunto avrebbe abitato dopo la morte. Non dovevano sembrare veri, dovevano esserlo, perché altrimenti sarebbe stato come offrire a un affamato un sasso marrone, che di forma e colore poteva ricordare quello di una pagnotta. Hebi non sapeva dare vita ai disegni che creava, Teti si. E se entrando in una tomba dipinta dalla prima si poteva sostenere che fosse ben fatta, entrando in una colorata dalla seconda si riuscivano a sentire gli odori delle offerte, il suono delle scene, il respiro di Shu sulla pelle: si giungeva veramente nel futuro occidente.

«Com’è bella!» esclamò ad un certo punto Hebi, distraendola. «La regina è la più bella donna che io abbia mai visto» Teti cercò di concentrare lo sguardo su quella piccola figura in lontananza, che si stava avvicinando al sarcofago per l’apertura degli occhi e della bocca. Non aveva la stessa vista potente di Hebi, soprattutto perché, dopo tanto tempo passato nel buio a dipingere, si era abituata più a vedere nell’oscurità che attraverso i raggi di Ra, ma con il cuore capì immediatamente che qualcosa non andava.

Lentamente, si fece largo fra la folla, non senza strappare qualche commento negativo, e riuscì a raggiungere le prime file, giusto dopo i sacerdoti e gli uomini dei lamenti funebri. Aveva visto bene: Hatshepsut era si bella, come sempre e come aveva detto Hebi, ma non era viva. Teti ricordava benissimo i suoi occhi neri e profondi, che ogni tanto si illuminavano come le fiamme di Sekhmet e che le avevano permesso di ottenere ciò che desiderava. Quelle fiamme si erano spente, come se si fosse trasformata in Bastet, ma in una dea gatta tremendamente triste e malinconica. Insomma, l’esatto contrario della leggenda originale. Per fare un paragone più concreto, Hatshepsut, in questo momento, ricordava non più i disegni di Teti, come quand’era ragazza, ma quelli di Hebi.

«Cosa sarà successo…?» si domandò la pittrice, mentre, seduta dietro il muro della casa più distante del paese e ben lontana dal luogo caotico del banchetto, sorseggiava leggermente birra da una ciotola di argilla. Nonostante tutti i discorsi che lei stessa aveva fatto a Senmut, non credeva, non veramente, che Hatshepsut arrivasse veramente ad uccidere Tuthmosis, ma, a questo punto, quale altra spiegazione poteva esserci?

«Iside ti conceda una buona giornata» disse una voce, quindi la regina si appoggiò con la schiena contro il muro accanto a lei.

«Hat!» Teti aveva sentito il suo cuore fare uno sbalzo improvviso, sia per la sorpresa sia per la felicità, ma si impose un’immediata pazienza e una tipica indifferenza. Eppure, non si alzò.

Aprì la bocca, ma Hatshepsut la interruppe subito. «Risparmiati i convenevoli, per oggi ne ho già sentiti a sufficienza da riempire tutti i granai d’Egitto» E aggiunse: «magari fosse davvero così! Almeno, non correremo rischi di carestia»

Allora Teti si riappoggiò con la schiena al muro e per un poco rimasero in silenzio, limitandosi ad ascoltare, in lontananza, le voci soffuse che provenivano dal banchetto.

«Credi che Ammit divori qualcuno che ha fatto un torto ad un altro solo per aiutare una persona a cui tiene?» chiese d’improvviso Hatshepsut.

Teti non rispose. «Hai ucciso tu il faraone?»

«Credi che ne sia capace?»

«No, per questo te lo chiedo»

Passarono altri minuti di silenzio. Poi, Hatshepsut abbassò lo sguardo. «Credo che sia stata la mia nutrice»

Questo Teti non se lo aspettava proprio, non dalla donna che aveva cresciuto ed educato la sua migliore amica e, un poco, anche lei stessa. «Sbagli» disse convinta. Ed era la stessa cosa che avrebbe detto a chiunque, se avessero sospettato di Hatshepsut.

«No, invece» E se la prima frase lasciava uno spiraglio attraverso le rocce, questa seconda lo richiudeva completamente.

«Pensi che sia colpa tua?» Il silenzio della Regina fu più che evidente.

Teti allora la guardò, e scosse la testa. Una persona che provava sensi di colpe per il destino di un altro senza riuscire a riprendersi, non sarebbe riuscita a governare sull’Egitto e la loro terra, in questo momento, aveva bisogno di lei. Se ora temeva che le sue decisioni influenzassero così tanto la vita degli altri da aver paura di prenderle, come avrebbe potuto ordinare su una popolazione intera?

Si alzò lentamente, e le tirò uno schiaffo. «Scema» le disse. «Se vuoi odiarmi, fallo come si deve» Hatshpsut si toccò la guancia bollente e, per un attimo, le fiamme dell’orgoglio ferito tornarono a brillare nei suoi occhi. «Guardati!» proseguì Teti. «Ti sei già pentita della tua decisione e sei qui per chiedermi scusa? E credi che sia sufficiente, se un giorno dovessi sbagliare un editto?» Si voltò dall’altra parte. «Invece, dovrai prendere una decisione e tenerla fino in fondo. Si è mai visto un faraone indeciso, lui che è la vita, la forza e la salute dell’Egitto?» Sospirò. «Avevo sempre pensato che fossi adatta come sovrano, ma vedendoti ho cambiato idea…»

«Io sono adatta come faraone!» replicò Hatshepsut. «Molto più di quanto non fosse Tuthmosis II. E lo sai»

«Forse lo so» acconsentì Teti. «Ma tu dimostramelo»

«Lo farò» le assicurò la regina. La sua amica dubitava delle sue capacità! Proprio lei, che l'aveva sempre appoggiata! Ma le avrebbe dimostrato che non si era sbagliata. «E ti odierò per tutta la vita» Quindi, si voltò altezzosamente e la lasciò da sola.

Lentamente, Teti si abbassò ad afferrare la ciotola con la birra. Aveva appena perso l’unica occasione di riappacificarsi con lei. Distrusse la ciotola scaraventandola a terra, quindi afferrò il coccio più grosso. Pazienza, l’Egitto era più importante. Si afferrò insieme i suoi lunghi capelli ricci e li tagliò di netto, perché aveva portato il lutto troppo a lungo, lasciandoli corti sopra le spalle. In fondo, lei non sentiva nulla… Assaggiò, per un attimo, con il polpastrello la lama tagliente del ciottolo, quindi, con un gesto rapido, se la conficcò nella coscia, spingendo in profondità. Lasciò di scatto al presa su quell’arma improvvisata, con il respiro mozzato, perché non credeva che le avrebbe fatto così male.

«Non sento niente…» mormorò, mentre il liquido rosso le colava lentamente fino alla caviglia, solleticandole la pelle. Era rosso, non dorato. «Proprio niente…» Si tolse il coccio dalla gamba, aumentando l’emorragia.

«Teti! Mi senti?» La donna saggia, dietro di lei, la osservava con un sopracciglio leggermente inarcato e le labbra, preoccupate, leggermente piegate. «E’ la terza volta che ti chiamo…»

Prendendo un bel respiro, la pittrice rispose: «Si, certo che ti sento…»

 

Note di Akemichan:
Ciao a tutti! Mi scuso per l’inconveniente dei capitoli ma, in effetti, come Tiger Eyes mi ha fatto notare, l’ultima parte era troppo affrettata (anche se non per la morte di Tuthmosis II, che è comunque solo accennata ^^’’) Adesso, avendo messo in evidenza la situazione di Tuthmosis III, cercando di modificargli il carattere sempre secondo le scoperte che ho fatto grazie a Tiger Eyes, e avendo aggiunto la scena tra Hatshepsut e Teti, mi sento molto più soddisfatta del lavoro. Diciamo che ho solo allungato il tempo della storia ^^. Ho quindi modificato anche il titolo ed il commento perché ormai sta diventando diversa da quella che avevo inviato al concorso ^^. Spero che piaccia anche a voi.
Bye

Reviews:

Ayu-chan: Ciao ^^ Ci eravamo mancate di una mezz’oretta circa, accidenti!^^ Spero di ribeccarti presto ^^ Grazie per i complimenti, spero il capitolo precedente ti piaccia ancora nonostante la modifica alla seconda parte ^^ Bye

Tiger Eyes: Grazie per le mail  non sai davvero quanto mi sono utili i tuoi consigli ^^ Si, in effetti avevi proprio ragione, riflettendoci mancavano un po’ di parti… E poi, così ne ho approfittato per dare una parte anche a Tuthmosis III, che sinceramente è un faraone che adoro…^^ Allungando gli episodi in questo modo, posso dare spazio anche a lui, o almeno, al lui della prima parte, quando era ancora piccolo ^^ Che devo dirti… Spero che le mie modifiche ti piacciano e spero di aver reso bene anche il carattere di Tuthmosis. Grazie ancora per la recensione e per i consigli ^^ Bye

   
 
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