Capitolo XIV
Ore 7.00 –
Santa Cruz
William gettò
un’occhiata a Marissa, addormentata tra le lenzuola
sfatte, i capelli biondi sparsi sul cuscino, e si infilò
la maglia nella penombra della stanza, rischiarata solo dalle lame di luce che filtravano tra le tapparelle. Raccolse la cintura e la
riallacciò, distaccato e stranamente freddo.
Quando andava a
letto con una ragazza, al risveglio non provava mai niente oltre il senso di
appagamento e di soddisfazione che gli dava il fatto di averne avuta un’altra.
Tutte le volte era il primo a svegliarsi e andarsene, senza commenti né coccole
come la maggior parte delle donne si aspettava. Non faceva parte della sua
natura, indugiare per troppo tempo su qualcosa che non aveva futuro, che non
avrebbe mai più rivisto: le aveva sempre e solo usate, le ragazze.
Anche questa volta
non sarebbe stato diverso. Non gli interessava molto di Marissa,
di quello che avrebbe detto o di quello che avrebbe fatto, ed era convinto che
lei la pensava nello stesso modo. Chi ragionava come
loro, non chiedeva e non si aspettava di più che una notte avventurosa.
Lasciò la stanza
senza degnarla di un’ulteriore occhiata e andò in
soggiorno: Daniel e Sebastian lo stavano aspettando in piedi, pronti ad
andarsene. Blacktree stava dormendo nell’altra
stanza, completamente all’oscuro della loro partenza mattutina.
Sistemò la pistola
che gli aveva dato il meccanico nella tasca dei pantaloni e afferrò la
valigetta per controllare quanto era rimasto dentro: abbastanza da permettergli
di fare quello che aveva in mente.
<< Ok Daniel,
andiamocene >> disse, facendogli un cenno.
Si avviarono verso
la porta, diretti al garage di sotto, ma come aveva previsto Sebastian
li seguì, sistemandosi il suo cappello sulla testa con aria stanca. William si
bloccò sulla porta e alzò il braccio, appoggiando la mano sullo stipite della
porta, bloccandogli la strada. Sebastian inchiodò e lo guardò, perplesso.
<< Che c’è?
>>.
<< Ho detto
Daniel… >> rispose William, il tono basso ma chiarissimo.
Il meccanico cambiò
espressione, come se non avesse capito quello che aveva detto. Daniel, che li
aveva preceduti e stava fermo sulle scale ripide e piene di ragnatele, li
guardava, in attesa.
<< Cosa stai dicendo? >> borbottò Sebastian.
William fece un
cenno a Daniel, la pistola in mano. << Aspettami in garage >>.
Il ragazzo annuì e
sparì di sotto, lasciando la scala nel completo silenzio. William si voltò
completamente, e Sebastian arretrò di qualche passo, intuendo quello che stava
per succedere…
<< Cosa vuoi fare? >> domandò, la voce rotta, <<
Non puoi… Dopo tutto quello che ho fatto… >>.
William guardò il
meccanico, con un misto di fastidio e divertimento. Aveva previsto quella
reazione, e non era preoccupato: sapeva cosa fare, ma soprattutto cosa dire.
Sperava solo che non si lasciasse prendere da un attacco di isteria
e iniziasse a gridare svegliando tutto il vicinato…
<< Esisteva
un patto tra noi, ricordi? >> disse, ricordando quella sera di diversi
anni prima, in cui aveva preparato un “piano di salvataggio” solo per lui,
<< Io sono il capo, tu sei il meccanico. Tra noi due quello che avrebbe
rischiato di più la cattura sarei stato io, perché la polizia non si sarebbe
soffermata su un solo meccanico, quando avrebbe dovuto catturare dei piloti
clandestini… Ricordi? In base a questo ragionamento,
abbiamo deciso che io avrei fatto in modo di salvarti la pelle, nel caso le
cose fossero precipitate e io sarei finito dietro le sbarre. In cambio, tu mi
avresti cercato e mi avresti aiutato a scappare… Un accordo abbastanza equo, mi
pare. In più ti avevo garantito una cospicua somma di denaro per il disturbo,
ti ricordi, vero? >>.
Aveva sempre
ritenuto fosse un piano perfetto: era necessaria un
minimo di fiducia reciproca, ma si era premunito di mettere sul piatto anche un
bel po’ di dollari, che avrebbero fatto gola a chiunque e avrebbero scongiurato
fastidiosi “colpi di testa” del meccanico. Come aveva previsto, infatti, aveva
funzionato.
<< Sì, mi
ricordo…>> disse Sebastian, a bassa voce, << Dove vuoi andare a
parare, eh? >>.
Era inutile girare
intorno alla questione, in quella situazione. Era meglio farla finita prima che
si svegliassero Blaktree e Marissa…
William ghignò.
<< Non mi servi più >> disse.
La faccia di
Sebastian cambiò nuovamente espressione, passando dallo spavento al vero e
proprio terrore. Indietreggiò ancora, poi sembrò capire all’improvviso e disse:
<< Dovevo aspettarmelo… Mi ucciderai, vero? >>.
Il corridoio sembrò
farsi ancora più buio di prima, e per qualche istante
aleggiò la stessa atmosfera che ci poteva essere in un cimitero. William giocò
con la pistola che aveva in mano, gettandole uno sguardo.
Ci aveva pensato
molto, prima di prendere quella decisione. Sebastian era stato il suo
meccanico, e gli aveva sempre preparato le auto per le gare… In minima parte
aveva contribuito a renderlo lo Scorpione; aveva mantenuto il patto, venendolo
a cercare, anche se ci aveva impiegato due lunghi anni… Però se voleva essere
coerente con ciò che aveva pianificato, cioè ricominciare da zero, doveva fare
a meno di lui… E in fondo, non aveva nemmeno un’auto
da modificare.
Ucciderlo era la
scelta migliore: non avrebbe lasciato tracce, non avrebbe corso il rischio che
Sebastian che facesse la spia e lo facesse catturare…
La sua fuga sarebbe stata perfetta, a quel punto.
<< No
>> disse alla fine, fissandolo negli occhi, << Non ti ucciderò,
perché non mi sono mai lamentato di ciò che hai fatto per me. Ammetto che
sarebbe la scelta migliore, ma per questa voglio essere buono… Prenditi i tuoi
soldi, e vattene per i fatti tuoi >>.
William sapeva di
non essere coerente con ciò che aveva deciso, che lasciare Sebastian vivo e
fuori controllo equivaleva ad accettare un rischio altissimo, ma non lo voleva
morto. Alla fine gli era rimasto fedele molto più di altri, e doveva in qualche
modo ricompensarlo.
Sebastian sembrò
sbalordito. << Ma… Ho fatto tutto questo per
farti uscire, e ora tu mi lasci in mezzo alla strada? >> esalò, <<
Chi ti farà da meccanico, eh? Chi ti preparerà le auto, eh? Perché questa
decisione? Non avevi detto che rivolevi tutto indietro? >>.
<< Ho chiuso
con la gente che faceva parte del mio giro >> rispose seccato William,
<< Ho chiuso, volto pagina. Mi sono sempre
fidato di pochi, e quei pochi mi hanno tradito… Ricomincio da zero: cercherò
altra gente, e questa volta non mi fiderò più di nessuno… >>.
<< Non ha
senso! >> ribatté Sebastian, << Credevo che… >>.
<< Zitto
>> ringhiò William, agitando la pistola, << Ringrazia che non ti
abbia voluto uccidere, perché sarebbe stata la scelta più scontata. Ma non
azzardarti ad andare dagli sbirri per dirgli dove sono diretto, perché
altrimenti tornerò indietro e questa volta ti
ammazzerò sul serio >>.
Sebastian sembrava
davvero sorpreso, ma mai quanto lo stesso William: non era da lui prendere una
decisione del genere, ma era sicuro che sarebbe filato
tutto liscio. C’erano i soldi, in mezzo, e quando il denaro faceva da
intermediario, niente poteva andare storto.
<< Qui ci
sono i tuoi soldi, più un piccolo extra >> disse a bassa voce, <<
Fatteli bastare. Trovati qualcun altro a cui
modificare le auto… Non dovrebbe essere difficile, se sul tuo curriculum
compare il mio nome >>.
Gettò la valigetta ai
piedi del meccanico, poi si voltò senza aggiungere altro. Sebastian non cercò
di seguirlo, ma rimase lì impalato, come se non sapesse più davvero cosa fare,
il corridoio deserto e silenzioso.
Una volta sotto,
William si sentì finalmente tranquillo: non aveva davvero più legami con
nessuno, e poteva dirsi veramente libero. Avrebbe messo in atto il suo piano da
solo, eccetto un minimo di aiuto da parte di Daniel.
L’auto che
Sebastian gli aveva fornito era una BMW M6, grigio titanio, abbastanza rapida e potente da permettergli di viaggiare com’era solito
fare, cioè molto veloce. Daniel stava già guardando nel bagagliaio, dove
c’erano due grosse valige piene di armi e di vestiti per camuffarsi in caso di
bisogno. Prese una cartella di pelle marrone e la aprì: conteneva i loro
documenti falsi, compreso il passaporto che gli
sarebbe sicuramente servito.
Incuriosito, aprì
la carta di identità: mancava la foto, perché quella
doveva essere inserita all’ultimo, quando avrebbe deciso come travestirsi per
uscire dagli Stati Uniti. Stando a quello che c’era scritto, si chiamava Henry Goldsack, ed era nato a New York.
Fece una smorfia
divertita, nello scoprire che come stato civile era stato inserito “Sposato”:
ma quando mai? Visto come era andato a finire il
matrimonio tra suo padre e sua madre…
In quel momento gli
venne in mente che suo padre era sepolto nel cimitero di San Francisco, e che
sua madre era finita a scontare gli arresti domiciliari in una misera casa da
qualche parte vicino a Boston… Nessuno di loro avrebbe mai avuto modo di
riscattarsi, tranne lui.
Non sarebbe andato
a trovarli, né l’uno né l’altro. Prima di tutto perché
non poteva rischiare di farsi trovare in uno dei posti che sicuramente gli
sbirri avrebbero tenuto d’occhio, e secondo perché non aveva voglia di scoprire
quanto la sua famiglia fosse caduta in basso.
<< Possiamo
andarcene >> disse, raggiungendo la portiera dell’auto.
<< Il tuo
amico non viene? >> chiese Daniel, chiudendo il
bagagliaio dopo essersi scelto una pistola e averla intascata con un ghigno.
<< No
>> rispose secco William.
Daniel non fece
commenti. << Dove andiamo? >> domandò,.
William fece
retromarcia e imboccò la rampa del garage, salendo lentamente mentre la luce
del mattino li abbagliava.
Ghignò, al pensiero
del piano che aveva studiato appena aveva capito che i messicani non volevano
aiutarlo, e che se la sarebbe dovuta vedere da solo…
La sua vita sarebbe ricominciata alla grande, ne era sicuro.
<< In Messico
>> rispose, << Andiamo a trovare alcuni miei vecchi amici… Hanno
una piccola lezione da imparare >>.
Ore 22.00 –
San Pietroburgo
Xander strizzò gli occhi
per individuare nella penombra del locale Ermil, che
gli aveva dato appuntamento lì dopo l’ennesima vittoria
in gara, e lo vide seduto in fondo, a un tavolo circolare e appartato, un
bicchiere di birra in mano e l’espressione pensierosa.
Notò che nel bar
c’era più gente del solito, infatti il bancone era
completamente occupato e molti dei tavoli che di solito erano liberi ospitavano
uomini dall’aspetto poco raccomandabile. Il tavolo da biliardo, al centro della
sala e illuminato dai lampadari polverosi, era preso d’assalto da un gruppo di
ragazzi, che ridevano e bevevano tra un tiro e l’altro.
Xander si fece largo tra
la gente, attraversando una nuvola di fumo di sigaro, e raggiunse il russo.
<< Siediti
>> disse Ermil, vedendolo arrivare, <<
Prendi da bere, mentre aspettiamo >>.
Xander prese
posto e ordinò il suo solito Martini con ghiaccio, osservando con attenzione la
gente che si trovava nel locale. La persona che gli aveva fatto trovare il
biglietto minatorio nell’auto poteva essere lì in mezzo.
Non era la prima
volta che riceveva una minaccia, ma non gli era mai successo in quel modo né
così presto. Di solito venivano a dirglielo in faccia, che non lo volevano in
giro o che dava fastidio, e doveva ammettere che non sapere da chi doversi
guardare lo rendeva nervoso. Aveva fatto solo qualche gara e non si era fatto
vedere nemmeno molto, eppure già si erano accorti di lui… Gli sembrava un po’
troppo strano.
<< Hai
ricevuto altre minacce? >> domandò Ermil,
sorseggiando la sua birra apparentemente tranquillo.
Xander glielo aveva
raccontato, più che altro per sentire cosa aveva da dire: McDonall,
a cui aveva raccontato l’accaduto più per scrupolo che
per altro, gli aveva consigliato di indagare sulla faccenda, perché poteva
essere che la sua faccia fosse conosciuta, e che qualcuno potesse sapere che in
realtà non si chiamava Mark Dowson.
<< No, per il
momento nient’altro >> rispose Xander, secco.
<< Non
preoccuparti, si tratta di una minaccia senza fondamento >> disse Ermil, usando esattamente le stesse
parole dell’altra volta, << Vogliono solo intimidirti un po’ perché sei
forte e sei americano, ma non ti faranno niente >>.
“Su questo dubiterei… Da quello che ha detto Demidoff, mi è parso di capire che qui fanno sul serio. E
sinceramente non vorrei essere ritrovato chiuso dentro il bagagliaio di una
Bentley”.
<< Chi stiamo
aspettando? >> chiese Xander, per cambiare
argomento.
<< Una
persona che può aiutarti a entrare nella cerchia giusta… >> rispose Ermil, nascondendo un sorriso, << Ti dirà cosa devi
fare… >>.
<< Di preciso
chi è? >> domandò Xander, per non farsi trovare
impreparato.
Ermil sembrò molto
divertito. << Non voglio rovinarti la sorpresa >> disse, evasivo.
Xander bevve un sorso
della sua birra, preoccupato. Sperava non si trattasse di qualcuno che avesse
già conosciuto nella missione di Challagher,
altrimenti rischiava davvero la pelle.
Il loro contatto si
fece aspettare per più di un’ora, come se ritenesse la puntualità qualcosa di
poca importanza. Xander rimase seduto al suo tavolo,
parlando con Ermil della situazione piuttosto tesa
che c’era in quel momento in Russia, per via di alcune faide fra le famiglie
più potenti che si occupavano dello spaccio di droga.
Tra le righe riuscì a intuire che centrasse in qualche modo anche Boris Goryalef, e qualcuno dei piloti suoi amici. Sperò che Irina
non ci finisse in mezzo, visto che aveva l’innata
capacità di infilarsi nei guai.
<< Come mai
c’è tutta questa gente, stasera? >> chiese, ordinando il secondo Martini
per occupare l’attesa. Dal tavolo da biliardo si levò un brusio concitato per
via di un tiro per riuscito.
Ermil si mise comodo,
forse intuendo che l’attesa si sarebbe fatta lunga. << Si è sparsa la
voce che la persona che aspettiamo sarebbe venuta qui
>> spiegò, inarcando un sopracciglio mentre guardava il barista, <<
Non è di questa zona, quindi è sempre un evento quando si fa vedere… >>.
Xander controllò che la
pistola che portava nascosta addosso fosse ancora al suo posto, perché tutto
quel mistero gli dava un brutto presentimento. C’era davvero il rischio che si
trattasse di Boris Goryalef, che sicuramente si
sarebbe ricordato di lui, quando avrebbe visto la sua faccia: gli doveva la
fiancata di una Ferrari gialla.
Ad un certo punto
sentì la porta del locale aprirsi e poi chiudersi, e notò che tutta
l’attenzione venne rivolta verso l’entrata, nel silenzio generale. Il gruppo
del biliardo gli sbarrava la vista, così si sporse per vedere di chi si
trattava, pronto a una fuga rapida nel caso ce ne fosse stato bisogno.
<< Era ora…
>> borbottò Ermil, facendo lo stesso.
Se si era aspettato
un russo barbuto, scontroso e magari anche ubriacone, non poteva essersi
sbagliato di più. Perché, prima di tutto, il loro contatto non era barbuto, né
particolarmente minaccioso a vedersi. Secondo, perché era una donna.
“Cavolo, questo non me lo aspettavo proprio…” pensò, basito, gli
occhi incollati sulla figura della nuova arrivata, esattamente come tutto il
resto del bar.
La ragazza, che
dimostrava all’incirca venticinque anni, si stagliava
alta e slanciata all’entrata del locale, avvolta in una pelliccia bianca che
non l’avrebbe mai fatta passare inosservata, i lunghi capelli biondi mossi le
ricadevano sulle spalle in morbide onde, avvolgendo la sua figura snella e
asciutta. Non c’era altro modo se non definirla bellissima, perché i tratti del
suo viso sembravano scolpiti da uno scultore, perfetti, senza un difetto; e gli
occhi erano di un azzurro così intenso da sembrare quelli di un angelo. Le
labbra erano delineate dal rossetto rosso scuro, le
unghie perfettamente curate che si stringevano sulla borsetta di Prada con aria
letale. Il tutto condito da movenze feline, aggraziate e
sensuali al tempo stesso.
La ragazza si tolse
rapidamente la pelliccia, l’espressione infastidita forse per il fatto di
trovarsi in un locale di poco conto e scialbo come quello, e la consegnò a uno
dei camerieri che si premurò di riporla al sicuro. Gettò uno sguardo intorno,
ignorando completamente la gente che la fissava, poi puntò dritta e sicura
dalla loro parte, l’abitino aderente che seguiva i suoi movimenti come una
seconda pelle.
Una volta di fronte
a loro, in perfetto equilibrio sui vertiginosi tacchi a spillo degli stivali,
rivolse un’occhiata sprezzante verso Ermil, poi si
sedette, infastidita.
<< Ho poco
tempo >> disse, rivelando una voce cristallina quanto il colore dei suoi
occhi, << Diamoci una mossa, anche perché odio venire qui…
>>. Il suo tono però non sembrava ammettere repliche, e aveva molto
l’aria di un ordine.
Xander rimase a
guardarla, stupito da quanto fosse bella. Molto probabilmente era la più bella
donna che avesse mai incontrato… Persino da vicino non sembrava avere alcun
difetto, e da così si notava anche quanto fosse liscia la sua pelle, e il suo
profumo sensuale. Cosa centrasse lì in mezzo, era
difficile da capire, perché sembrava davvero un pesce fuor d’acqua. Per un
momento gli ricordò Irina e il loro primo incontro, quando con un’occhiata
aveva intuito che non stava tra i piloti clandestini per piacere. C’era però
una sottile differenza, in quella circostanza: se lo sguardo di Irina era
pervaso da tristezza e sconfitta, quello di quella ragazza era tutto il
contrario. Se c’era una cosa che gli era chiara, era che non aveva paura di
nessuno, lì dentro, e che si aspettava di essere rispettata.
<< Lei è Nina
Kraracova >> la presentò Ermil,
<< Nina… Lui è Mark Dowson, quello di cui ti ho
accennato >>.
La ragazza sembrò
improvvisamente accorgersi di lui. Lo squadrò per un momento, come a valutarlo,
poi sorrise mostrando i denti bianchi, facendo mutare radicalmente la sua
espressione.
<< Mi fa
piacere conoscerti, Mark >> disse, improvvisamente ingentilita, <<
Ero curiosa di incontrarti… >>.
“Non mi sembrava molto entusiasta, fino a poco fa…” pensò Xander.
<< E’ un
piacere anche per me >> disse, << Anche io
avevo voglia di scoprire chi era il famoso contatto di cui mi ha parlato Ermil… >>. Sorrise, facendo un cenno verso di lei,
per dimostrarle che era sorpreso di trovarsi davanti una
ragazza.
Nina rise
divertita, e Xander si accorse che molti degli
sguardi erano inesorabilmente puntati su di lei. << Bene. Mi dispiace, ma
questa sera ho molto poco tempo da dedicarvi, quindi
credo che dobbiamo subito passare alle questioni più importati >> disse,
facendo ondeggiare la sua chioma bionda, << Avremo modo di conoscerci
meglio la prossima volta >>. Ammiccò con aria complice, rivolgendogli
un’occhiata molto eloquente.
La prossima volta…
Quindi gli stava già dicendo che si sarebbero incontrati di nuovo…
Xander non seppe cosa
dire, perché le possibilità erano due: o Nina era molto espansiva e amava
conoscere nuova gente, oppure doveva aver in qualche modo fatto colpo su di
lei… Cosa che non era sua intenzione.
Uno dei camerieri
si avvicinò con aria intimorita, il blocchetto delle ordinazioni in mano,
sfoderando un sorriso d’ordinanza. Domandò qualcosa in russo alla ragazza,
forse per chiederle se voleva qualcosa da bere. Lei gli gettò un’occhiata
infastidita e rispose seccamente che non voleva niente, facendogli
imperiosamente cenno con la mano di andare via.
<< Odio
venire qui… >> borbottò, appoggiando la sua
borsetta sul tavolo e ignorando le occhiate della gente: evidentemente non le
importava di poter risultare scortese. Tirò fuori un cellulare e mentre tornava
a guardarlo cambiò espressione, nuovamente gentile.
<< Allora, so
che sei bravo con le auto >> disse, << Vuoi diventare uno dei
Referenti, mi hanno detto… >>.
Xander annuì. <<
Sono qui per questo >> disse, << Puoi aiutarmi? >>.
La ragazza gli
lanciò un’occhiata maliziosa. << Certo che posso aiutarti >>
ribatté, divertita, << Ma come mai sei venuto qui,
da queste parti? Non si stava meglio in America? Mi sembra che lì le gare di
auto siano ancora più diffuse che da queste parti… >>. Accavallò le gambe
snelle, e tutto il bar catalizzò la propria attenzione da quella parte, ben consapevole
dell’effetto che stava provocando.
Xander si strinse nelle
spalle, mantenendo lo sguardo dritto sul suo viso.
<< Non tira
buona aria, laggiù >> rispose, << Era il caso di sparire per un
po’… >>.
La ragazza sorrise.
<< Capisco… Sappi solo che la strada è particolarmente difficile.
Oltretutto sei anche uno straniero, e la gente di qui non sarà particolarmente
contenta di vedere un americano tra noi… E’ una bella sfida, te ne rendi conto,
vero? >>. Parlò con leggerezza, come se in realtà considerasse
l’avvertimento solo di routine, e non credesse veramente alle proprie parole.
Xander ghignò. <<
Dove sta il problema? Adoro le sfide… >>.
Nina si lasciò
scappare un ghigno palesemente divertito. << Chissà perché mi aspettavo un risposta del genere… >> disse, << D’accordo,
domani sera c’è una gara piuttosto importante dalle parti del Park Tikhiy, se ti fai notare puoi meritarti l’invito a una
delle nostre feste… >>. Dalla sua faccia si capì che in realtà l’invito
era già pronto, e che non era necessaria nessuna gara.
<< Feste?
>>.
<< Oh, siamo
freddi nell’accoglienza, ma amiamo particolarmente divertirci >> rispose
Nina, sporgendosi verso di lui, e lanciò un’occhiata a Ermil,
rimasto fino a quel momento in silenzio. << E poi, non frequentiamo
gentaglia del genere… >>.
Il russo non diede
nemmeno segno di aver sentito: aveva lo sguardo puntato sullo scollo dell’abito
di Nina, e molto probabilmente non gli interessava nemmeno quello che aveva
detto. Xander rimase interdetto di fronte al
comportamento di quella ragazza, che mutava di secondo in secondo, e che non
sembrava avere problemi a dire tutto quello che pensava.
Nina ammiccò, poi
domandò: << Che auto hai? >>.
<< Una
Volkswagen Scirocco >> rispose Xander. Qualcosa
stridette nella sua testa.
Nina arricciò il
naso, gli occhi azzurri ridotti a due fessure. << Troppo ordinaria
>> commentò, << Ma se non hai di meglio… >>.
Xander fece una smorfia,
infastidito. Nessuno aveva mai giudicato “troppo ordinaria” una delle sue auto,
anche perché era abituato a ben altre macchine; e il commento, anche se veniva
da una bella ragazza, non gli andò giù per niente.
<< E’
importante che auto io abbia? >> chiese, neutro.
Nina sorrise di
fronte alla sua espressione, come se se la fosse
aspettata. << Oh, no, non ha importanza >> rispose, << Non è
l’auto che fa il pilota, ho sentito dire da voi americani… Era solo una mia
curiosità >>.
A Xander tornò in mente Challagher:
aveva detto la stessa identica frase a lui, in uno dei loro incontri. E quella
ragazza per certi versi gli assomigliava: aveva l’aria di essere una importante, a cui era permesso tutto…
<< Sei una
Referente? >> domandò secco, per vedere cosa le avrebbe risposto.
Nina ghignò.
<< Una Referente? Io? >> fece, divertita, << Uhm… Potrei
anche esserlo, ma non mi sembra il caso di dirlo al primo arrivato, no?
>>. Afferrò il suo bicchiere di Martini lasciato a metà e lo vuotò in un
sorso, poi si alzò e raccolse la sua borsetta, lanciandogli un’occhiata
maliziosa.
<< Ci
vediamo, Mark >> lo salutò, dirigendosi verso la porta. Inutile dire che
tutto il locale seguì i suoi movimenti fino all’uscita, e perfino mentre si infilava la pelliccia bianca con impazienza, facendo
ondeggiare i suoi capelli come una cascata di oro liquido.
Xander rimase seduto a fissare
la porta da dove era uscita la ragazza, perplesso e
anche un po’ colpito. Se c’era una cosa che aveva capito in poche occhiate, era
che a Nina piaceva giocare, sotto tutti gli aspetti. Chiunque fosse, aveva una
certa popolarità, e non si faceva nessun problema a usarla. Così come le era
chiaro che le piaceva attirare l’attenzione, visto che
non disprezzava gli sguardi degli uomini, anzi, li incoraggiava anche.
<< Hai visto
che roba? >> chiese Ermil, tutto eccitato,
riprendendosi dallo shock dell’uscita della ragazza, << L’hai mai vista una così, in giro? >>. Ancora un po’, e
avrebbero dovuto asciugargli la bava…
Xander si riscosse e lo
guardò, accorgendosi che Ermil non era l’unico in
quelle condizioni: gli altri non erano da meno.
<< No
>> rispose in tutta sincerità.
Il russo ghignò.
<< E non sai ancora chi è… >> sussurrò. Il quel momento l’attività
al tavolo da biliardo riprese il suo corso.
<< Perché,
chi è? >>.
Ermil gettò un’occhiata
in giro, poi rispose sotto voce: << Bé, è la figlia del Primo Ministro Krarakova >>.
Ore 22.00 –
Mosca
“Non mi frega, non mi frega…”.
Irina scalò di una
marcia così veloce che temette che il pomello del cambio le rimasse in mano, poi
schiacciò l’acceleratore fino a fine corsa, sentendo la Punto schizzare avanti,
il motore che ruggiva. Si affiancò alla Skyline blu e tentò il sorpasso, la
stretta strada sopraelevata che gli dava poco spazio di manovra.
Nikodim aveva chiamato,
alla fine. E l’aveva invitata a quella gara che sapeva molto di una prova di
bravura e fedeltà.
Inchiodò quando si
accorse che stava per passare su una spessa lastra di ghiaccio, la strada che
curvava rapida verso destra, e lasciò che fosse la
Skyline a passare per prima. Aveva imparato la lezione, e non si sarebbe
lasciata prendere alla sprovvista.
Rimase incollata al
paraurti della Nissan, gettando una rapida occhiata allo specchietto: vedeva in
lontananza i fari dei loro avversari, rimasti indietro, che però non
rappresentavano più il suo vero problema. Doveva solo superare quello che aveva
davanti e vincere, per dimostrare a quei russi che non aveva perso lo smalto e
che era meritava tutto il loro rispetto.
Svoltò a sinistra,
sentendo le ruote scivolare appena, e decise di tentare il tutto per tutto.
Affiancò la Skyline, stringendola a sinistra per costringerla a rallentare, e
la superò in un attimo, lasciandosi dietro solo la polvere di ghiaccio della
neve.
Cento metri, e
tagliava il traguardo in testa, sotto lo sguardo di Dimitri, rimasto a bordo
strada ad assistere con l’aria infastidita, Boris e Nikodim,
più un altro gruppo di persone tra cui alcuni dei cugini di
Dimitri. Aspettavano al freddo, avvolti dalla nuvola di fumo che proveniva dai
sigari accesi.
Scese dall’auto
guardandosi attorno, l’espressione tranquilla per dare l’idea che doveva essere
stata tutta una passeggiata. Attese che il tipo della Skyline scendesse dalla
sua macchina e gli rivolse un cenno per fargli capire che aveva apprezzato la
gara, com’era sempre stata abituata a fare: quello si limitò a grugnire e a
rientrare in auto.
<< Bene,
bella gara, Fenice >> disse Nikodim,
avvicinandosi avvolto nella sua pelliccia scura, << Ora, se vuoi
seguirci… >>. Alzò una mano per indicare oltre i capannoni della zona
industriale.
<< Dove
andiamo? >> chiese lei.
<< In un
locale qui vicino >> rispose Boris, che li aveva raggiunti sventolando il
suo sigaro, << Beviamo qualcosa e vediamo cosa possiamo fare per aiutarti
>>.
Con la coda
dell’occhio guardò Dimitri, che però aveva gli occhi rivolti da un’altra parte:
fissava una Subaru Impreza
nera con due strisce gialle sul cofano, ferma non molto lontano da lì, i fari e
il motore accesi. Non aveva preso parte alla gara, perché Irina non l’aveva
vista prima.
La Subaru rimase
ferma ancora qualche momento, mentre lei raggiungeva
la Punto, come se il pilota stesse seguendo i suoi movimenti. Tentò di capire
chi fosse, ma l’auto aveva i vetri completamente oscurati, e non riusciva
nemmeno a intravedere qualche sagoma all’interno. Nel momento esatto in cui lei
aprì la portiera della Punto, l’Impreza si defilò
rapidamente, senza che nessuno se ne accorgesse, sparendo in un vicolo,
silenziosa e solitaria.
Risalì in auto,
chiedendosi chi mai fosse il pilota dell’Impreza, e
notò che Dimitri continuava a guardare prima lei e poi il punto in cui si era
volatilizzata la Subaro nera, rigido
come una statua. Allora non era l’unica che trovava strana e inquietante
quell’apparizione.
Seguì il corteo di
auto fino al bar che le avevano indicato, sperando che
l’incontro con i russi portasse a qualcosa e non risultasse un’altra perdita di
tempo, come invece si prospettava. Guadagnare la loro fiducia era più difficile
del previsto.
Parcheggiò l’auto
vicino a un vicolo, dietro la R8 di Dimitri, e una volta scesa se lo ritrovò di
fianco senza che nemmeno si fosse accorta che era uscito dalla macchina. Era
più inquietante di un fantasma, certe volte.
<< Anche
stasera non caveremo un ragno dal buco >> borbottò, quasi irritato,
<< Vogliono solo dirti cosa hanno deciso >>.
<< Non
possiamo metterci tutto questo tempo >> sussurrò lei, mentre lentamente
si avvicinavano all’entrata del locale, << Non puoi
forzarli un po’? Cavolo, sono tutti amici tuoi… >>.
Dimitri arricciò il
labbro. << No, non posso e non voglio >> rispose, << Sei tu
quella che deve guadagnarsi la loro fiducia. E poi non mi ascolterebbero
>>.
<< Sì, ok, lo
so già… >> borbottò Irina, annoiata, << Piuttosto, hai notato anche tu la Subaru nera? Per caso ha a che fare
con te? >>.
Da quando aveva
capito che Dimitri le nascondeva qualcosa, e da quando aveva origliato la loro
conversazione senza che lui facesse alcun commento, osservava attentamente il
russo e tutte le persone che lo circondavano e che avevano a che fare con lui.
Se non voleva parlare con lei, avrebbe almeno cercato di capire cosa ci fosse
dietro al fatto che Dimitri doveva guardarsi le spalle da qualcuno, e
soprattutto perché.
<< No
>> rispose seccato il russo.
Era chiaro che il
suo “no” era assolutamente una bugia. Non si sarebbe soffermato a guardare
l’auto se non ne avesse avuto alcun motivo, lui che non degnava di attenzione
mai nessuno. Ma siccome ormai iniziava a conoscerlo,
capì che non voleva parlarne.
<< Ah, ok
>> fece lei, fintamente noncurante, << L’ho trovato molto strano,
credevo potessi saperne qualcosa. Sarà stato qualcuno che è rimasto colpito
dalla mia immensa bravura… >>. Sorrise, sperando che Dimitri desse segno
di non essersela presa, ma lui rimase di ghiaccio.
Arrivarono
all’ingresso del locale, che aveva l’aria di essere
piuttosto esclusivo: c’era un tizio vestito di scuro a controllare chi entrava,
dall’espressione minacciosa. Dimitri disse qualcosa senza nemmeno guardarlo, e
l’uomo li lasciò entrare senza aggiungere niente al cenno del capo che aveva
fatto.
Si trattava di un
pub di lusso, ampio e illuminato da luci azzurre e bianche, un lunghissimo
bancone che correva alla loro sinistra, nero, dietro al quale diversi ragazzi
si esibivano in spettacolari acrobazie con le bottiglie di alcolici, al ritmo
della musica non troppo alta da coprire le loro voci.
Irina si guardò
intorno: la gente che frequentava quel posto era molto diversa da quella che aveva
visto negli altri locali. Lì sembravano esserci persone più facoltose e più sofisticate, sedute ai bei divanetti di pelle blu scuro, intente a bere i loro cocktail in bicchieri di cristallo
decorati.
<< Dove sono?
>> chiese Irina, riferendosi a Nikodim e agli
altri. Non li vedeva da nessuna parte.
<< In una
delle salette in fondo >> rispose Dimitri, precedendola, << Laggiù
>>.
Irina lo seguì fino
al fondo del locale, notando che i ragazzi che lavoravano lì sembravano
conoscere tutti Dimitri, perché gli rivolgevano cenni
di saluto appena passava. Arrivarono a una saletta sempre illuminata di blu e
di bianco, con un grande tavolo per giocare a poker e un biliardo nell’angolo. Nikodim li aspettava in piedi, fumando un grosso sigaro che
aveva già saturato l’aria con il suo odore di tabacco.
<< Sedetevi,
che ci facciamo quattro chiacchere >> disse il
russo, accennando al tavolo da poker, già occupato da Boris e Yulian.
Fece per
raggiungerli, quando sentì che Dimitri la afferrava per un braccio facendola
inchiodare sul posto.
A parte la sorpresa
che si fosse abbassato a toccarla, cosa che non aveva
mai fatto fino a quel momento, rimase di sasso nel sentire che la mano di
Dimitri era bollente, e non gelida come aveva sempre pensato, visto il tipo che
era…
<< Non dire
niente di avventato, chiaro? >> sussurrò lui, minaccioso come al solito.
<< Ok…
Tranquillo >>.
Dimitri la lasciò
di colpo, e in quello stesso istante verso di loro arrivarono
Gavriil, il cugino che era facile riconoscere per via
dell’acne, e un altro ragazzo che sembrava avere sui trent’anni, piuttosto
robusto, dai cortissimi capelli neri e la carnagione scura.
<< Ehi, sei
tu quella della Grande Punto?! >> gridò il
ragazzo, fissandola incomprensibilmente sbalordito. Venne verso di lei seguito da Gavriil,
eccitato quanto lui.
<< Ehm… Sì
>> rispose Irina, senza capire quell’interesse nei suoi confronti: non
l’aveva visto alla gara, come faceva a sapere chi era?
Il ragazzo le porse
la mano con aria felice, presentandosi.
<< Sono
Daniele, è un piacere conoscerti >> disse, con uno stranissimo accento
che non aveva sentito da nessuna parte, << Ma chiamami Dan, come fanno
qui… Odiano il mio nome italiano >>. Lanciò un’occhiata a Gavriil, alla sua sinistra. Poi sorrise a quarantaquattro
denti, lasciando Irina spiazzata: a giudicare dall’accoglienza festosa, non era
un russo.
<< Piacere,
io sono Irina >> disse, << Ma dovresti conoscermi già, visto che sai che auto ho… >>. Sorrise. Dimitri di fianco
a lei fece una smorfia, e si defilò verso il biliardo, raggiungendo Emilian, il cugino dal volto sfregiato, che era appena
arrivato.
<< Certo che
so che auto hai! >> esclamò Dan, estasiato, << Da queste parti non
si vedono auto italiane neanche a pagarle oro… Una Fiat Grande Punto… Roba da
pazzi, come hai fatto a modificarla così? >>.
A Irina venne da
ridere: quel ragazzo sembrava apprezzare più la sua auto che lei, e la cosa la
incuriosì molto. Si chiese chi mai fosse, e soprattutto cosa ci facesse lì, in
mezzo a quel gruppo di ghiaccioli impellicciati.
<< Opera del
mio meccanico >> rispose, pensando un momento a Max, a Los Angeles,
<< Scusa se te lo chiedo, ma sei italiano? >>.
Dan gonfiò il petto
inorgoglito, e annuì. << Certo >> rispose, poi si avvicinò e
aggiunse sussurrando: << E continuo a preferire l’Italia… Qui si muore di
freddo e basta >>.
Irina sorrise.
<< In effetti, pensavo la stessa cosa… >>. La sua attenzione però venne attirata da Dimitri, che parlava fitto fitto con Emilian, e l’argomento
sembrava essere la Subaru di poco prima.
<< Poteva
anche non essere lui >> stava dicendo Emilian,
il volto sfregiato imperscrutabile, << Avrà mandato qualcuno dei suoi a
controllare che fossi veramente tornato… >>.
<< Non è
questo il problema… >> ringhiò Dimitri, afferrando la stecca da biliardo,
<< Non mi interessa se sa o non sa che sono qui,
o che vuole uccidermi o meno. Quello che non voglio è che ci finisca in mezzo
qualcun altro, chiaro? >>.
Emilian alzò lo sguardo
dal tavolo da biliardo, beccandola mentre origliava. Lei si riscosse, distolse
lo sguardo e fissò Dan.
<< Ehm… Ci
sediamo? >> disse, cercando di mascherare l’imbarazzo.
<< Ok
>>.
Lei e Dan
raggiunsero il tavolo, lo sguardo di Emilian che la
trapassava da parte a parte anche se lei era di
spalle; aveva la sensazione di essersi appena fatta un altro nemico.
<< L’avrai
fatta importare, la Punto >> disse Dan, mentre prendevano
posto uno di fianco all’altro, << Mi piacerebbe sapere che modifiche sono
state fatte al motore, perché quando vi ho visti passare credevo fosse tutto
tranne che una Fiat… >>.
Irina gli lanciò
un’occhiata perplessa, senza capire, anche se era più interessata a quello che
stavano dicendo Dimitri ed Emilian. Solo che ora
erano troppo lontani per riuscire a cogliere qualcosa
della loro conversazione.
<< Non ero
alla gara, ma vi ho visti passare lungo il ponte
>> spiegò Dan, incuriosito dal fatto che sembrava un po’ confusa,
<< Stavo venendo qui, perché avevo un appuntamento e mi è saltata all’occhio
la tua auto. Non sapevo che Fenice avesse un’auto italiana >>.
<< Sembri
esperto… >> disse Irina, sbirciando verso Dimitri: le aveva appena
lanciato un’occhiata, << Sei il primo che mi fa un complimento per
l’auto… >>.
Dan sorrise.
<< Sono appassionato di auto italiane, quindi le conosco tutte >>
rispose, << Ho una Grande Punto anche io, sai?
>>.
<< Ah sì?
>> fece Irina, stupita, tornando a interessarsi a quello che diceva.
<< Sì
>> annuì Dan, << Ho solo auto italiane nel
mio garage, quindi anche una Punto… Però è ancora in fase di modifica, la sto
preparando >>.
Strano personaggio,
quel Dan, però molto simpatico. Nikodim si schiarì la
voce per interrompere la loro conversazione e lui fece una smorfia infastidita,
come a dire: “I soliti russi…”.
<< Dopo le
farai tutte le domande che vuoi, sulla sua auto >> disse Nikodim, << Siamo venuti per dirle
quello che deve fare, quindi facciamo in fretta… >>.
Irina rivolse
l’attenzione ai russi seduti a guardarla in cagnesco, mentre uno dei camerieri
che aveva salutato Dimitri gli serviva da bere: vodka con ghiaccio, come
sempre. Il Mastino però era rimasto in piedi al biliardo, a parlare ancora con Emilian. La questione doveva essere molto importante,
perché continuavano a discutere anche mentre colpivano le palline con le
stecche.
Boris riportò la
sua attenzione al tavolo, alzando il bicchiere di vodka mentre iniziava a
parlare.
<< Abbiamo
parlato con gli altri Referenti >> disse, << E gli abbiamo detto che vuoi incontrare la Lince. Non si fidano di te, non
ti conoscono, a parte le voci che sono giunte fino a qui quando Challagher era ancora libero… E non gli basta nemmeno il
fatto che io possa garantire sul tuo passato da pilota clandestina. Abbiamo
messo la cosa hai voti, ed è stato deciso chel’unico
modo che hai per poter sperare di incontrare la Lince
è guadagnarti la nostra fiducia come fanno tutti: ti affideremo dei compiti che
dovrai portare a termine seguendo le nostre precise istruzioni. Dopodiché,
quando lo riterremo opportuno, ti porteremo dalle Sentinelle, le uniche che
possono entrare direttamente in contatto con la Lince >>.
Era chiaro che
fingersi la donna di Challagher non le era servito a
molto; anzi, forse li aveva resi ancora più diffidenti. Molto probabilmente si
chiedevano come mai lei fosse riuscita a rimanere fuori di prigione tutto quel
tempo e invece lo Scorpione era finito in carcere… Forse avevano già mangiato
la foglia.
<< Ok
>> disse Irina, << D’accordo, se vogliono così, non posso che
accettare le loro condizioni… Cosa devo fare?
>>.
Vide Dimitri
rivolgerle un’occhiata, mentre con un colpo solo faceva cadere tutte le palline
del biliardo nei buchi del tavolo; forse ora era lui a origliare, nonostante
volesse mostrarsi disinteressato.
<< Dan
>> chiamò Nikodim, agitando la mano per
attirare l’attenzione dell’italiano, che stava guardando fuori dalla finestra,
forse nella speranza di riuscire a vedere la Punto di Irina.
Si riscosse e
spiegò, il tono serio e professionale: << Per cominciare, devi consegnare un pacco al Ministro Buraschenko
>>. Quando vide l’espressione stupita di Irina nello scoprire che anche
il governo russo era invischiato nei loro traffici, continuò: << Ci sono
molte persone insospettabili che fanno parte del nostro giro; lui è uno di
quelli. Buraschenko e alcuni dei suoi parenti sono
nostri assidui clienti, per quanto riguarda droga e compagnie femminili. A
parte questo, il tuo compito sarà recapitargli la sua partita settimanale di
coca, senza che nessuno si accorga di niente, soprattutto la polizia.
Purtroppo, per questioni di sicurezza, è molto controllato, quindi c’è una
precisa procedura da seguire per fargli le consegne senza che gli sbirri si
accorgano di qualcosa >>.
<< Ho capito
>> disse Irina, << Quando? >>. Notò che Dimitri continuava a
guardare dalla loro parte, ignorando il cameriere che gli stava porgendo un
bicchiere di vodka.
<< Domani
>> rispose Nikodim, << Andrai da Dan, che
ti consegnerà il pacco, e seguirai le istruzioni che ti verranno
date. Niente che tu non riesca a fare >>. Ghignò, come se pensasse tutto
il contrario.
Irina rimase in
silenzio, aspettando che dicesse altro. Le sembrava stranamente facile, come
cosa: anche William le dava compiti del genere, quando faceva parte della Black List. Però
il ghigno del russo non le piacque per niente: doveva esserci qualcosa, sotto.
<< Tutto
chiaro? >> fu la sola domanda di Nikodim.
<< Sì
>> rispose Irina, << Mi sono già occupata
di cose del genere, quando William era libero >>.
<< Non potrai
avere l’aiuto di nessuno, questo è ovvio >> aggiunse Boris, gettandole
un’occhiata. Almeno lui non ghignava.
<< Lo so
>>. Irina afferrò il suo bicchiere di vodka, assumendo un’espressione
distaccata. << Mi chiedo solo perché siano tanto diffidenti nei miei
confronti… William conosceva la Lince, no? Voglio liberarlo, non voglio fare altro di pericoloso >>.
Nikodim gettò un’occhiata
a Boris, e tutta l’attenzione del tavolo venne rivolta
su di lei, come se avesse detto qualcosa di enormemente sbagliato.
<< Non
sappiamo davvero se sei ancora la donna di Challagher
>> fu la risposta di Nikodim, il tono
sprezzante, << E nessuna donna si azzarderebbe mai a mettersi in testa un
piano come il tuo, da queste parti. Oltretutto, il fatto che tu sia libera e
che Challagher sia dietro le sbarre è già sospetto,
non credi? >>.
Irina sostenne il
suo sguardo, ma dentro di lei sentì montare l’ansia. Non poteva essere più
chiaro di così: sicuramente sospettavano qualcosa. Era del tutto plausibile che
la scusa delle prove e della fiducia gli servisse solo per coglierla in fallo,
per smascherarla: volevano farle commettere un errore e poi magari ucciderla
come avevano fatto con tutti gli altri agenti dell’F.B.I.
russa.
<< Quello che
stai dicendo sono tutte stronzate >> intervenne Dimitri all’improvviso,
pulendo la punta dell’asta da biliardo, senza degnare di uno sguardo Nikodim, << E se credi veramente in ciò che dici,
significa che stai dicendo che vi sto tradendo anche io…
Ti da solo fastidio che Challagher torni libero,
perché hai un debito con lui. Quindi, smettila di
comportarti come se fossi qualcuno, perché in realtà lo sai meglio di me che
non sei nessuno >>.
Irina rimase di
sasso di fronte al tono imperioso di Dimitri, e
all’occhiata di puro disprezzo che aveva rivolto a Nikodim.
Non pensava osasse rivolgersi così al russo, che sembrava avere una certa
influenza, da quelle parti. E questa volta tutto il tavolo fissò Dimitri.
<< Non sto
dicendo questo >> ribatté Nikodim, voltandosi
verso di lui, << Mi ha chiesto perché non ci fidiamo di lei, e le ho
risposto. Se Challagher è libero o no, non mi interessa >>.
Dimitri passò
l’asta a Emilian, e guardò Nikodim
dritto in faccia.
<< Allora
‘sta zitto >> disse, secco, << ‘Sta zitto
e non mettere più in dubbio la mia lealtà. Le hai spiegato cosa deve fare, ora
puoi anche andartene >>.
L’espressione di Nikodim non cambiò, ma non osò nemmeno aggiungere qualcosa.
Il tono di Dimitri era stato talmente freddo e minaccioso, che Irina si
spaventò per lui. Non lo aveva mai visto così arrabbiato, per di più per
qualche semplice parola.
<<
Andiamocene >> disse Nikodim, rivolto a Boris.
I due russi
ripresero le loro pellicce e lasciarono il locale, sotto lo sguardo dei cugini
di Dimitri, di Irina e di Dan, rimasti in silenzio senza sapere cosa dire.
Dimitri riprese a
giocare a biliardo insieme a Emilian, come se non
fosse mai successo niente; Irina non riuscì a staccargli gli occhi di dosso,
però: la sua reazione l’aveva davvero lasciata senza parole, ma l’aveva stupita
ancora di più la completa remissività di Nikodim, che
non aveva fiatato quando lui gli aveva detto di stare zitto e di andarsene.
<< Dove
eravamo rimasti? >> fece Dan, alzandosi dal tavolo, forse per sciogliere
un po’ la tensione, << Devi passare da casa mia domani, Irina. Ti
spiegherò con calma ciò che devi fare, e ne approfitterò per dare un’occhiata
da vicino alla tua Punto. Non ti dispiace, vero? >>.
<< Ehm… No,
no >> rispose Irina, tornando a guardarlo, << Va bene… Verso che ora?
>>.
<< Dopo
pranzo >> rispose Dan, << E non ti spaventare per quello che ha
detto Nikodim, non è così difficile come sembra
>>.
<< E’ solo
un’idiota… >> borbottò Dimitri, allungandosi sul tavolo da biliardo per
prendere la mira, << Non c’era bisogno di fare tutto questo casino per
incontrare la Lince… Sta solo cercando di ostacolarci >>.
<< Perché
dovrebbe farlo? >> chiese Irina.
<< Deve dei
soldi a Challagher >> rispose Yulian, noncurante, << Niente di troppo grosso, ma ha
paura che lo Scorpione si vendichi per avergli soffiato un paio di auto…
>>.
Irina lo guardò
senza capire.
<< Ha fatto
rubare due auto a Challagher, l’ultima volta che è
venuto qui >> spiegò Dan, << E lui se n’è
accorto quando ormai era a Los Angeles, ma immagino voglia vendicarsi >>.
<< Perché gli
ha rubato due auto? Non poteva comprarsele? >> domandò Irina. Nikodim andava in giro con una Bentley, sicuramente aveva
abbastanza soldi per comprarsi tutte le macchine che
voleva.
<< Lo fa
perché è un’idiota… >> borbottò Dimitri.
<< E’ una
fissa, la sua >> rispose Yulian, << Lo fa
per senso di sfida, credo. Non gli servono assolutamente a nulla, ma adora
collezionare le auto degli altri… >>.
Irina non seppe che
dire, ma comprese almeno il disprezzo di Nikodim dei
suoi confronti: magari alla fine nessuno sospettava davvero nulla.
Fu costretta a
parlare con Dan per la mezz’ora successiva della sua Punto, finché l’italiano
non lasciò il locale per andare a un altro appuntamento dall’altra parte della
città. Rimase da sola, appoggiata alla parete, aspettando che Dimitri le
rivolgesse lo sguardo. Voleva sapere come mai aveva avuto una reazione del
genere.
Il russo sembrò
accorgersi che lo stava aspettando, e per un bel po’ fece finta di non averla
notata. Solo quando decise di bersi un drink, si decise
ad avvicinarsi.
<<
Soddisfatta? >> domandò, senza nemmeno guardarla. Il suo tono era a metà
tra il serio e lo scocciato.
<< Sì…
>> rispose Irina, poi aggiunse a bassa voce: << Perché hai reagito
così, con Nikodim, se posso chiedertelo? >>.
Si aspettava che
Dimitri sviasse la domanda o che semplicemente le dicesse che non erano fatti
suoi. Invece, finì il suo drink e disse, quasi sussurrando: << Perché ti
stupisci? Non mi conosci ancora? >>.
Irina rimase
interdetta, e gli rivolse un’occhiata di sottecchi.
<< No, però
non pensavo che potessi rivolgerti così a lui e passarla liscia… >>
mormorò lentamente, sperando di non innervosirlo, visto che quella sera
sembrava avere i nervi a fior di pelle. Più del solito.
Dimitri non sembrò
prendersela, stranamente. Anzi, per un attimo a Irina parve di veder affiorare
una smorfia divertita, sul suo volto.
<< Sono
libero di fare quello che voglio, da queste parti >> rispose, << E
odio chi approfitta della propria autorità. Nikodim
non è un Referente, sta qui in mezzo a noi solo perché è amico di mio zio, e
non può permettersi di spaventare nessuno, soprattutto chi considera inferiore
>>.
Le lanciò un’occhiata
talmente intensa che Irina rimase paralizzata, cercando di capire cosa avesse
detto. O meglio, quale fosse il significato nascosto in quelle parole.
<< Quando
vuoi andare a casa, dimmelo >> aggiunse Dimitri, tornando alla sua
maschera di ghiaccio e dandole le spalle. Raggiunse il tavolo da biliardo e
riprese la sua partita, sotto lo sguardo di Irina, incollata alla parete e il
con il cervello in panne.
Se c’era una cosa
che non aveva ancora capito, era chi era veramente Dimitri. Prima era stato il
braccio destro di Challagher, a detta di tutti
spietato e dal cuore di ghiaccio, pronto a eseguire qualsiasi ordine dello
Scorpione; poi, si era rivelato come l’insospettabile traditore di Challagher, contribuendo ad arrestarlo e a salvare lei;
ora, diventava una sorta di “intoccabile” tra i suoi stessi connazionali,
libero di fare e dire quello che voleva, ma perseguitato da qualcuno con cui
aveva qualche conto in sospeso…
Troppe erano le
cose che non sapeva di lui, troppi i dubbi che aveva
sul suo passato… Poteva veramente fidarsi, oppure quella missione si trattava
di un vero e proprio suicidio?
“…E non può
permettersi di spaventare nessuno, soprattutto chi considera inferiore”.
Spazio Autrice
Allora, come vedete sono riuscita a postare un altro capitolo prima di
partire. E guarda caso, si tratta di un capitolo molto particolare.
Prima di tutto, due
nuovi personaggi, che credo non vi abbiano lasciato
indifferenti… Soprattutto Nina, vero? Chissà cosa state pensando di lei, ora…
Ma soprattutto se avete capito il genere di ragazza che è.
Bè, inutile dire che dovete tenerla d’occhio, perché comparirà
abbastanza spesso…
Secondo, le frasi
enigmatiche di Dimitri… Secondo voi cosa voleva dire, con quelle parole?
Qualcuno di voi mi
ha esposto una sorta di “teoria” sul suo passato: donna amata uccisa da qualche
russo, fedeltà che dura fino ad ora e conseguente voglia di vendetta. Uhm,
forse sarebbe bello, ma non sono così scontata, mi conoscete… Niente a che
vedere con la fedeltà, comunque. Anche se una donna centra in ogni caso.
Terzo, bè, avete ben due settimane per lambiccarvi il cervello su
cosa potrebbe succedere: e mi sa che non sarà tutto piacevole. Magari
esponetemi le vostre teorie, sono curiosa dei vostri pareri.
Mi perdonerete se
non rispondo alle vostre recensioni, ma devo terminare le valigie, e intanto
con la testa sono già al prossimo capitolo. Al mio ritorno cercherò di
scriverlo e postarlo il prima possibile. Però aspetto comunque le vostre recensioni.
Un bacio a tutti e
voi e un ringraziamento grande per il fatto che
continuate a seguirmi!
Lhea