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Autore: pizia    17/06/2010    2 recensioni
La donna che mi ha allevato diceva che io appartengo al Piccolo Popolo e che quindi non posso fare altro che avvertire il richiamo della Madre, e assecondarlo. Io non sono sicura di cosa questo significhi, ma qualcosa di vero ci deve essere per spiegare quello che sento
Prendete Merlin, prendete Le Nebbie di Avalon, mescolateli e stravolgeteli un po' entrambi, ed avrete l'ambientazione della mia storia.
Non ho idea se questa storia sarà lunga o breve, se sarà una commedia drammatica o una tragedia, se sarà bella oppure brutta, per cui non prendete per oro colato i generi o i rating che ora scrivo: potrei cambiarli in corso d'opera.
Per il momento ho iniziato a scriverla per il puro e semplice amore che nutro verso questi personaggi, Artù in primis.
Buona lettura... spero...
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Morgana, Principe Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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PARTE SESTA

 Il torneo si svolse nel primo pomeriggio, e se Morgana si sentiva agitata non c’era modo di definire lo stato d’animo di Ginevra: seduta in mezzo a suo padre e Uther, sembrava un animale in gabbia. Leodegranz e il re di erano sorpresi non poco a vedere Lancillotto, e non Artù, con il bianco nastro della futura regina stretto attorno al braccio. Nessuno dei due aveva particolarmente gradito, ma per non aggravare l’incidente avevano deciso di bollarlo come uno scherzo, non particolarmente divertente, dei tre giovani. Uther non poté tuttavia fare a meno di chiedersi a chi appartenesse il nastro lilla indossato da Artù, ma quando chiese a Merlino se ne sapesse qualcosa, il ragazzo negò candidamente, salvo poi rivolgere uno sguardo complice e divertito a Morgana quando tutti erano troppo concentrati sul duello per prestar loro attenzione: Merlino aveva riconosciuto il suo nastro, e probabilmente lo aveva fatto anche Gaius che sedeva silenzioso accanto al re guardandola, di tanto in tanto, con un’espressione indecifrabile sul volto.

Se davvero nel regno qualcuno aveva scommesso dei soldi sul fatto che Lancillotto avrebbe lasciato vincere Artù, li avrebbe miseramente persi. Morgana non era certo un’esperta di battaglie e combattimenti, ma poteva sentire il respiro affannato dei due ragazzi e aveva potuto vedere i rivoli di sudore che colavano dalle loro tempie appiccicando i capelli ai visi dopo che, entrambi, avevano rinunciato all’elmo per poter respirare meglio.

In teoria non era previsto che i due si affrontassero in un duello con la spada, ma dopo che ripetuti assalti di giostra non erano stati sufficienti a decretare il vincitore, e visto che presto Lancillotto non avrebbe avuto più lance con cui gareggiare, Artù aveva proposto quella soluzione. Qualcuno aveva protestato, persino Ginevra, ma alla fine erano state estratte le spade da addestramento e il duello era ricominciato: sarebbe stato interrotto al primo sangue, e questo poteva significare che i due avrebbero combattuto in eterno dato che le armi avevano lame smussate che procuravano dei grandi lividi ma difficilmente più danni.

Morgana vedeva la fatica sui volti dei due ragazzi, ma vedeva anche i loro sorrisi: lei trovava assurdo che quei due si stessero divertendo a sfiancarsi come muli  e a darsele di santa ragione, e, da alcuni suoi commenti, sapeva che anche Ginevra la pensava grosso modo alla stessa maniera. Ma quello che era ancora più ridicolo era vedere l’esaltazione e il divertimento degli spettatori, a partire proprio da Uther che, dimenticata l’etichetta di corte, incitava il figlio a gran voce. Morgana non poté fare a meno di ridere tra sé per la stupidità degli uomini.

Lancillotto ed Artù stavano ora girando in tondo, fissandosi attentamente e cercando si cogliere il momento più adatto per sferrare il prossimo attacco. Oppure, pensò Morgana, stavano solo tirando il fiato prima di ricominciare.

“Sei un osso duro, vero…?” disse Artù.

“Ho fatto una promessa e sono ben motivato” gli rispose Lancillotto tra un profondo respiro e l’altro. “Dovrai riuscire a ferirmi per battermi perché io, dovessi anche morire sfinito in questa arena, non mi arrenderò mai!”

“Ottimo!” sghignazzò Artù, decidendo che il tempo del girotondo era finito e ricominciando a menar fendenti in un nuovo assalto. Lancillotto non si fece certo pregare e, dopo una miracolosa parata che fece sussultare il pubblico, passò al contrattacco.

“La fine del duello non può essere lontana” commentò Merlino accanto a Morgana. “Entrambi cominciano ad essere stanchi e prima o poi uno dei due commetterà un piccolo errore: nulla di serio, ma che gli procurerà quel graffio sanguinante che decreterà la sua sconfitta. Tu per chi fai il tifo, Morgana?” chiese maliziosamente.

La ragazza sopportò con buona grazia le altre allusioni del giovane mago, ma alla fine sbottò: “Oh insomma Merlino, gli ho solo dato un nastro dato che Ginevra aveva dato il suo a Lancillotto! Smettila di immaginare altre cose che non esistono!”

Non lo aveva convinto, e lo sapeva bene: non tanto perché Merlino avesse motivo di sospettare che ci fosse dell’altro, ma semplicemente perché era Merlino che se intravedeva una possibilità di prendere in giro Artù, non se la lasciava scappare per nulla al mondo.

E comunque aveva ragione: entrambi i duellanti si erano fatti meno cauti. Restava solo da vedere chi dei due avrebbe commesso il primo errore.

Fu Artù ad abbassare la guardia per un istante e, quasi più per caso che per precisa intenzione, l’elsa della spada di Lancillotto colpì a volto l’avversario durante un imprevisto corpo a corpo. Fu solo un graffio, ma sanguinò.

I due ragazzi si guardarono stupiti e Lancillotto provò a continuare il duello, come se nulla fosse accaduto, ma Artù gettò a terra la sua spada dichiarandosi sconfitto.

Un grande boato si levò dal pubblico mentre il principe rendeva onore al vincitore: l’applauso era per entrambi, vincitore e vinto, che avevano dato vita ad un duello memorabile che sarebbe entrato nelle leggende di Camelot. Ginevra era in lacrime, mentre Artù e Lancillotto, sfiniti, sorridevano felici sostenendosi l’un l’altro al centro del campo di battaglia. Uther sembrava un po’ meno entusiasta, ma riconosceva il valore del duello e della vittoria di Lancillotto.

“C’è qualcuno che deve ritirare un premio ora…” disse Artù, strizzando l’occhio all’amico.

“hai ottenuto quello che volevi Artù, ora basta con questa storia: né Leodegranz né tuo padre gradirebbero”.

“Gradirebbero ancor meno se ti rifiutassi pubblicamente: sarebbe una grave offesa per Ginevra. Senza contare quanto male ci rimarrebbe lei…” lo ammonì seriamente Artù.

“Ma oggi stesso annunceranno il vostro fidanzamento ufficiale a quanto dicono!”

“Appunto per questo: baciala finché è ancora libera: dopo non potrò fare più nulla che non sia completamente disonorevole per aiutarvi” rispose il principe.

Lancillotto lo fissò con aria sospetta e Artù comprese a cosa stesse pensando: “Non essere idiota Lancillotto! Non mi sono certo lasciato battere per permetterti di baciarla, ma dato che è successo, non vedo nemmeno un solo valido motivo per cui tu ora non debba goderti il tuo premio. Non sono un uomo geloso io!” concluse ridendo. Tuttavia, nel momento stesso in cui pronunciava quelle ultime parole, seppe che non erano vere: solo l’idea che qualcun altro potesse baciare Morgana gli mandava il sangue alla testa, ma dato che non era un bacio della giovane serva ad essere in gioco, era inutile pensarci in quel momento.

Sul palco d’onore tutto era stato preparato per la premiazione del vincitore: uno splendido stallone che Artù stesso aveva parzialmente addestrato era il premio ufficiale previsto sin dal momento in cui il torneo era stato indetto, e poi c’era il premio di Ginevra. Mentre lo splendido animale veniva condotto all’interno dell’arena, Artù si maledisse per la distrazione che gli era costata la vittoria. Lancillotto montò subito in sella: il cavallo, non del tutto domato, scartò vigorosamente un paio di volte, ma il cavaliere non si lasciò disarcionare e usando le redini e le gambe fece ben presto capire all’animale chi dei due comandasse. Quindi lasciò che la bestia si sfogasse in diversi, forsennati, giri dell’arena  e infine lo condusse di fronte al palco dove Ginevra attendeva con impazienza.

L’etichetta avrebbe previsto un casto bacio a fior di labbra e, ad onor del vero, quello fu il tipo di bacio che inizialmente Ginevra e Lancillotto si scambiarono. Ma non bastò loro: quello era il primo e presumibilmente anche l’ultimo bacio che si sarebbero mai scambiati e i due ragazzi non riuscirono a trattenersi dall’approfondirlo per godersi appieno quel loro unico momento. Un silenzio prima riverente e poi via via sempre più imbarazzato scese sull’arena e Morgana poté notare Uther che fissava alternativamente i due giovani e suo figlio, mentre il dubbio si faceva strada nella sua mente e nel suo sguardo. Probabilmente incominciava a comprendere che il matrimonio che stava organizzando da mesi non avrebbe mai funzionato: aveva sempre ritenuto che Artù e Ginevra avrebbero imparato a vivere insieme se non proprio ad amarsi , ma non aveva mai preso in considerazione che un terzo elemento potesse inserirsi nei suoi progetti per mandarli rovinosamente all’aria. E Artù non sembrava nemmeno minimamente seccato! Ormai era troppo tardi per mandare all’aria gli accordi presi con Leodegranz, ma non lo era per allontanare Lancillotto da corte: si sarebbe dovuto inventare qualcosa , ma non avrebbe mandato all’aria il futuro di Camelot per i capricci amorosi di tre ragazzi.

Fu Artù ad intervenire prima che l’imbarazzo generale prendesse il sopravvento su qualsiasi altro sentimento: “Guardate che così divento geloso!” esclamò quando fu chiaro che, di loro iniziativa, Ginevra e Lancillotto non avrebbero mai smesso di baciarsi.

L’affermazione del principe suscitò una gran risata da parte del pubblico e fece tornare alla realtà i due giovani, facendo comprendere loro che avevano esagerato. Ginevra arrossì più di quanto già non lo fosse e Lancillotto, pur senza smettere di sorridere, abbassò lo sguardo colpevolmente: anche le sue guance erano leggermente arrossate.

“Onore a Sir Lancillotto del Lago, vincitore del primo Torneo di Pentecoste” esclamò Artù a gran voce e l’acclamazione che si levò dal pubblico fu fragorosa, ogni imbarazzo di poco prima già dimenticato.

Morgana si fece vicina a Ginevra che non sembrava del tutto salda sulle sue gambe: ripensando ai baci di Artù, poteva capire fin troppo bene il suo stato d’animo, e la ragazza bionda sembrò apprezzare la sua silenziosa presenza.

“Andiamo a controllare che tutto sia pronto sia per il banchetto a palazzo che per quello in piazza” disse dopo qualche minuto, quando si fu ripresa, mentre tutti i partecipanti al torneo che ancora non avevano lasciato Camelot si congratulavano sia con Lancillotto che con Artù per lo splendido duello cui avevano dato vita.

Si allontanò così prima di dar tempo a suo padre di esprimere il proprio giudizio su quanto era accaduto: non avrebbe potuto evitarlo in eterno, ma quello era stato un momento troppo magico per lasciarselo rovinare.

***

Il banchetto a corte sembrava non dovesse terminare mai; le portate arrivavano a getto continuo da almeno due ore ormai e Artù non ricordava un solo istante in cui il suo calice fosse stato vuoto. Si trattava di vino annacquato ovviamente, ma gli effetti cominciavano ad essere comunque evidenti su più di un ospite. Anche lui non si sentiva completamente lucido, ma lo era ancora fin troppo per i suoi gusti visto quello che lo attendeva: suo padre gli aveva infatti confermato che durante il banchetto sarebbe stato ufficializzato il suo fidanzamento con Ginevra. Inoltre né Merlino né Morgana erano stati invitati alla festa a palazzo, nonostante le proteste della sua futura moglie, dato che suo padre aveva ritenuto che la loro presenza non sarebbe stata conveniente quando comunque nelle piazze di Camelot avrebbero potuto festeggiare alla stessa maniera. Così Artù si sentiva insopportabilmente solo: avrebbe forse potuto trovare compagnia in Lancillotto, ma quella sera l’amico era probabilmente l’unica persona che desiderava ubriacarsi sino a perdere i sensi più di quanto non desiderasse farlo lui stesso. Gli era stato riservato un posto al tavolo d’onore in quanto vincitore del torneo, ma sia Leodegranz che suo padre avevano fatto ben attenzione a tenerlo il più lontano possibile da Ginevra.

In realtà non ancora tutti i dettagli del fidanzamento erano stati chiariti e, contrariamente a quanto si fosse vociferato a corte in quei giorni, nessun annuncio era stato inizialmente previsto per quella sera; tuttavia la scena verificatasi durante la premiazione del pomeriggio aveva allarmato non poco i genitori dei futuri sposi che avevano così deciso di affrettare i tempi nonostante mancassero ancora alcuni dettagli.

Artù avrebbe voluto urlare: Ginevra certo era molto bella e, quando non esagerava con le sue fissazioni religiose, era anche una compagnia abbastanza gradevole. Ma lei non amava lui e lui non amava lei: avevano entrambi donato il cuore a qualcun altro. Era semplice da capire, ed era certo che anche suo padre lo avesse compreso, ma semplicemente non gli importava. Ginevra avrebbe portato in dote un buon numero di ottimi cavalli, qualche decina di cavalieri ben addestrati e una cospicua somma di monete d’oro, e questo a suo padre bastava, il resto erano solo dettagli irrilevanti.

Gli capitava di rado, ma Artù si chiese cosa avrebbe detto o fatto sua madre in quella situazione se fosse stata ancora viva: avrebbe appoggiato le scelte del marito come moglie devota o avrebbe tentato di aiutare il figlio come donna e madre? Non aveva mai conosciuto Igraine, né suo padre, o chiunque altro a palazzo, aveva mai risposto alle sue domande su di lei se non in maniera frettolosa ed evasiva, tanto che alla fine lui aveva smesso di porle. Non aveva idea di come sua madre si sarebbe comportata, ma gli piaceva credere che si sarebbe opposta a quel matrimonio.

“Amici miei, miei leali sudditi e miei onorati ospiti…” prese a dire suo padre alzandosi in piedi e attirando su di sé l’attenzione di tutti i commensali.

Era giunto il momento: Artù cerco con lo sguardo Ginevra e cercò di farle comprendere che capiva quello che provava. La ragazza gli sorrise dolcemente, senza riuscire a nascondere un velo di tristezza. Artù si rese conto che lei stava facendo di tutto per non incontrare lo sguardo di Lancillotto.

“Perdonatemi se interrompo per qualche istante lo splendido banchetto che la nostra Ginevra ha organizzato con tanto impegno. Lo faccio solo per annunciarvi che in questo giorno di per sé già tanto festoso, il mio cuore ha un ulteriore motivo per gioire. E’ con immenso piacere che vi informo che il mio fidato alleato Leodegranz ed io”, il padre di Ginevra si alzò a sua volta, “abbiamo raggiunto l’accordo che mi permette ora di annunciarvi ufficialmente il fidanzamento fra mio figlio Artù Pendragon, erede del trono di Camelot, e la dolce Ginevra: tra un anno a partire da oggi verrà celebrato il loro matrimonio, che riempirà di gioia tutto il regno!”

Mentre Uther parlava, Leodegranz aveva preso con sé Artù e sua figlia e, nel momento esatto in cui il re aveva annunciato il fidanzamento, aveva preso la mano Ginevra e l’aveva messa in quella del principe. Le acclamazioni avevano immediatamente riempito la sala e non si fece certo economia di brindisi in onore della nuova coppia reale. In realtà un tempo tanto lungo tra l’ufficializzazione del fidanzamento e la celebrazione del matrimonio era inusuale, ma, forse complice il vino, nessuno quella sera sembrò farci troppo caso. La musica, i balli, le portate e gli spettacoli di acrobati, giocolieri e cantastorie ripresero da dove si erano interrotti, con rinnovato vigore.

“Mio padre aveva ragione: hai organizzato davvero uno splendido banchetto” si complimentò Artù, più per cercare qualcosa di cui parlare che per testimoniare un effettivo gradimento.

“Grazie” rispose Ginevra. “Sono abbastanza soddisfatta di tutti questi giorni di festa: le mie dame e i cuochi hanno fatto un ottimo lavoro. Spero che in città stia andando tutto bene come qui a palazzo”.

Era chiaro che la ragazza stava cercando di essere il più naturale e spontanea possibile, ma il suo disagio era evidente e Artù provò quasi pena per lei, sentendosi in colpa al tempo stesso. Senza pensarci le diede un delicato bacio su una tempia, giusto per farle capire che non era da sola. Lei lo guardò stupita, e quando lesse negli occhi di Artù lo stesso stupore per quel gesto spontaneo ed istintivo scoppiarono a ridere insieme.

Il clima disteso e festoso della serata mutò però radicalmente circa una mezz’ora dopo, quando un nervoso araldo di corte si presentò alla porta della sala del banchetto annunciando con voce stentorea che Lady Viviana del lago, Signora dell’isola Sacra di Avalon, era giunta a Camelot e desiderava parlare con re Uther.

I flauti e le cetre smisero di suonare e le grida e le risate sguaiate che riempivano la sala si trasformarono prima in sommessi mormorii e poi cessarono del tutto.

La madre di Lancillotto avanzò lentamente nella sala, senza attendere che il re concedesse di darle udienza, seguita da tre sacerdotesse. Il vescovo che aveva celebrato la Messa di quella mattina cominciò a recitare frenetiche preghiere, come se volesse tenere degli spiriti maligni lontani da sé, mentre anche Ginevra si faceva il segno della croce. La Dama del Lago, come la chiamavano tutti coloro che la chiamavano Strega, non badò loro.

“Mi hanno detto che mio figlio oggi si è guadagnato un grande onore vincendo il torneo” disse non appena si trovò faccia a faccia con Uther.

Artù quasi non riusciva a staccarle gli occhi di dosso: sapeva che era sua zia, la maggiore sorella di sua madre, e si chiese se anche Igraine avesse avuto lo stesso carisma e lo stesso alone di mistero attorno a sé.

Uther era rimasto immobile, senza emettere un solo suono, da che la donna era comparsa nella sala.

“Che cosa fate qui, Lady Viviana?” chiese infine, senza nemmeno tentare di celare l’ostilità del suo tono di voce.

“E’ mai questo, Uther, il modo di accogliere tua cognata?” chiese la sacerdotessa senza scomporsi più di tanto.

“Sai bene che tu e le tue streghe non siete le benvenute qui a Camelot” ringhiò il re.

“Sacerdotesse, Uther. Sacerdotesse della stessa Dea che ti ha messo sul trono vent’anni fa: non streghe” lo corresse Viviana, e quelle parole parvero ad Artù molto più minacciose di quelle di suo padre. E poco importava che la donna le avesse pronunciate senza perdere nemmeno per un attimo il sorriso enigmatico che aveva sulle labbra.

“Badate a quello che dite” disse di nuovo il re.

“Non sono qui a rischio della mia vita e di quella delle mie sacerdotesse per litigare con te Uther Pendragon. Motivi precisi mi hanno portato a sfidare la tua assurda tregua, e prima mi concederai il tempo di parlarti, prima risolveremo questa faccenda e prima potrò tornarmene alla mia adorata Avalon!”

“Ti ascolto” le concesse Uther a denti stretti.

Viviana proruppe in una leggera risata: “Oh no, mio caro. Dubito che gradiresti che altri sentissero quello che ho da dirti”.

Di nuovo Artù sentì la bocca dello stomaco serrarsi a quella minaccia mascherata da convenevole, mentre suo padre si faceva, invece, sempre più fremente di rabbia.

“Domani mattina” disse il re.

“Ora” ribatté lei.

Uther stava per esplodere: nessuno lo aveva mai offeso così palesemente di fronte a tanti testimoni e a così tanti stranieri per di più. Artù sapeva che, per qualche motivo a lui sconosciuto, suo padre aveva graziato le Sacerdotesse dell’Isola Sacra dalle sue persecuzioni contro la magia, ma ora sembrava pronto a rimangiarsi la parola data e ad ordinare di arrestare la donna che, di fronte a lui, non mostrava alcun segno di timore. Nonostnte tutt, Artù ammirava il suo coraggio.

“Avete fatto un lungo viaggio zia: perché ora non vi sedete con noi per mangiare qualcosa e per festeggiare la vittoria di Lancillotto e il mio fidanzamento con Ginevra?” propose per evitare a suo padre il disonore di venir meno ad un impegno preso.

Viviana gli sorrise dolcemente, ma quando tornò a fissare suo padre il suo sguardo divenne furente: “Non ti permetterò di gettarlo nelle mani dei Cristiani! Tuo figlio si dimostra molto più saggio di me e, guardandolo, capisco che forse tutto quello che è successo non è accaduto invano. E non ti permetterò di distruggere tutto ciò per cui ho tanto lavorato e per cui tanto ho patito e pagato!”

“Nel mio studio! Ora!” ordinò Uther, non meno furioso della donna. “ Vieni anche tu Gaius, potrei aver bisogno di un testimone” disse ancora il re che però, non appena vide il figlio muoversi per seguirli, si affrettò a fermarlo: “No, tu no Artù!”.

“Non credi che sia grande abbastanza per conoscere la verità, Uther?” chiese Viviana con aria di sfida. “Parte di quello che ho da dirti riguarda da vicino anche lui, quindi seguici Artù, per favore”.

“Taci maledetta!” urlò suo padre.

“Io potrò anche essere maledetta, ma questo non cambia il fatto che Artù debba conoscere sia quello che sono venuta a dirti, sia tutto il resto”.

Artù era combattuto tra l’obbedienza a suo padre e il desiderio di poter finalmente scoprire quello che gli era sempre stato tenuto nascosto. Si chiese se sua zia gli avrebbe rivelato almeno qualcosa riguardo a sua madre, e quella speranza fu più forte di qualsiasi altra cosa: mentre suo padre, Gaius e la Signora di Avalon lasciavano la sala , lui li seguì, determinato questa volta a scoprire almeno qualcosa di tutto quello che suo padre gli aveva sempre voluto tenere nascosto.

  
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