Capitolo
4
Tornammo
ad Hogwarts, eppure sapevamo che presto avremmo affrontato la vera vita
e avevamo
tutti una maledetta paura di quel che ci aspettava. L’ultimo
anno di James,
Sirius, Remus, Peter, Lily e Frank fu il più triste e
malinconico. Sorpresi
quasi ognuno di essi mentre contemplava la scuola in ogni minimo
particolare e
capii che i loro anni più belli erano passati via come fugge
la notte quando
l’alba è alle porte. James e Lily, sotterrata
l’ascia di guerra, cominciarono a
conoscersi e presto li ritrovammo più innamorati che mai
l’uno dell’altra.
Decisero di sposarsi appena finita la scuola e secondo me al mondo non
esisteva
coppia più bella. Frank sembrava emozionato
all’idea di diventare Auror e
presto Alice dette la notizia che anche lei, come me e mio fratello,
avrebbe
intrapreso quella carriera. Lily decise di lavorare presso il San Mungo
data la
sua spiccata dote nel distillare pozioni, in quanto a James era ovvio
che fosse
destinato alla nazionale inglese di Quidditch. Egli però
sorprese tutti noi e
divenne membro del Wizengamot. Remus, invece, dovette affrontare una
serie di
problemi per quanto riguardava la sua duplice natura. Un Lupo Mannaro
non era
bene accetto nella comunità e per parecchio tempo
restò disoccupato. Peter,
invece, trovò posto nell’ufficio per la
Cooperazione Internazionale Magica. La
sua abile arte di oratore lo rendevano mellifluo , viscido e servile di
fronte
alle più potenti autorità di tutto il mondo
magico. Quanto a Sirius, lui
divenne un Indicibile. Ben presto a scuola si seppe che un gruppo di
ragazzi,
comprendente Severus Piton e molti altri Serpeverde, progettavano di
unirsi a
Lord Voldemort e ai Mangiamorte appena finiti gli studi accademici. Fu
un duro
colpo per tutti. E noi appartenenti all’Ordine della Fenice
eravamo in grave,
gravissimo pericolo. Fortunatamente mia madre e mio figlio erano ben
protetti
da Albus con l’Incanto Fidelius. Avevo paura di quello che
sarebbe successo ai
miei amici e a mio fratello una volta lasciata Hogwarts. Voldemort non
si era
azzardato ad avvicinarsi al castello perché temeva Albus,
fuori era tutta
un’altra storia. Fu così che in quella soleggiata
estate del 1978, Lily e James
si unirono in matrimonio. Fu una cerimonia cui parteciparono pochi
intimi. Vi
erano solo i genitori di Lily, la sorella si era sposata
l’anno prima e non
l’aveva voluta invitare perché non voleva avere a
che fare con gente come lei.
Il padre di James era già morto e al matrimonio vi prese
parte solo sua madre,
una simpatica signora provata delle intemperie del tempo. E poi vi
eravamo
tutti noi, io e Sirius tenevamo per mano Fabian che aveva compiuto da
poco tre
anni. Sirius fu il testimone di nozze di Lily e James. E in quella
stessa occasione
mi chiese di sposarlo e se volessi che diventasse il padre di Fabian.
Ricordo
che quella fu la giornata più bella della mia vita.
Abbracciai forte Sirius e
ci baciammo teneramente. Ci amavamo e ciò bastava. Insieme
decidemmo di
prendere casa vicino Godric’s Hallow, il paesino dove
abitavano James e Lily e
dove abitava anche Albus. Come avrebbero potuto James e Sirius vivere
lontani? Chiesi
ad Albus il permesso di studiare a casa per l’ultimo anno che
mi rimaneva ad
Hogwarts e lui accettò di buon grado. Io e Sirius ci
sposammo il mese dopo
quello di Lily e James. Indossavo un abito bianco e lungo, con ampie
maniche
decorate all’interno da intrecci di foglioline bianche
bordate con diamantini e
lo stesso motivo era ripreso sul corpetto. I capelli ricci erano presi
in un
mezzo raccolto da due roselline bianche. Ricordo Sirius emozionato come
non
mai, i capelli tagliati in quel suo modo così originale e
quel suo sorriso
attraente che mai si sarebbe tolto dal viso. Ricordo che mia madre
piangeva e
stringeva tra le mani un fazzoletto di seta bianca per asciugarsi gli
occhi.
Fabian fece il paggetto e ricordo che chiese a me e Sirius
perché lui non
poteva occupare il posto di Sirius. Anche in questo caso gli inviatati
furono
davvero pochi ma fu comunque una cerimonia splendida; James fece da
testimone e
non volli negare questo regalo a Sirius. Appena
ci trasferimmo nella nuova casa un senso di immensa gioia mi pervase:
Sirius
aveva progettato tutto alla perfezione. Era una piccola villetta con un
giardino ben curato, c’era un laghetto con i pesci e qualche
paperella ed anche
uno splendido appezzamento di terreno dove crescevano fiori di ogni
forma e
dimensione, profumati e variopinti. C’era un capanno per le
scope e un’altalena
tutta per Fabian. Inoltre Sirius aveva comprato una motocicletta
volante, o
meglio, una sidecar davvero splendida e ricordo che fece fare subito un
giro a
Fabian quando i suoi occhietti si posarono su quella meraviglia.
All’interno la
casa era luminosa e accogliente e Sirius aveva disposto che ci fossero
le cose
che più ci piacevano. Quando quella sera mettemmo a dormire
nostro figlio,
andammo poi nella camera da letto. Io ero lì a fissarlo,
incapace di parlare, e
lui mi disse che avrebbe voluto asciugare le mie lacrime di tredicenne,
che
avrebbe fatto qualsiasi cosa perché non stessi
così male per quello che era
accaduto quattro anni prima. Ma non sapeva cosa fare. Io chiusi gli
occhi e
andai verso di lui; le mie braccia gli cinsero la vita, la mia testa si
posò
sul suo petto e le lacrime presero a sgorgare copiose. Sirius rimase
immobile,
poi le sue braccia si mossero per stringermi con cautela, come se non
avesse
mai compiuto quel gesto prima e non sapesse bene come procedere.
Restammo così
per un po’; la sensazione era piacevole, molto piacevole,
simile al ritorno a
casa dopo una brutta avventura. Non mi ero accorta, fino a che non
sentii quel
tocco, di quanto intensamente lo avessi desiderato. Non avevo
realizzato, fino
a che non lo abbracciai, che la sua altezza era quella giusta per
cingermi
comodamente le spalle con le braccia. Perchè io potessi
posargli la fronte
nell’incavo del collo, dove il sangue pulsava sotto la pelle.
I nostri corpi si
combinavano ala perfezione. Non saprei dire a che punto questo
abbraccio, che
era iniziato come un semplice gesto di conforto, si
trasformò in qualcosa di diverso.
Non so cosa accadde prima, se furono le sue labbra a muoversi per
posarsi sulla
mia palpebra, sulla mia tempia, sulla punta del naso e poi
sull’angolo della
bocca, oppure le mie mani che gli si avvinsero al collo, le dita che
scivolarono all’interno della camicia per accarezzare la
pelle liscia. In quel
momento entrambi fummo consapevoli di quello che stavamo facendo; ma
una volta
che le sue labbra si furono unite alle mie non fu più
possibile staccare le
nostre bocche, e il bacio che seguì non fu casto, ma
l’incontro disperato e
famelico di labbra, lingue e denti, che ci lasciò ansanti e
tremanti. Mi chiese
dolcemente se andava tutto bene e se volevo che smettesse. Gli risposi,
accarezzandogli il capo, che andava tutto bene e che lo amavo e che
avrei
voluto che lui fosse stato il primo e non Lucius. Lui mi
soffiò in un orecchio
dicendomi di non parlare, che a lui non importava. Le sue mani scesero
lungo il
mio corpo; fu così che tutte le nostre paure svanirono. Il
desiderio divampò in
noi come un incendio improvviso e irrefrenabile che tutto consuma nella
sua
avanzata, un furioso congiungersi la cui intensità fu fonte
di gioia e
turbamento. Iniziò a piovere pesantemente, e
l’acqua prese a scorrere sulle
tegole del tetto e cupi tuoni erano intorno a noi, ma non ce ne
accorgemmo
quasi, presi com’eravamo dalla nostra passione, le mani che
esploravano la
pelle morbida, le labbra che assaporavano angoli segreti, i corpi che
si
muovevano all’unisono come fossero le due parti di un intero
finalmente
ricongiunte. Quando lo accolsi dentro me, avvertii un’acuta
fitta di terrore, e
un qualche lamento doveva essermi sfuggito, poiché lui mi
chiese cosa era stato
e se c’era qualcosa che non andava. Ma io lo zittii con un
dito sulle labbra.
Sotto il tocco delle sue mani mi trasformavo in liquido oro e il dolore
fu
presto dimenticato; cinsi il suo corpo con le braccia e lo strinsi a me
più
forte che potei. Pensai che non l’avrei mai più
lasciato andare, mai. Ma non lo
dissi a voce alta. Le sue mani, le sue labbra e il suo corpo solido
esprimevano
tutta la sua dolcezza. Quando si girò per tenermi sopra di
sé, lo guardai negli
occhi alla luce tremante della candela accesa sul comodino, e la
mescolanza di
meraviglia e desiderio che vi lessi mi spezzò quasi il
cuore. Mi allungai sopra
di lui, esplorando il suo corpo con le labbra, e scoprii che da qualche
parte
nel profondo di me mi giungeva un ritmo, come un lento rullo di
tamburo, che mi
faceva muovere contro di lui, e poi quel serrare e rilasciare i
muscoli, quel
toccare e allontanarsi, lo squisito piacere crescente…Quando
giunsi al culmine
non fu nulla di nemmeno lontanamente simile a ciò che avevo
immaginato. Egli
gridò e mi tirò contro di sé, e io
trattenni il respiro per il calore che mi
fluì nel corpo. Sentii una vibrazione nel mio intimo, e
seppi che le cose non
sarebbero mai, mai più potute essere le stesse. Ci sono
storie dove si racconta
di questo, storie di grandi amori che vengono separati, che si
desiderano
ardentemente, e che alla fine trovano assieme la gioia. Dopo, giacemmo
immobili
l’una nelle braccia dell’altro, e nessuno dei due
riuscì a trovare le parole da
dire. Poco dopo, però, lui mi disse che ero la
più bella cosa che avesse mai
visto. Mi passò le dita sul viso, con delicatezza. Mi disse,
esitante,che non
sapeva cosa dirmi. Gli risposi di non dirmi niente: i suoi abbracci e
le sue
carezze per me erano sufficienti. Poi feci ciò che
desideravo da molto tempo.
Iniziai dalla sommità della testa, da dove partivano i
complessi motivi che gli
decoravano il corpo, e ne tracciai i margini con le dita, lentamente,
giù lungo
il dorso del naso, attraverso la bocca severa, giù per il
mento, il collo e il
petto muscoloso. Poi poggiai le labbra sulla sua pelle, e proseguii
sempre più
in basso. Il suo corpo era sapientemente dettagliato. Non era troppo
alto né
troppo magro; aveva le spalle larghe, ma il fisico era asciutto e
temprato dal
tipo di vita che conduceva. La pelle era chiara e giovane. Mi disse di
fermarmi
a meno che non avessi voglia di farlo un’altra volta. Gli
risposi che non
sarebbe stata una cattiva idea a meno che lui non avesse già
avuto abbastanza.
Fece un profondo sospiro, mi circondò con le braccia e io
sentii il rapido
pulsare del suo cuore contro di me. Lui appoggiò le sue
labbra sui miei capelli
e disse che non avrebbe mai potuto averne abbastanza di me.
Così giacemmo
ancora avvinti, e questa volta fummo più lenti,
più attenti, e mentre ognuno
toccava, assaporava e imparava a conoscere il corpo
dell’altro, fu tutto
diverso, anche se altrettanto meraviglioso. Non dormimmo
granchè quella notte.
Forse entrambi eravamo consapevoli che il tempo volava,e che quando
fosse stata
l’alba l’indomani sarebbe stato l’oggi.
Chi avrebbe sprecato una notte così
preziosa dormendo? Così passammo il tempo accarezzandoci,
sussurrando e
muovendoci assieme nel buio. Il mio cuore era così colmo che
minacciava di
scoppiare, e io pensai che quel sentimento sarebbe rimasto dentro di me
per
sempre, qualunque cosa fosse accaduta. Verso l’alba Sirius si
addormentò, la
testa sul mio seno, e una volta, in sogno, gridò alcune
parole che non riuscii
a comprendere. Lo tenni tra le braccia e fissai la finestra, osservando
il
cielo che schiariva. Fu
quella la notte più bella della mia vita, eppure da quella
unione non nacque
nessun figlio. Continuai a studiare anche se con meno frequenza: avevo
tante
faccende da sbrigare in casa e moltissimi incontri
dell’Ordine tenevano me e
Sirius, che poi lavorava anche, impegnati più che mai.
Divennero tempi bui,
quelli, davvero molto bui. Tuttavia io e Sirius dovevamo andare avanti
per
Fabian e quando eravamo con lui facevamo si che quei momenti fossero
gioiosi.
Fabian, poi, amava molto le storie. Tra i due, ero io quella che
conosceva ogni
storia mai raccontata attorno a un fuoco, e molte altre ancora. Fabian
sedeva
in silenzio accanto al grande focolare ad ascoltarmi raccontare, e si
meravigliava delle vivide trame che io sapevo tessere con le parole.
Raccontavo
delle infinte avventure di Odo, l’eroe, e narravo di
Grindelwald, famoso
guerriero e abile stratega. Quei racconti entusiasmavano anche Sirius e
alle
volte , mentre fingeva di essere chino sui piani dell’Ordine,
ascoltava la mia
voce perché sapevo creare con le parole una tale magia che
lui e mio figlio
indistintamente ne erano catturati. Ma ce n’era una che io
non raccontavo mai,
ed era la mia. Se invece Fabian chiedeva a Sirius di raccontare una
storia, lui
si metteva a ridere e scrollava le spalle; diceva che lui non era bravo
con le
parole, che in realtà ne conosceva solo una, o forse due, e
che le aveva già
raccontate. Poi lui mi lanciava uno sguardo, e io lo guardavo di
rimando, in
quel nostro modo che era come parlare senza usare le parole, e infine
lo
distraeva con qualche altra cosa. Man
mano che il tempo passava, la lista dei membri dell’Ordine si
faceva sempre più
corta. In quegli anni perdemmo molti, moltissimi amici. Cercammo noi
tutti
quindi, il più possibile, di stare sempre insieme. Passammo
un Natale molto
allegro quell’anno. Vennero a casa mia Lily e James, mia
madre, mio fratello ed
Alice, Remus, Peter, Albus e suo fratello Aberforth, Hagrid, Marlene
con suo
marito e i suoi figli, Emmeline, Benjy, Edgar e sua moglie con le tre
figlie,
Sturgis, Caradoc, Elphias, Gideon e Fabian con la loro sorella minore
Molly e
Dorcas. Di tutti loro
pochissimi sono sopravvissuti.
Marlene ed Edgar furono uccisi insieme alle loro famiglie, di Benjy
trovammo
solo dei pezzi nella sua casa di campagna nel Galles, di Caradoc non
trovammo
mai il corpo, Gideon e Fabian morirono sotto i colpi di cinque
Mangiamorte combattendo
da veri eroi e Dorcas fu presa da Lord Voldemort in persona. Il nuovo
anno si
prospettava dunque, all’insegna del terrore e della morte.