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Autore: Ely79    19/06/2010    5 recensioni
Harry è Auror e vive a Grimmauld Place con la sua famiglia, ma il palazzo cade a pezzi e le memorie dei Black ingombrano ancora le stanze. Ginny, preoccupata per James e Albus e per la figlioletta in arrivo, decide di rivolgersi a chi può dar loro una mano.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Sirius Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Tavola 6 - Progetto esecutivo
«Fammi capire bene» chiese, premendo le labbra contro il palmo di Rose. «Vorrebbe convincere l’elfo a prendersi un po’ di riposo?»
«Esattamente. Trovo sia un’idea magnifica, darebbe a Kreacher la possibilità di riflettere sulla sua condizione di assoggettato. Potrebbe rendersi conto che…»
S’interruppe. Il marito non l’ascoltava. Osservava serio la figlia, quasi aspettasse di sentirla pronunciare il più grande incantesimo di tutti i tempi.
«Sai, fiorellino mio? Tuo zio è ufficialmente rimbambito»
«Ron, non parlarle così!» ma la piccina rideva, cercando d’afferrare il naso del padre. «Ed Harry non è rimbambito» aggiunse.
«Adesso sei tu che dici brutte parole» sghignazzò, facendole segno di avvicinarsi. «Herm, da quanti anni ti batti per la liberazione degli elfi domestici? Per il C.R.E.P.A.?»
La donna si rabbuiò. Quel discorso la faceva sentire una nullità. Per quanto credesse in quel progetto, certe volte lo reputava il suo più grande fallimento.
«Quanti?» ripeté Ron, in attesa della risposta.
«Tredici»
«Miseria, già tredici anni? Però, passa il tempo! Comunque. In tutti questi anni, quanti elfi sei riuscita a convincere?»
«Tre» sbuffò, sempre più torva.
«E che fine hanno fatto?»
«Sono tornati tutti dai loro padroni» rispose, sedendo scomposta sul divano accanto a loro.
Erano alla fine di aprile, mancavano poche settimane alla nascita di Hugo e si vedeva. Soprattutto si sentiva: era un macigno tale e quale al padre e amava farlo sapere a suon di calcioni e rivolgimenti. Non ne poteva più, agognava le doglie e la rottura delle acque più di qualunque altra cosa al mondo. Aveva imparato ad odiare la gravidanza e si era ripromessa di non averne altre in vita sua. Ginny e Fleur dovevano essere due pazze furiose per averne avute tre. C’era qualcosa di perverso in quella scelta.
Ron le cinse le spalle, tirandosela vicino.
«Tesoro, non devi fare rivoluzioni per tutti. Capisco che tu ci tenga, che un essere reso schiavo sia triste da accettare, ma a loro non interessa! Sono felici così, te l’hanno provato un sacco di volte. Se non fosse come dico io, ne avresti liberati migliaia ed ora ti festeggerebbero come “la strega degli elfi”» sorrise, dandole un bacio sulla fronte.
Hermione sorrise incerta, nonostante l’abbraccio di Ron la facesse sentire meno abbattuta. Consolarla in quei momenti era diventata una sua specialità.
«Mettiamola così: la loro natura garantirà la sopravvivenza di molti maghi. Per la miseria, ti immagini tutti quei Purosangue che non sanno farsi neppure un uovo al tegamino? Cosa farebbero senza di loro?» scherzò scrollandola.
«Quello non lo sai fare nemmeno tu. E senza che tu abbia mai avuto un elfo domestico» osservò, prendendo in braccio Rose che sbadigliava.
«Perché dovrei imparare, visto che ho per moglie una cuoca provetta?»
La strega lo fissò a lungo, cullando la bambina. La stanchezza del turno non impediva al suo uomo di trovare una frase o un gesto abbastanza buffi da strapparle un sorriso. Meravigliosa dote degli Weasley.
«Va bene, hai vinto. Le tue dita non toccheranno altro che le posate per mangiare» fece alzandosi. «E tutto il resto delle stoviglie lo laverai con gli appositi incantesimi domestici mentre faccio addormentare la nostra principessa»
Preso in contropiede, Ron sgranò gli occhi sulla consorte che si allontanava verso le camere.
«Ma… Hermione! Lavare i piatti? Io?!?»
«Se sarai bravo ed obbediente, e Rose chiuderà subito gli occhi, forse avrai un regalino» ammiccò.
«Qualcosa di bollente?» suggerì l’uomo, sfregandosi le mani.
«Ron, sono incinta» sibilò risentita.
«Mi accontenterò di qualcosa di tiepido, allora»

***

Gli occorse qualche istante per rendersi conto che chi stava sulla soglia era Francis. Non era abituato a vederlo tirato a lucido. O meglio, non lo era più da almeno quattro anni, cioè da quando era entrato in squadra. Di solito vestiva in maniera molto pratica, sportiva, senza eccessi. Quel genere di vestiario Babbano gli si confaceva molto più della divisa, dato che spesso le indagini lo portavano a muoversi tra le persone normali. A pensarci bene, anche Tonks non aveva mai portato l’uniforme degli Auror, se non ricordava male perché aveva compiti analoghi a quelli di Francis. Anche Malocchio non la portava, ma lui, si sapeva, era un altro genere di Auror. Vedere Lawson abbigliato di tutto punto, con i capelli tagliati e sbarbato per giunta, lo faceva sospettare che qualcuno avesse usato un Giratempo per fargli incontrare un’altra persona.
«Eccessivo?» chiese, cercando d’allentare un po’ la cravatta.
Non ne allacciava una dal giorno del diploma all’Accademia ed il nodo sembrava essersi animato per errore: stava cercando di strangolarlo.
«N-no, no! Anzi, hai l’aria di essere tu il capo, fra noi due» scherzò Harry facendolo accomodare.
Ridendo, Francis entrò nel famoso numero dodici di Grimmauld Place. Era diverso da come se l’era immaginato, nonostante le descrizioni fioccassero. L’ingresso sembrava quello di una dimora d’altri tempi, alto, stretto e male illuminato. Ma un grande riquadro rosa, contornato da orrendi drappi, attirò la sua attenzione.
«Prove di colore?» chiese, incuriosito.
«Ehm, no. C’era un quadro. L’abbiamo fatto togliere. Non era… intonato all’ambiente» si giustificò.
«Bell’idea. Dà luce all’entrata»
«Trovi?» chiese Harry, esterrefatto per l’osservazione.
Aveva ragione: quello squarcio dava un po’ di respiro all’ingresso. Lo faceva apparire meno tetro del solito. Per non parlare della pace che accompagnava chi metteva piede in casa.
«Harry, con chi parli?»
«È arrivato il nostro ospite»
La ex-Cacciatrice fece capolino dal soggiorno, curva sul figlio minore che avanzava traballando. Albus aveva difficoltà a stare in piedi, specialmente dopo essere finito a faccia in giù durante i primi tentativi di camminata. A differenza del fratello, si era spaventato a morte ed aveva rifiutato di camminare per un mese intero. Aveva ripreso coraggio solo dopo aver scoperto che l’unico modo per non farsi sottrarre i giocattoli, era portarseli via.
«Pacciiino, pacciiino, accoa pacciiino» ripeteva premuroso James, camminandogli accanto.
«Giusto, un passettino alla volta. Bravissimo, Al. Fai come il tuo fratellino» lo incitò la madre. «Scusa Francis se non ti saluto, ho le mani impegnate»
«Nessun problema» rispose, chinandosi un poco verso il collega per bisbigliare imbarazzato: «Avrei dovuto portarle qualcosa? Fiori, vino?»
«Va bene così, Francis, sei tra amici» lo rassicurò.
«Scusa, mi sento uno stupido, ma è una vita che non mi capitano occasioni simili. Credo di essermi dimenticato come si sta ad una cena» si giustificò.
«Stai andando benissimo, credimi. Devi solo rilassarti un po’. E levati quella cosa per favore!»
Francis obbedì con un sorriso grato. Non ne poteva più di quella tortura.
«Signor Potter?» chiamò una voce dall’alto.
La Goldstein si era accorta troppo tardi dell’uomo che le dava le spalle.
Era alto quanto il suo cliente, con capelli biondi molto corti. 
Francis era rimasto con un dito infilato nel nodo della cravatta, immobile come se l’avesse centrato un Petrificus. Sgranò gli occhi su Harry, boccheggiando un silenzioso quanto violento “avevi detto che non c’era” mentre lei si scusava per aver disturbato.
I passi si avvicinavano, gradino dopo gradino. Restare in quella posizione sarebbe stato meglio, ma non poteva sentirsi accusare di essere stato anche sgarbato. Si voltò lentamente, incontrando il viso dell’Archimaga. Allora fu lei a restare immobile, un piede sospeso nell’aria a pochi centimetri dallo scalino. La mano con cui teneva il corrimano sembrava essersi trasformata in un artiglio pronto a stritolare il legno.
Harry ricordò che mezz’ora prima la strega gli aveva chiesto di discutere alcuni dettagli riguardo l’ultimo piano, onde valutare la gestione degli accessi alle camere. Qualcosa a che vedere con un Artificium Sigillaria o roba simile. Se n’era dimenticato e l’aveva lasciata ad aspettare. Non c’era da stupirsi che fosse scesa nel momento meno opportuno.
«Bene, adesso penseranno che stavamo combinando un appuntamento al buio…» pensò tra sé, cercando una via d’uscita da quell’imbarazzante situazione.
Ginny aveva ventilato l’ipotesi di far incontrare “accidentalmente” i due, sperando nel colpo di fulmine. Senza volerlo le aveva dato una mano. La guardò abbozzare un sorriso compiaciuto, quasi avesse intuito i suoi pensieri. Sembrava volergli dire che tanto valeva invitare l’Archimaga per cena e vedere come evolvevano le cose. Harry sospettava che dietro a quelle manovre ci fosse un disegno più articolato, che puntava inequivocabilmente alla riduzione del costo delle opere per gratitudine.
«Mi scusi, signorina Goldstein. Permette che… ehm… che le presenti…»
Francis lo precedette, avanzando di un passo verso le scale.
«Come stai, Cam?»
Il saluto cadde nel vuoto. La donna tacque, limitandosi a fissarlo con odio da dietro le lenti appena lucidate. Riprese a scendere impettita, ignorandolo.
«Potrei parlarle, signor Potter? Ci sono alcuni dettagli della…»
Benché calmo, il tono della voce non faceva presagire nulla di buono. Una sottile venatura di rancore serpeggiava tra le sillabe.
«Potresti almeno rispondere» sibilò l’Auror quando lei gli passò accanto.
La strega evitò di replicare per la seconda volta. Fra i due passava una quantità tale di repulsione magica che la si sarebbe potuta tagliare col coltello.
«Ma… vi conoscete?» chiese Ginevra, stupita della rivelazione.
«Sì» ammise Francis, subito contraddetto da Camille, inviperita. «Andiamo, è la verità, cornacchia»
«E tu te la cavi bene con la verità, non è così?» ringhiò senza guardarlo, prima di appellare la giacca ed indossarla frettolosamente. «Perdonatemi signori, vi lascio alla vostra serata. Discuteremo domani»
Aveva deliberatamente sorvolato sul nomignolo, perché era la parola che sopra tutte l’aveva ferita, ancora più della presenza di quell’uomo.
Strinse cortesemente la mano ai clienti, come di consueto. Aggiustò la voluminosa borsa sulla spalla e, tremando per la collera, fece per andarsene.
«Se ti ostini ad andare in giro con quell’affare, prima o poi cadrai nella buca all’angolo della Saint James’s. Ma tu detesti le borse piccole» la schernì Lawson, pentendosi all’istante.
A quella beffa, la donna si volse, ormai fuori di sé. Rimase dov’era, quasi la disgustasse l’idea di avvicinarlo per riempirlo d’insulti e fatture come meritava.
«Tu! Eri tu a seguirmi!» urlò. «Maledetto… Come ti sei permesso? Come hai potuto? Mi hai spaventata a morte!»
«Non volevo. Stavo solo…» tentò di spiegare, l’altra però non era disposta ad ascoltarlo.
«Bugiardo!»
«Sai che non sto mentendo. Tu lo sai» sottolineò rassegnato.
«Bugiardo» ripeté, la voce le tremava.
Era prossima a scoppiare in lacrime, lo sentiva. Aveva una dignità e di certo non l’avrebbe persa davanti ai Potter facendo una sceneggiata da adolescente isterica. Aggiustò gli occhiali sul naso e la borsa.
«Camille» chiamò, ma lei si diresse all’uscita, le labbra strette dalla rabbia.
Francis non cercò di giustificare quel gesto, al contrario pensò all’ennesima offesa e l’afferrò per un braccio prima che raggiungesse la porta.
«Fermati, accidenti! Voglio solo parlarti!»
«Toglimi le mani di dosso» gli intimò.
«Smettila di fare così, non ti ho fatto niente»
L’espressione di feroce incredulità sul volto della strega lo lasciò sbigottito. Tirare a indovinare sarebbe stato inutile: la sua era una muta imputazione.
«Non essere ottusa» insisté conciliante, incurante del minaccioso pallore della donna.
Stava per parlare ancora, quando una gragnola di colpi lo investì.
«Laccia! Laccia! Butto!»
James si era scagliato con tutta la sua insignificante mole contro la gamba di Francis, prendendola a pugni e calci. La furia infantile andò a segno sul malleolo sinistro dell’uomo che barcollò pericolosamente contro la parete, lasciando la presa.
«Butto! Tu… tufaabiaeattega… eeettegaciaabbia… eeepiagge eeee… e tu è butto! Cattio!» lo accusò, continuando a colpirlo mentre la madre tentava di trascinarlo via. «Cattio! Toll! Butto Toll!! Molello!»
Se Harry non fosse stato tanto furioso dentro di sé per quel poco che aveva appena visto e udito, avrebbe riso del figlio che dava del Troll monello al suo compagno di lavoro.
«È meglio che vada. Buona sera» salutò tesa.
«Sono d’accordo, signorina Goldstein» concordò Potter, livido. «Buona serata»
Moriva dalla voglia di avere delle spiegazioni e non sarebbe stato molto tenero.
«Ttega! Ttega!» pianse James, vedendola aprire la porta.
Era già sul pianerottolo quando lui riuscì a divincolarsi e a raggiungerla, tirandole la gonna.
«Ttega» pigolò fra i singhiozzi.
Sulle prime, Camille cercò di non guardarlo. Difesa da un marmocchio in pannolino.
Quando sentì nuovamente le manine strattonarle l’orlo del vestito, le iridi brune scesero ad incontrarne un paio castane e umide.
«No piaggi, ttega» la supplicò, anche se a piangere era lui.
Allungò la mano fra i capelli corvini, facendogli una carezza.
«Ci vediamo, James Sirius» e si allontanò.
La madre sollevò il bimbo dalle pietre fredde, riportandolo in casa. Sperando di tranquillizzarlo, Ginny gli disse che la cena era pronta. Disgraziatamente, suo marito aveva altri piani, che prevedevano un ritardo considerevole del pasto.
Appena l’Archimaga se n’era andata, aveva trascinato il collega nello studio al piano superiore. Erano state poche le occasioni nella sua vita in cui si era sentito frustrato come in quel momento. Chiuse la porta con un Colloportus perché nessuno li interrompesse ed attaccò senza mezzi termini il giovane.
«Ora tu mi darai una spiegazione per quello che è appena successo. E voglio, anzi, esigo che sia una spiegazione sensata e priva di qualunque tua solita battutina idiota. Non sono disposto a tollerarle, come non tollero certe sceneggiate in casa mia, davanti a mia moglie e ai miei figli!» gridò, sottolineando la cosa con un pugno al muro. «Francis sono il tuo caposquadra ed ho bisogno di essere messo a conoscenza se c’è qualcosa che non va, quando non va e perché! Fa parte dei miei compiti, quello di far funzionare il gruppo a dovere. Niente intoppi, niente liti, niente di niente. E per farlo, devo sapere se qualche ingranaggio non gira a dovere!»
«Io giro benissimo» ribatté asciutto.
Potter lo fulminò con lo sguardo.
«Sai benissimo di cosa parlo. E sai che se perdo le staffe do di matto. Ci tieni così tanto a vedermi quando sono fuori di me? Perché mio cognato se lo ricorda ancora dopo dodici anni, se vuoi chiederglielo!»
«Harry… non è il caso» fece lui, provando a tranquillizzarlo, ottenendo solo d’innervosirlo di più.
«Ah, no? Non è il caso? Non è il caso?!? Non è il caso un corno di Erumpent!» ruggì. «Voglio sapere perché non mi hai messo al corrente dei tuoi rapporti con quella donna!»
«Perché non ce ne sono»
«Lawson, ti avviso che stai mettendo a dura prova la mia pazienza» e nel dirlo era onesto e minaccioso. «A che scopo tanti misteri, a che scopo tacere a me che sono il tuo superiore, quando eri perfettamente consapevole che la tua presenza qui dentro avrebbe provocato una reazione? E non t’azzardare a negarlo: era evidente che ti aspettavi che accadesse qualcosa, altrimenti non mi avresti proposto un incontro da te e poi al pub, anziché a casa mia?»
L’Auror sembrò in difficoltà: le cose stavano proprio come le aveva descritte.
«Perché tante storie? Perché tutti questi misteri per non incontrare quella donna?»
«Io… io volevo vederla» confessò impacciato.
La rivelazione fu un ennesimo schiaffo per l’altro uomo. Aveva pensato d’aver instaurato un rapporto di fiducia e collaborazione reciproca col suo gruppo, evidentemente sbagliava.
«Francis, ti rendi conto di cos’hai appena detto?» ringhiò. «Tu volevi vederla?!? Hai fatto tutte quelle scene per poi… Era questa la tua intenzione dall’inizio? Tutte quelle scene per depistarmi e poi venire qui a conoscerla solo perché ora è una persona importante?»
Potter nemmeno si rendeva conto che quell’ipotesi non stava in piedi: l’incontro tra i due era ben lungi dall’essere stato intenzionale.
«No… no, Harry, tu non capisci» bofonchiò quello, passando le mani tra i capelli appena tagliati.
«Certo che non capisco! Spiegati una buona volta!» sbraitò, lasciandosi cadere sulla poltrona dall’altra parte della scrivania.
«Io… non la vedevo da sei anni» sospirò abbattuto, stringendosi nelle spalle.
«Continuo a non afferrare il motivo di questa buffonata. Se avevi tanta voglia di rivedere una vecchia amica che ora è all’apice del successo, perché diamine non le hai mandato una lettera? O il tuo Patronus?»
Finalmente Francis si decise ad alzare il capo, fissandolo negli occhi. Il poco sonno e lo scoramento gli davano un aspetto da derelitto.
«Camille non è una mia amica, Harry. È la mia ex»

***

Alle nove e tre quarti bussarono alla porta. Una serie di colpi familiari obbligarono la padrona di casa a lasciare i figli per correre all’entrata.
«Buon giorno, Ginevra. Domando scusa per il ritardo, ho avuto da fare» esordì piatta la Goldstein.
«Camille! Sei venuta!» esclamò sorpresa la donna, perdendo il distacco abituale. «Cielo, credevo non saresti tornata. Non oggi almeno, visto cos’è successo ieri sera. Credimi, Harry è mortificato per…»
La mano destra dell’altra si levò a zittirla, perentoria.
«Ho preso un impegno con voi, ed intendo mantenerlo. Che razza di professionista sarei, se abbandonassi i miei clienti, per una simile banalità e a lavori incompiuti per giunta?» rispose lei gelida, varcando la soglia.
«Banalità?» disse Ginny, affatto convinta.
«Dov’è James Sirius?»
La domanda riguardo al piccolo ficcanaso la riportò ai toni dei loro abituali discorsi.
«In soggiorno, ma… a me quella di ieri sera pareva tutt’altro che una banalità e, si fidi, la pensa così anche mio marito. Dopo che se n’è andata, ha torchiato Francis per almeno un’ora prima di…»
«Mi scusi» la interruppe bruscamente. «Sono qui per lavorare e per parlare delle vostre esigenze, delle vostre idee, delle opere che sto realizzando e di eventuali problemi ad esse collegati. Quanto che è accaduto in quest’ingresso non deve essere menzionato mai più. È un favore personale che mi azzardo a chiederle, signora Potter. Per me è una faccenda chiusa»
Quel che le aveva accennato le era piaciuto pochissimo. Dunque, quella sgraditissima presenza aveva aperto la bocca e spifferato ai suoi clienti quanto era accaduto anni addietro? Cosa voleva fare? Metterla in cattiva luce? Minare la sua credibilità professionale sulla base di rapporti personali defunti? Che l’avesse assoldato Elder? Impossibile, Tobias non aveva mai indagato sul suo passato, a lui interessava il presente. Comunque, non avrebbe permesso a quella storia di rovinarla. Avrebbe raddoppiato gli sforzi per concludere la ristrutturazione e consegnare ai Potter un autentico capolavoro di Archimagia, cancellando quelle inutili malelingue.
«Ttega!» cinguettò una vocina dal divano.
James saltò giù, dimenticandosi del gufo di pezza con cui stava giocando, e le corse incontro.
«Eccoti qua, piccolo rompiscatole»
Diversamente da quanto si era aspettata, Ginny vide la donna posare a terra la borsa ed  inginocchiarsi, quasi volesse trovarsi alla stessa altezza di suo figlio. Camille lo fissò a lungo, accennando un sorriso, subito ricambiata. Ripensò alle parole del Ministro, quando l’aveva messa in guardia su quel giovane rubacuori: “Stia attenta a non cadere nella sua rete o non ne verrà fuori”. Troppo tardi per opporsi, c’era finita in pieno e senza nemmeno accorgersene. Sospirò, chinando il capo.
Quel gesto fece impensierire il bimbo.
«Tu no piaggi, io abacio ttega!» e le si gettò fra le braccia, minacciando di farla finire a terra per il troppo slancio.
«Grazie, non ce n’è bisogno. Non ho pianto» mentì. «Però sei stato davvero in gamba e molto coraggioso»
Lo vide gonfiare il petto orgoglioso, piegando le braccine a mostrare muscoli inesistenti.
«Io foootte! Io Ghiffoddoho»
«Agrippa, speriamo di no…» sospirò Camille, recuperando il sorriso un attimo dopo. «Visto che, a quanto pare, tu non hai la minima intenzione di star lontano dai posti dove lavoro e considerato che ti sei dimostrato in grado di superare ostacoli più grandi di te, meriti un premio» e prese dalla borsa un nastro rosso, che tratteneva una medaglia d’argento.
Raffigurava la facciata di un palazzo, molto simile a quelli di Grimmauld Place. Il bambino guardò estasiato il regalo che gli pendeva dal collo, sul viso una gioia tanto grande da arrossargli le guance.
«Credo potrò insignirti del titolo di Capomastro. Ogni cantiere che si rispetti ne dovrebbe avere uno. Tu potresti essere il mio: sei sempre presente in loco, controlli le fasi di lavoro, tieni d’occhio gli orari… Ti và James Sirius Potter? Vuoi essere il mio Capomastro?»
«Caccomatto?» chiese, sfoggiando la solita aria furba.
Aveva sbagliato di proposito. Voleva giocare.
«Ca-po-mas-tro» scandì l’Archimaga.
«Ca-po-ma-tto» ripeté.
«Sì, può andare. Sei abbastanza fuori di testa da essere anche quello»

Ben arrivati a alix black, FrankyDamix, LaMiry, potterina88 e Tali. Come sempre rinnovo l’invito a farmi conoscere i vostri pareri.
Per Circe: che curiosa! Non posso dirti nulla, o toglierei il gusto della lettura. Anche se avviso, la storia non sarà molto lunga!
Per Foolfetta: stai tranquilla, la serietà di Francis è solo momentanea. Certo, dopo questo capitolo probabilmente farai fatica a crederci, ma è così. E il fatto che Camille sia un po’ severa con Lappie dipende solo dal fatto che sia un pochino svampita, non certo perché non le vuol bene!
   
 
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