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Autore: UchimakiPro    23/06/2010    3 recensioni
Quando c'è in gioco il destino del mondo, arriva il momento di decidere cos’è davvero importante. E il nemico più pericoloso è quello che si agita nel proprio petto. La storia di due donne, intrecciata indissolubilmente, che scorre a tratti sulle complici note di Tegan & Sara.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti ;)
Questa fanfiction in tre capitoli è stata uno dei regali dello scorso Natale per la mia splendida donna, e ora mi ha permesso di pubblicarla. Grazie in anticipo a chi la leggerà, e a chi si lascerà accompagnare dalle stesse canzoni con cui è stata scritta ;)
Zane (Sasuke Uchimaki)


Capitolo 1 – Tele e traguardi


Fuoco.
La terra trema, si sgretola sotto i piedi.
Non riesco a vedere il cielo, non so più in che direzione è. Nero, e rosso.
Corro.
Non riesco a contare le voci che mi rimbombano assordanti nella testa implorando aiuto, sovrapponendosi e confondendosi. E’ troppo, la sento esplodere.
Corro più veloce.
Pezzi di abitazioni si abbattono fragorosamente al suolo. O forse sono sotto terra, e questa è la superficie che mi crolla addosso?
Non riesco più a…
Una piccola luce, lontana nel buio. Se solo riuscissi a raggiungerla.
Vedo la mia mano tendersi…
Che cos’è?
No, non voglio afferrarlo.
Sento il coro in tormento di voci cessare, un solo sussurro dolce ma colmo di dolore chiamare distintamente il mio nome. Una voce di donna.
No! No! Io non c’entro nulla! Voglio andare via… Io…
La terra trema sempre di più. Sono le scosse, questo rumore agghiacciante che mi sta dilaniando il petto? O è il mio nome urlato da tutti gli abitanti del pianeta?
Smettetela!! Basta!!
Io non…

 La strada era deserta, alzò appena una mano per far passare il vento tra le dita. L’aspetto irreale di quello spazio aperto era un dono delle prime luci dell’alba. Si sfilò il casco, era lontana dal mondo.
 Sorrise impercettibilmente mettendo in moto, e come ogni volta si sentì tornare in vita. Veloce, inseguiva il vento.
 Adorava quel suono violento, quella forza terribilmente esaltante, sferzante contro la pelle che sembrava però goderne. Il sangue pulsava più forte contro le tempie, ruggendo di una libertà tanto invocata.
 Più veloce, ancora un po’, e sarebbe riuscita a fondersi con il vento.
 Haruka Tennō faceva quello stesso terribile sogno tutte le notti. Se qualcuno lo avesse saputo, avrebbe smesso di chiedersi come mai ultimamente stesse passando più tempo in moto che a fare qualsiasi altra cosa.


 Seduta sul bordo della piscina, la ragazza fece scorrere la punta delle dita sulla superficie dell’acqua. Movimenti lenti, eleganti e delicati. Uno di quei particolari che sanno catturare gli sguardi, e ti fanno sentire al cospetto di qualcosa che trascende meravigliosamente questo mondo.
 Se si dovesse descrivere Michiru Kaioh, quel gesto sarebbe ciò di più vicino alla sua persona. Almeno esteriormente.
 Quanti invece, riconoscerebbero l’essere di Michiru nelle passionali pennellate con le quali sfogava la tempesta dentro di sé, per tenerla a freno? Nei movimenti decisi del suo braccio e negli scatti veloci della sua testa mentre infondeva la sua anima nelle corde del violino?
Probabilmente nessuno.
 Eppure Michiru era lì, in quelle note disperate, in quelle tele ribelli.
 E se qualcuno avesse saputo qual’era la sua missione in quel momento, avrebbe smesso di chiedersi perché qualcosa fosse cambiato, nella sua musica e nei suoi dipinti.


Aveva vinto.
 La corsa di stavolta era stata più combattuta del previsto. Seduta, la schiena al muro e gli occhi chiusi, Haruka si godeva lo scorrere delle ultime scintille di adrenalina nelle vene.
Magari potessi vincere altrettanto facilmente contro me stessa.
 Mise a tacere qualsiasi pensiero infilandosi le cuffie, volume massimo, come sempre.

"all I have to give this world is me, and that's it
and all I have to show this world is me, and that's it
and all I have to face this world is me, and that's it
just me
just me
just me"

Fino a quel giorno, per lei esistevano soltanto le piste. Fino ad ancora qualche minuto più avanti.

- Tennō!-

"faced ourselves in the mirror last night
to learn who we are
so when we yell we're right
it's a big competition to get to the top
common stereotypes put us up
encouraging us not to stop"

 Lei era Haruka Tennō. Brillante, piena di talento. Combattiva.
 Nulla avrebbe potuto distrarla dal suo obiettivo. Lei era diversa da qualsiasi altra persona, uomo o donna che fosse. E vinceva sempre.
 Era la più forte di tutti, la migliore.
 Finchè esistevano soltanto le piste.
 Haruka Tennō, quella che non ha bisogno di nient’altro che di quell’adrenalina. Quella che parlava soltanto con il vento.

"don't you ever want to change
don't you ever want to change
don't you ever want to change
don't you ever want to change"

-Tennō! Sei qui??-

Svogliatamente si sfilò le cuffie, aprì i severi occhi blu e si tirò su in posa sfrontata.
Perfetta. Come sempre. Si lasciò sfuggire un sorrisino di autocompiacimento.
«Rieccola, è quella tipa con i capelli rossi. Come si chiamava? Acc…aspetta, ormai la conosco da un po’, dovrei ricordarmelo. La prossima volta prenderò nota. »
-Tennō, c’è una persona che vuole conoscerti, dai vieni!-
La “tipa con i capelli rossi” le fece entusiasticamente cenno di avvicinarsi. Chissà perché era così esaltata ogni volta che la chiamava.
-Arrivo subito.-
«Mmm… Eveline? Elizabeth?»
In qualsiasi caso, non le importava.
 «Massì, sarà Eveline. Sei sempre un genio Haruka.»
 Salì i gradini mantenendo il suo sorrisino. Si bloccò quando sentì il vento stranamente agitato, i battiti del cuore si velocizzarono, seguendolo obbedienti.
Scosse la testa e avanzò incurante.
-Ecco qui la nostra campionessa!-
Il suo sguardo basso si posò sulla piccola scritta sulla tuta della ragazza che l’aveva appena presentata.
“Elsa Gray”
«tsk! C’ero quasi…»
- Questa è Michiru Kaioh. Promettente violinista e brillante pittrice. Voleva incontrarti.-
-Complimenti per la vittoria, Haruka-san.-
-…!-
Alzò la testa di scatto, quella voce gli aveva tolto il fiato.
Vi è mai capitato di posare lo sguardo su qualcosa, e sentirlo troppo per i vostri occhi? Sembra quasi che i vostri sensi vi stiano sadicamente ingannando, che non possa esistere davvero qualcosa del genere. E vi sentite piccoli, insignificanti. Immeritevoli di tanta bellezza, e nonostante tutto non smettete di inondarvi gli occhi di essa, come a volerne conservare gelosamente la vista per tutta la vita.
Vorreste sparire, e osservare in silenzio dal nulla, chiedendovi come avete fatto a guardare il mondo fino a quel momento senza cercare un simile piacere totale.
 A confronto, il magnifico  tramonto che per un attimo ho visto oltre la sua spalla, si dovrebbe vergognare per l’eternità.
Sono pronta a giurare che questa ragazza sia l’apparizione di una divinità.

-Oops… vi lascio sole! Devo andare!!-
Elsa si dileguò con una risatina complice, ma Haruka non si accorse di nulla.
La sua attenzione era completamente rivolta a quella creatura. Era la prima volta in vita sua che si sentiva così.
-Però… Non hai fatto del tuo meglio. Io penso che tu ti sia trattenuta, giusto?-
Tentò di regolarizzare il respiro, non far tremare la voce.
Sapeva che esteriormente il suo aspetto altezzoso poteva essere sempre lo stesso.
-Che intendi dire?-
Vide chiaramente lo sguardo di quella ragazza offuscarsi per un attimo, lei esitò qualche secondo, prima di sussurrare ciò che segnò la fine dei giorni tutti uguali di Haruka Tennō.
-Tu puoi udire il suono del vento, giusto?-
Un’ondata d’acqua ghiacciata non sarebbe stata altrettanto forte. Haruka capì dove aveva già sentito quella voce. Indietreggiò di un passo.
-Non so di cosa parli. Ad ogni modo, cosa vuoi da me?-
Una chiara crepa nel suo sorrisino strafottente. Le tremavano le gambe, voleva correre via.
 La ragazza si portò una mano al petto, cosa voleva da lei?
-Vorresti fare da modella per un mio dipinto?-
Era una bugia, vero? Sì, doveva esserlo, eppure sembrava così terribilmente sincera.
«Un dipinto? Io? Ma di cosa sta parlando?… Mi prende in giro?»
Ma in quel momento la sola cosa che importava era andare via da lì, deglutì.
-Naaa. Non mi piacciono questo genere di cose... Ora scusami, ma devo andare.-
Sì voltò velocemente, iniziando subito a camminare.
La ragazza rimase in silenzio, non poté vedere il suo sguardo. Ma qualcosa le diceva che se lo avesse fatto, la sua perfetta apparenza sarebbe irrimediabilmente crollata.

 La moto di Haruka correva veloce sull’asfalto, salvandola ancora una volta da tutto ciò che avrebbe potuto ferirla.
 Quella ragazza… sapeva tutto.
 Ed era incredibilmente bella. Ma questo era un altro discorso!
 Come faceva a saperlo? Perché? E lei, perché era scappata così?
 “Vorrei proprio sapere se c’è qualcuno al mondo, che possa spiegarmi anche solo una minima cosa di quello che mi sta succedendo!”
 Pensava questo, ogni volta che si risvegliava da quei sogni in un bagno di sudore.
 Eppure aveva reagito in quel modo.
 Perché sapeva soltanto scappare?
 Accelerò senza pensarci.
 Comunque, poteva benissimo essersi confusa. Aver capito male.
 Sì, Michiru Kaioh poteva essere semplicemente una donna bella da far impazzire chiunque. Che voleva farle un ritratto.
Cazzo. Un ritratto.
Poteva essere soltanto questo.
Stai scappando di nuovo, Haruka…
In qualsiasi caso, non era così tanto fuori di sé da non aver notato la divisa che indossava.
Poteva davvero riuscire a scappare da quella ragazza, ogni giorno di scuola?
Imprecò silenziosamente e accelerò ancora.


 Michiru non avrebbe mai immaginato, nella sua vita, di ritrovarsi seduta al tramonto sugli spalti di una pista da motociclismo.
 Odiava perfino le corse. Uno stupido inseguirsi di gente che non sapeva fare altro, piloti arroganti e pompati dal loro far nulla, sempre circondati da folle rumorose.
 E questo sentimento non aveva fatto altro che acuirsi, la prima volta che aveva sentito parlare di Haruka Tennō.

-Dio, hai visto quanto è figo??-
-L’ho visto, non posso credere che faccia davvero parte del nostro istituto!-
 Vorrei tanto poterle ignorare, ma sono sedute proprio dietro di me. E interferiscono non poco con la tranquillità con la quale preferisco mischiare il colore.
-Ragazze, di chi parlate?-
Non che muoia dalla voglia di saperlo, ma visto che non posso fare nient’altro…
-Ma come, non lo sai?-
-Kaioh è sempre l’ultima a sapere le cose.-
Ridacchiano.
 Beh, è la verità. E ci tengo a dire che me ne vanto.
-Abbiamo avuto la fortuna di incrociare il famoso Tennō nei corridoi!-
-Quanto è bello!-
-Ci ha sorriso!!-
 Mm…forse avrei dovuto trattenere lo sbadiglio. Voglio tornare a dipingere.
-E’ un pilota, lo sai?? E anche bravo!-
-Scommetto che non lo batte nessuno!-
-Ne parlano tutte, speriamo che nessuna ci abbia anticipato!-
Ridacchiano ancora.
Un pilota…come immaginavo, non era nulla per il quale valesse la pena domandare.
Sospiro e torno a dedicare la mia attenzione alla tela.

Il tempo passa così velocemente mentre dipingo, sono già andati via tutti.
 Allontano un po’ il viso per osservare il mio lavoro. Sono abbastanza soddisfatta.
Finirà anche questo nella mia camera.
Sospiro…
Sfioro con la punta delle dita la superficie, il colore non è ancora asciutto. Vi appoggio tutta la mano, la faccio scorrere fino alla fine. Osservo la traccia informe che lascia. Il blu si mischia con il verde, finiscono entrambi nel rosso, non si distingue più nulla. Cosa importa? Tanto avrei dovuto guardarlo soltanto io.
Se non ha un senso, meglio che non esista.
Socchiudo gli occhi…
 -Riuscirò a trovare qualcuno al quale valga la pena dedicare un mio dipinto?-
Oddio…sto facendo domande alla mia tela.
Beh, dopotutto perché no. Ha sicuramente un QI più alto dei miei precedenti interlocutori.
Sospiro…
La mia vita è un continuo tornare al punto di partenza.

 Tutte queste persone, cosa ci fanno qui? Non credo di aver mai visto una sola di loro impegnarsi davvero in qualcosa. Sprecano i loro giorni in futili chiacchiere, vuoti ripetersi di azioni tutte uguali. E anche se provi ad avvicinarti, cosa ne ricavi?
“ciao! come va?”
“tutto bene! tu?”
“tutto bene! e i voti?”
“spero di cavarmela! e il ragazzo lo hai trovato?”
 È tutto così meccanico e privo di significato da farmi venire la nausea.
 Mi chiedi come va? cosa dovrei rispondere?
La verità? Non capiresti neppure tra cent’anni.
E poi… dubito fortemente che nel loro ristretto vocabolario il termine Verità sia incluso.
 O se lo è, è ricoperto anch’esso di strati e strati di parole vuote, fino ad esserne completamente deviato. In sostanza, perché dovrei provare a parlare davvero con loro?
Uno sforzo sprecato.
 Tutti nelle loro uniformi, non credo di riuscire a distinguerli uno dall’altro. Mi superano velocemente, non vedono l’ora di uscire dall’istituto.
Eppure sono troppi quelli che si fermano a salutarmi. Quanti sorrisi.
Com’è brava Michiru. Com’è bella Michiru.
Sospiro…
Cosa posso fare per togliermeli di torno?
Prendo una deviazione, posso uscire dal lato della palestra.
 Cammino con calma, tanto non ho nessuna fretta. Una raffica forte di vento mi fa cadere i quaderni dalle braccia. Così all’improvviso? Eppure fino a qualche passo fa era tutto così calmo.
 Era tutto così immobile, nella mia vita. Fino a qualche passo fa.
 Se non sapessi che è impossibile, giurerei che questi soffi di vento opposti si siano concentrati solo in questa zona. Si scontrano, si rincorrono. C’è qualcosa di così sofferente in questo scatenarsi.
 Sofferente? Che cosa sto dicendo? È solo vento.
 Eppure sento che mi fa male…
 -Non prendermi in giro! Credi che io non abbia capito dove stai andando??-
 -Io posso andare dove mi pare! E ora mi lasci!-
…!
 Oddio, forse sto assistendo a qualcosa che non dovrei vedere.
 -Non vedi in che condizioni sei? Ti rendi conto che è rischioso??-
 Non sono una che si fa gli affari degli altri. Credo che me ne andrò alla svelta…
 -Non me ne importa nulla!-
...quella voce.
 Tutto ciò che quella voce è riuscita a scuotere dentro di me.
In quel gridare c’era ben’altro che la rabbia minacciosa che voleva dimostrare.
Mi volto, e in attimo so con certezza che non me ne andrò da qui in fretta come pensavo.
Capelli biondi come il grano, un viso delicato dalla pelle candida…
Oddio, è bellissimo.
Sussulto quando mi accorgo dell’occhio nero, così gonfio da essere quasi chiuso. Deve non vederci praticamente nulla da quella parte.
È bellissimo lo stesso. Chi ha avuto il coraggio di rovinare un viso così?
 Perché?
 A tenerlo per un braccio è uno dei nostri professori. Deve sapere tante cose di quel ragazzo, mi ritrovo a pensare che vorrei essere lui in questo momento.
Vorrei essere io a stringere la mano sul suo braccio, ad avere il suo sguardo nel mio.
 Ma che cosa vado a pensare?
-Idiota! E se ti sorpassano da questo lato? E se gli vai addosso? Non hai equilibrio! Perché non rinunci almeno stavolta??-
-Lei non capisce! Io devo farlo… è tutto ciò che mi rimane!-
Il professore resta muto, forse ha capito che è tutto inutile.
O forse ha sentito anche lui quel brivido attraverso tutto il corpo.
 La sua voce muove le corde più profonde dentro di me.
 Nessuna barriera, tra la tempesta furiosa dentro di lui e le sue parole.
 Un bisogno disperato. Bisogno di riversare se stesso dentro qualcosa, o si distruggerà.
 So cosa vuol dire.
-Haruka…non ti chiederò cos’hai fatto per ridurti così. Me ti prego, cerca di distinguere cos’è davvero importante da ciò che non lo è.-
Il ragazzo si sistema con cura l’uniforme, si mette in spalla il borsone. Afferra con incrollabile orgoglio il casco blu intenso che deve averne viste tante.
-È esattamente ciò che faccio, professore.-
Il mio sguardo lo segue fino all’ultimo.
Haruka.
Mi rendo conto che il mio cuore sta battendo talmente forte, che ho paura possa sfuggirmi dal petto da un momento all’altro.
 Credevo che le persone così esistessero soltanto nei miei sogni senza speranza.

 Non c’è stato un solo attimo del resto della giornata… io cui io abbia smesso di desiderare con tutta me stessa che non gli accadesse nulla di male.

 
Sorrise, immaginando quale dovesse essere stata la propria espressione il giorno seguente, quando sul giornale della scuola pubblicarono un articolo dedicato alla vittoria di Haruka Tennō. Con tanto di foto. Quel Tennō.
 Eppure, fra l’invincibile sorriso sfrontato di quella foto, e la creatura che aveva sconvolto la sua giornata come una raffica di vento, c’era una distanza incolmabile.
 Non sembrava esserci più neppure un ricordo sfocato, della fragilità dell’anima in bilico. Della voce che aveva avvolto il suo cuore in una spirale di emozioni allo stato puro.
 Michiru non si stupì, aveva visto mille volte cambiamenti del genere.
 Ogni mattina, dallo specchio della propria camera, a quello alla soglia di casa prima di uscire.

 Quanto si era sentita stupida ad iniziare a seguire le sue corse da quel giorno.
Sarà anche bravo, ma solo un idiota corre simili rischi non necessari.
Alla prossima follia, ci sarò io a fermarlo!
La generosa motivazione che ripeteva a se stessa non resse per molto. Haruka in pista era un vero spettacolo. E poi, dio, era bello come il sole.
Non si perse più neppure una sola corsa.
 La sua determinazione, la forza che sembrava trapelare da tutto il suo essere, quella sfrontata sicurezza, il modo avido di afferrare la vittoria. Il suo sapere esattamente chi era, cosa voleva, cosa avrebbe ottenuto. Tutte le cose che rendevano quella persona così diversa da lei, l’avevano catturata senza pietà, era un meraviglioso pensiero fisso.
Mentre io continuo a girare attorno al punto di partenza… Haruka taglia il traguardo.
 Ma Haruka era anche il respiro affannato dopo la corsa, il tremore delle mani prima di salire in moto, la testardaggine irragionevole, i giorni di assenza prima di una gara importante e quelli dopo una cocente sconfitta. Piccoli, preziosi frammenti del suo mondo che Michiru raccoglieva nelle mani.
 Osservava tutto, e ogni particolare non poteva far altro che piacerle. Anche le corse avevano assunto un significato completamente diverso.
Intanto, il cielo diventava sempre più rosso. Si strinse le ginocchia al petto, i gradini degli spalti erano freddi.
 Non capiva perché proprio in quel momento i ricordi si stessero ammassando uno sull’altro, ma non fece nulla per frenarli.
 Si chiedeva quando avesse iniziato ad osservare Haruka anche al di fuori delle corse. Fatto sta che era successo, ed era così felice ogni volta che ne scopriva qualcosa di nuovo. Qualcosa di prezioso, da poter tenere per sé in silenzio.
 No, non si sarebbe mai avvicinata. Andava bene così, le bastava sapere che esisteva.
 E pensare che fu proprio l’unica volta in cui non lo stava osservando di proposito, che scoprì la cosa più importante. O forse importante non lo era affatto, per lei?



 Aveva dimenticato i pantaloncini negli spogliatoi della palestra dopo l’ora di ginnastica. Era tardi, ed era in ritardo per la lezione privata di violino.
 Cose che sommate insieme rendevano Michiru molto nervosa.
 Così, nonostante si fosse accorta che c’era ancora qualcuno nelle docce, entrò senza pensarci.
 Neppure si accorse di quello che stava per vedere, aveva ignorato fatalmente la tuta da motociclista appoggiata sulle panchine.
 E scoprì perché Haruka Tennō faceva sempre la doccia quando erano già andati via tutti.
Si nascose appena in tempo, per poco non si lasciò sfuggire un urlo.
Una donna.
Senza dubbio. Come faceva a nascondere sotto l’uniforme scolastica quelle curve sinuose? Oddio, forse doveva smettere di osservarla.
Una donna, chissà cosa avrebbero detto tutte le oche che le andavano dietro.
 Com’era candida la sua pelle accarezzata dall’acqua… e doveva essere anche incredibilmente morbida. Chissà come sarebbe stato toccarla…
La osservò chiudere il rubinetto.
Forse ora doveva proprio andare.
Si godette la vista degli ultimi piccoli ruscelli d’acqua che scivolavano sul suo corpo. La vide voltarsi appena, i capezzoli imperlati di gocce.
Oh sì, doveva proprio andare.
Afferrò i pantaloncini e corse via velocemente.
Il bellissimo ragazzo biondo che aveva osservato con febbricitante batticuore fino a quel momento era una donna. Dovette ammettere che aveva fatto di tutto per non notare certi particolari fin troppo chiari ai suoi occhi.
 Quel modo così elegante di camminare. Il gesto frequente e vezzoso del ravvivarsi la frangia. La stessa soddisfazione vanitosa del sapersi adorata.
 Le affascinanti ciglia lunghe, le labbra piene.
 Tutte cose che, ad ogni modo, le piacevano da impazzire.
 Una bellissima donna.
 Ma lei cosa avrebbe fatto ora?

 Da quel momento, contro la propria stessa aspettativa, iniziò ad osservare Haruka ancora di più.

 Rise tra sé, eppure non si era mai avvicinata.
 Ma il suo sorriso si spense subito. Si strinse di più a se stessa.
 Mai, fino ad oggi.
 Alzò lo sguardo umido, non si era accorta di quanto fosse bello il cielo quella sera.
 Si era sempre chiesta perché gli spettatori non la smettessero di guardare quegli stupidi inseguimenti in pista, non alzassero gli occhi e si accorgessero di qual’era il vero spettacolo. Da lassù il panorama era splendido.
 Però alla fine, una risposta almeno per sé l’aveva trovata.
 Ovunque ci fosse Haruka, era un posto che valeva la pena di essere guardato.
 Non riuscì più a vedere nulla quando le lacrime divennero prepotenti, si prese il viso tra le mani.
 Perché lei?
Perché proprio lei?
Non basta tutto quello al quale ho già rinunciato io?
Haruka è…
 Il sole si spense completamente nell’orizzonte, e il manto nero della notte inghiottì vorace l’ultima luce.
 Michiru Kaioh prese un profondo respiro. Non poteva permettersi di piangere per sciocchezze simili.
 La Missione è più importante di qualsiasi altra cosa.
 Si alzò, pronta ad allontanarsi dal luogo dove aveva parlato per la prima volta con lei. L’unica persona al mondo che avesse dato un senso alle sue giornate.
 E con il buio profondo nel cuore, si preparò a distruggere quella sua vita vincente.


 Stavolta, neppure il volume alto della musica che rimbombava nel piccolo monolocale riusciva a coprire i suoi pensieri.
 Voleva davvero credere di essersi sbagliata?
Ok Haruka, e se anche fosse? Che intenzioni avresti con lei?
 Rotolò ancora sul letto, si mise a fissare il soffitto con occhi persi.
 Non aveva mai visto una donna così bella, in tutta la sua vita.
 E di donne, purtroppo, ne aveva viste tante. E le avevano portato soltanto guai.
 Sospirò voltandosi di lato.
 Beh, non che non si fosse accorta già dalle primissime pulsioni cosa le interessasse. All’inizio la buttava sul gioco, aveva fatto di tutto per ignorarlo il più possibile, tenendosi fuori dal mondo dei ragazzini della sua età. Quel mondo fastidioso che per lei girava al contrario.
 Il fatto che si vestisse da maschio fin dalle elementari, era un altro discorso.
 Non aveva mai detto di essere un maschio, la gente capiva quello che gli pareva, e a lei non piaceva contraddire. Al liceo aveva semplicemente scelto la divisa maschile, e il resto era andato da sé.
 Stava così bene, vestita in quel modo. Al sicuro. Forte. Poteva essere un maschio anche meglio di quanto ci riuscisse un maschio.
 Il solo modo che conoscesse di affrontare il resto del mondo. E se stessa.
 Poi un giorno, prima dell’allenamento, quella ragazza che…
…Eveline?
…Elsa Gray, le chiese se le andasse di seguire lei e le sue amiche in un locale.
-Che locale?-
Lei rise, mi diede una pacca sulla spalla.
-Dai, come se non si capisse! L’ho notato fin dalla prima volta che ti ho vista.-
Davvero?... Io di lei non avevo notato nulla.
 Comunque sia, il locale non era male. A fine serata, Elsa le regalò uno dei suoi orecchini, un cerchietto dorato. Lei ne portava sempre uno solo.
-È una specie di simbolo! Portalo con orgoglio!-
 Fatto sta che continuò a frequentare quel posto. Gli approcci non tardarono ad arrivare, con proposte più o meno spudorate, e scoprì che questo le piaceva.
 Non diceva mai di no a una bella donna.
Presto iniziò ad andarne a caccia, amava vantarsi delle sue infallibili tecniche.
 Non c’è paragone tra me e un maschio. Dovrebbero inchinarsi.
 Aveva gli occhi di tutte addosso. Amiche o nemiche che fossero, nessuna poteva negare l’evidenza.
Ma ognuna di loro non era che effimero mezzo di autocelebrazione, fugace soddisfazione della quale si stancava irrimediabilmente.
 Anche per loro in fondo, io non ero che un vanto. Come avrebbero potuto tenerci realmente?
 Nessuna di loro avrebbe mai potuto affacciarsi neppure per un istante sul baratro profondo del suo io. Stava sempre ben attenta a non permetterlo.
 Aveva già comunque deciso di smetterla, quando successe.
 Una ragazzina viziata non accetta mai di essere lasciata. Non prima di aver portato a termine qualche sconsiderata vendetta, che importa se per lei sarà solo un attimo di gloria, e per l’altra persona l’inizio di un inferno? Una semplice telefonata.
 Poteva almeno venire a casa, avrei avuto il tempo di spaccarle la faccia.
 E così successe quello che aveva sempre accuratamente evitato: i suoi lo vennero a sapere.
 L’inizio di un inferno molto lungo.
 Ricordava perfettamente che una volta aveva rischiato di perdere una corsa a causa di un occhio troppo gonfio. Beh, forse aveva rischiato di perdere ben altro.
 Ora che ci penso, è un miracolo che non sia finita male, quando mi hanno sorpassato su quel lato…
 Comunque sia, almeno aveva la scusa per smetterla definitivamente con quella storia.
 Da quel momento esistevano solo le piste.

Però… lei.
Un viso così splendido… Come potrebbe mai fare del male a qualcuno?
 Non si era mai sentita così. La grande Haruka Tennō che sognava ad occhi aperti come un effemminato del dolce stil novo.
Però…L’espressione del suo viso quando le aveva chiesto del dipinto, non sarebbe mai riuscita a togliersela dalla testa. Sembrava stare raccogliendo tutto il suo coraggio.
 Adorabile…
 Ma, com’era possibile che lo volesse davvero? Si erano appena conosciute.
 E poi, un essere di una bellezza così pura, dai gesti così delicati. Superiore a qualsiasi altro.
Perché dovrebbe sprecare il suo tempo a ritrarre una come me?
 Rotolò ancora sul letto, affondando il viso nel cuscino. Vi si nascose, stringendolo forte. Chi voleva ingannare?
 Una come lei. Sapeva soltanto scappare.
Vigliacca.
 Sapeva soltanto nascondersi.
 Meglio che quello che c’è sotto non si veda.
 Ne era assolutamente certa, a quella ragazza sarebbe bastato anche un solo sguardo su ciò che era veramente, da farle passare tutta la voglia di ritrarre un essere del genere. Se davvero di voglia ne aveva.
 Forse la stava soltanto prendendo in giro.
 Perché non farlo? Credo che al suo posto lo farei.
 Dopotutto, la grande Haruka Tennō era soltanto una sbruffona. Con un ego smisurato e un’incrollabile fiducia nelle proprie capacità.
 Valgo meno di zero.
Chi voleva ingannare?
 Strinse più forte il cuscino.
È davvero colpa mia se va sempre tutto a finire male?…
 No, no. Le lacrime no.
 Ecco un’altra cosa che aveva sempre odiato di sé.

"Nobody likes to
But I really like to cry
Nobody likes me
Maybe if I cry
Nobody
Nobody
Nobody
Nobody"

 Le note le rimbombavano nella testa, mischiandosi con i pensieri accavallati, offuscati dalla tarda ora della notte.

"Encircle me, I need to be taken down
Encircle me, I need to be taken down
Encircle me, I need to be taken down"

Michiru… Michiru… Michiru… Michiru…
 Ricordo il suo nome e l’ho sentito una volta sola… ecco, lo sapevo che era grave…






Le canzoni di questo capitolo sono, in ordine:
Just me
The Con
(Tegan & Sara)
  
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