Serie TV > Criminal Minds
Segui la storia  |       
Autore: JoJo    24/06/2010    5 recensioni
Washington DC. Degli omicidi estremamente cruenti richiedono l'intervento del team di profiler della sezione di analisi comportamentale dell'FBI. E non solo il loro, in effetti...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie '49 ways to live'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Blu scuro, è il colore della notte dove si concentrano
e si bloccano i nostri occhi, le nostre orecchie, le parole,
tutto quanto.
-Banana Yoshimoto

“Voglio che sia riesumato il corpo.” sentenziò Stein, lo sguardo determinato e la bocca stretta in una linea dura.Alaska fece una smorfia preoccupata, mentre guardava il proprio capo formulare quella richiesta e poi riposò lo sguardo su Hotch, che aveva alzato gli occhi severi sull'antropologo senza nascondere il proprio disappunto per quella mancanza assoluta di gentilezza.
“Riesumare il corpo?” ripetè, alzando un sopracciglio, ben sapendo che il vecchio si riferiva alla prima vittima che era stata seppellita in una tomba senza nome dopo che la sua morte era stata classificata come incidente d'auto.
“E' quello che ho detto.” confermò Stein in un borbottio.
La ragazza fece qualche passo verso la scrivania, gli occhi grandi e innocenti “La dottoressa Tanaka non ci ha ancora dato il permesso di rimuovere i tessuti, e per quanto possa essere interessante utilizzare gli strumenti ipertecnologici che il governo federale ci ha messo a disposizione, per farvi sapere qualcosa di utile alla svelta dovremmo davvero analizzare qualcosa di concreto.”
“Perchè gliel'hai ripetuto?- sbottò Davon, fulminandola con lo sguardo- Hai solo sprecato fiato allungando qualcosa che avevo già eccellentemente sintetizzato io!”
Hotch ignorò quel commento “Non avete davvero scoperto niente finora?”
“Dire che non abbiamo scoperto niente sarebbe inesatto...” iniziò a dire Alaska, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore.
“Da quanto si vede dalle radiografie e dal rapporto presentato da Quarantanove sugli schizzi di sangue, non abbiamo trovato alcuna corrispondenza.” rivelò quindi Stein, appoggiando ancora di più il peso sulla stampella che lo sorreggeva.
“Sarebbe a dire?” domandò il capo dell'unità di analisi comportamentale aggrottando le sopracciglia.
L'antropologo alzò gli occhi al soffitto, come se fosse scocciato dal fatto di spiegare una cosa tanto elementare, ma Ross, intuendo che avrebbe dato l'ennesima rispostaccia, parlò al suo posto “Sulla carta, al momento, il modo in cui è stato ucciso Bill Port non coincide con il sangue ritrovato sulla scena.”
“E da qui ritorniamo al fatto che esigo quel cadavere al più presto.- ribadì Davon- Quando avremo fra le mani delle ossa vere e non delle stupide radiografie riusciremo a raccapezzarci di quanto ora ci sfugge.”
“D'accordo.- acconsentì Aaron, mettendo mano al telefono per ordinare immediatamente quella riesumazione- Alaska, tu puoi procedere anche all'identificazione?Ci sarebbe utile per la vittimologia.”
“Dipende dalla condizione dei resti, ma sono certa di poterci provare.” confermò la ragazza con un largo sorriso sul volto, felice di rendersi utile
“Non appena avrà finito di fare il suo lavoro, ovvero assistermi.” disse prima di uscire dall'ufficio di Hotch col suo passo sciancato.
Alaska fece roteare gli occhi teatralmente prima di mimare uno “Scusalo” in direzione dell'uomo in giacca e cravatta seduto alla propria scrivania.


Circa mezz'ora dopo, gli uffici vicino al laboratorio forense assegnato ai due consulenti esterni era nel caos. Analisti e membri della scientifica abbandonavano i propri posti di lavoro per passare, con una scusa qualsiasi, di fronte alle pareti di vetro di quella grande e caotica stanza, solo per dare una sbirciatina a quello che stava succedendo al suo interno. Tuttavia, si dileguarono tutti non appena il volto irato dell'antropologo di cui avevano sentito tanto parlare e la faccia, altrettanto furiosa, del loro capo ritornarono ad imperversare in quei corridoi sempre brulicanti di gente.
Davon Stein spalancò la porta con violenza, permettendo alla melodia ritmata di diffondersi ancora di più oltre l'uscio di vetro rinforzato lungo gli intricati corridoi dei laboratori forensi di Quantico.
Alle sue spalle, la patologa Amy Tanaka si era pietrificata sul posto osservando inorridita la scena che si ritrovava di fronte. In quella piccola ala del laboratorio, il suo laboratorio, la dottoressa Ross si muoveva fra i tavoli colmi di provette, radiografie e campioni di tessuto seguendo il tempo di una canzone trasmessa a tutto volume da uno dei computer accesi. Non riusciva a cogliere le parole, che sembravano essere in una lingua straniera che non aveva mai sentito, ma era troppo orripilata da quella situazione per prestarci davvero attenzione.
“Quarantanove, cosa avevamo detto riguardo quell'orribile musica?” sbottò Stein a voce alta, cercando di farsi sentire al di sopra di quei suoni cadenzati conditi con versi rigorosamente in suomi.
Alaska sembrò accorgersi solo in quel momento della presenza dei due superiori e, per niente imbarazzata e senza nessun senso di colpa, si voltò verso di loro “Che è ottima per ballarci sopra e che rende il laboratorio più allegro mentre procediamo con le analisi?” domandò con tono allegro.
La dottoressa Tanaka la incenerì con lo sguardo “Spegnila immediatamente.” sibilò.
La ragazza sporse il labbro inferiore, in un'espressione imbronciata, mentre iniziava a spiegare “Ma è più facile per me lavorare così: ho una memoria di tipo plurisensoriale quindi se associo a ciò che vedo e tocco con mano anche dei suoni, non ho assolutamente bisogno di prendere appunti e tu, Davon, lo sai come la penso sullo spreco di carta e qui all'FBI non usano nemmeno quella riciclata!”
“Spegnila e basta.” tagliò corto Stein, senza nascondere quanto fosse infastidito dal fatto che per una volta si trovava d'accordo con la patologa di origini nipponiche.
“Così almeno riusciremo a parlare come persone civili.- si intromise Rossi, entrando nella stanza seguito da Reid- Sai che sentire musica a quel volume rischi di comprometterti i timpani?”
Alaska rivolse ai due profiler un ampio sorriso mentre spegneva le casse del computer.
“Pare che i federali non credano che abbiamo effettivamente fatto qualcosa oggi, perciò hanno mandato questi due ad interrogarci.” le spiegò Stein, mentre si lasciava cadere su una sedia e appoggiava la stampella di fianco a sé.
“Hotch ha detto che avevate qualcosa da comunicarci riguardo al modo in cui le vittime sono state uccise.” disse quindi Spencer, facendo saettare i suoi occhi scuri verso i tre scienziati. Si fermò per qualche secondo di troppo sul volto di Alaska e, contrariamente a quanto aveva pensato, non trovò alcun segno di cedimento o debolezza, a differenza di quanto aveva colto qualche ora prima. Forse, si ritrovò a pensare, aveva confuso quelle occhiaie nascoste dall'abbronzatura e probabilmente causate dal repentino cambio di fuso orario, per qualcosa di più problematico.
Tanaka riprese a parlare, sfogliando una cartella che aveva preso dal ripiano di fronte a lei “In effetti ci sono delle cose che forse potreste aiutarci a capire, visto la vostra capacità di intuire cosa passa per la testa degli psicopatici.”
Rossi fece una smorfia: non gli piaceva il suono della voce di quella donna e nemmeno come definiva il suo lavoro anche se, in effetti, aveva centrato il punto.
“Parla pure, Alabama,- continuò la patologa con tono di sufficienza, mentre guardava la ragazza che sembrava morire dalla voglia di spiegare quanto aveva scoperto- e ti prego sii normale, se ti riesce.”
Stein fece roteare gli occhi teatralmente mentre i due profiler e la donna si erano posizionati alle spalle della giovane antropologa per osservare lo schermo su cui aveva lavorato.
“Questa è la ricostruzione che ho fatto di quanto è successo.- esordì Alaska mostrando con un gesto della mano lo schermo del computer che aveva di fronte- Ho inserito nel pc i dati che ho raccolto sulle macchie di sangue e quelli riguardanti Bill Port, altezza, peso, stazza. Poi, ho aggiunto una figura standard con caratteristiche fisiche medie per interpretare l'assassino e gli ho assegnato un'arma arbitraria che potrebbe coincidere con quella usata realmente.”
“Che cosa hai usato?” si informò Spencer, gli occhi fissi sul monitor.
“Una mazza da baseball.”
“Uno degli sport americani per eccellenza.- commentò Dave- Chi non ne ha una in casa?”
“Io.” risposero all'unisono Alaska, Reid e Stein.
“Torneremo più tardi sul concetto di domanda retorica.-sbuffò la Tanaka- Ora vai avanti, Ohio.”
“E' proprio qui che nascono le stranezze.-continuò Ross alzando il dito indice- Da quanto io e Davon abbiamo potuto osservare dalle radiografie delle ultime due vittime, pare che siano effettivamente state picchiate con una mazza da baseball, o comunque qualcosa di simile...”
“Ma?” incalzò Rossi, che si aspettava una rivelazione da un momento all'altro.
“Ma le macchie di sangue dicono tutt'altra cosa.” concluse Alaska stringendosi nelle spalle.
Avviò la ricostruzione e sugli schermi che si trovavano sulla parete di quell'ala del laboratorio l'uomo, anonimamente grigio, che reggeva l'arma cominciò ad accanirsi sulla vittima, secondo uno schema cronologico elaborato da Stein in base alle fratture.
In rosso, era evidenziato come gli schizzi di sangue si sarebbero dovuti diffondere sull'asfalto e la parete attigua. Ross digitò qualcosa sulla tastiera e in pochi istanti l'immagine degli schizzi reali e di quelli ricostruiti si ritrovarono affiancate.
“Non coincidono.” osservò Rossi, spalancando gli occhi.
“No, infatti.” sospirò la ragazza, scuotendo piano la testa.
“Sei sicura di aver inserito correttamente tutte le variabili?- indagò Reid- Umidità?Temperatura?Caratteristiche esterne del luogo come la pendenza e....”
“Ho controllato più volte, Spencer.- gli assicurò Alaska stringendosi nelle spalle costernata- Non coincide.”
“I calcoli sono stati fatti correttamente.” tagliò corto Stein.
La dottoressa Tanaka si avvicinò allo schermo, con l'aria di sufficienza che la caratterizzava “Sulla scena mancavano totalmente le macchie passive.”
“Quelle dovute allo sgocciolamento dovuto alla forza di gravità.” spiegò Reid ad alta voce.
“Esatto.-confermò la donna prima di proseguire- Abbiamo invece schizzi a bassa e media velocità, che sarebbero adeguati alla nostra ricostruzione, ma oltre a quelli ce ne sono anche a velocità alta, e questo non ha senso: sarebbe dovuta esserci un altro tipo di arma a fare quello.”
“Devo assolutamente vedere quelle ossa da vicino.” ripetè Stein, per l'ennesima volta da quando era arrivato al BAU.
“Non ancora, Stein.” lo contraddì Tanaka.
I due luminari iniziarono a battibeccare come al solito e Reid e Rossi si ritrovarono a distogliere lo sguardo scioccati.
“Fanno sempre così?” domandò Dave ad Alaska, la quale si limitò a stringersi nelle spalle.
“Sapete- disse alzando gli occhi da quelle immagini sanguinolente- Washington non ha avuto una bandiera fino al millenovecentotrentotto. Negli anni venti hanno creato una commissione, presieduta da Dubois, per trovare un disegno adatto e hanno preso spunto dallo stemma di famiglia di George Washington.”
“Ah, sì?” ribattè Rossi, aggrottando le sorpacciglia confuso da quel cambio di argomento. Non era raro che Alaska facesse commenti totalmente casuali ma, doveva ammetterlo, rimaneva spiazzato ogni volta.
“Io lo sapevo.” si affrettò a dire Spencer.
Quello scambio di battute sembrò distogliere l'orientale dal proprio irritante collega “Dottoressa Ross la prossima volta che le viene in mente qualcosa di non pertinente con il suo lavoro, la inviterei a tacere.”
“D'accordo.-asserì Alaska, con una scollata di spalle- Posso assistere alle sue analisi mentre aspettiamo i resti della vittima non identificata?”
La Tanaka la guardò con una luce quasi divertita negli occhi scuri, credendo che fosse uno scherzo di cattivo gusto, ma quando vide serietà in quelli della giovane tornò alla propria espressione ostile “No.” buttò fuori, come se stesse sputando una medicina amara.
“E se le giurassi di stare in silenzio?” tentò di nuovo la giovane antropologa.
“Fammi pensare...no!” ribadì la patologa, inorridita dal pensiero di dover avere alle calcagna quella ragazza. Non sapeva esattamente cosa la irritasse di più, se l'aria da svampita da film in bianco e nero, o se quell'insopportabile buonumore che non sembrava mai abbandonarla. Ciò che sapeva è che si sentiva meglio se non l'aveva fra i piedi.
“La prego. -supplicò di nuovo Alaska- Voglio solo osservare le tecniche che utilizzerà.”
“Non mi interessa, questo non è un laboratorio didattico.” ribadì la dottoressa Tanaka, alzando il mento.
Stein sbuffò, anche se mentalmente registrò quella frase per riutilizzarla con chi si aggirava nel suo laboratorio del Maryland senza autorizzazione; nel frattempo Rossi e Reid erano incerti se potevano andarsene senza dover temere a una qualche conseguenza negativa per Alaska.
“E se glielo chiedo per favore, mettendomi in ginocchio?” continuò la ragazza, che probabilmente ignorava il significato di un rifiuto.
“Tu!- sibilò la donna, rossa in viso-Tu sei la ragazzina più irritante esistente sulla faccia della terra.”
Questa frase sembrò colpire Ross talmente che abbandonò subito la propria crociata. Dave la guardò scettico, incerto se interpretare positivamente quel silenzio improvviso.
“Non può dirlo.” disse con sguardo concentrato, riprendendo a parlare dopo qualche secondo.
“Come?” domandò Tanaka, alzando un sopracciglio.
“Beh,- iniziò a spiegare convinta la mora- per affermare una cosa del genere dovrebbe conoscere tutte gli abitanti del pianeta e non credo proprio che lei...”
“Ok, Quarantanove, è proprio il caso che tu ti prenda una pausa ora.” proruppe Stein, intuendo la tempesta che stava per arrivare.
“D'accordo.- trillò Alaska, come se quella proposta, di punto in bianco, fosse perfettamente logica- Avevo giusto fame.”
Trotterellò fuori dalla stanza e Reid e Rossi la seguirono, cogliendo al volo un'occasione per lasciare i due eccentrici luminari.


“Sapete- esordì Alaska, non appena si ritrovò davanti alla macchinetta che distribuiva merendine nell'area relax- non mi ero accorta di avere così tanta fame da quanto Davon non ha menzionato del cibo!”
“E' perchè eri impegnata in altro- si ritrovò a spiegare Reid, parlando a macchinetta- quando il nostro cervello è impegnato in attività diverse riusciamo a non focalizzare l'attenzione su certi stimoli. Come per il dolore: mia madre quando mi disinfettava i tagli quando ero piccolo esercitava una leggera pressione su un'altra parte del corpo di modo da impedire al mio cervello di concentrarsi sul senso di bruciore. Dipende dal fatto che...”
“Ok, abbiamo capito.-lo interruppe Rossi con un'occhiata rassegnata, prima di consegnare all'antropologa una banconota da un dollaro- Da quand'è che non mangi?Sei arrivata dall' areoporto e non ti ho vista fermarti un attimo.”
Ross alzò gli occhi celesti, riflettendo su quella domanda “Guatemala.” sentenziò infine.
“E...e da quand'è che non dormi?” indagò Spencer, che ancora non aveva abbandonato l'idea che qualcosa nella ragazza non andasse.
“Guatemala.” ripetè, con lo stesso tono gioviale.
In quel momento entrò nella stanza JJ, reggendo fra le mani un fascicolo che stava sfogliando.
“Oh!- esclamò quando alzò gli occhi su i due colleghi- Vi stavo giusto cercando...”
“JJ!” trillò Alaska, abbracciando di slancio la bionda con disinvoltura.
La donna la strinse in risposta, lanciando a Reid e Rossi un sguardo stranito da sopra le spalle.
“Mi fa piacere vederti, Alaska.” borbottò confusa, mentre si separavano.
“Mi è dispiaciuto non averti salutato, stamattina.- spiegò la ragazza- Davon dice che non rispetto gli spazi personali altrui e poi c'era la Tanaka, ero un po' emozionata perchè lei è una specie di mito, per me. Comunque i vostri laboratori sono fantastici, così grandi e tecnologici e...Credi che dovrei mandare una lettera di ringraziamento a qualcuno?Tipo al direttore dell'FBI o al presidente?”
“Alaska!” la richiamò Reid, col tono di un genitore che richiama il figlio troppo esuberante. Non ricordava quando avesse preso quell'abitudine, ma quando l'antropologa perdeva il filo del discorso in quel modo, sentiva il bisogno di riportarla sui giusti binari.
JJ fece una risatina, scambiandosi uno sguardo divertito con Rossi “Quindi, ti trovi bene qui?”
“Oh, sì, grazie!- continuò a parlare la mora, mentre estraeva una barretta di cioccolato dalla macchinetta- Sai, a Baltimora non avevo un attimo di respiro: c'erano i compiti degli studenti di Davon da correggere, seguire i tirocinanti per evitare che combinassero disastri in sala autopsie, chiamate da ogni punto della città per consulenze e rilevamenti...Devo dire che lavorare su un solo caso alla volta è decisamente rilassante.”
I tre la fissarono esterrefatti. C'erano diversi modi per definire quel caso: orribile, spaventoso...di certo non rilassante.
Alaska ci mise qualche secondo di troppo prima di decifrare le loro espressioni “Non che io ritenga rilassante trattare un caso del genere...- si ritrovò a giustificarsi-io volevo solo dire che...”
“Lo abbiamo capito, Alaska.- la rassicurò Dave, posandole una mano sulla spalla- Quindi ti trovi bene qui?”
“Molto.- sorrise Ross- In realtà sono tutti davvero carini con me, giù al laboratorio. Potrei abituarmici.”
Spencer non trattenne una smorfia infastidita “Non ne dubitavo.” sbottò.
“Di cosa?” gli domandò la ragazza, fissandolo interrogativa.
“Del fatto che siano tutti carini con te.” borbottò di nuovo, distogliendo lo sguardo.
JJ e Rossi capirono immediatamente qual era il problema del giovane collega.
“Perchè?” chiese di nuovo Alaska, sinceramente confusa.
“E' molto difficile non trovarti simpatica se sei aperta e affettuosa con tutti quelli che incontri.” berciò Reid, con un tono più secco di quanto si aspettasse.
L'antropologa spalancò gli occhi e lo guardò stranita, non afferrando completamente il perchè di quel commento.
“Quello che Reid voleva dire- intervenne Dave per salvare la situazione, avvolgendo un braccio intorno alle spalle della ragazza e stringendola in un mezzo abbraccio paterno- è che sei una ventata di aria fresca qua dentro. Una novità dai grandi occhi azzurri e un bellissimo sorriso, è ovvio che tutti siano carini con te.”
“Ok, forse non proprio tutti.” rettificò, pensando alla Tanaka e agli sguardi fulminanti che rivolgeva ad Alaska.
“Uh, noi dobbiamo andare.” aggiunse JJ, lanciando uno sguardo carico di significato a Spencer, che se ne stava in piedi impacciato, appoggiato ad un mobile.
“Andare?” indagò, uscendo dal suo stato di trance.
“Sì, a fare una...cosa.” confermò incerta, mentre anche Rossi capiva le intenzioni della donna.
Alaska cercò di seguirli verso l'uscita “Vi serve una mano?”
“Oh, no.-assicurò JJ agitando i palmi- Voi due rimanete pure qui.”
Prima che se ne andassero, però, Reid non potè non notare gli sguardi che si scambiarono i due colleghi: gli sguardi di due che la sapevano lunga.
Deglutì rumorosamente e tornò a fissare i propri occhi in quelli dell'antropologa, guardandola come se fosse il peggior SI con cui avesse mai avuto a che fare.
Da come Alaska continuò a sgranocchiare la propria barretta, fissando il giovane profiler con aria svagata, si poteva capire che il silenzio non la infastidiva. Non si poteva di certo dire la stessa cosa di Reid: si sentiva nervoso e tremendamente imbarazzato, il che era piuttosto stupido. Era uscito diverse volte con l'antropologa, e non aveva mai sentito quell'agitazione. Probabilmente, pensò, riguardava il fatto che si trovavano al BAU e che lui era abituato a tenere la propria (poca) vita privata separata da quella lavorativa.
“Quindi...uhm...- iniziò a parlare nervoso- ti è piaciuto il Guatemala?”
“Un'esperienza interessante, devo ammetterlo. - confermò la giovane con un sorriso-Tu hai fatto qualcosa di interessante mentre non c'ero?”
“No, io ho...abbiamo avuto un paio di casi importanti e poi sto ancora preparando la mia tesi per la laurea in filosofia e...”
“Dicevo nel tempo libero.-rise Alaska, fissandolo intensamente- Hai fatto qualcosa di bello?”
“No. Non ho fatto niente di che.- rispose Spencer, sentendosi un perfetto idiota- Tu...tu ti sei divertita con tutte le persone che hai conosciuto laggiù?”
“Sì. Ma mi mancavi tu.” disse con naturalezza, mentre mandava giù l'ultimo boccone.
Reid arrossì violentemente iniziando a balbettare in modo sconclusionato“I-io...A-anche tu...Anche tu mi...”
“Devo per forza mangiare ancora una di queste.-lo interruppe la ragazza mentre inseriva un'altra banconota nella fessura della macchinetta- Sai, ne mangio sempre due alla volta.”
“Perchè devi mangiare sempre due barrette alla volta?”
“Come?” domandò, mentre si rialzava con in mano la merendina.
“Hai appena detto che ne mangi sempre due alla volta.-spiegò Spencer- Sembrava una specie di regola, perchè?”
“Perchè così butto sempre due carte e non una sola.” disse semplicemente Alaska, rigirandosi il piccolo pacchetto fra le mani.
Reid aggrottò le sopracciglia “Non credo di capire il nesso.”
“Quando ero piccola credevo che gli oggetti avessero un'anima, così, quando buttavo la carta di una caramella o di qualcos'altro pensavo si sentisse sola e ne mangiavo subito un'altra perchè andasse a farle compagnia nel cestino.” rivelò sorridendo a quel ricordo. In realtà, era stata sua madre, che in quel momento stava attraversando una fase animista piuttosto convinta a spiegargli quella cosa, e lei con la sua mentalità da bambina aveva creato su quanto appreso una propria filosofia di vita.
“Una storia carina, ma non ha senso.- commentò il profiler, sinceramente confuso- Gli oggetti non hanno un' anima e in effetti, non è nemmeno dimostrabile che la abbiano gli esseri umani o gli animali...”
Ma Alaska non parve prendere troppo sul serio le sue proteste “Continuo a farlo perchè non sono ancora del tutto certa che non sia vero.”
“Sei una scienziata, non trovi strano credere in queste cose?” domandò Reid, guardandola interrogativo.
“No, perchè?- ribattè la ragazza sbattendo le palpebre-Non c'è niente che provi che l'anima non esista.”
“Quindi fino a prova contraria tu ci credi?” indagò di nuovo Spencer. Voleva cercare di capire il pensiero, ma gli risultava difficile. La razionalità era il suo regno, non il caos che sembrava fare a capo ai ragionamenti dell'antropologa. Eppure, in quel momento, non riusciva a trovare qualcosa di effettivamente illogico in quello che diceva.
“Esatto.” confermò Alaska, lasciando che un sorriso le si allargasse sul viso.
“Quindi, seguendo questo modo di pensare, credi anche agli angeli, agli unicorni, ai puffi?” ricapitolò, sempre più incerto.
Ross annuì, facendo ondeggiare i capelli corvini “Certo, sono una persona molto coerente.”
“E' del tutto assurdo.” sospirò Spencer, scuotendo la testa.
“Come quella tua cravatta, ma mi piace lo stesso.” rise la ragazza, appoggiando con noncuranza la propria mano sull'indumento, sfiorando immancabilmente il petto di Reid.
Lui si irrigidì all'istante. Non gli ci era voluto molto per capire che Alaska apparteneva a quel genere di persone che non hanno problemi nell'invadere lo spazio personale altrui, ma ogni volta che lo sfiorava, candidamente e senza malizia, non poteva far altro che imbambolarsi e sentire il proprio cuore iniziare a galoppare a mille, come impazzito.
Deglutì a vuoto, sperando che l'antropologa non si accorgesse di quanto stesse arrossendo.
Vedeva i suoi occhi vivaci puntati sul suo viso, per niente consapevole dell'imbarazzo che gli stava causando, e cercò di aprire la bocca più volte cercando di iniziare un discorso di qualsiasi tipo, possibilmente uno in grado di convincerla di allontanarsi da lui dandogli il tempo di ritornare a pensare lucidamente, ma l'unica cosa che gli riuscì fu di fornire una triste imitazione di un pesce rosso.
“Sai che Washington è stata costruita secondo un progetto ispirato al parco di Versailles, come una sorta di ringraziamento ai francesi per il loro contributo durante la guerra d'indipendenza?” disse di punto in bianco, con il solito largo sorriso sul volto.
Il cervello del profiler urlava che, sì, lui sapeva di quella cosa, ma la sua bocca e le sue corde vocali non volevano ancora collaborare. Reid cominciò a pensare che forse si era rotto qualcosa a livello nervoso ed era quello a causare quell'irritante afonia.
“Reid!”
Non appena sentì la voce di Derek il ragazzo fece un balzo improvviso che lo portò direttamente dalla parte opposta dell'area relax, allontanandolo da Alaska. Lei, a differenza sua, non aveva sul volto l'espressione di essere stata colta in flagrante. In flagrante di cosa, poi?
L'agente di colore fece passare lo sguardo da uno all'altra per un istante, ma poi tornò a fissare il serio il proprio collega.
“S-sì, Morgan?” riuscì a balbettare, voltandosi verso l'uomo affacciato alla porta.
“Dobbiamo andare, Reid.- disse con tono grave, facendogli cenno di seguirlo- C'è stata un'altra vittima.”
Il giovane camminò veloce dietro di lui “Un'altra vittima?” ripetè, di nuovo concentrato.
“Già- confermò Derek- stesso modus operandi, ma ha cambiato di nuovo zona.”
“Devo venire anche io?” pigolò Alaska alle loro spalle. Li aveva seguiti così discretamente che nemmeno se ne erano accorti.
“No.- le spiegò Morgan- Verranno Stein e Tanaka per i rilevamenti, tu dovrai rimanere al laboratorio: fra un po' arriverà il corpo riesumato.”
L'antropologa annuì, fermandosi sul posto e rimanendo per un po' a guardarli mentre si allontanavano in quelli che, per lei, erano corridoi troppo intricati e labirintici.
Quando non furono più in vista, si lasciò sfuggire un sospiro sollevato.


Quando sentì la porta del suo ufficio aprirsi rumorosamente, Garcia era già pronta a inveire contro chiunque si fosse introdotto così sgarbatamente nel suo regno.
“La mia unica salvezza!Finalmente!” strillò Alaska, entrando nella sala computer di Penelope come una furia.
La bionda si voltò verso di lei, roteando sulla sua sedia da ufficio “Alaska Ross?”
“La dea della tecnologia, vero?Sei l'unica che può aiutarmi!” implorò, sventolando con entrambe le mani un computer portatile.
“Problemi con il pc?” rise Garcia, togliendogli il portatile dalle mani.
“Già.- ammise la mora, lasciandosi scivolare su una sedia- Vogliono che qualsiasi cosa che riguardi il caso non sia memorizzata sul mio portatile e quindi me ne hanno dato uno del governo.”
Penelope alzò un sopracciglio “E non funziona?”
“No!Quel computer mi odia!- piagnucolò Alaska, facendo una buffa smorfia infastidita-E sì che, essendo un federale, dovrebbe essere buono con i cittadini e gentile e collaborativo...”
“Fammi vedere, nocciolina.” disse risoluta la bionda, iniziando a trafficare con quel pezzo di tecnologia ribelle.
Alaska sporse il collo verso di lei, cercando di capire cosa stesse facendo “Sai, gli ho anche parlato, ho usato vezzeggiativi molto carini, ma lui è davvero insensibile e mi ha ignorato.”
“Ogni tanto lo fanno, credo che sia per un bisogno d'attenzione.” confermò Garcia con tono leggero.
“L'ho anche chiamato stronfolottino, che non so cosa voglia dire, però lo trovo delizioso.” rivelò l'antropologa.
Ci vollero pochi minuti alla donna per venire a capo del problema “Et-voilà, mon amie. Ma la prossima volta, puoi anche non usare una scusa del genere per venire a trovarmi.”
“Beccata!- esclamò Alaska, stando al gioco- Credevo che non ci avrebbero mai fatto incontrare.”
“Lo sospettavo anche io.- continuò Penelope, strizzando gli occhi- Sai, Morgan mi ha parlato di una possibile reazione nell'incontro fra due persone come noi che avrebbe causato una rottura del continuum spazio/temporale portando l'universo alla distruzione!”
Proprio in quel momento, come richiamato dalle sue parole, il telefono iniziò a squillare.
“Mio dolce muffin al cioccolato!- esordì Garcia, premendo un tasto per mettere in vivavoce la chiamata- Stavamo giusto parlando di te!”
Dall'altro capo del telefono, Morgan sembrò perplesso “Ah, sì?Tu e chi?”
“Alaska Ross, mia nuova dama di compagnia.” trillò contenta.
“E sventolatrice reale!” le fece immediatamente eco l'antropologa.
“D'accordo: non fate troppo casino voi due. Piuttosto, bambolina, hai trovato qualche collegamento fra le vittime?”
“Non ancora, ma se c'è puoi giurarci che lo troverò.” gli assicurò Penelope, determinata.
“La nuova vittima si chiamava Trent Bouford.- spiegò Derek- Apparentemente nemmeno lui non aveva nulla in comune con gli altri.”
“Davon ti ha detto qualcosa sulle condizioni del corpo?” si informò Alaska.
Morgan fece roteare gli occhi “Non conosci ancora il tuo capo?A parte qualche raro grugnito, l'ho sentito parlare solo per battibeccare con la Tanaka.”
Ross rise, prima di iniziare a spiegare quanto stava iniziando a fare “Sto facendo ora una ricostruzione multimediale del volto dell'uomo non identificato, non appena rimetterò insieme i pezzi del cranio vi darò uno schizzo fatto a mano e più accurato.”
“Trent Bouford- la interruppe Penelope, per fornire un quadro iniziale sulla vittima- Trentotto anni, nato in Ohio, si è trasferito qui a Washington da cinque anni. Dirigeva un negozio di pesca. Viveva da solo. Per ora, nessun collegamento. E questo è tutto quello che posso dirvi. Anzi, credo che aggiungerò una cosa: sto pensando di adottare Alaska, o perlomeno di tenerla con me come animaletto da compagnia. È deliziosa.”
“E preparo dolci buonissimi, cosa da non sottovalutare.” aggiunse la ragazza, senza staccare gli occhi dallo schermo su cui stava lavorando.
“Visto?- trillò di nuovo Garcia- Ti saluto, mio marshmellow, devo andare a preparale una cuccia!”
Passarono diversi minuti prima che le due parlassero di nuovo. In realtà Penelope avrebbe voluto tempestare Alaska di domande e non avrebbe esitato a farlo, se non l'avesse vista così estremamente concentrata. Con le sopracciglia aggrottate e le labbra premute una contro l'altra, fissava lo schermo del proprio computer con serietà, lavorando attentamente sull'immagine di identikit che stava elaborando.
“Quindi...- domandò all'improvviso, facendo sobbalzare la bionda sulla sua sedia- Spencer ha qualche ex-ragazza psicopatica di cui dovrei aver paura?Oppure una vecchia fiamma che non ha ancora dimenticato?”
Sulle labbra di Garcia si aprì un sorriso da Stregatto: sapeva che c'era qualcosa sotto, fra quei due! “Che io sappia, da quando lavora al BAU non ha avuto storie serie.- rispose, voltandosi verso l'antropologa per indagarne l'espressione- Una volta ha conosciuto Lila Archer mentre lavorava a un caso, ma non è durata molto...”
“Lila Archer?- ripetè Alaska, alzando gli occhi interrogativi- Perchè il nome non mi è completamente nuovo?”
“E' un'attrice.” spiegò Penelope con pazienza, ma vedendo che l'altra non sembrava ricordare chi fosse, avviò una ricerca immagini su uno dei suoi tanti monitor. “Oh, ora ricordo!- esclamò Alaska, battendosi il pugno sul palmo aperto-Mia sorella una volta voleva farsi i capelli come lei.”
“Oooh!Guarda com'erano carini insieme!” trillò di nuovo, puntando il dito verso una foto che ritraeva i due mentre Spencer passava la mano sul collo di Lila.
Garcia si voltò a guardare la giovane scioccata. “Scusa?Stiamo guardando la stessa cosa?Lei sarebbe praticamente la tua rivale in amore...”
Alaska scrollò le spalle “Questo non cambia il fatto che fossero davvero adorabili...”
La bionda scosse la testa, riprendendo il proprio discorso “Per quanto ne so poi, a parte un paio di appuntamenti con una certa Austin, il nostro caro genietto è libero come l'aria.”
Ross annuì pensierosa.
“A volte penso di non interessargli, in quel senso.” rivelò, dopo qualche secondo di riflessione
“Reid è piuttosto timido.- la rassicurò Garcia- E da come evita di parlare di te per paura di essere colto in flagrante, direi che non gli sei del tutto indifferente.”
Gli occhi celesti dell'antropologa si accesero “Davvero?”
Penelope annuì solenne “Credo che tu gli piaccia, ma se così ancora non fosse, devi stupirlo con le tue mirabolanti capacità.”
“Tipo quella di unire i gomiti dietro la schiena, di cantare la tavola degli elementi, di allacciarmi la camicetta con una sola mano e di fare telefonate imbarazzanti in cui espongo pensieri aggrovigliati?” elencò Alaska, particolarmente fiera di sé.
Garcia rise “Visto?Sei fenomenale: mi sto già innamorando di te.”
La ragazza le fece eco, sghignazzando un po', mentre tornava a puntare lo sguardo verso il pc.
“Credi che abbia delle capacità paranormali?” chiese di punto in bianco. Aveva alzato gli occhi e fissava seriamente la bionda.
“Come?”
“Reid, credi che abbia capacità paranormali?- ripetè prima di spiegarsi-Sai, tipo quella bambina di quel libro...”
“Ah!Quello di Ronald Dahal!- esclamò Garcia, capendo dove voleva andare a parare-L'ho letto alle elementari!”
“Esatto!- confermò Alaska, esaltata da quell'argomento- Quella bambina era molto intelligente e ha sviluppato dei poteri telecinetici come valvola di sfogo...Magari funziona così anche per Spencer, è difficile utilizzare al cento per cento un quoziente intellettivo come il suo.”
“Già...- si ritrovò a dire Penelope, quasi convinta- Non credo che lo guarderò più nello stesso modo.”
Si scambiarono uno sguardo stranito e poi, per l'ennesima volta da quando si erano conosciute, l'antropologa cambiò repentinamente argomento, dando a Garcia il computer che reggeva fra le mani.
“Identikit fatto.- spiegò- Ecco John Doe.”
Penelope inclinò la testa mentre osservava il volto sullo schermo. Era un uomo ispanico, di circa trent'anni. “E' ben fatto. Credevo fossi solo una scienziata, non una disegnatrice provetta.”
“Questo è solo un identikit.- disse Alaska, facendo sventolare una mano con aria noncurante- Mia madre è la vera artista, è lei che mi ha costretta a partecipare a delle lezioni di disegno quando ero piccola e ora uso quanto ho imparato per il mio lavoro.”
“Beh, a me pare molto bello invece.- ribadì la bionda- Sai, potrei ingaggiarti per fare un mio ritratto in veste di regina del mondo a grandezza naturale da appendere qua in ufficio, che dici?”
“Che sarebbe molto decorativo. Lo vuoi ad olio su tela?”
Bien sûr, mon amie.


“Ci vediamo domani, Nocciolina!” trillò Penelope, prima che si chiudessero le porte dell'ascensore, mentre Alaska sventolava la mano felice.
“Nocciolina?” ripetè Derek, alzando un sopracciglio.
“Nocciolina.” confermò la giovane.
“Nocciolina?!”
“E' il soprannome che mi ha dato Penny.- spiegò calma Ross- Ora vado da Hotch.”
Morgan guardò l'antropologa rassegnato mentre si avviava verso l'ufficio del capo di analisi comportamentale.
Erano rientrati da poco, dopo essersi recati sul luogo dell'ultima vittima, che era stata trovata nelle stesse inumane condizioni di quelle precedenti. Garcia non aveva ancora trovato nulla che accomunasse le vite degli uomini uccisi e loro, nonostante le abilità da profiler e l'esperienza che avevano alle spalle, continuavano a sbattere inutilmente la testa al muro, come se si trovassero all'interno di un labirinto da cui era difficile uscire.
Hotch, vedendoli troppo stressati e, soprattutto, non ancora in grado di venire a capo di qualcosa in quel caso, aveva ordinato ai suoi sottoposti di tornarsene a casa a riposare, e ripresentarsi la mattina successiva. Sperava che un po' di riposo potesse chiarire a tutti loro le idee.
JJ, Emily e Rossi erano già tornati a casa ed ora, solo lui e Reid stavano radunando le proprie cose prima di uscire dagli uffici FBI.
“Devi darti una mossa, ragazzino.” disse, rivolgendosi al giovane collega.
Spencer alzò lo sguardo dalla propria scrivania, confuso “Perchè?Non credevo volessi darmi un passaggio.”
“Non sto parlando di questo.- sbuffò Derek, facendo roteare gli occhi- Parlo di Quarantanove. Nocciolina. La bambolina che ti mangi con gli occhi da quando è arrivata qua.”
“I-io non faccio niente del genere.- arrossì velocemente il genietto- Alaska e io siamo solo amici.”
Sbuffò sonoramente mentre si chinava a raccogliere i fogli con gesti nervosi e rigidi. Almeno in questo modo riusciva ad evitare il contatto visivo. Mentiva meglio, in quel modo.
“Certo, come no. Continua a ripeterlo se ti fa piacere.” ribattè l'uomo di colore, per niente convinto.
“S-siamo solo amici.” ribadì. Ma, in effetti, non riusciva a mentire. Non a Morgan. Non su un argomento che gli faceva illogicamente salire la pressione.
“Lei non fa per me...- sospirò quindi Reid- Insomma,l'hai vista?Lei è spontanea e spensierata mentre io...”
“Senti Reid, perchè ti fai dei problemi che non esistono?Per una volta lascia stare le riflessioni ed agisci!” sbottò, cercando di spronarlo.
“M-ma lei...lei...- il ragazzo alzò gli occhi verso l'ufficio di Hotch da dove, attraverso il vetro che si affacciava sul corridoio, poteva vedere lui e l'antropologa parlare-Sai come mi ha detto che partiva per il Guatemala?”
Derek aggrottò le sopracciglia, non capendo il nesso “Come?”
“Prendevamo un caffè e ad un certo punto, dal niente dice: Sai, domani parto per il Guatemala. E quando le ho chiesto quanto sarebbe stata via ha risposto che non ne era sicura.- concluse, come se fosse un argomento più che valido per non rischiare- Io non sono in grado di vivere così, tu mi conosci.”
“E' solo questo il problema?” domandò Morgan, alzando un sopracciglio.
“Solo questo il problema?- ripetè Spencer con voce acuta-Non mi sembra una cosa da poco.”
L'amico gli diede una pacca sulle spalle “Credimi, ragazzino, un po' di spontaneità ti farebbe solo bene.”
“Non è solo questo!- balbettò incerto-Lei...lei...”
“Lei ti piace, al di là della razionalità, Reid.- continuò al suo posto, con un sorriso saccente sul bel viso- Accettalo e basta.”
Ma il ragazzo aggrottò la fronte, pensieroso “C'è qualcosa che non riesco a cogliere di lei. Sai, di quella faccenda di tanti anni fa, con Rossi...”
Morgan si fece serio. Dave non aveva voluto rivelare il modo in cui avesse conosciuto Alaska, ma Reid...beh, Reid era un genio dalla memoria eidetica e Rossi era aveva divorato tutti i suoi libri: non ci aveva messo molto a scoprire che il loro collega più anziano aveva conosciuto l'antropologa quando questa era ancora una bambina di otto anni. Era stata rapita e segregata in un lurido capannone, torturata e trattenuta in gabbia come un animale. Conoscendo David, era facile pensare che lui si sentisse ancora in colpa per non aver fermato prima quell'SI, nonostante la ragazza lo guardasse sempre come se fosse il suo salvatore. Morgan conosceva Reid: sapeva che il giovane era convinto che quell'esperienza non poteva essersi cancellata magicamente dalla mente di Alaska, ma in quel momento non sapeva cosa potergli consigliare.
“Mi dispiace, ragazzino, non credo che questa sia una cosa che riuscirai mai a controllare.- concluse, strizzandogli la spalla con una mano- Nemmeno con quel tuo cervello supersonico.”
Gli fece un cenno di saluto e si avviò verso l'ascensore.
Spencer, rimasto alla propria scrivania, si mordicchiò nervoso il labbro inferiore.
Doveva rimanere per parlare con Alaska o tornarsene a casa?


Aaron non alzò nemmeno gli occhi dal fascicolo che stava rivisionando per la centesima volta, quando sentì bussare alla porta del proprio ufficio.
“Mi avevano detto che ti avrei trovato ancora qui.-esordì la ragazza, dirigendosi sicura verso la sedia di fronte alla scrivania e sedendosi comodamente- Stacanovista, uh?”
Hotch le fece un cenno col capo mentre si sporgeva verso di lei per afferrare la tazza di caffè che gli stava offrendo “Credevo che fossi già tornata in albergo. Ho visto il dottor Stein andarsene un'oretta fa.”
“Credo di essere più utile qui.- disse Alaska con una scrollata di spalle- E poi, ho bevuto tre caffè non decaffeinati oggi, il che significa che il mio organismo resterà attivo per le prossime settantadue ore senza alcun bisogno di riposo.”
Lasciò vagare gli occhi nella stanza, fermandosi solo sui particolari più interessanti.
“Quello è tuo figlio, vero?- domandò, indicando una foto di Jack- Avete dei tratti del viso in comune, credo che ti assomiglierà molto quando crescerà.”
Hotch le rivolse un mezzo sorriso stiracchiato “La dottoressa Tanaka è d'accordo col fatto che rimani ai laboratori anche senza la sua supervisione?”
Ross fece dondolare la testa, incerta “Diciamo di sì.”
“Alaska...” la richiamò l'uomo, alzando un sopracciglio.
“La dottoressa Tanaka è una vera forza. Mi piace.”
Aaron la guardò stranito “Credevo che lei ti odiasse.”
“Lo so, ma a me piace vedere il lato positivo delle persone.- continuò Alaska, col tono sognante di qualcuno che sta parlando del proprio mito- Lei è determinata, si è fatta strada in un ambiente dove gli uomini la fanno da padrone: non posso non ammirarla.”
“Questa è la ricostruzione che ho fatto del volto della vittima.” aggiunse, allungando sulla scrivania l'identikit su cui aveva lavorato fino a poco prima.
Hotch alzò il foglio per esaminare meglio quel viso sconosciuto“Controllerò con le persone scomparse.”
“Già fatto: Penny mi ha iniziato alle sacre arti dell'informatica. Se creerò un fan club a suo nome con tanto di magliette con la sua foto ha detto che mi rivelerà ogni più recondito segreto della sua arte.-buttò fuori velocemente prima di rivelargli il nome- Si chiamava Carlos Grimes.”
“Grazie.” le disse, e dalla sua voce si poteva sentire che quel caso stava sfiancando anche lui.
Alaska fece sventolare una mano “Ringrazia la caffeina. E la teina. E i vari eccitanti di origine naturale con cui sono entrata in contatto ultimamente.”
“Alaska...” la richiamò di nuovo l'uomo, guardandola accigliato.
“Ti giuro che non uso sostanze illegali per...” iniziò a giustificarsi la ragazza, che aveva mal interpretato il suo sguardo.
“Credo che ora tu debba andare a riposare un po'.” concluse quindi Hotch.
“Oh.- esclamò stupita-Ok.”
Fece qualche passo verso la porta “Forse dovresti tornare a casa anche tu.- gli propose, lanciando un'occhiata alla foto di Jack- Quel ragazzino avrà bisogno che suo padre gli rimbocchi le coperte.”
Aaron le fece un sorriso, ma quando aveva già la mano sulla maniglia, l'antropologa si girò di nuovo.
“Ah, Hotch: che cos'è l'ADD?” domandò incuriosita.
“E' la sigla della sindrome da deficit di attenzione e iperattività.” spiegò l'uomo, perplesso da quella domanda.
“Ok.- disse Ross, assimilando l'informazione- Credi che io possa averla?”
“Perchè me lo domandi?” ribattè Hotch, sempre più confuso.
“La dottoressa Tanaka dice di sì.” rispose con una scrollata di spalle.
“La dottoressa Tanaka non può diagnosticarti una cosa del genere, Alaska, te l'ha detto per prenderti in giro.” sospirò.
“Visto?- sorrise apertamente la giovane prima di uscire-Te lo dicevo che c'era qualcosa di buono in lei: ha senso dell'umorismo!”

Quando Alaska scese le scale e camminò nell'open space, trovò Spencer chino alla propria scrivania, con l'aria di qualcuno intento a riflettere troppo intensamente su un qualche problema.
Cambiò la direzione dei propri passi e si sedette sul tavolo, facendo sobbalzare il ragazzo per la sorpresa.
“Credevo fossi già a casa, dottor Reid.” sorrise. Le piaceva usare quel titolo per chiamarlo, quando era particolarmente di buon umore.
Spencer tenne le sopracciglia aggrottate “Ho visto che hai fatto un sacco di pubblicazioni in questo periodo.”
Alaska non notò quanto fosse strano quell'argomento “Sì, ho avuto del tempo extra.”
“Tempo extra?- domandò stranito, fissandola intensamente- Credevo che avessi molto da fare al laboratorio...”
“Diciamo che ho avuto delle nottate piuttosto lunghe e proficue.” confessò quindi.
“Insonnia?” ipotizzò il profiler ad alta voce.
“Incubi, per lo più.” disse, abbassando lo sguardo.
Quel gesto fece preoccupare Reid: non l'aveva mai vista abbassare lo sguardo davanti a niente, e soprattutto non in quel modo. Sembrava stanca, sconfitta.
“Mi dispiace.” buttò fuori in un sussurro, non sapendo che altro dire.
“Tranquillo, passeranno. Passano sempre.- lo tranquillizzò, con un sorriso ampio sul volto, quando tornò a guardarlo in viso- Solo che ho davvero bisogno di fare una bella dormita, hai presente?Di quelle che ti tengono inchiodata al letto per quasi dieci ore.”
Spencer deglutì a vuoto un paio di volte “Tu lo sai vero che...che con me puoi parlare?”
La ragazza non sembrò capire a cosa si riferisse “Ma io ho parlato con te, Spencer...In effetti, non capisco come fai a trattenerti dal dirmi di tacere.”
“Non sto parlando di semplici chiacchiere, ma di quello che è successo a Baltimora.- sbottò Reid, quasi irritato. La fisso con occhi fiammeggianti- Sei stata rapita, picchiata e hai sparato a un uomo. Non puoi comportarti come se niente sia accaduto.”
Vide le spalle della giovane piegarsi leggermente all'ingiù e la vide quasi svuotata, per un attimo.
“Quindi, non vuoi parlare con me, Alaska?” le domandò, con tono gentile.
“Quello che è successo non è importante...- Spencer alzò le sopracciglia, lanciandole uno sguardo perplesso- Voglio dire:è stato scioccante e tutto il resto ma è passato. È inutile che io continui a pensarci. Quello che davvero mi fa stare male sono gli incubi.”
“Ti sogni di quella notte?” chiese preoccupato. Sapeva cosa voleva dire avere quel genere di incubi.
Alaska scosse la testa, abbassando gli occhi, e a lui venne subito in mente quale potesse essere il vero problema. Non era il passato recente a bussare prepotentemente nella mente della sua nuova amica, ma quello remoto della sua infanzia quando ad appena otto anni era stata tenuta prigioniera per giorni da un SI.
“E' che...- continuò, e a Spencer salì un po' il panico quando notò il suo labbro inferiore tremare vistosamente- sono immagini così nitide, reali. Quando mi sveglio e mi passa per la testa che, forse, sono davvero cose che mi sono accadute e non solo frutto della mia immaginazione io...io...”
Reid allungò piano una mano verso di le, posandola sopra la sua che teneva abbandonata sopra le ginocchia fasciate dal tessuto leggero dei jeans. Con una spontaneità che non gli era propria, la iniziò ad accarezzare timidamente con il pollice.
La ragazza prese dei respiri profondi per ricacciare indietro quelle lacrime che si stava tenendo dentro da troppo e, gli occhi fissi sulle mani affusolate del profiler, si sentì all'improvviso un po' meglio.
Alzò lo sguardo, colmo di gratitudine, verso Spencer, che la osservava preoccupato e, come al solito, con quello strano senso di confusione. Non capiva esattamente il motivo per cui ogni volta che incontrava quelle iridi chiare aveva la sensazione di avere un turbinio di farfalle nello stomaco.
Aggrottò le sopracciglia: che Morgan avesse ragione?Che lui provasse davvero qualcosa al di là della semplice amicizia verso l'eccentrica antropologa?
Fissò di nuovo lo sguardo sul volto abbronzato di Alaska e vide che i suoi occhi erano tornati accesi e vivaci.
“Ti ho portato un souvenir!”annunciò, sorridente e apparentemente dimentica dei propri problemi.
Si alzò di slancio e corse verso la propria valigia, che aveva lasciato nell'open space quella mattina.
Ritornò saltellando, con una scatola non impacchettata fra le mani.
“Una scacchiera a tre dimensioni?- disse titubante, guardando il regalo che gli aveva consegnato-Tipica del Guatemala, immagino.”
“No, l'ho presa allo scalo al JFK.- confessò con leggerezza- L'ho vista e ho pensato a te.”
Spencer la ringraziò, nonostante avesse capito che, attraverso quel cambio di argomento e quell'allegria, stava cercando di ricacciare di nuovo indietro le proprie fastidiose emozioni.
“Però devi promettermi che quanto tornerai a casa, adesso, non ti metterai a giocare, ma ti farai un po' di ore di sonno!” ciarlò allegra.
“Se vuoi resto qui con te...- balbettò incerto, cercando di decifrare la reazione della ragazza- Voglio dire...se ti va, posso...posso farti compagnia...”
Alaska gli sorrise dolcemente “No, tranquillo. Ho del lavoro da finire e poi credo che mi concederò un po' di sonno sul divanetto nell'ufficio di Dave. Ci vediamo domani, ok?”
L'antropologa gli rivolse un nuovo sorriso, stanco, e, dopo avergli passato con dolcezza una carezza sulla guancia, si alzò sulle punte per lasciare un bacio dove prima erano passate le sue dita fresche.
Spencer rimase immobile, pietrificato. Con in mano la scatola degli scacchi tridimensionali e il volto paonazzo, non riuscì a fare altro che guardarla mentre si infilava nell'ufficio di Rossi.
“A domani, Alaska.” soffiò, quando ormai era troppo tardi.

______________________________________________________________________________________

Nuovo capitolo. La faccio breve perchè è uno di quei periodi in cui non mi va mai bene niente. Non mi piace: credo che sia troppo lungo, che non ci sai dentro niente di particolarmente rilevante e...boh, non so. Mi sento un pò iper-critica e la cosa non mi fa apprezzare particolarmente questo capitolo...
In ogni caso: grazie mille a chi ha letto i capitoli precedenti e anche a chi a commentato!Fatemi sapere che ne pensate della storia!Baci JoJo

aliena : Hai colto nel segno, Alaska è più un topo da laboratorio, diciamo!eheheh E con la bambina: in fondo è una bambina troppo cresciuta anche lei, quindi è ovvio che si trovi bene con gli infanti!Reid è un profiler, e in più pare abbia una piccola cotta per l'antropologa, ergo non può che cogliere anche le più piccole sfumature di comportamento! Diciamo che quella di Emily è più solidarietà femminile... Bones mi piace, anche se non lo guardo spesso, ti dirò che mi piacciono molto di più i libri di Katy Reichs, la sua creatrice: sono una pazza amante dei particolari scientifici, quindi non posso che adorarla!eheheh!Al prossimo capitolo, baci JoJo

Maggie_Lullaby : Tranquilla, le tue recensioni redatte nottetempo sono davvero carine!eheheh!Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto :) Uhmm...dunque, Abby di NCIS ce l'ho presente, è una forza, ma credo che la mia Alaska sia troppo...svampita...per essere brillante come lei; l'Ispettore Lanza mi giunge nuovo, ma mi informerò, ora sono incuriosita dal personaggio! Ho aggiornato abbastanza presto?Fammi sapere che pensi di questo capitolo in cui si spiegano un pò delle cose che ti incuriosivano!Kisses JoJo

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Criminal Minds / Vai alla pagina dell'autore: JoJo