Blu
scuro, è il
colore della notte dove si concentrano
e si bloccano i nostri
occhi, le nostre orecchie, le parole,
tutto quanto.
-Banana Yoshimoto
“Voglio che sia
riesumato il corpo.”
sentenziò Stein, lo sguardo determinato e la bocca stretta
in
una linea dura.Alaska fece una smorfia preoccupata,
mentre guardava il proprio capo formulare quella richiesta e poi
riposò lo sguardo su Hotch, che aveva alzato gli occhi
severi
sull'antropologo senza nascondere il proprio disappunto per quella
mancanza assoluta di gentilezza.
“Riesumare il corpo?” ripetè,
alzando un sopracciglio, ben sapendo che il vecchio si riferiva alla
prima vittima che era stata seppellita in una tomba senza nome dopo
che la sua morte era stata classificata come incidente d'auto.
“E' quello che ho detto.” confermò
Stein in un borbottio.
La ragazza fece qualche passo verso la
scrivania, gli occhi grandi e innocenti “La dottoressa Tanaka
non
ci ha ancora dato il permesso di rimuovere i tessuti, e per quanto
possa essere interessante utilizzare gli strumenti ipertecnologici
che il governo federale ci ha messo a disposizione, per farvi sapere
qualcosa di utile alla svelta dovremmo davvero analizzare qualcosa di
concreto.”
“Perchè gliel'hai ripetuto?-
sbottò Davon, fulminandola con lo sguardo- Hai solo sprecato
fiato allungando qualcosa che avevo già eccellentemente
sintetizzato io!”
Hotch ignorò quel commento “Non
avete davvero scoperto niente finora?”
“Dire che non abbiamo scoperto niente
sarebbe inesatto...” iniziò a dire Alaska,
mordicchiandosi
nervosamente il labbro inferiore.
“Da quanto si vede dalle radiografie
e dal rapporto presentato da Quarantanove sugli schizzi di sangue,
non abbiamo trovato alcuna corrispondenza.” rivelò
quindi
Stein, appoggiando ancora di più il peso sulla stampella che
lo sorreggeva.
“Sarebbe a dire?” domandò il
capo dell'unità di analisi comportamentale aggrottando le
sopracciglia.
L'antropologo alzò gli occhi al
soffitto, come se fosse scocciato dal fatto di spiegare una cosa
tanto elementare, ma Ross, intuendo che avrebbe dato l'ennesima
rispostaccia, parlò al suo posto “Sulla carta, al
momento,
il modo in cui è stato ucciso Bill Port non coincide con il
sangue ritrovato sulla scena.”
“E da qui ritorniamo al fatto che
esigo quel cadavere al più presto.- ribadì Davon-
Quando avremo fra le mani delle ossa vere e non delle stupide
radiografie riusciremo a raccapezzarci di quanto ora ci
sfugge.”
“D'accordo.- acconsentì Aaron,
mettendo mano al telefono per ordinare immediatamente quella
riesumazione- Alaska, tu puoi procedere anche all'identificazione?Ci
sarebbe utile per la vittimologia.”
“Dipende dalla condizione dei resti,
ma sono certa di poterci provare.” confermò la
ragazza con
un largo sorriso sul volto, felice di rendersi utile
“Non appena avrà finito di
fare il suo lavoro, ovvero assistermi.” disse prima di uscire
dall'ufficio di Hotch col suo passo sciancato.
Alaska fece roteare gli occhi
teatralmente prima di mimare uno “Scusalo” in
direzione dell'uomo
in giacca e cravatta seduto alla propria scrivania.
Circa mezz'ora dopo, gli uffici vicino
al laboratorio forense assegnato ai due consulenti esterni era nel
caos. Analisti e membri della scientifica abbandonavano i propri
posti di lavoro per passare, con una scusa qualsiasi, di fronte alle
pareti di vetro di quella grande e caotica stanza, solo per dare una
sbirciatina a quello che stava succedendo al suo interno. Tuttavia,
si dileguarono tutti non appena il volto irato dell'antropologo di
cui avevano sentito tanto parlare e la faccia, altrettanto furiosa,
del loro capo ritornarono ad imperversare in quei corridoi sempre
brulicanti di gente.
Davon Stein spalancò la porta
con violenza, permettendo alla melodia ritmata di diffondersi ancora
di più oltre l'uscio di vetro rinforzato lungo gli intricati
corridoi dei laboratori forensi di Quantico.
Alle sue spalle, la patologa Amy Tanaka
si era pietrificata sul posto osservando inorridita la scena che si
ritrovava di fronte. In quella piccola ala del laboratorio, il suo
laboratorio, la dottoressa Ross si muoveva fra i tavoli colmi di
provette, radiografie e campioni di tessuto seguendo il tempo di una
canzone trasmessa a tutto volume da uno dei computer accesi. Non
riusciva a cogliere le parole, che sembravano essere in una lingua
straniera che non aveva mai sentito, ma era troppo orripilata da
quella situazione per prestarci davvero attenzione.
“Quarantanove, cosa avevamo detto
riguardo quell'orribile musica?” sbottò Stein a
voce alta,
cercando di farsi sentire al di sopra di quei suoni cadenzati conditi
con versi rigorosamente in suomi.
Alaska sembrò accorgersi solo in
quel momento della presenza dei due superiori e, per niente
imbarazzata e senza nessun senso di colpa, si voltò verso di
loro “Che è ottima per ballarci sopra e che rende
il
laboratorio più allegro mentre procediamo con le
analisi?”
domandò con tono allegro.
La dottoressa Tanaka la incenerì
con lo sguardo “Spegnila immediatamente.”
sibilò.
La ragazza sporse il labbro inferiore,
in un'espressione imbronciata, mentre iniziava a spiegare “Ma
è
più facile per me lavorare così: ho una memoria
di tipo
plurisensoriale quindi se associo a ciò che vedo e tocco con
mano anche dei suoni, non ho assolutamente bisogno di prendere
appunti e tu, Davon, lo sai come la penso sullo spreco di carta e qui
all'FBI non usano nemmeno quella riciclata!”
“Spegnila e basta.” tagliò
corto Stein, senza nascondere quanto fosse infastidito dal fatto che
per una volta si trovava d'accordo con la patologa di origini
nipponiche.
“Così almeno riusciremo a
parlare come persone civili.- si intromise Rossi, entrando nella
stanza seguito da Reid- Sai che sentire musica a quel volume rischi
di comprometterti i timpani?”
Alaska rivolse ai due profiler un ampio
sorriso mentre spegneva le casse del computer.
“Pare che i federali non credano che
abbiamo effettivamente fatto qualcosa oggi, perciò hanno
mandato questi due ad interrogarci.” le spiegò
Stein, mentre
si lasciava cadere su una sedia e appoggiava la stampella di fianco a
sé.
“Hotch ha detto che avevate qualcosa
da comunicarci riguardo al modo in cui le vittime sono state
uccise.”
disse quindi Spencer, facendo saettare i suoi occhi scuri verso i tre
scienziati. Si fermò per qualche secondo di troppo sul volto
di Alaska e, contrariamente a quanto aveva pensato, non
trovò
alcun segno di cedimento o debolezza, a differenza di quanto aveva
colto qualche ora prima. Forse, si ritrovò a pensare, aveva
confuso quelle occhiaie nascoste dall'abbronzatura e probabilmente
causate dal repentino cambio di fuso orario, per qualcosa di
più
problematico.
Tanaka riprese a parlare, sfogliando
una cartella che aveva preso dal ripiano di fronte a lei “In
effetti ci sono delle cose che forse potreste aiutarci a capire,
visto la vostra capacità di intuire cosa passa per la testa
degli psicopatici.”
Rossi fece una smorfia: non gli piaceva
il suono della voce di quella donna e nemmeno come definiva il suo
lavoro anche se, in effetti, aveva centrato il punto.
“Parla pure, Alabama,- continuò
la patologa con tono di sufficienza, mentre guardava la ragazza che
sembrava morire dalla voglia di spiegare quanto aveva scoperto- e ti
prego sii normale, se ti riesce.”
Stein fece roteare gli occhi
teatralmente mentre i due profiler e la donna si erano posizionati
alle spalle della giovane antropologa per osservare lo schermo su cui
aveva lavorato.
“Questa è la ricostruzione che
ho fatto di quanto è successo.- esordì Alaska
mostrando
con un gesto della mano lo schermo del computer che aveva di fronte- Ho
inserito nel pc i dati che ho raccolto sulle macchie di sangue e
quelli riguardanti Bill Port, altezza, peso, stazza. Poi, ho aggiunto
una figura standard con caratteristiche fisiche medie per
interpretare l'assassino e gli ho assegnato un'arma arbitraria che
potrebbe coincidere con quella usata realmente.”
“Che cosa hai usato?” si informò
Spencer, gli occhi fissi sul monitor.
“Una mazza da baseball.”
“Uno degli sport americani per
eccellenza.- commentò Dave- Chi non ne ha una in
casa?”
“Io.” risposero all'unisono Alaska,
Reid e Stein.
“Torneremo più tardi sul
concetto di domanda retorica.-sbuffò la Tanaka- Ora vai
avanti, Ohio.”
“E' proprio qui che nascono le
stranezze.-continuò Ross alzando il dito indice- Da quanto
io
e Davon abbiamo potuto osservare dalle radiografie delle ultime due
vittime, pare che siano effettivamente state picchiate con una mazza
da baseball, o comunque qualcosa di simile...”
“Ma?” incalzò Rossi, che si
aspettava una rivelazione da un momento all'altro.
“Ma le macchie di sangue dicono
tutt'altra cosa.” concluse Alaska stringendosi nelle spalle.
Avviò la ricostruzione e sugli
schermi che si trovavano sulla parete di quell'ala del laboratorio
l'uomo, anonimamente grigio, che reggeva l'arma cominciò ad
accanirsi sulla vittima, secondo uno schema cronologico elaborato da
Stein in base alle fratture.
In rosso, era evidenziato come gli
schizzi di sangue si sarebbero dovuti diffondere sull'asfalto e la
parete attigua. Ross digitò qualcosa sulla tastiera e in
pochi
istanti l'immagine degli schizzi reali e di quelli ricostruiti si
ritrovarono affiancate.
“Non coincidono.” osservò
Rossi, spalancando gli occhi.
“No, infatti.” sospirò la
ragazza, scuotendo piano la testa.
“Sei sicura di aver inserito
correttamente tutte le variabili?- indagò Reid-
Umidità?Temperatura?Caratteristiche esterne del luogo come
la
pendenza e....”
“Ho controllato più volte,
Spencer.- gli assicurò Alaska stringendosi nelle spalle
costernata- Non coincide.”
“I calcoli sono stati fatti
correttamente.” tagliò corto Stein.
La dottoressa Tanaka si avvicinò
allo schermo, con l'aria di sufficienza che la caratterizzava
“Sulla
scena mancavano totalmente le macchie passive.”
“Quelle dovute allo sgocciolamento
dovuto alla forza di gravità.” spiegò
Reid ad alta
voce.
“Esatto.-confermò la donna
prima di proseguire- Abbiamo invece schizzi a bassa e media
velocità,
che sarebbero adeguati alla nostra ricostruzione, ma oltre a quelli
ce ne sono anche a velocità alta, e questo non ha senso:
sarebbe dovuta esserci un altro tipo di arma a fare quello.”
“Devo assolutamente vedere quelle
ossa da vicino.” ripetè Stein, per l'ennesima
volta da
quando era arrivato al BAU.
“Non ancora, Stein.” lo contraddì
Tanaka.
I due luminari iniziarono a
battibeccare come al solito e Reid e Rossi si ritrovarono a
distogliere lo sguardo scioccati.
“Fanno sempre così?” domandò
Dave ad Alaska, la quale si limitò a stringersi nelle spalle.
“Sapete- disse alzando gli occhi da
quelle immagini sanguinolente- Washington non ha avuto una bandiera
fino al millenovecentotrentotto. Negli anni venti hanno creato una
commissione, presieduta da Dubois, per trovare un disegno adatto e
hanno preso spunto dallo stemma di famiglia di George
Washington.”
“Ah, sì?” ribattè
Rossi, aggrottando le sorpacciglia confuso da quel cambio di
argomento. Non era raro che Alaska facesse commenti totalmente
casuali ma, doveva ammetterlo, rimaneva spiazzato ogni volta.
“Io lo sapevo.” si affrettò
a dire Spencer.
Quello scambio di battute sembrò
distogliere l'orientale dal proprio irritante collega
“Dottoressa
Ross la prossima volta che le viene in mente qualcosa di non
pertinente con il suo lavoro, la inviterei a tacere.”
“D'accordo.-asserì Alaska, con
una scollata di spalle- Posso assistere alle sue analisi mentre
aspettiamo i resti della vittima non identificata?”
La Tanaka la guardò con una luce
quasi divertita negli occhi scuri, credendo che fosse uno scherzo di
cattivo gusto, ma quando vide serietà in quelli della
giovane
tornò alla propria espressione ostile
“No.” buttò
fuori, come se stesse sputando una medicina amara.
“E se le giurassi di stare in
silenzio?” tentò di nuovo la giovane antropologa.
“Fammi pensare...no!” ribadì
la patologa, inorridita dal pensiero di dover avere alle calcagna
quella ragazza. Non sapeva esattamente cosa la irritasse di
più,
se l'aria da svampita da film in bianco e nero, o se
quell'insopportabile buonumore che non sembrava mai abbandonarla.
Ciò
che sapeva è che si sentiva meglio se non l'aveva fra i
piedi.
“La prego. -supplicò di nuovo
Alaska- Voglio solo osservare le tecniche che
utilizzerà.”
“Non
mi interessa, questo non è un laboratorio
didattico.” ribadì
la dottoressa Tanaka, alzando il mento.
Stein sbuffò, anche se
mentalmente registrò quella frase per riutilizzarla con chi
si
aggirava nel suo laboratorio del Maryland senza autorizzazione; nel
frattempo Rossi e Reid erano incerti se potevano andarsene senza
dover temere a una qualche conseguenza negativa per Alaska.
“E se glielo chiedo per favore,
mettendomi in ginocchio?” continuò la ragazza, che
probabilmente ignorava il significato di un rifiuto.
“Tu!- sibilò la donna, rossa
in viso-Tu sei la ragazzina più irritante esistente sulla
faccia della terra.”
Questa frase sembrò colpire Ross
talmente che abbandonò subito la propria crociata. Dave la
guardò scettico, incerto se interpretare positivamente quel
silenzio improvviso.
“Non può dirlo.” disse con
sguardo concentrato, riprendendo a parlare dopo qualche secondo.
“Come?” domandò Tanaka,
alzando un sopracciglio.
“Beh,- iniziò a spiegare
convinta la mora- per affermare una cosa del genere dovrebbe
conoscere tutte gli abitanti del pianeta e non credo proprio che
lei...”
“Ok, Quarantanove, è proprio
il caso che tu ti prenda una pausa ora.” proruppe Stein,
intuendo
la tempesta che stava per arrivare.
“D'accordo.- trillò Alaska,
come se quella proposta, di punto in bianco, fosse perfettamente
logica- Avevo giusto fame.”
Trotterellò fuori dalla stanza e
Reid e Rossi la seguirono, cogliendo al volo un'occasione per
lasciare i due eccentrici luminari.
“Sapete- esordì Alaska, non
appena si ritrovò davanti alla macchinetta che distribuiva
merendine nell'area relax- non mi ero accorta di avere così
tanta fame da quanto Davon non ha menzionato del cibo!”
“E' perchè eri impegnata in
altro- si ritrovò a spiegare Reid, parlando a macchinetta-
quando il nostro cervello è impegnato in attività
diverse riusciamo a non focalizzare l'attenzione su certi stimoli.
Come per il dolore: mia madre quando mi disinfettava i tagli quando
ero piccolo esercitava una leggera pressione su un'altra parte del
corpo di modo da impedire al mio cervello di concentrarsi sul senso
di bruciore. Dipende dal fatto che...”
“Ok, abbiamo capito.-lo interruppe
Rossi con un'occhiata rassegnata, prima di consegnare all'antropologa
una banconota da un dollaro- Da quand'è che non mangi?Sei
arrivata dall' areoporto e non ti ho vista fermarti un
attimo.”
Ross alzò gli occhi celesti,
riflettendo su quella domanda “Guatemala.”
sentenziò
infine.
“E...e da quand'è che non
dormi?” indagò Spencer, che ancora non aveva
abbandonato
l'idea che qualcosa nella ragazza non andasse.
“Guatemala.” ripetè, con lo
stesso tono gioviale.
In quel momento entrò nella
stanza JJ, reggendo fra le mani un fascicolo che stava sfogliando.
“Oh!- esclamò quando alzò
gli occhi su i due colleghi- Vi stavo giusto cercando...”
“JJ!” trillò Alaska,
abbracciando di slancio la bionda con disinvoltura.
La donna la strinse in risposta,
lanciando a Reid e Rossi un sguardo stranito da sopra le spalle.
“Mi fa piacere vederti, Alaska.”
borbottò confusa, mentre si separavano.
“Mi è dispiaciuto non averti
salutato, stamattina.- spiegò la ragazza- Davon dice che non
rispetto gli spazi personali altrui e poi c'era la Tanaka, ero un po'
emozionata perchè lei è una specie di mito, per
me.
Comunque i vostri laboratori sono fantastici, così grandi e
tecnologici e...Credi che dovrei mandare una lettera di
ringraziamento a qualcuno?Tipo al direttore dell'FBI o al
presidente?”
“Alaska!” la richiamò Reid,
col tono di un genitore che richiama il figlio troppo esuberante. Non
ricordava quando avesse preso quell'abitudine, ma quando
l'antropologa perdeva il filo del discorso in quel modo, sentiva il
bisogno di riportarla sui giusti binari.
JJ fece una risatina, scambiandosi uno
sguardo divertito con Rossi “Quindi, ti trovi bene
qui?”
“Oh, sì, grazie!- continuò
a parlare la mora, mentre estraeva una barretta di cioccolato dalla
macchinetta- Sai, a Baltimora non avevo un attimo di respiro: c'erano
i compiti degli studenti di Davon da correggere, seguire i
tirocinanti per evitare che combinassero disastri in sala autopsie,
chiamate da ogni punto della città per consulenze e
rilevamenti...Devo dire che lavorare su un solo caso alla volta
è
decisamente rilassante.”
I tre la fissarono esterrefatti.
C'erano diversi modi per definire quel caso: orribile,
spaventoso...di certo non rilassante.
Alaska ci mise qualche secondo di
troppo prima di decifrare le loro espressioni “Non che io
ritenga
rilassante trattare un caso del genere...- si ritrovò a
giustificarsi-io volevo solo dire che...”
“Lo abbiamo capito, Alaska.- la
rassicurò Dave, posandole una mano sulla spalla- Quindi ti
trovi bene qui?”
“Molto.- sorrise Ross- In realtà
sono tutti davvero carini con me, giù al laboratorio. Potrei
abituarmici.”
Spencer non trattenne una smorfia
infastidita “Non ne dubitavo.” sbottò.
“Di cosa?” gli domandò la
ragazza, fissandolo interrogativa.
“Del fatto che siano tutti carini con
te.” borbottò di nuovo, distogliendo lo sguardo.
JJ e Rossi capirono immediatamente qual
era il problema del giovane collega.
“Perchè?” chiese di nuovo
Alaska, sinceramente confusa.
“E' molto difficile non trovarti
simpatica se sei aperta e affettuosa con tutti quelli che
incontri.”
berciò Reid, con un tono più secco di quanto si
aspettasse.
L'antropologa spalancò gli occhi
e lo guardò stranita, non afferrando completamente il
perchè
di quel commento.
“Quello che Reid voleva dire-
intervenne Dave per salvare la situazione, avvolgendo un braccio
intorno alle spalle della ragazza e stringendola in un mezzo
abbraccio paterno- è che sei una ventata di aria fresca qua
dentro. Una novità dai grandi occhi azzurri e un bellissimo
sorriso, è ovvio che tutti siano carini con te.”
“Ok, forse non proprio tutti.”
rettificò, pensando alla Tanaka e agli sguardi fulminanti
che
rivolgeva ad Alaska.
“Uh, noi dobbiamo andare.” aggiunse
JJ, lanciando uno sguardo carico di significato a Spencer, che se ne
stava in piedi impacciato, appoggiato ad un mobile.
“Andare?” indagò, uscendo
dal suo stato di trance.
“Sì, a fare una...cosa.”
confermò incerta, mentre anche Rossi capiva le intenzioni
della donna.
Alaska cercò di seguirli verso
l'uscita “Vi serve una mano?”
“Oh, no.-assicurò JJ agitando
i palmi- Voi due rimanete pure qui.”
Prima che se ne andassero, però,
Reid non potè non notare gli sguardi che si scambiarono i
due
colleghi: gli sguardi di due che la sapevano lunga.
Deglutì rumorosamente e tornò
a fissare i propri occhi in quelli dell'antropologa, guardandola come
se fosse il peggior SI con cui avesse mai avuto a che fare.
Da come Alaska continuò a
sgranocchiare la propria barretta, fissando il giovane profiler con
aria svagata, si poteva capire che il silenzio non la infastidiva.
Non si poteva di certo dire la stessa cosa di Reid: si sentiva
nervoso e tremendamente imbarazzato, il che era piuttosto stupido.
Era uscito diverse volte con l'antropologa, e non aveva mai sentito
quell'agitazione. Probabilmente, pensò, riguardava il fatto
che si trovavano al BAU e che lui era abituato a tenere la propria
(poca) vita privata separata da quella lavorativa.
“Quindi...uhm...- iniziò a
parlare nervoso- ti è piaciuto il Guatemala?”
“Un'esperienza interessante, devo
ammetterlo. - confermò la giovane con un sorriso-Tu hai
fatto
qualcosa di interessante mentre non c'ero?”
“No, io ho...abbiamo avuto un paio di
casi importanti e poi sto ancora preparando la mia tesi per la laurea
in filosofia e...”
“Dicevo nel tempo libero.-rise
Alaska, fissandolo intensamente- Hai fatto qualcosa di bello?”
“No. Non ho fatto niente di che.-
rispose Spencer, sentendosi un perfetto idiota- Tu...tu ti sei
divertita con tutte le persone che hai conosciuto
laggiù?”
“Sì. Ma mi mancavi tu.”
disse con naturalezza, mentre mandava giù l'ultimo boccone.
Reid arrossì violentemente
iniziando a balbettare in modo sconclusionato“I-io...A-anche
tu...Anche tu mi...”
“Devo per forza mangiare ancora una
di queste.-lo interruppe la ragazza mentre inseriva un'altra
banconota nella fessura della macchinetta- Sai, ne mangio sempre due
alla volta.”
“Perchè devi mangiare sempre
due barrette alla volta?”
“Come?” domandò, mentre si
rialzava con in mano la merendina.
“Hai appena detto che ne mangi sempre
due alla volta.-spiegò Spencer- Sembrava una specie di
regola,
perchè?”
“Perchè così butto
sempre due carte e non una sola.” disse semplicemente Alaska,
rigirandosi il piccolo pacchetto fra le mani.
Reid aggrottò le sopracciglia
“Non credo di capire il nesso.”
“Quando ero piccola credevo che gli
oggetti avessero un'anima, così, quando buttavo la carta di
una caramella o di qualcos'altro pensavo si sentisse sola e ne
mangiavo subito un'altra perchè andasse a farle compagnia
nel
cestino.” rivelò sorridendo a quel ricordo. In
realtà,
era stata sua madre, che in quel momento stava attraversando una fase
animista piuttosto convinta a spiegargli quella cosa, e lei con la
sua mentalità da bambina aveva creato su quanto appreso una
propria filosofia di vita.
“Una storia carina, ma non ha senso.-
commentò il profiler, sinceramente confuso- Gli oggetti non
hanno un' anima e in effetti, non è nemmeno dimostrabile che
la abbiano gli esseri umani o gli animali...”
Ma Alaska non parve prendere troppo sul
serio le sue proteste “Continuo a farlo perchè non
sono
ancora del tutto certa che non sia vero.”
“Sei una scienziata, non trovi strano
credere in queste cose?” domandò Reid, guardandola
interrogativo.
“No, perchè?- ribattè
la ragazza sbattendo le palpebre-Non c'è niente che provi
che
l'anima non esista.”
“Quindi fino a prova contraria tu ci
credi?” indagò di nuovo Spencer. Voleva cercare di
capire il
pensiero, ma gli risultava difficile. La razionalità era il
suo regno, non il caos che sembrava fare a capo ai ragionamenti
dell'antropologa. Eppure, in quel momento, non riusciva a trovare
qualcosa di effettivamente illogico in quello che diceva.
“Esatto.” confermò Alaska,
lasciando che un sorriso le si allargasse sul viso.
“Quindi, seguendo questo modo di
pensare, credi anche agli angeli, agli unicorni, ai puffi?”
ricapitolò, sempre più incerto.
Ross annuì, facendo ondeggiare i
capelli corvini “Certo, sono una persona molto
coerente.”
“E' del tutto assurdo.” sospirò
Spencer, scuotendo la testa.
“Come quella tua cravatta, ma mi
piace lo stesso.” rise la ragazza, appoggiando con noncuranza
la
propria mano sull'indumento, sfiorando immancabilmente il petto di
Reid.
Lui si irrigidì all'istante. Non
gli ci era voluto molto per capire che Alaska apparteneva a quel
genere di persone che non hanno problemi nell'invadere lo spazio
personale altrui, ma ogni volta che lo sfiorava, candidamente e senza
malizia, non poteva far altro che imbambolarsi e sentire il proprio
cuore iniziare a galoppare a mille, come impazzito.
Deglutì a vuoto, sperando che
l'antropologa non si accorgesse di quanto stesse arrossendo.
Vedeva i suoi occhi vivaci puntati sul
suo viso, per niente consapevole dell'imbarazzo che gli stava
causando, e cercò di aprire la bocca più volte
cercando
di iniziare un discorso di qualsiasi tipo, possibilmente uno in grado
di convincerla di allontanarsi da lui dandogli il tempo di ritornare
a pensare lucidamente, ma l'unica cosa che gli riuscì fu di
fornire una triste imitazione di un pesce rosso.
“Sai che Washington è stata
costruita secondo un progetto ispirato al parco di Versailles, come
una sorta di ringraziamento ai francesi per il loro contributo
durante la guerra d'indipendenza?” disse di punto in bianco,
con il
solito largo sorriso sul volto.
Il cervello del profiler urlava che,
sì, lui sapeva di quella cosa, ma la sua bocca e le sue
corde
vocali non volevano ancora collaborare. Reid cominciò a
pensare che forse si era rotto qualcosa a livello nervoso ed era
quello a causare quell'irritante afonia.
“Reid!”
Non appena sentì la voce di
Derek il ragazzo fece un balzo improvviso che lo portò
direttamente dalla parte opposta dell'area relax, allontanandolo da
Alaska. Lei, a differenza sua, non aveva sul volto l'espressione di
essere stata colta in flagrante. In flagrante di cosa, poi?
L'agente di colore fece passare lo
sguardo da uno all'altra per un istante, ma poi tornò a
fissare il serio il proprio collega.
“S-sì, Morgan?” riuscì
a balbettare, voltandosi verso l'uomo affacciato alla porta.
“Dobbiamo andare, Reid.- disse con
tono grave, facendogli cenno di seguirlo- C'è stata un'altra
vittima.”
Il giovane camminò veloce dietro di lui
“Un'altra vittima?” ripetè, di nuovo
concentrato.
“Già- confermò Derek-
stesso modus operandi, ma ha cambiato di nuovo zona.”
“Devo venire anche io?” pigolò
Alaska alle loro spalle. Li aveva seguiti così discretamente
che nemmeno se ne erano accorti.
“No.- le spiegò Morgan-
Verranno Stein e Tanaka per i rilevamenti, tu dovrai rimanere al
laboratorio: fra un po' arriverà il corpo
riesumato.”
L'antropologa annuì, fermandosi
sul posto e rimanendo per un po' a guardarli mentre si allontanavano
in quelli che, per lei, erano corridoi troppo intricati e
labirintici.
Quando non furono più in vista,
si lasciò sfuggire un sospiro sollevato.
Quando sentì la porta del suo
ufficio aprirsi rumorosamente, Garcia era già pronta a
inveire
contro chiunque si fosse introdotto così sgarbatamente nel
suo
regno.
“La mia unica salvezza!Finalmente!”
strillò Alaska, entrando nella sala computer di Penelope
come
una furia.
La bionda si voltò verso di lei,
roteando sulla sua sedia da ufficio “Alaska Ross?”
“La dea della tecnologia, vero?Sei
l'unica che può aiutarmi!” implorò,
sventolando con
entrambe le mani un computer portatile.
“Problemi con il pc?” rise Garcia,
togliendogli il portatile dalle mani.
“Già.- ammise la mora,
lasciandosi scivolare su una sedia- Vogliono che qualsiasi cosa che
riguardi il caso non sia memorizzata sul mio portatile e quindi me ne
hanno dato uno del governo.”
Penelope alzò un sopracciglio “E
non funziona?”
“No!Quel computer mi odia!-
piagnucolò Alaska, facendo una buffa smorfia infastidita-E
sì
che, essendo un federale, dovrebbe essere buono con i cittadini e
gentile e collaborativo...”
“Fammi vedere, nocciolina.” disse
risoluta la bionda, iniziando a trafficare con quel pezzo di
tecnologia ribelle.
Alaska sporse il collo verso di lei,
cercando di capire cosa stesse facendo “Sai, gli ho anche
parlato,
ho usato vezzeggiativi molto carini, ma lui è davvero
insensibile e mi ha ignorato.”
“Ogni tanto lo fanno, credo che sia
per un bisogno d'attenzione.” confermò Garcia con
tono
leggero.
“L'ho anche chiamato stronfolottino,
che non so cosa voglia dire, però lo trovo
delizioso.”
rivelò l'antropologa.
Ci vollero pochi minuti alla donna per
venire a capo del problema “Et-voilà, mon amie. Ma
la
prossima volta, puoi anche non usare una scusa del genere per venire
a trovarmi.”
“Beccata!- esclamò Alaska,
stando al gioco- Credevo che non ci avrebbero mai fatto
incontrare.”
“Lo sospettavo anche io.- continuò
Penelope, strizzando gli occhi- Sai, Morgan mi ha parlato di una
possibile reazione nell'incontro fra due persone come noi che avrebbe
causato una rottura del continuum spazio/temporale portando
l'universo alla distruzione!”
Proprio in quel momento, come
richiamato dalle sue parole, il telefono iniziò a squillare.
“Mio dolce muffin al cioccolato!-
esordì Garcia, premendo un tasto per mettere in vivavoce la
chiamata- Stavamo giusto parlando di te!”
Dall'altro capo del telefono, Morgan
sembrò perplesso “Ah, sì?Tu e
chi?”
“Alaska Ross, mia nuova dama di
compagnia.” trillò contenta.
“E sventolatrice reale!” le fece
immediatamente eco l'antropologa.
“D'accordo: non fate troppo casino
voi due. Piuttosto, bambolina, hai trovato qualche collegamento fra
le vittime?”
“Non ancora, ma se c'è puoi
giurarci che lo troverò.” gli assicurò
Penelope,
determinata.
“La nuova vittima si chiamava Trent
Bouford.- spiegò Derek- Apparentemente nemmeno lui non aveva
nulla in comune con gli altri.”
“Davon ti ha detto qualcosa sulle
condizioni del corpo?” si informò Alaska.
Morgan fece roteare gli occhi “Non
conosci ancora il tuo capo?A parte qualche raro grugnito, l'ho
sentito parlare solo per battibeccare con la Tanaka.”
Ross rise, prima di iniziare a spiegare
quanto stava iniziando a fare “Sto facendo ora una
ricostruzione
multimediale del volto dell'uomo non identificato, non appena
rimetterò insieme i pezzi del cranio vi darò uno
schizzo fatto a mano e più accurato.”
“Trent Bouford- la interruppe
Penelope, per fornire un quadro iniziale sulla vittima- Trentotto
anni, nato in Ohio, si è trasferito qui a Washington da
cinque
anni. Dirigeva un negozio di pesca. Viveva da solo. Per ora, nessun
collegamento. E questo è tutto quello che posso dirvi. Anzi,
credo che aggiungerò una cosa: sto pensando di adottare
Alaska, o perlomeno di tenerla con me come animaletto da compagnia.
È
deliziosa.”
“E preparo dolci buonissimi, cosa da
non sottovalutare.” aggiunse la ragazza, senza staccare gli
occhi
dallo schermo su cui stava lavorando.
“Visto?- trillò di nuovo
Garcia- Ti saluto, mio marshmellow, devo andare a preparale una
cuccia!”
Passarono diversi minuti prima che le
due parlassero di nuovo. In realtà Penelope avrebbe voluto
tempestare Alaska di domande e non avrebbe esitato a farlo, se non
l'avesse vista così estremamente concentrata. Con le
sopracciglia aggrottate e le labbra premute una contro l'altra,
fissava lo schermo del proprio computer con serietà,
lavorando
attentamente sull'immagine di identikit che stava elaborando.
“Quindi...- domandò
all'improvviso, facendo sobbalzare la bionda sulla sua sedia- Spencer
ha qualche ex-ragazza psicopatica di cui dovrei aver paura?Oppure una
vecchia fiamma che non ha ancora dimenticato?”
Sulle labbra di Garcia si aprì
un sorriso da Stregatto: sapeva che c'era qualcosa sotto, fra quei
due! “Che io sappia, da quando lavora al BAU non ha avuto
storie
serie.- rispose, voltandosi verso l'antropologa per indagarne
l'espressione- Una volta ha conosciuto Lila Archer mentre lavorava a
un caso, ma non è durata molto...”
“Lila Archer?- ripetè Alaska,
alzando gli occhi interrogativi- Perchè il nome non mi
è
completamente nuovo?”
“E' un'attrice.” spiegò
Penelope con pazienza, ma vedendo che l'altra non sembrava ricordare
chi fosse, avviò una ricerca immagini su uno dei suoi tanti
monitor. “Oh, ora ricordo!- esclamò Alaska,
battendosi
il pugno sul palmo aperto-Mia sorella una volta voleva farsi i
capelli come lei.”
“Oooh!Guarda com'erano carini
insieme!” trillò di nuovo, puntando il dito verso
una foto
che ritraeva i due mentre Spencer passava la mano sul collo di Lila.
Garcia si voltò a guardare la
giovane scioccata. “Scusa?Stiamo guardando la stessa cosa?Lei
sarebbe praticamente la tua rivale in amore...”
Alaska scrollò le spalle “Questo
non cambia il fatto che fossero davvero adorabili...”
La bionda scosse la testa, riprendendo
il proprio discorso “Per quanto ne so poi, a parte un paio di
appuntamenti con una certa Austin, il nostro caro genietto è
libero come l'aria.”
Ross annuì pensierosa.
“A volte penso di non interessargli,
in quel senso.” rivelò, dopo qualche secondo di
riflessione
“Reid è piuttosto timido.- la
rassicurò Garcia- E da come evita di parlare di te per paura
di essere colto in flagrante, direi che non gli sei del tutto
indifferente.”
Gli occhi celesti dell'antropologa si accesero
“Davvero?”
Penelope annuì solenne “Credo
che tu gli piaccia, ma se così ancora non fosse, devi
stupirlo
con le tue mirabolanti capacità.”
“Tipo quella di unire i gomiti dietro
la schiena, di cantare la tavola degli elementi, di allacciarmi la
camicetta con una sola mano e di fare telefonate imbarazzanti in cui
espongo pensieri aggrovigliati?” elencò Alaska,
particolarmente fiera di sé.
Garcia rise “Visto?Sei fenomenale: mi
sto già innamorando di te.”
La ragazza le fece eco, sghignazzando
un po', mentre tornava a puntare lo sguardo verso il pc.
“Credi che abbia delle capacità
paranormali?” chiese di punto in bianco. Aveva alzato gli
occhi e
fissava seriamente la bionda.
“Come?”
“Reid, credi che abbia capacità
paranormali?- ripetè prima di spiegarsi-Sai, tipo quella
bambina di quel libro...”
“Ah!Quello di Ronald Dahal!- esclamò
Garcia, capendo dove voleva andare a parare-L'ho letto alle
elementari!”
“Esatto!- confermò Alaska,
esaltata da quell'argomento- Quella bambina era molto intelligente e
ha sviluppato dei poteri telecinetici come valvola di sfogo...Magari
funziona così anche per Spencer, è difficile
utilizzare
al cento per cento un quoziente intellettivo come il suo.”
“Già...- si ritrovò a
dire Penelope, quasi convinta- Non credo che lo guarderò
più
nello stesso modo.”
Si scambiarono uno sguardo stranito e
poi, per l'ennesima volta da quando si erano conosciute,
l'antropologa cambiò repentinamente argomento, dando a
Garcia
il computer che reggeva fra le mani.
“Identikit fatto.- spiegò-
Ecco John Doe.”
Penelope inclinò la testa mentre
osservava il volto sullo schermo. Era un uomo ispanico, di circa
trent'anni. “E' ben fatto. Credevo fossi solo una scienziata,
non
una disegnatrice provetta.”
“Questo è solo un identikit.-
disse Alaska, facendo sventolare una mano con aria noncurante- Mia
madre è la vera artista, è lei che mi ha
costretta a
partecipare a delle lezioni di disegno quando ero piccola e ora uso
quanto ho imparato per il mio lavoro.”
“Beh, a me pare molto bello invece.-
ribadì la bionda- Sai, potrei ingaggiarti per fare un mio
ritratto in veste di regina del mondo a grandezza naturale da
appendere qua in ufficio, che dici?”
“Che sarebbe molto decorativo. Lo
vuoi ad olio su tela?”
“Bien sûr,
mon amie.”
“Ci vediamo domani, Nocciolina!”
trillò Penelope, prima che si chiudessero le porte
dell'ascensore, mentre Alaska sventolava la mano felice.
“Nocciolina?” ripetè Derek,
alzando un sopracciglio.
“Nocciolina.” confermò la
giovane.
“Nocciolina?!”
“E' il soprannome che mi ha dato
Penny.- spiegò calma Ross- Ora vado da Hotch.”
Morgan guardò l'antropologa
rassegnato mentre si avviava verso l'ufficio del capo di analisi
comportamentale.
Erano rientrati da poco, dopo essersi
recati sul luogo dell'ultima vittima, che era stata trovata nelle
stesse inumane condizioni di quelle precedenti. Garcia non aveva
ancora trovato nulla che accomunasse le vite degli uomini uccisi e
loro, nonostante le abilità da profiler e l'esperienza che
avevano alle spalle, continuavano a sbattere inutilmente la testa al
muro, come se si trovassero all'interno di un labirinto da cui era
difficile uscire.
Hotch, vedendoli troppo stressati e,
soprattutto, non ancora in grado di venire a capo di qualcosa in quel
caso, aveva ordinato ai suoi sottoposti di tornarsene a casa a
riposare, e ripresentarsi la mattina successiva. Sperava che un po'
di riposo potesse chiarire a tutti loro le idee.
JJ, Emily e Rossi erano già
tornati a casa ed ora, solo lui e Reid stavano radunando le proprie
cose prima di uscire dagli uffici FBI.
“Devi darti una mossa, ragazzino.”
disse, rivolgendosi al giovane collega.
Spencer alzò lo sguardo dalla
propria scrivania, confuso “Perchè?Non credevo
volessi darmi
un passaggio.”
“Non sto parlando di questo.- sbuffò
Derek, facendo roteare gli occhi- Parlo di Quarantanove. Nocciolina.
La bambolina che ti mangi con gli occhi da quando è arrivata
qua.”
“I-io non faccio niente del genere.-
arrossì velocemente il genietto- Alaska e io siamo solo
amici.”
Sbuffò sonoramente mentre si
chinava a raccogliere i fogli con gesti nervosi e rigidi. Almeno in
questo modo riusciva ad evitare il contatto visivo. Mentiva meglio,
in quel modo.
“Certo, come no. Continua a ripeterlo
se ti fa piacere.” ribattè l'uomo di colore, per
niente
convinto.
“S-siamo solo amici.” ribadì.
Ma, in effetti, non riusciva a mentire. Non a Morgan. Non su un
argomento che gli faceva illogicamente salire la pressione.
“Lei non fa per me...- sospirò
quindi Reid- Insomma,l'hai vista?Lei è spontanea e
spensierata
mentre io...”
“Senti Reid, perchè ti fai dei
problemi che non esistono?Per una volta lascia stare le riflessioni
ed agisci!” sbottò, cercando di spronarlo.
“M-ma lei...lei...- il ragazzo alzò
gli occhi verso l'ufficio di Hotch da dove, attraverso il vetro che
si affacciava sul corridoio, poteva vedere lui e l'antropologa
parlare-Sai come mi ha detto che partiva per il Guatemala?”
Derek aggrottò le sopracciglia,
non capendo il nesso “Come?”
“Prendevamo un caffè e ad un
certo punto, dal niente dice: Sai, domani parto per il Guatemala. E
quando le ho chiesto quanto sarebbe stata via ha risposto che non ne
era sicura.- concluse, come se fosse un argomento più che
valido per non rischiare- Io non sono in grado di vivere
così,
tu mi conosci.”
“E' solo questo il problema?”
domandò Morgan, alzando un sopracciglio.
“Solo questo il problema?- ripetè
Spencer con voce acuta-Non mi sembra una cosa da poco.”
L'amico gli diede una pacca sulle
spalle “Credimi, ragazzino, un po' di spontaneità
ti farebbe
solo bene.”
“Non è solo questo!- balbettò
incerto-Lei...lei...”
“Lei ti piace, al di là della
razionalità, Reid.- continuò al suo posto, con un
sorriso saccente sul bel viso- Accettalo e basta.”
Ma il ragazzo aggrottò la
fronte, pensieroso “C'è qualcosa che non riesco a
cogliere
di lei. Sai, di quella faccenda di tanti anni fa, con
Rossi...”
Morgan si fece serio. Dave non aveva
voluto rivelare il modo in cui avesse conosciuto Alaska, ma
Reid...beh, Reid era un genio dalla memoria eidetica e Rossi era
aveva divorato tutti i suoi libri: non ci aveva messo molto a
scoprire che il loro collega più anziano aveva conosciuto
l'antropologa quando questa era ancora una bambina di otto anni. Era
stata rapita e segregata in un lurido capannone, torturata e
trattenuta in gabbia come un animale. Conoscendo David, era facile
pensare che lui si sentisse ancora in colpa per non aver fermato
prima quell'SI, nonostante la ragazza lo guardasse sempre come se
fosse il suo salvatore. Morgan conosceva Reid: sapeva che il giovane
era convinto che quell'esperienza non poteva essersi cancellata
magicamente dalla mente di Alaska, ma in quel momento non sapeva cosa
potergli consigliare.
“Mi dispiace, ragazzino, non credo
che questa sia una cosa che riuscirai mai a controllare.- concluse,
strizzandogli la spalla con una mano- Nemmeno con quel tuo cervello
supersonico.”
Gli fece un cenno di saluto e si avviò
verso l'ascensore.
Spencer, rimasto alla propria
scrivania, si mordicchiò nervoso il labbro inferiore.
Doveva rimanere per parlare con Alaska
o tornarsene a casa?
Aaron non alzò nemmeno gli occhi
dal fascicolo che stava rivisionando per la centesima volta, quando
sentì bussare alla porta del proprio ufficio.
“Mi avevano detto che ti avrei
trovato ancora qui.-esordì la ragazza, dirigendosi sicura
verso la sedia di fronte alla scrivania e sedendosi comodamente-
Stacanovista, uh?”
Hotch le fece un cenno col capo mentre
si sporgeva verso di lei per afferrare la tazza di caffè che
gli stava offrendo “Credevo che fossi già tornata
in
albergo. Ho visto il dottor Stein andarsene un'oretta fa.”
“Credo di essere più utile
qui.- disse Alaska con una scrollata di spalle- E poi, ho bevuto tre
caffè non decaffeinati oggi, il che significa che il mio
organismo resterà attivo per le prossime settantadue ore
senza
alcun bisogno di riposo.”
Lasciò vagare gli occhi nella
stanza, fermandosi solo sui particolari più interessanti.
“Quello è tuo figlio, vero?-
domandò, indicando una foto di Jack- Avete dei tratti del
viso
in comune, credo che ti assomiglierà molto quando
crescerà.”
Hotch le rivolse un mezzo sorriso
stiracchiato “La dottoressa Tanaka è d'accordo col
fatto che
rimani ai laboratori anche senza la sua supervisione?”
Ross fece dondolare la testa, incerta
“Diciamo di sì.”
“Alaska...” la richiamò
l'uomo, alzando un sopracciglio.
“La dottoressa Tanaka è una
vera forza. Mi piace.”
Aaron la guardò stranito
“Credevo che lei ti odiasse.”
“Lo so, ma a me piace vedere il lato
positivo delle persone.- continuò Alaska, col tono sognante
di
qualcuno che sta parlando del proprio mito- Lei è
determinata,
si è fatta strada in un ambiente dove gli uomini la fanno da
padrone: non posso non ammirarla.”
“Questa è la ricostruzione che
ho fatto del volto della vittima.” aggiunse, allungando sulla
scrivania l'identikit su cui aveva lavorato fino a poco prima.
Hotch alzò il foglio per
esaminare meglio quel viso sconosciuto“Controllerò
con le
persone scomparse.”
“Già fatto: Penny mi ha
iniziato alle sacre arti dell'informatica. Se creerò un fan
club a suo nome con tanto di magliette con la sua foto ha detto che
mi rivelerà ogni più recondito segreto della sua
arte.-buttò fuori velocemente prima di rivelargli il nome-
Si
chiamava Carlos Grimes.”
“Grazie.” le disse, e dalla sua
voce si poteva sentire che quel caso stava sfiancando anche lui.
Alaska fece sventolare una mano
“Ringrazia la caffeina. E la teina. E i vari eccitanti di
origine
naturale con cui sono entrata in contatto ultimamente.”
“Alaska...” la richiamò di
nuovo l'uomo, guardandola accigliato.
“Ti giuro che non uso
sostanze illegali per...” iniziò a giustificarsi
la ragazza,
che aveva mal interpretato il suo sguardo.
“Credo che ora tu debba andare a
riposare un po'.” concluse quindi Hotch.
“Oh.- esclamò stupita-Ok.”
Fece qualche passo verso la porta
“Forse dovresti tornare a casa anche tu.- gli propose,
lanciando
un'occhiata alla foto di Jack- Quel ragazzino avrà bisogno
che
suo padre gli rimbocchi le coperte.”
Aaron le fece un sorriso, ma quando
aveva già la mano sulla maniglia, l'antropologa si
girò
di nuovo.
“Ah, Hotch: che cos'è l'ADD?”
domandò incuriosita.
“E' la sigla della sindrome da
deficit di attenzione e iperattività.”
spiegò l'uomo,
perplesso da quella domanda.
“Ok.- disse Ross, assimilando
l'informazione- Credi che io possa averla?”
“Perchè me lo domandi?”
ribattè Hotch, sempre più confuso.
“La dottoressa Tanaka dice di sì.”
rispose con una scrollata di spalle.
“La dottoressa Tanaka non può
diagnosticarti una cosa del genere, Alaska, te l'ha detto per
prenderti in giro.” sospirò.
“Visto?- sorrise apertamente la
giovane prima di uscire-Te lo dicevo che c'era qualcosa di buono in
lei: ha senso dell'umorismo!”
Quando Alaska scese le
scale e camminò
nell'open space, trovò Spencer chino alla propria scrivania,
con l'aria di qualcuno intento a riflettere troppo intensamente su un
qualche problema.
Cambiò la direzione dei propri
passi e si sedette sul tavolo, facendo sobbalzare il ragazzo per la
sorpresa.
“Credevo fossi già a casa,
dottor Reid.” sorrise. Le piaceva usare quel titolo per
chiamarlo,
quando era particolarmente di buon umore.
Spencer tenne le sopracciglia
aggrottate “Ho visto che hai fatto un sacco di pubblicazioni
in
questo periodo.”
Alaska non notò quanto fosse strano
quell'argomento “Sì, ho avuto del tempo
extra.”
“Tempo extra?- domandò
stranito, fissandola intensamente- Credevo che avessi molto da fare
al laboratorio...”
“Diciamo che ho avuto delle nottate
piuttosto lunghe e proficue.” confessò quindi.
“Insonnia?” ipotizzò il
profiler ad alta voce.
“Incubi, per lo più.” disse,
abbassando lo sguardo.
Quel gesto fece preoccupare Reid: non
l'aveva mai vista abbassare lo sguardo davanti a niente, e
soprattutto non in quel modo. Sembrava stanca, sconfitta.
“Mi dispiace.” buttò fuori
in un sussurro, non sapendo che altro dire.
“Tranquillo, passeranno. Passano
sempre.- lo tranquillizzò, con un sorriso ampio sul volto,
quando tornò a guardarlo in viso- Solo che ho davvero
bisogno
di fare una bella dormita, hai presente?Di quelle che ti tengono
inchiodata al letto per quasi dieci ore.”
Spencer deglutì a vuoto un paio
di volte “Tu lo sai vero che...che con me puoi
parlare?”
La ragazza non sembrò capire a
cosa si riferisse “Ma io ho parlato con te, Spencer...In
effetti,
non capisco come fai a trattenerti dal dirmi di tacere.”
“Non sto parlando di semplici
chiacchiere, ma di quello che è successo a Baltimora.-
sbottò
Reid, quasi irritato. La fisso con occhi fiammeggianti- Sei stata
rapita, picchiata e hai sparato a un uomo. Non puoi comportarti come
se niente sia accaduto.”
Vide le spalle della giovane piegarsi
leggermente all'ingiù e la vide quasi svuotata, per un
attimo.
“Quindi, non vuoi parlare con me,
Alaska?” le domandò, con tono gentile.
“Quello che è successo non è
importante...- Spencer alzò le sopracciglia, lanciandole uno
sguardo perplesso- Voglio dire:è stato scioccante e tutto il
resto ma è passato. È inutile che io continui a
pensarci. Quello che davvero mi fa stare male sono gli
incubi.”
“Ti sogni di quella notte?” chiese
preoccupato. Sapeva cosa voleva dire avere quel genere di incubi.
Alaska scosse la testa, abbassando gli
occhi, e a lui venne subito in mente quale potesse essere il vero
problema. Non era il passato recente a bussare prepotentemente nella
mente della sua nuova amica, ma quello remoto della sua infanzia
quando ad appena otto anni era stata tenuta prigioniera per giorni da
un SI.
“E' che...- continuò, e a
Spencer salì un po' il panico quando notò il suo
labbro
inferiore tremare vistosamente- sono immagini così nitide,
reali. Quando mi sveglio e mi passa per la testa che, forse, sono
davvero cose che mi sono accadute e non solo frutto della mia
immaginazione io...io...”
Reid allungò piano una mano
verso di le, posandola sopra la sua che teneva abbandonata sopra le
ginocchia fasciate dal tessuto leggero dei jeans. Con una
spontaneità
che non gli era propria, la iniziò ad accarezzare
timidamente
con il pollice.
La ragazza prese dei respiri profondi
per ricacciare indietro quelle lacrime che si stava tenendo dentro da
troppo e, gli occhi fissi sulle mani affusolate del profiler, si
sentì all'improvviso un po' meglio.
Alzò lo sguardo, colmo di
gratitudine, verso Spencer, che la osservava preoccupato e, come al
solito, con quello strano senso di confusione. Non capiva esattamente
il motivo per cui ogni volta che incontrava quelle iridi chiare aveva
la sensazione di avere un turbinio di farfalle nello stomaco.
Aggrottò le sopracciglia: che
Morgan avesse ragione?Che lui provasse davvero qualcosa al di
là
della semplice amicizia verso l'eccentrica antropologa?
Fissò di nuovo lo sguardo sul
volto abbronzato di Alaska e vide che i suoi occhi erano tornati
accesi e vivaci.
“Ti ho portato un souvenir!”annunciò,
sorridente e apparentemente dimentica dei propri problemi.
Si alzò di slancio e corse verso
la propria valigia, che aveva lasciato nell'open space quella
mattina.
Ritornò saltellando, con una
scatola non impacchettata fra le mani.
“Una scacchiera a tre dimensioni?-
disse titubante, guardando il regalo che gli aveva consegnato-Tipica
del Guatemala, immagino.”
“No, l'ho presa allo scalo al JFK.-
confessò con leggerezza- L'ho vista e ho pensato a
te.”
Spencer la ringraziò, nonostante
avesse capito che, attraverso quel cambio di argomento e
quell'allegria, stava cercando di ricacciare di nuovo indietro le
proprie fastidiose emozioni.
“Però devi promettermi che
quanto tornerai a casa, adesso, non ti metterai a giocare, ma ti
farai un po' di ore di sonno!” ciarlò allegra.
“Se vuoi resto qui con te...-
balbettò incerto, cercando di decifrare la reazione della
ragazza- Voglio dire...se ti va, posso...posso farti
compagnia...”
Alaska gli sorrise dolcemente “No, tranquillo.
Ho del lavoro da finire e poi credo che mi concederò un po'
di
sonno sul divanetto nell'ufficio di Dave. Ci vediamo domani,
ok?”
L'antropologa gli rivolse un nuovo
sorriso, stanco, e, dopo avergli passato con dolcezza una carezza
sulla guancia, si alzò sulle punte per lasciare un bacio
dove
prima erano passate le sue dita fresche.
Spencer rimase immobile, pietrificato.
Con in mano la scatola degli scacchi tridimensionali e il volto
paonazzo, non riuscì a fare altro che guardarla mentre si
infilava nell'ufficio di Rossi.
“A domani, Alaska.” soffiò,
quando ormai era troppo tardi.
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Nuovo capitolo. La faccio breve
perchè è uno di quei periodi in cui non mi va mai
bene niente. Non mi piace: credo che sia troppo lungo, che non ci sai
dentro niente di particolarmente rilevante e...boh, non so. Mi sento un
pò iper-critica e la cosa non mi fa apprezzare
particolarmente questo capitolo...
In ogni caso: grazie mille a chi ha letto i capitoli precedenti e anche
a chi a commentato!Fatemi sapere che ne pensate della storia!Baci JoJo
aliena : Hai colto nel segno, Alaska è più un topo da laboratorio, diciamo!eheheh E con la bambina: in fondo è una bambina troppo cresciuta anche lei, quindi è ovvio che si trovi bene con gli infanti!Reid è un profiler, e in più pare abbia una piccola cotta per l'antropologa, ergo non può che cogliere anche le più piccole sfumature di comportamento! Diciamo che quella di Emily è più solidarietà femminile... Bones mi piace, anche se non lo guardo spesso, ti dirò che mi piacciono molto di più i libri di Katy Reichs, la sua creatrice: sono una pazza amante dei particolari scientifici, quindi non posso che adorarla!eheheh!Al prossimo capitolo, baci JoJo
Maggie_Lullaby : Tranquilla, le tue recensioni redatte nottetempo sono davvero carine!eheheh!Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto :) Uhmm...dunque, Abby di NCIS ce l'ho presente, è una forza, ma credo che la mia Alaska sia troppo...svampita...per essere brillante come lei; l'Ispettore Lanza mi giunge nuovo, ma mi informerò, ora sono incuriosita dal personaggio! Ho aggiornato abbastanza presto?Fammi sapere che pensi di questo capitolo in cui si spiegano un pò delle cose che ti incuriosivano!Kisses JoJo