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Autore: ReaderNotViewer    25/06/2010    3 recensioni
ll 20 maggio 2003 Sunnydale sprofondò all’Inferno. Circa tre settimane più tardi un certo fantasma ossigenato comparve nell’ufficio di Angel a Los Angeles. Questa storia si situa in un momento imprecisato compreso tra i due eventi. Ognuno dei capitoli si ispira a uno dei prompt ereditati dalla Festa dei Folli. Infine, prima che veniate a chiedermelo: se l’hanno fatto Disney, Bill Murray e gli autori di In viaggio nel tempo, perché non lo posso fare io?
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Spike
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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CAPITOLO 3



Prompt: Uova fritte



Si ritrovò nell’anticamera. La situazione era identica all’inizio, eccezion fatta per un ombrello in meno nel portaombrelli e un bernoccolo in più sulla sua testa. Camminò per un po’ avanti e indietro, tastandosi la testa dove era stato colpito e imprecando contro la dannata razza delle governanti inglesi, prima di riprendere posto sulla stessa sedia di prima. La porta e la finestra erano sempre ermeticamente chiuse, fuori era ancora buio pesto e la scialba illuminazione presente nella stanza non aveva nessuna spiegazione: né lampade, né candele, né faretti incassati da qualsiasi parte. A Spike continuavano a roteare per la testa vecchi versi che parlavano dell’implacabile luce della coscienza, ma forse era solo effetto del trauma cranico.
Nella sua lunga non morte era stato atterrato dagli avversari più improbabili con le armi più assurde, ma l’ombrellata di una bambinaia batteva ogni record. Al confronto, l’accetta di Joyce Summers e la freccia di Harmony impallidivano.
Studiò per un po’ la Vergine delle Rocce. L’arte figurativa non era mai stata il suo forte, ma la riproduzione gli parve eccellente. Osservò i personaggi uno alla volta, poi arretrò d’un passo per guardare bene l’insieme. Non che grotte e caverne fossero al momento il suo paesaggio preferito, a dir la verità. In ogni caso, la Madonna, i due bambini e l’angelo sembravano molto sereni e molto compresi in ciò che stavano facendo, di qualsiasi cosa si trattasse. Se quel quadro era stato scelto per farlo sentire ancora di più un reietto, era stato fin troppo facile. Se invece c’era qualche altro motivo, allora non era abbastanza intelligente o abbastanza preparato in storia dell’arte per capirlo.
Com’è che da quando aveva di nuovo l’anima gli sembrava di essere diventato più stupido? Era una cosa che era successa anche ad Angel, a ben vedere.
La direzione inquietante che avevano preso i suoi pensieri fu bruscamente interrotta da una voce femminile.
“Bel quadro, vero? Dicono rappresenti l’unione fra la maternità e il divino… o qualcosa del genere. Leonardo da Vinci era figlio illegittimo, sa? Era un po’ fissato anche lui con le madri. E a proposito di questo, dobbiamo andare. Su, venga.”
Tutto questo discorso era stato pronunciato senza prendere fiato da una donna asciutta e scialba sulla quarantina, che mentre parlava gesticolava indicandogli la porta. Spike notò che aveva lo smalto delle unghie un po’ rovinato.
Era sicurissimo che la donna fosse arrivata senza fare il minimo rumore. Al suo orecchio da predatore, che poteva sentire strisciare un paio di mocassini indiani, non sarebbe dovuto sfuggire il ticchettio delle scarpe scollate col tacco alto.
“Il fantasma della madre del presente, suppongo” s’informò Spike con un cenno del capo.
“Indovinato. Che cosa fa lì impalato? Su, dobbiamo andare” lo sollecitò la sua nuova guida, sollevando dal tavolino sotto la Vergine della Rocce il vaso da fiori che vi era posato. Era di ceramica bianca e aveva forma di coppa. La donna ci guardò dentro, scuotendolo un po’, come se volesse assicurarsi che fosse proprio vuoto. Sembrava uno strano momento per darsi all’ikebana.
“Non prendiamo, ehm… l’ombrello?” chiese Spike indicando l’ombrello che era rimasto, quello da uomo.
La donna lo guardò sorpresa e sollevò il vaso sopra la testa con entrambe le mani. Spike fu lesto a ritrarsi, temendo, dopo l’esperienza con la bambinaia, che glielo rompesse sul capo. Non era preparato però a quello che accadde subito dopo: ricevette infatti un colpo dietro le ginocchia che gli fece piegare le gambe e chinare la testa. Quando rialzò lo sguardo vide calare su di sé un’ombra gigantesca, quella di una versione enormemente ingrandita della coppa, poi gli sembrò di rimbalzarci dentro come un pupazzetto lasciato cadere in una scatola. Cercò di afferrarsi alle pareti, ma erano lisce e fredde, proprio come se fossero fatte di porcellana. Colto dalla vertigine, chiuse gli occhi e si rannicchiò, lasciandosi trasportare. Li riaprì non appena la testa smise di girargli e si ritrovò a fissare le pupille grigio azzurre della sua guida, che sedeva compostamente sul fondo della coppa, proprio di fronte a lui, le gambe ordinatamente raccolte sotto di sé e le scarpe con i tacchi alti tenute in mano.
“Stia attento con quegli anfibi, o rovinerà la porcellana” gli consigliò, come se per viaggiare dentro un vaso da fiori si dovessero seguire delle ovvie regole di comportamento.
Spike le rivolse un’occhiataccia e piegò ancora di più le ginocchia, ma senza strisciare sulla porcellana con il carrarmato delle suole.
“Dove andiamo di bello?”
La sua guida sbuffò e guardò l’orologino che portava al polso. “Ci vorrà poco. Ha avuto anche lei una giornata pesante?” s’informò, sarcastica. “Io mi sono alzata alle sei per portare il bambino all’asilo e arrivare al lavoro per le otto.”
“Io invece sono bruciato vivo per salvare il mondo” replicò Spike.
La donna spostò un ciuffo di capelli rossicci dagli occhi e lo guardò incuriosita. “Così lei sarebbe un vampiro con l’anima?” gli chiese come se se lo fosse aspettata completamente diverso. Spike nel frattempo notò che sotto la tinta si vedevano le radici scure e che la matita aveva sbavato lungo il bordo delle palpebre.
“Noi vampiri con l’anima non siamo tutti uguali” protestò.
“Siete solo due” osservò la donna, sottintendo che per quanto la riguardava avrebbero anche potuto essere zero. Sbadigliò, mettendosi educatamente la mano davanti alla bocca. Sembrava stanca oltre il punto in cui le potesse importare ancora qualcosa di qualcuno.
“La piccola si è svegliata due volte, stanotte” gli confidò. Anima o non anima, Spike non riusciva a provare interesse per il sonno perso a causa di infanti. Quand’era stato vivo, si supponeva che queste fossero cose che non lo dovessero riguardare, l’attenzione di Dru verso i bambini era stata di un genere molto particolare e persino nell’ultimo, disgraziato periodo, le Potenziali erano state sì troppo giovani ma non così tanto.
Stava ancora decidendo se esprimere francamente il suo disinteresse sarebbe stato considerato scortese, quando il loro viaggio – o trasvolata o quello che era – si arrestò bruscamente e il loro mezzo di trasporto ondeggiò come una nave sul punto di naufragare. Spike e la sua guida finirono ammonticchiati sul fondo del vaso per un breve istante, prima che entrambi si rialzassero, imbarazzati, sistemandosi inutilmente i vestiti, che per la verità erano già molto stazzonati prima che quella gita avesse avuto inizio. Il vaso era così inclinato che ne uscirono facilmente, ritrovandosi in una fitta oscurità. Il caratteristico odore di gas di scarico misto ad effluvi marini, insieme col caldo umido e appiccicoso, gridò alle narici ipersensibili del vampiro “Los Angeles”, la città degli angeli in generale e di uno in particolare. Che meraviglia. Una luce si accese dietro a una finestra, illuminando fiocamente il giardinetto posteriore di un villino suburbano, sul cui praticello erano atterrati con il loro vaso come avrebbero potuto fare degli strambi visitatori extraterrestri nella parodia di un film di fantascienza. Il piccolo giardino confinava sui tre lati con altre proprietà simili, quel tipo di casette che si estendevano per miglia e miglia nei sobborghi di Los Angeles, per ospitare famiglie di reddito medio, un gradino più su del proletariato di recente immigrazione ma parecchio più in basso del ceto medio di impiegati d’alto livello e di professionisti che vivevano in quartieri più eleganti, con abitazioni più grandi e meglio tenute, più vicine al mare o nascoste tra la vegetazione sulle colline.
La sua guida gli fece cenno di avvicinarsi alla finestra che si era illuminata. Spike volse gli occhi nella direzione indicata per un attimo, e non appena si girò nuovamente il vaso da fiori formato gigante era svanito dal giardino senza lasciare nessuna traccia sull’erba.
“Odio la magia” borbottò con convinzione.
Attraverso la finestra a saliscendi si vedeva una piccola cucina, con mobili di legno chiaro che sembravano nuovi e pareti allegramente tinte di giallo pallido. Sul giardino dava anche la portafinestra, schermata da una tenda a listelli, che tintinnava lievemente contro il vetro ad ogni minimo alito di vento. Spike pensò che sarebbe diventato matto, se fosse stato costretto a sentire quel rumore giorno e notte. Meno fine d’udito, il padrone di casa sedeva tranquillamente al tavolo quadrato, dando loro le spalle, e affettava pomodori.
Il rumore del motore di una macchina si avvicinò poi si spense, mentre qualcuno parcheggiava sul davanti dell’abitazione. Si sentì una portiera sbattere, poi le chiavi girare nella serratura.
“Sono tornata, amore. Dove sei?” chiese una voce femminile.
“In cucina, Amanda” rispose l’uomo seduto al tavolo, alzando la testa. Non c’era bisogno di vederlo in faccia per capire quanto gli facesse piacere sentire quella voce. Ecco un uomo felice di affettare pomodori nella cucina della sua casa, aspettando che la sua donna tornasse a casa e che magari gli preparasse qualcosa da mettere vicino ai pomodori. Era un giovanotto grande e grosso, con spalle ampie e muscolose che si disegnavano sotto la semplice maglietta bianca e larghe mani abbronzate, più adatte a maneggiare pesanti arnesi da lavoro che utensili da cucina. Aveva i capelli scuri ancora bagnati, come se si fosse appena fatto una doccia. Tutto lasciava pensare che si trattasse di un onesto operaio, reduce da una lunga giornata di duro lavoro e dotato di un giusto appetito. Doveva esserci del gusto ad essere un uomo così, pensò fuggevolmente Spike, a maggior ragione se si aveva per moglie una biondina adorabile come quella che faceva il suo ingresso in quel momento attraverso la porta. Spike vide scintillare il cerchietto d’oro all’anulare della mano sinistra. Se il marito non portava la fede, doveva essere solo perché avrebbe potuto impigliarsi in qualche gancio o qualche chiodo mentre lavorava. Era un’abitudine di coloro che avevano a che fare con macchinari pericolosi. Negli anni Venti e Trenta Spike trovava spesso la fede del padrone di casa ancora nuova, conservata nella sua scatolina dentro il primo cassetto del comò, quando buttava all’aria la povera abitazione di qualche famiglia proletaria, dopo averne dissanguato i membri. Se un operaio portava la fede al dito, poteva solo significare che era disoccupato, una vittima della Grande Crisi.
“Oh, tesoro mi spiace” stava dicendo la giovane e graziosa biondina nel frattempo, gettando la giacca su una sedia e andando a lavarsi le mani sotto il rubinetto del lavello. “Avrai fame, e io ho fatto tardi: ho dovuto aspettare un’eternità.”
“Non importa, che cosa ti ha detto il dottore?”
Le voci si distinguevano perfettamente attraverso il vetro aperto della finestra a saliscendi.
“Chi è questa gente?” bisbigliò Spike alla sua guida, che si era appoggiata comodamente al davanzale con i gomiti per osservare la scena all’interno, indifferente alle piantine di basilico che crescevano nei vasi.
“Sst” gli intimò “se no non sentiamo niente. Non ti preoccupare: loro non…”
“… ci possono sentire, lo so.”
“Belle notizie, adesso ti racconto” disse Amanda cominciando ad aprire e chiudere gli sportelli e l’anta del frigorifero “purtroppo però non sono riuscita a fare la spesa. Qualcosa ci sarà, vediamo un po’…”
Lui si alzò dal tavolo ed andò ad abbracciarla da dietro, cingendole la vita sottile. Si chinò a baciarla dietro un orecchio.
“Ho visto che hai trovato i pomodori” disse lei, pratica, sgusciandogli dalle mani, non prima di avergli affettuosamente dato un colpetto su un braccio. “Non abbiamo più bistecche e nemmeno un hamburger” si rammaricò frugando dentro il frigorifero. Aveva una bella figura, che nemmeno l’abbigliamento semplicissimo, quasi da ragazzina, riusciva a celare. Il marito le guardò i fianchi con un sorriso di apprezzamento, mentre lei parlava con la testa dentro al frigorifero. Ora che si era alzato, Spike vide che aveva un profilo gradevole, con un simpatico naso a patata, un po’ spellato dal sole. Era un giovanotto alto e robusto.
“Mi ha detto che non dobbiamo preoccuparci” disse Amanda, riemergendo trionfante con in mano una confezione di bacon e una di uova “Che ne dici se ti friggo un paio di uova?” propose appoggiando gli ingredienti sul ripiano vicino al fornello.
“Magnifico” approvò lui, senza che fosse chiaro se si riferisse alla cena o al responso del dottore.
Amanda tirò fuori una padella da sotto il piano cottura e riaprì il frigorifero per prendere il burro: “Lo so che sarebbe più adatto per la colazione che per…”
“Avevo proprio voglia di uova fritte” la rassicurò lui “Che cosa ti ha detto il dottore esattamente?”
“Che gli esami vanno benissimo” rispose Amanda sorridente. Mise la padella sul fornello e vi pose dentro un bel pezzo di burro, che cominciò subito a sfrigolare.
“La fiera del colesterolo” osservò acidamente la guida di Spike, dandogli di gomito. “Lo vuole proprio ammazzare, quel povero ragazzo!”
‘Quante storie’ pensò lui, che sebbene avesse fatto regolarmente colazione con uova e pancetta per gran parte dei suoi anni mortali, di una cosa era certo, e cioè che non fosse certamente stato il colesterolo ad ucciderlo.
“E che non c’è ragione perché non ci dobbiamo riprovare quando vogliamo” aggiunse Amanda, estraendo rapidamente le fette di pancetta dalla confezione per posarle sul fondo della padella. Un delizioso profumo di pancetta rosolata si sparse attorno, raggiungendo anche i visitatori all’esterno, della cui presenza i padroni di casa continuavano ad essere ignari.
“Anche subito, ha detto il dottore” ridacchiò Amanda. “Affetta il pane, vuoi?”
“Intendi dire… subito subito?” chiese il marito, in piedi in mezzo alla cucina con un filone di pane in mano.
“Aspettiamo di aver mangiato, magari” sorrise lei, osservando la pancetta con una paletta in mano, pronta a rigirarla quando fosse ben rosolata da un lato.
Lui si sedette allo stesso posto di prima e finì di affettare i pomodori. Poi tagliò alcune spesse fette di pane e le appoggiò ordinatamente su un piatto.
“Ora che ci penso, a pranzo ho mangiato solo un’insalata” sospirò, dalla sua posizione di vedetta, la donna vicino a Spike.
La pancetta venne rigirata e sfrigolò allegramente. La donna sospirò più forte.
“Chi diavolo sono questi due?” chiese di nuovo Spike.
“Lei è la madre del presente, no?” rispose la donna, distogliendo malvolentieri la sua attenzione dallo sfrigolare dei grassi nella padella “Adesso lo dirà, se hai un attimo di pazienza.”
Le uova raggiunsero la pancetta e Amanda apparecchiò rapidamente la tavola mentre venivano pronte.
“Tu non mangi le uova?” le chiese il marito mentre lei gliene faceva scivolare due nel piatto.
“Preferisco un po’ di formaggio magro. Una dieta salutare è importante.”
“Hai ragione, il nostro bambino dovrà avere il meglio.”
“Lo avevi detto anche la scorsa volta” sorrise lei, triste.
“Non ci devi pensare più” si sporse attraverso il tavolo per mettere una delle sue manone su quelle di lei. “Il dottore non ha detto che è stato solo un caso?”
“Sì, ha detto che un aborto spontaneo può capitare” confermò Amanda, guardando i pomodori e il formaggio nel suo piatto, ma senza iniziare a mangiare.
Il marito, al contrario, si stava spazzolando di gusto le uova, usando il pane per raccogliere bene il tuorlo dal piatto. Ingoiò il boccone prima di replicare: “E allora, cosa c’è che non va?”
“Sono un po’ preoccupata per il tuo lavoro” confessò Amanda.
“Guadagno bene, adesso: lo so che il bambino costerà molto, ma ce la faremo.”
“Quella cosa del contratto, però… e se ti succede qualcosa?”
“Stavo attento anche prima e a maggior ragione ora che ho te, anzi che avrò voi.
“Quello che fai è pericoloso, ho sempre paura che tu ti possa fare male. E l’assicurazione non copre quasi niente” insistette Amanda.
“Non c’è ragione di preoccuparsi, amore” tagliò corto lui, guardando con rammarico il piatto, ormai vuoto: “E per inciso, adoro le tue uova fritte!”
Spike guardò interrogativamente la sua guida, che scosse leggermente la testa e commentò: “Uomini: non pensano mai che le cose possano andare male!”
“E poi, ho incontrato di nuovo quei signori” aggiunse Amanda.
“Quegli strani demoni? Ti hanno fatto qualc…”
“No, no” si affrettò a negare lei “Anzi, sono stati gentilissimi, come sempre. In un certo senso, non si potrebbero desiderare dei vicini di casa migliori.”
“Los Angeles è piena di gente del genere” considerò il marito, abbassando la voce come se temesse di farsi sentire “ma non capisco l’interesse del loro clan verso di noi.”
“Dicono che apparteniamo a un’antica discendenza, lo sai. Comunque sia, mi rendono nervosa.”
“Lo credo bene, anche se devo ammettere che sembrano bene intenzionati.”
Spike fischiò piano. Finalmente cominciava a intravedere un suo possibile ruolo nella faccenda. Forse avrebbe dovuto proteggere quella coppia da demoni che volevano ucciderli. Questo sembrava penosamente simile a ciò che di solito faceva un certo vampiro al quale preferiva non pensare.
Forse, anzi, era proprio qualcosa che toccava a tutti i vampiri con l’anima, vai a sapere.
“Su, bella biondina” sussurrò “dimmi qualcosa di più su questi brutti demoni che ti fanno paura. Di che colore sono? Quanto sono lunghe le loro zanne? Se non so niente, come faccio a… ahia!”


***


Voglio scambiare due parole con Kikia27, che non si fa spaventare dalla solitudine e continua coraggiosamente a recensire. Una vera eroina, almeno ai miei occhi! Eccomi qui, con l’aggiornamento settimanale: niente avrebbe potuto impedirmi di pubblicarlo, nonostante sia reduce da una settimana di lavoro infernale, roba da far concorrenza a un immigrato cinese. Temo però che il nuovo capitolo ti abbia deluso: niente dettagli sulla lunga parentesi sanguinaria di William il Sanguinario, come vedi. La ragione è che seguendo pedissequamente il Canto di Natale di Dickens, questa volta era il turno del fantasma della madre del presente, e se conosci l’ultima stagione di AtS avrai sicuramente capito chi sia questa madre del presente e che ruolo avrà Spike riguardo al nascituro. Il prossimo capitolo è anche l’ultimo, e cercherò di pubblicarlo puntualmente venerdì prossimo.

  
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