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Autore: Smolly    27/06/2010    3 recensioni
Aidamòs ha 17 anni, nessun amico e un nome che odia. Vorrebbe vivere un'altra vita, avere qualcuno che gli vuole bene e cambiare città, ma non si aspetta che la svolta della sua vita partirà da una semplice ricerca....
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Incontri ravvicinati

CAPITOLO 4:

incontro ravvicinato

 

Buio.

Freddo.

Fame.

Silenzio.

Rabbia.

Queste erano le uniche parole che andavano e venivano dalla mente di Aidamòs.

Buio. Gli occhi del giovane si erano oramai abituati a quella insopportabile oscurità che invadeva la cella dove si trovava. Non uno spiraglio, non una fiaccola illuminava la sua cella. Tutto intorno a lui era nero ed irriconoscibile, anche le sue mani, che aveva provato innumerevoli volte a portarsi davanti agli occhi. Quando era stato rinchiuso vi era ancora una debole luce che passava da sotto, ma adesso non c’era più niente.

Freddo. Quel posto era il luogo più freddo dove Aidamòs era mai capitato. Era un freddo pungente, continuo, quasi snervante. Un freddo che gli si era incollato addosso, arrivando fino al midollo, fino alla più remota delle cellule.

Fame. Nessuno si era degnato di venire a portargli cibo, e perciò il ragazzo aveva una certa fame, che si manifestava con forti brontolii di stomaco e debolezza.

Silenzio. Il silenzio era ancor più insopportabile del buio, e contribuiva ad alimentare quel sentimento incontrollabile che è la rabbia.

Rabbia. Era quella che Aidamòs provava in quel momento, in quel lasso di tempo che andava dal suo arrivo nei sotterranei fino a quel momento. Provava rabbia per quel posto, provava rabbia per quel libro, provava rabbia per la sentinella, provava rabbia per tutto. In quelle ore nella cella, solo, al buio e in silenzio, egli pensò ampiamente a tutta la sua vita, e si convinse che era stata tutta una grande delusione. Sin dai primi anni di vita, quando aveva saputo dei suoi genitori e del nome,  la rabbia aveva preso un posto importante nel suo cuore di bambino, e da allora non lo aveva più abbandonato. Quest’ultima era diventata la sua amica più fidata, lo seguiva ovunque. A scuola la rabbia aveva preso lo sfogo sullo studio e poi su se stesso, perché non era così stupido da tentare di ammazzare qualcuno perché lo prendeva in giro, anche se avrebbe tanto desiderato.

In queste condizioni si trovava Aidamòs, chiuso in una cella nelle segrete del castello Reale di Aletheimora. Non percepiva più lo scorrere del tempo; non riusciva a dormire. Poi, finalmente, dei passi lontani, delle voci lontane. La speranza fino a quel momento messa da parte dalle condizioni poco favorevoli riaffiorò. Le voci erano indistinte, i passi riecheggiavano lontano. Si avvicinavano lentamente, e lentamente ritornavano le forze. Finalmente, dopo quelle che sembravano ore, le voci si fermarono davanti alla porta, e una flebile luce passo da sotto la porta: era debole, ma così forte rispetto al buio circostante, che il giovane non potè fare a meno di strizzare gli occhi per un secondo, prima di riabituarsi a un qualche tipo di illuminazione, lontana o vicino, debole o forte che fosse. Le voci che provenivano da fuori erano due: una era quella ben riconoscibile della guardia che lo aveva rinchiuso lì dentro, l’altra sembrava una voce da vecchio, forse una guardia dei veterani del palazzo; discutevano su come portarlo su, ma Aidamòs non riusciva a distinguere bene tutte le parole, lascandolo così nel dubbio. Poi la porta si aprì, e la luce di una fiaccola illuminò la piccola cella e il giovane, rivelando un volto scarno, stanco e anche un po’ pallido.

-E’ lui, Bran?- chiese cupo la guardia più anziana.

-Sì, Capo. È lui, l’ho preso io con le mie mani nella seconda perpendicolare alla strada del mercato- rispose sicuro l’uomo di nome Bran. Poi diede la fiaccola al compagno con un gesto brusco e sollevò di peso Aidamòs, che non ebbe la forza di opporsi, lasciandosi sollevare come un peso morto dalle braccia poderose dell’uomo.

-Vieni, tu! Sai dove ti portiamo adesso?- sbraitò la guardia, uscendo dalla cella ed avviandosi lungo le ripide scale che qualche tempo prima lo avevano condotto giù. Il giovane scosse la testa, quasi incapace di aprire bocca.

-Dal Ee Krèston, mio caro signorino misterioso. E se tu sei veramente una loro spia, non resisterai a lungo… e spero proprio di vederti morto, sarà un’esecuzione divertente, molto divertente- ridacchiò Bran, continuando a salire a passi sicuri dietro la guardia più anziana, che intanto reggeva la fiaccola silenziosamente.

Dopo quella che parve un’eternità, Aidamòs vide la luce, non quella artificiale, ma quella del sole: una enorme finestra sopra la porta d’ingresso illuminava a giorno il palazzo. Il chiarore disturbò il giovane, che tentò di resistere al chiudere gli occhi dalla noia.

-Luce…!- fu l’unica parola che riuscì a pronunciare.

-Ma tu guarda, sai dire la parola luce…ma che bravo…- cominciò a prenderlo in giro Bran, mentre attraversava il corridoio a grandi passi. Aidamòs non replicò. Riconobbe la porta d’ingresso da cui era entrato qualche tempo prima. Il corridoio era molto ampio, e fungeva da ingresso, come Aidamòs capì più tardi; vi erano solo due porte, una a metà della parete sinistra e uno a metà della parete destra. Bran e l’altra guardia entrarono nella porta a destra, e quello che si rivelò al suo interno fu un’immensa sala rettangolare, completamente bianca e argento. Alle pareti vi erano delle finetre alte, con dei leggeri tendaggi ricamati; colonne argentate e scolpite con forme sinuose percorrevano tutta la sala, a intervalli regolari. Il pavimento era di marmo bianco, molto semplice, e in fondo vi era il trono. Aidamòs, per quanto potesse capire in quel momento, rimase perplesso nel vedere che, seduto su questo trono imponente e splendente, vi fosse l’uomo più vecchio che avesse mai visto: la sua faccia rugosa, il suo aspetto ricurvo, le mano leggermente tremolante, tutto questo aveva per il giovane un che di strano. Dalle braccia di Bran egli alzò leggermente la testa, strizzando gli occhi, come per capire se ci aveva visto bene, ma fu interrotto bruscamente dalla guardia, che lo posò a terra come un sacco di patate.

-eccolo qua, mio signore…- esclamò quello, poi s’inchinò, e fece marcia indietro con l’altra guardia più anziana, che s’inchinò a sua volta senza pronunciare una parola che fosse una. Dunque rimasero solo il re Kreston e il ragazzo, l’uno seduto sul suo trono e l’altro disteso a terra, indolenzito, stordito, affamato.

-alzati- la voce del re suonò sicura e molto calma –azati e dimmi tutto. Voglio sapere chi sei, da dove vieni, perché sei qui? È forse vero che sei una spia del Diavolo venuta qui a distruggerci?rispondi, giovane, e non temere, qui sarai comunque immune da ogni punizione da parte dei tuoi pardroni, chiunque essi siano-

Tuttavia Aidamòs non riuscì né ad alzarsi, né a formulare una frase di senso compiuto. Si sentiva frastornato dal cambiamento di ambiente; si sentiva indolenzito, soprattutto dopo che quel farabutto di Bran lo aveva scaraventato a terra con la delicatezza di un elefante; si sentiva spiazzato dal re, e dal fatto che pensassero che fosse una spia, e soprattutto, se aveva ben capito, del Diavolo in persona.

-Sei diventato muto per caso????- si azzardò a domandare il Re, con un punta di delicata ironia nella voce.

-N-no, m-mio signore- riuscì dopo un tempo che sembrava interminabile a dire il giovane, che intanto cercava di non sembrare scortese, chiamando perciò il vecchio Mio Signroe.

-Mi fa piacere saperlo. Dunque, se hai il dono della parola come tutti in questo posto, perché non parli?-

-p-perché non capisco più niente di quello che sta succedendo, mio signore- Aidamòs era riuscito a prendere un po’ di coraggio.

-Spiegati, io sono qui per ascoltarti…puoi parlare liberamente.- lo esortò il vecchio, dal suo trono.

-Ecco, mio signore, io non sono affatto di qui. So a malapena dove mi trovo, non so da quanto tempo sono qui…e non capisco perché tutti qui crediate che io sia una spia del Diavolo…non pensavo nemmeno esistesse veramente, il Diavolo intendo-

-Dunque tu non sei una spia?-

-No, mio signore-

-E allora perché le guardie ti hanno imprigionato?non ne vedo il motivo-

-Ecco, mio signore…quando sono arrivato in questo posto ho incontrato una guardia, e mi ha scambiato per una spia solo perché ero uno straniero e avevo questo, che mi si è formato quando sono arrivato qui, perché ho cercato di consultare un libro…-

Aidamòs si ricordò improvvisamente della storia narrata in “Black Hole”, e tutto iniziò a definirsi con maggiore chiarezza. Si alzò dunque a fatica, poi si avvicinò lentamente al Re e gli mostrò il segno che aveva sulla mano, quello che si era formato sul suo palmo sinistro quando era arrivato nel Regno della Luce.

-Interessante…un triangolo rovesciato…e che libro era, quello che hai consultato?-

-Un libro che parlava di questo mondo, un libro strano, che si chiamava Black Hole, che però è sparito quando sono arrivato…-

-Braaaaaan- esclamò Re Krèston. La guardia riapparve da una porta laterale, si inchinò e poi si mise in attesa di ordini.

-Chiamatemi il Capo Supremo dei Celebranti. Adesso- ordinò il Re. Quindi Bran si allontanò dalla sala, per poi scomparire dietro la porta principale.

-Il Capo Supremo dei Celebranti?Se mi permettete, mio signore, chi è?-

-Vedi, mio caro…-

-Aidamòs. Mi chiamo Aidamòs, mio signore-

-Vedi, mio caro Aidamòs, il Capo Supremo è il massimo grado che ci può essere fra i Celebranti, che sono la casta che si occupa dei riti agli Dei Immortali-

-E per quale motivo serve il Capo Supremo dovrebbe interessarsi alla questione?! Questo simbolo ha qualcosa di strano?-

-Tutto è strano, Aidamòs, ed è per questo che c’è bisogno del suo consiglio- rispose il Re, che non proferì più parola. Allora Aidamòs attivò la fantasia e s’immaginò che il Capo Supremo dei Celebranti fosse un uomo maturo e molto istruito, possente, vestito di nero e con una voce profonda e bassa. Pensò a cosa il triangolo sulla mano potesse significare e pensò al perché proprio lui era capitato ad Aletheimora, ma non trovò alcuna risposta.

Dopo quelli che parvero solo pochi istanti, si sentì il cigolio della porta, e dei passi riecheggiarono nella sala. Il giovane non volle voltarsi, e rimase in ascolto a testa bassa di quei passi neutri, finchè non li sentì fermarsi davanti a sé. Solo allora alzò la testa per vedere in faccia il Capo Supermo, un Capo che non era affatto come si aspettava, perché davanti a lui c’era una donna. Una donna giovane, con il viso liscio e allungato di chi è appena entrato nell’età adulta. Vestiva semplicemente, con una sobria tunica larga e nere, e sulla testa portava una corona di sottili fili d’argento. Gli occhi verdi erano puntati su di lui, ed erano contornati da una massa di riccioli ramati.

-Mio signore, eccomi- sussurrò il Capo, piegando leggeremente la testa.

-Buon giorno, mia cara Elèien, vedo che sei stata tempestiva…- rispose il Re con lo stesso tono della donna. Aidamòs cercò di ricordarsi di questo nome, cercando di ripeterselo silenziosamente per imprimerlo nella mente.

-Per cosa mi ha fatto chiamare, mio signore?- disse nuovamente Eleièn, sempre sussurrando, ma in modo da farsi sentire da entrambi coloro che erano presenti nel salone.

-Vedi questo giovane?- e il Capo Supremo annuì –credo che egli sia colui che cerchiamo-

-Come può esserne così sicuro, mio signore?-

-egli ha un simbolo sul palmo sinistro che non può che essere un segno del Destino, e dal momento che è giunto fino a noi, credo sia lui quello a cui dobbiamo fare affidamento-

-Se permette, posso dare un’occhiata alla mano?-

-Aidamòs, mostra la tua mano ad Elèien-

Il giovane ubbidì, anche se con un po’ di astio, perché quella donna non gli piaceva: sembrava giovane, ubbidiente, e anche simpatica, forse, ma il modo in cui lo aveva guardato lo inquietava, e credeva anche, a primo acchito, di stargli molto antipatico. Elèien osservò il suo palmo con attenzione, facendo scorrere le sue lunghe e curate unghie per i contorni del simbolo. Poi gli esaminò il resto del corpo, soffermandosi a lungo sulla forma del viso e sugli occhi, cosa che mise molto a disagio Aidamòs.

- È lui, mio signore, aveva ragione…è proprio lui- dichiarò la donna sicura, rivolta verso Re Krèston.

-io sono cosa?- si azzardò a chiedere il giovane, incuriosito.

-Sei il Prescelto, e non puoi tirarti indietro dal tuo compito, nè ora né mai…-

-Come non posso tirarmi indietro, cosa vuol dire?-

-Capirai, Aidamòs, capirai-

e con questo si concluse la prima conversazione del giovane con il Re del Regno della Luce.



***
spazio autrice:eccomi qua, con non so quanti secoli di ritardo...spero sia decente...XDXD ringrazio come sempre Afaneia e Amaerise per le recensioni....un bacio a tutti

   
 
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