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Autore: Queens    27/06/2010    2 recensioni
Sbuffò seccato ed abbassò quella dannatissima maniglia, entrando nella classe trascinando i piedi.
Sbuffò, entrando nel suo futuro.
Iniziava l’ennesimo anno scolastico. L’ultimo anno in quella scuola e Shikamaru non era di fianco a lui.
Era l’inizio di un’era.

[ShikaKiba/Mosca fucsia.]
[Accenni ad inciucci vari a sorpresa, molto in stile Beautiful.]
Storia a quattro mani.
Genere: Generale, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kiba Inuzuka, Shikamaru Nara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«Ragazzi, state molto attenti. Perché se qualcuno ha voglia di non prendere il diploma…» 

La voce della professoressa era squillante, troppo acuta quando pronunciava certe sillabe che si conficcavano nella orecchie e calcavano quell’accenno di mal di testa.
Era l’ultima ora.
La maggior parte degli alunni della classe di storia era spalmata sul qualsiasi superficie, verticale o orizzontale che fosse, e annuiva automaticamente pregando qualsiasi Dio affinché la giornata finisse il prima possibile. 

La nuova insegnante sedeva dietro la cattedra. Era una bella donna e i lunghi capelli neri erano lasciati sciolti sulle spalle, quando si muoveva formavano strane onde in corrispondenza delle orecchie.
La parte maschile della classe, se non dire della scuola, era rimasta subito ammaliata da lei ma dopo aver assistito ad almeno cinque minuti della sua lezione la maggior parte aveva già iniziato a cambiare idea.
Kiba e Kankuro, però, seduti agli ultimi due banchi l’avevano lasciata parlare per tutta l’ora su qualcosa di probabilmente inutile senza degnarla di uno sguardo.
Quella era l’unica materia dove si erano ritrovati soli da quando si erano ritrovati nel mezzo del corridoio.

Era irreale. Assurdo e totalmente imprevisto.
Averlo di nuovo proprio lì, seduto al banco vicino al suo, era come un sogno. Non riusciva ancora a capire se quella sensazione fosse positiva o meno.
Infondo si ricordava fin troppo bene la partenza dell’amico nonostante fossero passati quasi sei anni, e la litigata che li aveva visti protagonisti giusto poche ore prima che quell’aereo, proprio quello che raccolse la famiglia disastrata dei Sabaku, lasciasse l’aeroporto di Boston.
Era come se ci fosse sempre stata, in tutti quegli anni, una questione in sospeso.
La sentiva aleggiare proprio sulle loro teste in attesa, aspettando il momento giusto per precipitare su di loro. 

Nonostante quella sensazione, si girò verso il compagno sorridendogli.
«Kiba, Kiba, Kiba… Tu non me la racconti giusta. Cos’è quel sorrisetto?»
«Mah, uno non può neanche essere contento di rivedere un suo amico» 

Effettivamente non era solo un amico. Kankuro era stato il suo primo migliore amico, ancora prima di Shikamaru.
Quando pensava alla sua amicizia con l’attuale fidanzato non pensava di poter trovare nei ricordi qualcosa prima di lui, invece ancora più indietro c’era quello strano individuo che gli sedeva di fianco.
Abitavano a pochi passi e il loro giardino era diviso solo da una staccionata e da una siepe che allora sembrava una enorme muraglia.
Quando si conobbero, aveva solo cinque anni e i suoi genitori immaginavano che avrebbe fatto amicizia con il bambino della sua stessa età della famiglia che si era appena trasferita nella casa che confinava con la loro. Invece quel ragazzino gli aveva sempre fatto quasi paura, con quegli occhi così grandi e così chiari. Nel quartiere era riuscito ad avvicinarlo solo quel pazzo di Naruto.
L’Inuzuka invece aveva preferito diventare amico del ragazzo nel mezzo. Totalmente diverso da i due fratelli, visto che oltre al ragazzino rosso in famiglia c’era anche una ragazza che aveva sempre trovato isterica e con cui non ricordava di aver mai parlato.

«Già. Anche io sono contento di rivederti, cagnaccio. Perché non mi racconti? Deve essere successo qualcosa mentre non ci sono stato.»

Il ragazzo col viso dipinto di rosso arrossì leggermente e lo guardò di sfuggita sperando di nascondere quell’eccessiva colorazione delle sue guance.
Non poteva raccontargli mica di Shikamaru.

«Inuzuka sei arrossito. Ora mi racconti.»
«Io non sono arrossito!»
«Oh sì, che lo sei. E se continui a negare i tuoi miseri triangolini si mimetizzeranno.»

Facendo finta di studiare un vecchio planisfero scolorito appeso alla parete sulla quale appoggiava il suo banco nascose la viso dagli occhi curiosi del Sabaku. 

«Misonofidanzato.»
«Comecomecome?» 

Il castano, con ancora quell’esagerato cappuccio nero sulla testa, si stava divertendo troppo a vedere il suo amico così imbarazzato. Avrebbe voluto sfotterlo ancora un po’ ma, conoscendolo abbastanza bene, si trattenne quando tornò a guardarlo con quegli occhi da cagnolino bastonato. 

«Kiba ma che ti succede? Anche in corridoio, ieri, sembravi completamente un’altra persona. Stavi pensando a questa fantomatica fidanzata?»
«Ecco, si, anche se veramente... Kankuro.»
«Dimmi.»
«Di te posso fidarmi ancora come una volta giusto? Sono passati tanti anni, ma sei ancora il mio amico, a cui posso raccontare tutto senza nessuno scrupolo. Giusto?» 

Era un discorso strano, soprattutto se usciva dalle labbra carnose del suo vecchio amico. Lui annuì inquieto. Ormai non sapeva più cosa aspettarsi. 

«Ecco credo di… Io mi sono innamorato e questa… Persona adesso è all’università, in un’altra città e, beh mi manca.»
«Tutto qua?» 

La testa contornata da corti capelli castani a spina si tirò su di scatto e si girò verso l’elemento insensibile che aveva alla sua destra. La sua mano chiusa a pugno cercò di colpire il braccio dell’altro senza molto successo visto che con un veloce movimento era riuscito a bloccargli il polso. 

«Kiba. Spero vivamente che questo non sarà l’atteggiamento che avrai tutto l’anno. Il tuo ragazzo è via? Beh, mi dispiace per te ma questo non vuole dire che devi ammosciare il tuo caratteraccio.» 

Con ancora il braccio bloccato e gli occhi incatenati a quelli di Kankuro si sentiva sconvolto. Aveva capito tutto.
Sentiva nascere una risata dal petto, una sensazione di allegria e di libertà che non sentiva da quando, beh da quando Shikamaru non era di fianco a lui.
Rise a pieni polmoni sotto lo sguardo sconvolto dell’intera classe, quello divertito del compagno di banco e quello irritato della professoressa che si era alzata e che camminava tra i banchi e che lo guardava a pochi metri da loro. 

«Inuzuka giusto? Trovi tanto divertente la mia lezione?»
«No professoressa.»
«Allora cosa scaturisce questa tutta sua ilarità? »
«Il fatto che il mio migliore amico sia nella mia stessa classe dopo anni che non ci vediamo, professoressa. »

 Una risatina scappò anche al Sabaku che gli sedeva di fianco e al resto della classe osservando la faccia della povera donna che notevolmente colpita continuava a guardare Kiba in silenzio, indecisa se lasciargliela passare o arrabbiarsi per l’insolenza.

Il trillo dal retrogusto metallico della campanella sorprese tutta la classe che, con le cartelle già pronte, scappò dalla classe velocemente.

 

Looking back .

 

Il grigio marciapiede accoglieva impassibile i loro passi; quattro piedi, un numero minuscolo che si sarebbe presto perso in tutti quelli che quotidianamente lo calpestavano.

Una delle due persone era lenta, in un certo senso esitante, l’altra più veloce e decisa.

« E così sei riuscito a saltare l’anno. »

« Mh. »

« E sei venuto qua a New York. »

« Mh. »

« E ti sei fatto ammettere alla Columbia –rispondimi un’altra volta a monosillabi e finisci sotto la prima auto che passa. »

Shikamaru deglutì spaventato, sbirciando circospetto la figura al suo fianco.

Non era riuscito, nonostante il terrore che collegava a quella visione, a dimenticare quei quattro codini e quella figura mascolina.

Dopo tutti quegli anni –e ne erano passati tanti, era rimasta identica alla ragazzina che conosceva; identica, eccezion fatta per quella prorompente femminilità che, impossibile da nascondere, prevaleva su quella che era il maschiaccio del quartiere, l’uomo mancato.

Si ritrovò involontariamente a sorridere.

Un seccatissimo pezzo di passato si era fatto nuovamente vivo nella sua vita, ed in modo alquanto arrogante; tuttavia non riusciva a non essere un po’ sollevato.

In fondo, sentiva che, grazie a Temari, non era più in un universo parallelo a cui non apparteneva realmente: si era creato una sorta di collegamento con Boston, con la sua vita.

Era un filo debole, quasi trasparente.

Eppure, per vie traverse ed intricate, li accomunava legandoli a quella città dove avevano condiviso diversi tormentati anni assieme.

La famiglia Sabaku era originaria dell’Arizona, ma si era trasferita a Boston, nel suo stesso quartiere, a causa di diversi avvenimenti che non aveva mai conosciuto; era stato un attimo conoscersi, nel periodo in cui si stavano creando tutti quei legami che erano rimasti per lui i più saldi.

Lui l’aveva immediatamente –e a ragione!- etichettata come Seccatura, la più grande che avesse mai conosciuto; e anche lei, per una serie di avvenimenti che non aveva piacere di riferire né ricordare, era arrivata ad una sua personale definizione.

 Poi, dopo una manciata di anni, si erano tutti ritrovati in aeroporto a salutare con le lacrime agli occhi i tre fratelli Sabaku che, a testa bassa, tornavano in Arizona: in quel momento aveva incrociato il suo sguardo, e aveva chiaramente sentito che, in ogni caso, la Fortuna non sarebbe stata così benigna con lui da levargli di torno una volta per tutte quella ragazzina terrificante.

E si sa, i presentimenti non mentono mai.

« E tu sei riuscita ad andartene di nuovo dall’Arizona? »

Lei si voltò sorridendogli radiosa, e senza parlare accelerò l’andatura.

Lui sospirò.

Non era mai stata una ragazza loquace, per quanto riguardava il suo passato; teneva tutto per sé, racchiudeva al suo interno anni di sofferenze –perché, da quello che aveva sentito, ce ne erano state parecchie- e cercava di impedire che esse fuoriuscissero e venissero recepite da chi le stava intorno.

Era una sorta di stratagemma che aveva trovato, per come la vedeva lui, per impedire che tutto ciò pesasse eccessivamente sulle spalle dei fratelli minori.

Improvvisamente si illuminò: era sul punto di domandarle che fine avessero fatto Kankuro e Gaara, se abitassero con lei a New York o come stessero, quando lei lo fermò con un cenno della mano giusto di fronte ad una porta in legno stretta in un angolo di un palazzo, quasi a volersi nascondere.

« Nara, io mi fermo qua. »

Lui la fissò stranito: « Ma non abiti dall’altra parte del quartiere? »

La vide sgranare lievemente gli occhi, e una scintilla di comprensione attraversarli pochi istanti dopo.

« Non te l’ho detto? Lavoro qua. Che ne dici di bere un goccio? Potresti approfittarne per raccontarmi come vanno le cose a Boston, come stanno gli altri, o come ti va a ragazze. »

Shikamaru rabbrividì, mentre Lei pronunciava quell’ultima parola quasi con un sogghigno, enfatizzandola con uno studiato scattare delle chiavi nella serratura.

La ragazza non era stupida né cieca e lo conosceva bene, si ritrovò a constatare sospirando.

Evidentemente, non ci sarebbe stato bisogno di alcuna spiegazione biascicata a pezzi, per dirle che le maledizioni della madre, riguardanti donne che lo avrebbero sposato e poi messo in riga, avevano una scarsa possibilità di risultare veritiere, in un giorno lontano.

Mise piede oltre l’ingresso, titubante, stringendo gli occhi per abituarsi alla penombra del locale, interrato di un paio di gradini.

Uno strano odore di chiuso, di alcool e di fumo lo raggiunse immediatamente, ma non lo turbò; anzi, riuscire ad attribuire a quei posti sconosciuti degli odori, identificandoli in qualche modo, era decisamente confortante.

Rispose al sorriso con cui Temari lo invitava a sedere al bancone e prendere l’aperitivo che gli veniva offerto e, tra un prosecco e l’altro, parlarono.

Dei loro sogni, di cosa li aveva portati a New York, in un’Università prestigiosa.

Lei gli raccontò dell’Arizona, di come fossero stati tutto sommato buoni i parenti da cui erano stati mandati quando il padre era morto; morto o stato ucciso? Non lo sapeva, e nemmeno le importava, detto francamente. Gli raccontò del loro ritorno, dei problemi adolescenziali di quell’idiota ribelle di Kankuro, della psiche instabile di Gaara. Di come lei aveva deciso di studiare in un’Università come la Columbia, e dare un senso alla sua vita.

E anche lui, le bollicine che gli arrivavano dritte al cervello facendogli girare la testa, le spiegò tutto quello che era accaduto a Boston da quando lei se ne era andata. Della morte del maestro Asuma, dei loro amici, dei problemi con quel testardo di Sasuke alle prese con faccende più grandi di lui e di quell’idiota di Naruto che, a furia di assillarlo e stargli appiccicato, era riuscito a farlo innamorare di sé. E, con una risata nostalgica, gli raccontò di Kiba, della sua scelta di andarsene e lasciarlo là, della paura che aveva di aver fatto un’idiozia e di finire col perderlo.

Shikamaru se ne andò solo quando, tra i mucchietti di universitari stanchi e presi dall’aperitivo del venerdì, un ragazzo decisamente inquietante prese a ballare sul bancone; non aveva voglia di rovinarsi la serata ricordando quanto Temari sapesse picchiare forte, così salutò e fuggì, stringendo gli occhi quando l’aria fresca lo investì una volta aperta la porta.

E, aspettando la metropolitana, prese una decisione. Recuperò il cellulare, e gli scrisse.

Era inutile tranciare i contatti con la sua vita precedente solo per paura di ritrovarsi a correre via dal futuro; forse, se avesse costruito un ponte abbastanza resistente, non avrebbe dovuto rinunciare né all’una né all’altra cosa.

Fine 

Ed eccoci qua, alla fine di un altro capitolo della nostra faticosissima Mosca Fucsia. Ci abbiamo messo molto di più di quanto sperassimo e mi auguro che  la prossima volta passerà meno tempo. Ci scusiamo moltissimo per il ritardo.
In questo periodo però noi non siamo state con le mani in mano e oltre a scrivere questo capitolo abbiamo iniziato un nuovo progetto Fucsia, ovvero un forum delle quali siamo amministratrici. Se amate la coppia sarebbe bello se faceste un salto e se ci aiutaste a farlo crescere visto che è appena nato.

Il link è il seguente http://shikakibaforum.forumfree.it/

Grazie per aver letto, se vi è piaciuto o credete che qualcosa non vada lasciate un commento. Siamo sempre aperte a critiche costruttive.
Un saluto, Sacchan e Nacchan (che tra l'altro non sono nomi derivanti Naruto e Sasuke, ma da Saretta-chan e Nana-chan, i nostri soprannomi xD)

  
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