3 – Qualcosa rimane sempre
(Epilogo)
Dopo anni sereni passati in
quella casa che era diventata un po’ anche mia, era giunto il momento di
andarmene. Lo avevo deciso consapevolmente e non sarei mai tornata sui miei
passi.
Bisogna avere il coraggio di andare
avanti e sopravvivere, ragazzo mio, anche quando sull’orizzonte che si profila
lontano, non sembra esserci nulla, tranne i ricordi che ti accompagnano fedeli
verso quella linea che non raggiungi mai.
Ricordi più preziosi di un
qualsiasi tesoro, serbati gelosamente nel cuore; mi scaldano nelle serate
fredde, addolciscono i momenti un po’ tristi della vita e domani sarà bello
poterli condividere con te, figlio mio, e non solo attraverso i fogli di questo
diario. Perché tante cose non riuscirò a scrivere qui, e altre le ometterò,
perché la mia mano tremante, non sempre riuscirà a vergare segni neri così
dolorosi sulla carta. Ma forse la mia voce avrà il coraggio e la forza che
adesso, manca alle mie dita, e se un suono o un profumo, un colore o un sapore
verranno a sollecitare certe immagini, la mia mente saprà ritrovarle.
Come in questo preciso
istante, che rigiro tra le dita della mano sinistra, la catenina con la piccola
croce che mi regalò lei, quel giorno che me ne andai.
Abbracciai Oscar tra le lacrime,
grata per tutto quello che aveva saputo fare per me: per avermi accolto quando
non avevo più una casa né una famiglia, per l’affetto, l’amicizia, la fiducia,
la gioia di giorni luminosi e pieni di risate, musica, danze, corse a cavallo
sulla pianura accarezzata dal vento leggero dell’autunno.
Oscar capì certamente che era
accaduto qualcosa di grave, ma fu discreta e non mi fece domande.
Rispettò la mia scelta. Si
augurò soltanto la mia felicità. So che in quel momento le diedi un grosso
dispiacere.
Se io mi ero legata a lei in
maniera quasi morbosa, lei si era legata a me altrettanto profondamente, quasi
fossi stata una sorella, o sarebbe più giusto dire una figlia.
Per il bene che le volevo,
avrei fatto qualsiasi cosa per difenderla dalle minacce della Polignac.
La ricordo, appoggiata contro
la grande vetrata che dava sull’esterno; con lo sguardo amareggiato seguiva la
carrozza che mi portava via. Mentre dal finestrino della vettura osservavo il
viale alberato del parco e il cancello della tenuta che si chiudeva alle mie
spalle, una pesante malinconia scendeva sul mio animo; era pieno pomeriggio e
le ombre degli alberi si allungavano scivolando sul paesaggio attorno, eppure
con sgomento mi assaliva la sensazione di assistere al tramonto di un tempo che
stava per finire, come se i miei occhi percepissero una luce diversa attorno a
me. Con quella strana impressione, come di un presagio funesto, lasciai Palazzo
Jarjayes, con l’acuta consapevolezza che non vi sarei più tornata.
Comunque restai poco anche a
casa dei Polignac, giusto il tempo di ricevere un messaggio da Oscar dove mi
diceva che mia sorella era morta nell’incendio del convento dove si era
nascosta. Jeanne, decisa a non lasciarsi riportare in prigione, non si fece
catturare viva.
Stracciai la lettera,
gettandola poi nel fuoco e piansi di rabbia, ma solo pensando all’ostinazione
di mia sorella, alle sue parole, - bisogna lottare per ciò che si vuole, per
la propria vita - trovai il coraggio di fare la scelta giusta: non sarei
mai stata una marionetta nella mani di quella donna che aveva fatto il solo
sforzo di generarmi, e che si era subito liberata di me. Oscar, tra le tante
cose che aveva fatto, mi aveva insegnato a essere libera nelle idee e nelle
azioni, in un mondo che non concedeva libertà.
Tornai a Parigi appena capii
le reali intenzioni della contessa.
Stava perdendo molto del suo
potere a corte e le serviva un matrimonio facoltoso per rinsaldarlo. Tentò di
costringermi a sposare un duca molto più anziano di me, ma che aveva un consistente
patrimonio. Non ero altro che una merce di scambio. In realtà, dovevo prendere
il posto della piccola Charlotte, la sorella undicenne morta suicida qualche
anno prima, che non avevo fatto in tempo a conoscere e ad amare.
Era giunto il momento di riprendere
in mano le redini della mia vita.
Avrei ricominciato da zero e
per questo, dovevo tornare a Parigi.
In fondo stavo meglio lì, tra
gente più simile a me, che in mezzo ai nobili. Uomini e donne coi calli sulle
mani e la schiena spezzata dalla fatica, che spesso non veniva ripagata,
abituati a sudarsi il pane quotidiano col lavoro duro. Come loro, avrei
desiderato vivere di cose semplici.
Dissi la stessa cosa anche a
madamigella Oscar, pronta a riaccogliermi nel lusso della sua casa, un giorno
che la trovai ferita e svenuta davanti alla mia porta.
Stava dando la caccia
all’uomo che in seguito, sarebbe diventato mio marito e poi tuo padre.
Ma questa è un'altra storia e
forse un giorno sarà proprio lui a raccontartela.
Tempo dopo a Parigi incontrai
Bernard, tuo padre. Mi ricordavo di lui, un fugace incontro prima che Oscar
cambiasse la mia vita. Ci sposammo quasi subito.
Già all’epoca, era un
collaboratore di Robespierre, ma aveva da poco chiuso la sua parentesi come
cavaliere nero e ripreso la sua attività di giornalista.
Oscar lo aveva catturato, poi
aveva deciso di lasciarlo andare, non so bene per quale motivo. Neppure tuo
padre è riuscito a essere più chiaro su questo punto; mi disse però che Andrè
aveva messo una buona parola, perché se fosse dipeso da Oscar, lei lo avrebbe
consegnato alle autorità. Credo che per questo, Bernard abbia sempre nutrito verso
Andrè una profonda riconoscenza, velata però dal rimorso per averlo ferito a un
occhio.
Io intanto, avevo trovato
lavoro al mercato.
Resa molle dalla vita agiata
e troppo comoda che si conduceva nella società aristocratica, ricominciare a
vivere in modo più spartano, fu un po’ dura.
Dovevo alzarmi all’alba, cosa
che avevo smesso di fare da anni, ma mi adattai. Vivevamo di poco, ma comunque
dignitosamente.
Facilitata dall’istruzione
che avevo ricevuto presso i Jarjayes, qualche volta aiutavo Bernard a rivedere
le bozze dei suoi articoli; le ricopiavo in bella copia perché fossero pronte
per la stampa vera e propria.
Mi piaceva ed era gratificante
fare qualcosa di costruttivo, contribuire anche con poco, alla diffusione di
quelle idee che avrebbero dovuto creare una nuova coscienza nel popolo
francese. Era davvero tanto il nostro entusiasmo e lo mettevamo in tutti i
nostri progetti, avevamo una fede profonda nelle nostre idee, in quello che
facevamo ed eravamo convinti che saremmo riusciti a mutare le sorti e l’aspetto
di un paese avviato al disastro.
C’era una grande aspettativa
per il domani, che ci animava, che scaldava le coscienze e i cuori di tutti.
Di Oscar, per molto tempo non
seppi più nulla, finché un pomeriggio invernale, con la neve che si mischiava
impastata al fango delle strade, tuo padre tornò a casa da uno dei suoi comizi,
portando con sé anche André.
“Rosalie, guarda chi ho
trovato ad ascoltarmi!!”
Fui felice di rivederlo e di
ricevere finalmente notizie di Oscar.
Appresi con sorpresa, che
aveva lasciato le Guardie Reali e che adesso, comandava un reggimento dei
Soldati Della Guardia di Parigi.
Mi parve davvero strano e
nell’immediato, non seppi che pensare.
Ignoravo le ragioni di quel
cambiamento, ma qualcosa di sconvolgente doveva essere certamente accaduto
nella sua vita, che l’aveva spinta a lasciare la Guardia Reale e la regina, cui
era pur sempre molto devota.
Mentre Andrè sorseggiava il
caffè caldo che avevo preparato per dargli il benvenuto, Bernard lo invitò a
unirsi alla nostra lotta.
“André, perché non ci dai una
mano anche tu? Io sono convinto che tu abbia le nostre stesse idee.”
“Vedi Bernard, a dispetto delle
mie idee, il mio dovere più importante è un altro, ed è qualcosa a cui non
posso sottrarmi.”
A mio marito quel discorso
risultò oscuro, ma io capii immediatamente a cosa si riferisse: stava parlando
di Oscar. Era lei il centro costante dei suoi pensieri e delle sue ansie.
L’avrebbe seguita anche in mezzo al fuoco delle fiamme eterne. Qualcosa in
quelle parole, forse l’inflessione amara della frase, mi indusse a indagare.
“Andrè, che mi dici di Oscar?
Non riesco a immaginare perché abbia lasciato le Guardie Reali: non sarà
accaduto qualcosa di grave? È caduta in disgrazia presso la regina?”
Stavo pensando al peggio di
quello che poteva accadere in quel mondo di intriganti opportunisti: uno
scandalo, una voce diffamatoria, bastava un niente, per distruggere la
reputazione di qualcuno. Anche di una persona intransigente e onesta come
Oscar.
“No, Rosalie, ma che vai a
pensare? Sai com’è fatta lei: è sempre pronta a sfidare se stessa. Non
preoccuparti… la regina tiene sempre in gran conto Oscar, forse oggi più di
ieri… In realtà, non è cambiato nulla e nessuno.”
Ma io sapevo che non era
così: qualcosa stava cambiando attorno a noi, cresceva velocemente come l’acqua
di un fiume che sale dopo le piogge, e avrebbe investito e rovesciato il
vecchio sistema.
Sentivo aumentare a Parigi
l’odio per i nobili. Lo percepivo nei discorsi della gente tra i banchi del
mercato, per strada, Bernard me ne parlava nei suoi aneddoti, mi raccontava
delle tensioni all’interno della varie fazioni politiche.
Anche tra gli stessi seguaci
di Robespierre c’era chi voleva lo scontro aperto, chi cercava il terrore, e
chi era favorevole al dialogo.
Tutto stava rapidamente
cambiando; il malcontento generale dilagava, come la cancrena che corrompe la
carne infetta.
Avevo paura per Oscar, per
quello che si sarebbe trovata a dover affrontare, e temevo che ci saremmo
trovate su barricate opposte e nemiche, ma sapevo anche, che nulla, l’avrebbe
fatta desistere da come aveva deciso di vivere: come aveva sempre vissuto,
combattendo e lottando per un ideale che credeva giusto.
Ma per come avevo imparato a
conoscerla, potevo credere e sperare che avrebbe compreso l’onestà della nostra
lotta.
Era l’inizio del 1789.
Per far fronte alla crisi dello
stato, il Re decise l’apertura degli Stati Generali.
Quell’anno fu tumultuoso e
decisivo per le sorti future della Francia. Nell’aria dilagavano le idee di
libertà, uguaglianza e fraternità, concetti che riempivano la bocca di tutti e
alla luce dei fatti, le aspettative sono state puntualmente deluse.
Ma in quel momento tutti noi
ci credevamo. Forse anche Oscar aveva finito per crederci, lei che di fatto
apparteneva alla parte avversa che il popolo attaccava all’Assemblea Nazionale.
Per settimane i rappresentanti
discussero animatamente senza arrivare mai ad un accordo.
Si cercava di dare una
Costituzione alla Francia, ma il Terzo Stato era ostacolato dal clero e dalla
nobiltà che non volevano perdere i loro privilegi vecchi di secoli, che
appartenevano all’Ancien Regime. [1]
Mio marito mi portava
sporadiche notizie di Oscar; sapevo che il suo reggimento aveva ricevuto
l’incarico di sorvegliare la sala dell’assemblea dove avvenivano le riunioni
dei rappresentanti dei tre ordini.
Per giorni non successe nulla
di eclatante.
Gli aristocratici e il clero
cercarono di osteggiare ripetutamente i lavori dell’assemblea e i
rappresentanti del Terzo Stato; li ostacolarono in ogni modo, ma l’orgoglio di
rappresentare la nazione, una nuova Francia senza disuguaglianza sociale, era
più forte di qualsiasi umiliazione, e le parole di uomini come Robespierre,
Danton, lo stesso conte di Mirabeau, bastavano ad accendere gli animi, a dare
speranza.
Fu solo dopo il Giuramento
della Pallacorda, che gli aristocratici e il Re cominciarono a temere la forza
crescente che il Terzo Stato, sostenuto dal popolo, stava acquistando.
Ricordo giornate uggiose che
tuo padre passava a scrivere le bozze per i suoi articoli di carattere
politico, resoconti di ciò che accadeva all’assemblea, mentre la gente riunita
per strada, sotto la pioggia battente, continuava a manifestare il sostegno ai
suoi portavoce.
Un pomeriggio, Bernard tornò
a casa con un’espressione tesa e preoccupata sul volto stanco; mi raccontò che,
al tentativo del sovrano di sciogliere l’Assemblea Nazionale e di separare i
tre ordini, i rappresentanti del Terzo Stato avevano reagito ribellandosi,
occupando la sala e sfidando le guardie del Re che erano venute per
allontanarli con l’uso della forza. A quel punto inaspettatamente, Oscar era
intervenuta e aveva impedito alle Guardie Reali di fare irruzione nella sala
occupata da Robespierre e i suoi seguaci.
Immaginai subito quali
potevano essere le conseguenze di quel gesto.
Oscar, che in passato, aveva
servito e giurato fedeltà alla Corona, aveva volutamente disobbedito a un
ordine del Re di Francia; poteva essere accusata di tradimento, magari finire
in carcere o peggio, affrontare il tribunale militare e la conseguente
sentenza.
L’ansia e la paura per la sua
sorte, mi abbandonarono solo un paio di giorni più tardi, quando lei in
persona, venne a bussare alla nostra porta. Appena me la trovai davanti, sentii
il bisogno di abbracciarla.
Era da tempo che non la
vedevo, forse per questo lo percepii subito; a un primo sguardo non si notava,
ma osservandola, sembrava che in lei, qualcosa fosse cambiato.
Era dolorosamente bella come
la ricordavo; sobria nei suoi abiti borghesi indossati per passare inosservata,
lunghe onde bionde uscivano da sotto la tesa di un cappello. Ma aveva un’ aria
un poco stanca e il suo colorito di pesca aveva lasciato il posto a un pallore
insolito su un viso affilato: la vita che faceva doveva essere dura, perché
sembrava più magra.
Forse per contrasto, i suoi
occhi cerulei brillavano più intensi di quanto ricordassi, sembravano accesi da
una luce nuova, forse sconosciuta fino a quel momento. Parevano animati da una
scintilla che pulsava impazzita. Era difficile credere che fosse solo
l’ostinazione in un proposito personale. Avrei dovuto riconoscere quella luce.
Era la luce che viene dal cuore, quando questo si apre a una nuova, forse
ignota speranza.
Ma c’era anche dell’altro,
qualcosa d’inquietante; una sorta di febbre che rendeva lucido il suo sguardo.
“Madamigella ero così in
ansia per voi… Bernard mi ha detto cosa avete fatto per noi; ho temuto
il peggio…” sospirai.
“Anch’io, ed ero pronta ad
accettare le conseguenze, ma la regina mi ha perdonato Rosalie, e ha fatto in
modo che non fossi punita per la mia azione, ma ora sono qui per parlare con tuo
marito. Ho assolutamente bisogno del suo aiuto per liberare i miei soldati
accusati di tradimento…”
“Sì, certo… Oscar, ma… cosa
avete? Siete sempre la stessa, eppure… mi sembrate diversa…”
“Diversa?” Colsi nella sua
voce un moto di lieve sorpresa, o forse era timore.
“Sì, non so… avete un’aria
stanca, sembrate affaticata… probabilmente, sono una sciocca. Non vi vedo da
tempo e così…”
“Non sei sciocca. Sono stata
poco bene di recente, ma nulla di grave. Può essere che io sia diversa… Sai, le
persone a volte cambiano… Capita, quando si svegliano di colpo… anche tu, non
sei più la ragazzina che viveva a palazzo Jarjayes: sei diventata una donna
forte e coraggiosa adesso…”
“Sì, forse… Però una cosa è
certa: quella ragazzina vissuta a Palazzo Jarjayes non esiste più...”
Che cosa era accaduto nella
sua vita? Perché avvertivo la sensazione che mi nascondesse qualcosa?
Perché aveva detto di essersi
svegliata di colpo? A cosa si stava riferendo? Alla situazione della
Francia? A qualcosa di più personale,
intimo? Si era forse accorta di Andrè? Lui aveva detto che niente era cambiato…
non era così?
Non sapevo più nulla di loro,
di come fosse proseguita la loro vita dopo che ero andata via. Sapevo solo che
lei aveva cambiato reggimento e Andrè l’aveva seguita e in questo doveva
esserci una ragione profonda, che forse, neppure lei poteva più ignorare.
Oscar aveva un piano per
ottenere la liberazione dei suoi soldati, ma le serviva l’intervento del popolo
in piazza. E Bernard, con la sua oratoria, poteva aiutarla in questo.
“Mi piacerebbe aiutarti
Oscar, ma quello che mi chiedi non è possibile. La prigione dove sono
rinchiusi, è una fortezza inespugnabile.”
“Se la folla chiedesse la
libertà dei miei uomini, per evitare disordini e mantenere l’ordine pubblico,
potrei sollecitare la loro liberazione al comando centrale. Non potrebbero
negarmela.”
“Capisco. Sì, è una cosa che
si può fare. Ma cosa faresti se dovessero scoppiare dei tumulti? Quali ordini
daresti?”
“Mi stai mettendo alla prova?
D’accordo, capisco i tuoi timori. Ti posso assicurare che non ci saranno morti
né feriti tra la folla che si radunerà davanti alla prigione, e se non fossi in
grado di mantenere questa mia promessa, farò tutto ciò che mi chiederai,
Bernard.”
“Mi basta la tua parola,
Oscar.”
Così, dietro suo suggerimento, tuo padre convinse una nutrita folla di persone a marciare davanti alla
prigione per chiedere a gran voce la liberazione dei soldati.
Ricordo quell’ultimo giorno
di giugno; era una giornata afosa e il sudore colava sotto i vestiti che si
appiccicavano alla pelle accaldata. Gli animi parevano altrettanto caldi.
Alla fine, Oscar riuscì nel
suo intento; ottenuta la grazia dal Re, si aprirono le porte del carcere contro
lo sfondo di un cielo tinto di rosso dalla sfera del sole che tramontava; quei
dodici uomini che avrebbero dovuto essere fucilati per tradimento, furono
accolti dalle grida di giubilo e dall’entusiasmo della folla, che si sentiva
come se avesse vinto una battaglia importante.
Si entrò così nel mese di
luglio.
La tensione in città cresceva
col passare dei giorni. Il popolo manifestava sempre più apertamente il proprio
malcontento; i Borboni allarmati dalla situazione che si faceva critica e non
sapevano gestire, richiesero l’intervento di truppe straniere in Francia.
Parigi era piena di
reggimenti che imperversavano, controllavano le strade e arrestavano chiunque
era sospettato di fomentare disordini. Mio marito che si faceva portavoce delle
idee di Robespierre, aveva rischiato lui stesso l’arresto; nelle piazze e negli
angoli delle strade, esortava il popolo a resistere e ad opporsi all’esercito
che occupava Parigi.
Il popolo ormai era avviato
alla rivolta, non si sarebbe fermato davanti a nulla e nessuno.
L’Assemblea Nazionale
chiedeva il ritiro delle truppe da Parigi, ma Luigi XVI, troppo debole e
indeciso, influenzato secondo alcuni dalla regina ostile all’operato
dell’assemblea, non ascoltava neppure i saggi consigli del suo ministro delle
finanze Necker, che pochi giorni dopo fu destituito, generando così altro
malcontento.
Arrivarono i giorni decisivi
che precedettero di poco la presa della Bastiglia.
La gente cercava di armarsi e
assaltava i depositi di armi.
Iniziarono i primi scontri
tra le truppe e la popolazione. Ci furono i primi morti che accesero la miccia
della rabbia di gente ormai esasperata.
Io aiutavo mio marito come
potevo, più di una volta scesi in piazza al suo fianco. Speravo solo di non
incontrare Oscar come nemica, che non dessero anche a lei l’ordine di
affrontare la folla con le armi.
Fu proprio in quei giorni
decisivi che rividi Oscar e André per l’ultima volta.
Fu una sorpresa per me
vederla arrivare la mattina del 13 luglio a Parigi alla testa dei suoi soldati,
per unirsi al popolo in rivolta.
Era passata dalla nostra
parte, aveva abbandonato tutto, il suo nome, il suo casato, stava tradendo la
Corona che aveva servito fedelmente per tanti anni, per abbracciare la causa
popolare. Diede prova di grande coraggio, quella forza che le conoscevo; per
dimostrare al popolo che poteva fidarsi dei Soldati della Guardia che lei
comandava, parlò esponendosi disarmata davanti ai fucili dei cittadini che
erano nella piazza. E io rimasi a guardarla, nascosta in mezzo agli altri,
affascinata dalle sue parole e spaventata a morte per il rischio che aveva
deciso di correre, circondata dalle baionette pronte a sparare, a trapassarla
da parte a parte.
“È vero: io sono nobile di
nascita…” iniziò. Potevo sentire le loro dita fremere sui grilletti, mentre io
sentivo il sudore freddo della mia paura.
Era tipico di lei esporsi in
quel modo; la gente si sentiva minacciata, e non era disposta a credere che
soldati dell’esercito francese volessero combattere dalla loro parte.
“Voi potreste uccidermi ora,
e io non avrei alcun rimpianto… ma tutti i soldati al mio comando sono diversi
da me. Sono figli del popolo, nati in mezzo a voi, e hanno lasciato il loro
reggimento per unirsi ai cittadini di Parigi, per sostenere questa vostra lotta
che credono giusta. Io ero il loro comandante e li ho seguiti. Voi potete non
credere a me, ma dovete credere a loro…”
Oscar riuscì a far sorgere in
loro il dubbio, che avesse ragione.
Alla fine tuo padre si mosse per
andarle incontro e darle il benvenuto, tra il mormorio della folla che si
apriva e concedeva la sua fiducia agli uomini di Oscar.
Fui felice e sorpresa della
sua decisione e la abbracciai nella piazza fra le lacrime.
La decisione di Oscar però
non dipendeva semplicemente da un ideale di giustizia o senso del dovere, me ne
resi conto soltanto quando colsi lo sguardo d’intesa con André. Ci fu un attimo
come se il tempo si fosse congelato, dove c’erano solo loro due, uniti e quasi
estranei a tutto ciò che li circondava. Nella confusione tra la gente e i
soldati che si scambiavano strette di mano e saluti confidenziali, il loro
abbraccio puramente fatto di sguardi era intimo e riservato.
Andrè era sceso da cavallo;
io ero a poca distanza, e vidi Oscar avvicinarsi a lui.
Parlottarono un po’ tra loro,
con i visi quasi a sfiorarsi, il cavallo scuro che faceva da scudo e li
proteggeva da sguardi indiscreti, e improvvisamente, i miei occhi si sgranarono
di stupore, quando colsi la mano di Andrè alzarsi e posarsi sulla guancia di
Oscar in modo intimo, delicato ma quasi possessivo, come fosse la carezza di un
amante. Oscar coprì la mano di Andrè con la propria.
Restai come folgorata.
Pensai che avrebbe potuto
anche baciarla, da tanto mi parve sensuale e carico di sottintesi, quel gesto.
Mi sembrò quasi di violare un segreto, come se un velo fosse stato squarciato.
Avvertivo la stessa sensazione provata spesso in passato e mi tornarono alla
mente le immagini in casa Jarjayes, di loro due stesi sul divano davanti al
camino e non ebbi più alcun dubbio su ciò che li univa, su ciò che li aveva
sempre uniti.
L’amore, alla fine li aveva
portati su quella piazza, l’amore aveva spinto Oscar a seguire André.
Alle mie inevitabili domande,
mi rispose con una semplicità disarmante.
“Oscar, se voi siete qui è
perché…- esitai imbarazzata - Andrè… Lui centra qualcosa?”
“Lui c’è sempre stato,
Rosalie… solo e sempre lui, nonostante tutto… ho fatto l’unica cosa giusta… ma
forse è troppo tardi anche per questo…”
Non mi spiegò nulla, niente
di quello che era accaduto tra loro, di come erano arrivati a quella scelta, di
come aveva scoperto di amare l’amico di sempre, il fratello, quell’uomo fedele
e meraviglioso che non aveva mai smesso di seguirla, che l’amava da una vita e
forse, allo stesso modo era stato riamato da lei. Il mio cuore sentì una grande
gioia per loro, ma ebbi un triste presentimento; forse stavo assistendo
all’epilogo di una storia dolorosa, un riconoscersi che era costato amara
sofferenza e incertezza.
Purtroppo solo varie ore
dopo, verso la fine di quel giorno denso di violenza che era parso
interminabile, i miei sospetti si rivelarono fondati.
****
Da qui in poi, figlio mio, i
ricordi diventano troppo penosi perché io abbia la forza di scrivere ancora.
Preferisco stendere un velo
discreto e pietoso sulle ore che seguirono, su quelle immagini, sul sangue
versato, sulle lacrime più salate e amare, sullo strazio, l’angoscia che
attanagliava il cuore e spezzava il respiro.
Ti dico solo che tutto è
fortemente vivido nella mia mente e ogni cosa brucia intensamente, come un
fuoco inestinguibile. So che nulla e nessuno potrà mai rubarmi una tale
ricchezza. Neppure lo vorrei, in realtà.
Perché il dolore anche il più
grande è comunque prezioso, quando è legato ad altrettanto amore. Le ultime
parole che si scambiarono, sono scolpite nel mio cuore e lì resteranno; parole
d’amore e di speranza in un futuro migliore che potesse cancellare anni di
solitudine.
Parole vane, pietose bugie
che avrebbero dovuto essere consolatorie, ma in realtà non lo furono.
Sofferenza, odio, senso di
colpa, tutto è parte della vita, come il rimpianto, come il perdono e l’amore.
E tutto serve, figlio mio.
Anche a diventare migliori.
Oscar e André hanno avuto la
loro stagione, il loro tempo per amare e voglio credere che nulla sia andato
sprecato. Che ogni sogno o desiderio sia stato soddisfatto. Che ogni preghiera
sia stata ascoltata.
Anche l’ultima di Oscar, dopo
che André era morto; una preghiera silenziosa lunga una notte, accolta e poi
esaudita nell’alba del giorno che rinasce.
Voglio credere che loro non
sono passati di qui senza lasciare tracce.
Perché qualcosa rimane
sempre.
La loro vicenda, il loro
amore a tutti noi ha lasciato qualcosa; Alain, che era uno dei soldati al suo comando,
un uomo di carattere, forgiato dalla vita, ne fu turbato e impressionato.
Alain, che conosceva in parte la loro storia, era stato un buon amico per
André, ne conosceva i sentimenti profondi e aveva imparato a stimare il suo
comandante donna.
Con la loro vita mi hanno
fatto capire che il tempo che ci viene dato, è il solo che abbiamo e non va
sprecato, ma gli uomini troppo spesso dimenticano questa verità profonda.
Sprecano il tempo della loro breve ed effimera esistenza, a inseguire non si sa
bene cosa e non si accorgono di quello che hanno già. E spesso soffrono per
questo.
È una lezione da imparare,
figlio mio…
Mi auguro che tu non debba
mai sprecare nulla della tua vita; sappi cogliere le cose belle che essa ti
darà, soprattutto quelle che ti renderanno migliore… spesso saranno quelle che
ti faranno soffrire di più.
Non ti perdere… e ama, ama
con tutto il cuore, metti la passione in ogni cosa che farai, in ogni scelta
che la vita ti chiamerà a fare, quindi non aver mai paura di vivere, perché l’amore
è la sola cosa che fa sentire vivi.
Oscar e André mi hanno
insegnato questo.
Tutto il resto conta poco.
Davvero poco.
Compresi questa verità nello
stesso istante in cui sentii la raffica dei colpi di fucile, straziare Oscar a
morte. Forse, di quella giornata, fu
l’ultima cosa che sentii davvero. Un suono sinistro, che mi rimbombò nelle
orecchie per diversi giorni e cancellò ogni altro rumore. Dopo fu solo
silenzio.
Silenzio di voci, di cuori
che cessarono di battere.
I nostri insieme al suo.
E in quel silenzio fatto di
vuoto, compresi che quella che sembrava l’ingiustizia di due vite sprecate,
unite eppure divise dal destino, destinate ad amarsi, ma costrette a non
poterlo fare per assurde leggi umane, era in realtà il percorso di due anime
che si erano cercate, inseguite, raggiunte e alla fine, trovate.
Ma non nego che per capire
tutto questo, qualcosa ho dovuto perdere.
E la morte ridimensiona
tutto.
Con la morte di Oscar,
qualcosa dentro tutti noi morì con lei.
Non ci importava più nulla di
quello che stava accadendo, col tempo ci saremmo risollevati andando avanti per
la nostra strada, ma in quel momento ci sentivamo svuotati di tutto.
Forse fu la fiducia nel
domani ad abbandonarci.
Alcuni giorni dopo, io e tuo
padre lasciammo Parigi sotto i colpi della rivolta popolare, dirigendoci verso
Arres.
Portammo laggiù i loro corpi,
in quei luoghi dove erano stati felici. Dove anch’io ero stata felice con loro.
Adesso riposano vicini su una
collina; lì, forse, in passato l’erba fu calpestata dai loro passi.
*****
Arres, 1818.
Torna qui ogni anno a portare
il suo saluto a due anime amate e mai dimenticate.
Suo figlio François è accanto
a lei; è un giovanotto che si affaccia alla vita adesso.
La accompagna sempre quando
viene qui.
Una volta sola da bambino,
ricorda di averla vista piangere e si era molto turbato. Adesso lei ha imparato
a trattenere il pianto. O forse non ha più lacrime da versare.
Il giovane posa sulle lapidi
i fiori che hanno portato.
È una splendida giornata,
luminosa e frizzante.
Una farfalla bianca vola
accanto a loro e si posa su una delle croci.
Una brezza leggera agita i
riccioli biondi di suo figlio.
Ha gli occhi di suo padre, ma
il colore dei capelli le ricorda l’oro del grano maturo.
Le ricorda un altro biondo
dorato.
Resta sempre in silenzio
quando è qui e lui, all’inizio, si stupiva di questo.
Ma adesso sa perché lei non
parla.
In realtà, nel silenzio, lei
parla con i suoi ricordi e ascolta unicamente quello che essi hanno da dire.
Ricorda di aver deposto sulla
tomba di Oscar, la rosa bianca di stoffa che la regina aveva fatto nella
solitudine della sua cella. Prima di salire sul patibolo, Maria Antonietta
l’aveva pregata di tingerla con il colore preferito da madamigella Oscar. Era rimasta molto sorpresa perché non sapeva
proprio quale fosse.
André avrebbe detto le rose
bianche… Così le aveva detto Alain.
Bianche come i fiori che
François ha posato qui.
Lui non le ha ancora chiesto
nulla. Accompagna la madre sulla collina è resta in silenzio accanto a lei,
come se non volesse essere indiscreto. Ma oggi, da come la guarda, capisce che
non tratterrà ancora molto le sue domande. E lei, non sempre gli risponde.
“Mamma… cos’hai provato
davvero per Oscar?” chiede serio.
“Che domanda strana. Lo sai,
era una persona speciale, per me.”
Lui sembra riflettere su
qualcosa.
“Sì, immagino… ma perché
speciale? Perché era una donna fuori dall’ordinario, o perché ti ha aiutato? Se
odiavi i nobili, se hai condiviso le idee di papà, perché sei restata da lei
per tanto tempo?”
“Mi ha aiutato; la mia vita
la devo a lei, come avrei potuto odiarla Françoise? Io l’amavo…e non saprei
dirti esattamente perché… non era solo gratitudine la mia…”
Il giovane lascia vagare il
suo sguardo attorno, prima di tornare a posarsi sui nomi incisi sulle lapidi.
“Scusa, ci sono cose che mi
sfuggono di Oscar François… Anche il suo rapporto con Andrè… forse erano amanti
e tu non te ne sei mai accorta… erano cose che accadevano in quella società
corrotta…”
“È un modo facile di vedere le
cose, e tu forse, sei troppo giovane per capire… ma l’amore molto spesso è più
complicato e complesso di quello che sembra, assume svariate forme, si camuffa
per non farsi riconoscere; la verità è che l’amore è il vero mistero della
vita… l’amore li aveva uniti in un modo che per tanti sarebbe incomprensibile…”
“Ma… non so, mamma. Forse è
come dici tu. Io non potrò mai conoscerla davvero, nonostante abbia letto il
tuo bellissimo diario tante volte… ti ricordi quando da bambino mi sono
sorpreso di portare il suo secondo nome?” esclama un po’ divertito.
“Sì…” Rosalie sorride per la
prima volta.
Per un momento François resta
in silenzio a contemplare le croci.
“Mamma, tu porti qui solo
fiori e rose bianche… mai un colore diverso, perché?”
Già… perché?
“Perché a Oscar piacevano le
rose bianche.”
Forse…
“A una donna soldato,
piacevano le rose?!”
“Cosa c’è di strano? Era una
donna in fondo…”
“Una donna affascinante,
senza dubbio, ma con inclinazioni poco femminili…”
“Avresti dovuto vederla…”
La rosa della regina è
rimasta bianca perché così dovevano essere le rose preferite di Oscar, ma lei
non lo sa con certezza. Sono tante le cose che non ha conosciuto di lei.
Le è vissuta accanto, ogni
giorno per anni, ma non le ha mai chiesto di che colore preferisse le rose, non
le ha mai chiesto quali fossero i suoi sogni, e anche quel giorno sulla piazza,
non le chiese se finalmente avesse trovato la felicità. Solo André saprebbe
rispondere a queste domande.
La felicità…
Quanti uomini la inseguono
senza trovarla mai… quanti non sanno riconoscerla…
E loro?
Nonostante tutto lei spera di
sì.
Forse fu un breve attimo,
forse solo poche ore, o forse tutta la vita, ma vuole credere che l’abbiano
trovata nel cuore, negli occhi, nelle parole e nelle braccia di uno dell’altro.
C’è pace e silenzio su questa
collina. Suo figlio osserva i caratteri del nome dell’uomo inciso sull’altra
lapide.
“André… Chi eri in realtà? -
poi si rivolge alla madre – Sei sempre molto silenziosa quando veniamo qui; ci
sono cose di questo posto che non mi hai ancora detto…”
“È vero… forse un giorno te
ne parlerò…” risponde rassegnata.
“Quanti segreti… venivi qui
con loro, vero? Non sa niente neppure papà?”
Gli accarezza i riccioli
ribelli prima di rispondere.
“No, lui non sa molto di quel
tempo della mia vita… ne parlo poco in verità…”
Si allontanano lungo il
sentiero, per tornare alla carrozza che li aspetta a poca distanza; la
raggiungono e suo figlio sale per primo e poi le tende una mano per aiutarla.
Prima di salire anche lei
sulla vettura, si volta per guardare il paesaggio che si è lasciata alle
spalle: un prato verde punteggiato da piccoli fiori di campo gialli, bianchi e
azzurri sul dolce pendio della collina, alberi dalle chiome rigogliose che in
primavera si ricoprono di fiori bianchi e rosa, e sullo sfondo due croci
bianche contro l’azzurro limpido del cielo.
Poi le croci scompaiono.
Allora, le sembra di vedere
sotto gli alberi due figure che danzano sull’erba, mentre incrociano le spade
in un duello che li lascia sfiniti e sudati, e alla fine si arrendono esausti.
Ridono quando crollano vicini, quasi abbracciati sull’erba. Quando il sonno li
coglie le loro mani sono intrecciate.
Rosalie non sa dire se è un
sogno, o se è accaduto per davvero, lì su quella stessa collina, tanti anni
prima.
Si guarda attorno, mentre un
senso di quiete la pervade, e torna il breve istante di un ricordo.
Un altro tempo e un altro
luogo.
Li rivede, seduti vicini,
sguardi carichi di parole non dette, magari appena sussurrate. Sorrisi segreti,
sciolti davanti al fuoco di un camino. E capisce che qualcosa si svela; forse,
era quella la loro felicità, e lei ne è stata la sola fortunata testimone.
Fine
Qui si
chiude la mia storia e spero che vi sia piaciuta.
Due
parole sul figlio di Rosalie: non è un personaggio del tutto inventato, perché
nel manga “Eroica” della Ikeda, che racconta le gesta di Napoleone, Rosalie ha
un figlio con questo nome, se non sbaglio. La scena finale all’inizio
presentava Françoise ancora bambino all’età di circa otto anni, ma il colloquio
che avevo scritto tra madre e figlio non mi convinceva fino in fondo. In realtà
ho poca dimestichezza con i bambini e non ero certa di aver scritto qualcosa di
convincente. Così il bambino è diventato un ragazzo di circa vent’anni poco più.
Io debbo
ringraziarvi tutte, per l’attenzione che avete dato a questa storia, che avete
accolto in un modo che nemmeno speravo. Grazie per tutte le vostre belle
parole, per chi ha seguito in silenzio, per chi ha messo questa storia nelle
sue preferenze o la ricorda soltanto. Ma un grazie speciale va a chi ha
commentato e come ho fatto in precedenza, ci tengo a rispondervi singolarmente.
Quindi qui sotto trovate le mie risposte alle vostre recensioni.
Kira91 – Non ho fatto in tempo a salvare
la tua recensione, allora ti rispondo così. Ma che vai a pensare? Non mi sono
offesa assolutamente. I gusti sono gusti e non a tutti piacciono le stesse
cose. Sulla storia di Twilight ho anch’io le mie perplessità, e non sono un’
amante dei vampiri, che siano classici o meno in generale.
Ma con la
mia storia di Carlisle potevo affrontare altre tematiche che mi interessavano e
mi sono buttata: la ricerca di se stessi, l’accettazione di sè, i rapporti
famigliari.
Tutte
cose che poi potrebbero valere anche per la nostra eroina, ma si trattava di
farlo in un modo diverso. Per la proposta che mi hai fatto sulla ff: sì, è una
bella idea, chissà magari domani, ma non ora, ho troppe cose in sospeso.
Sono
contenta che questa storia ti sia piaciuta e spero che sia di tuo gusto anche
questo finale. Hai colto perfettamente il legame con il manga, a quella scena
in particolare. Sono contenta che la mia interpretazione ti sia piaciuta.
Lo so,
non è a lieto fine, ma per come avevo impostato la storia non era previsto.
Comunque volevo
porre l’accento anche su altre cose e spero di esserci riuscita. A presto e
fammi sapere che ne pensi.
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[1] Non sono sicura di averlo
scritto correttamente. Perdonatemi, ma non conosco il francese, io l’ho trovato
scritto così su Wikipedia. Se qualcuno lo sa, mi corregga.