La notizia
Ary POV
Erano incominciate le vacanze di Pasqua. Sarei stata una settimana senza Edo. Il mio umore rasentava terra. Ero triste, disperata, per fortuna c’era la Ila che mi teneva compagnia e mi faceva distrarre un po’. Ci vedevamo quasi ogni giorno e ci sentivamo ovviamente sempre.
I giorni passarono, all’inizio lentamente e poi sempre più veloci: ormai si stava avvicinando il giorno che sarei dovuta tornare a scuola e l’idea non mi allettava più di tanto, ma scuola significava Edo e quindi andava benissimo.
Ultimo giorno di vacanze. Agitazione a mille.
Lo scorrere del tempo era lento. L’unico giorno che doveva passare veloce, passava troppo lento.
Nella settimana che non ci eravamo visti, io ed Edo ci sentivamo di continuo: chiamate e messaggi, ci sentivamo sempre, ma è normale che è meglio vederla una persona che parlarci al telefono e poi io volevo baciarlo, toccarlo, giocare con il suo piercing.
Ok, dovevo piantarla. Stavo fantasticando troppo.
Dovetti studiare quasi tutto il giorno e mi addormentai beatamente nel mio letto alle 22.30.
La mattina mi svegliai con un sorrisone sulle labbra.
Ero felicissima, l’avrei rivisto.
Arrivai in fermata presi il pullman che mi avrebbe portato da lui.
Ridevo e scherzavo.
Feci la strada della scuola quasi correndo.
Arrivai là e….non c’era.
Gli mandai un messaggio.
“Amore, successo qualcosa? Stai bene? Come mai non ci sei? Mi sto preoccupando. Bacione.”
Ricevetti subito la risposta.
“Scusa, mi sono addormentato. Ci vediamo oggi a fine scuola. Ciao bacio.”
Dovevo aspettare ancora un po’ per baciarlo. Uffa.
Ma cosa era successo? Il fatto che si fosse addormentato mi sembrava tanto una scusa, cosa era successo davvero?
No, dovevo credergli. Dovevo credere al fatto che si fosse addormentato.
La mattinata era lunga troppo lunga: lentamente passarono le prime tre ore e le ultime tre un po’ più velocemente.
Erano le 13.15 dovevo uscire.
Uscii dalla classe e il mio angelo personale era lì.
Mi fece un sorriso tirato.
-Cos’è successo?- ero curioso e preoccupata alla stesso tempo.
-Ti spiego quando arriva anche la Ila.- fece un lieve sorriso tirato.
-Ok.- se poco prima ero preoccupata, in quel momento lo ero ancora di più. Vederlo così, tirato, preoccupato e stanco, non mi rendeva di certo felice.
-Vieni qua, piccola. È una settimana che non ci vediamo.
Mi prese per i fianchi e mi baciò. Prima delicatamente poi con più passione. Lentamente mi dischiuse le labbra con la lingua e cominciai a giocare con il suo piercing.
Ci staccammo. Vidi arrivare la Ila.
-Ciao Edo. Co…..Che succede?- oddio, se n’era accorta anche lei?
-Usciamo che vi spiego.- disse avviandosi per le scale.
-Edo, dicci cosa è successo. – gli dissi io.
-Usciamo. È meglio.- disse lui serio, cominciando a scendere per le scale.
Le scale sembrano non finire più.
Uscimmo.
-Mi sa che devo fumarmi una sigaretta. – disse la Ila.
-Forse sì.- un altro brutto segno, se la Ila aveva il permesso di fumarsi una sigaretta era davvero grave.
Il più velocemente possibile tirò fuori una sigaretta e la accese.
Sia io che lei lo guardammo.
-Cinque giorni fa Simo ha fatto un incidente…- disse Edo guardando negli occhi la Ila.
-E come sta?- gli domandò lei che tirava la sigaretta avidamente.
-Non si è ancora svegliato.
Io ero scioccata, non potevo crederci.
La Ila tirava ancora più avidamente la sigaretta, le veniva da piangere, ma si trattenne.
-è in questo ospedale?- chiese lei riferendosi all’ospedale vicino alla nostra scuola.
-Sì. Se vuoi possiamo andare a trovarlo. Tanto devo andare là.
-Si, andiamo. Chiamo mia mamma.- ero consapevole del fatto che si stesse per mettere a piangere dato che aveva la voce stranamente bassa ed incrinata.
-Anch’io.
Chiamammo le nostre mamme e spiegammo. Dalla conversazione prolungata della Ila, non aveva mai parlato a sua mamma di Simo, adesso avrebbe dovuto farlo.
-Ok. Possiamo andare.
Salimmo sull’Audi TT nera di Edo. La Ila era leggermente stretta dietro, ma per arrivare all’ospedale non ci avremmo messo tanto.
Entrammo in ospedale e andammo nel reparto terapia intensiva.
Arrivammo davanti alla stanza 22.
Immaginavo che Simo si trovasse lì.
Proprio in quel momento, una signora sulla cinquantina usciva dalla stanza: non era troppo alta, mora, riccia, occhi azzurrissimi.
Ci guardò, poi Edo le andò incontro e la abbracciò.
-Ciao Bea, come stai?- disse abbassando la voce.
-Bene dai. Tu?- la voce della donna era roca e bassissima.
-Bene. Simo come sta?
-Dicono che stia meglio, ma non si è ancora svegliato.- disse lei con uno sguardo sconsolato e triste. Aveva il viso stanco.
-Bea, questa è Arianna, la mia ragazza. – disse lui indicandomi.
-Piacere tesoro. So di non essere nelle migliori condizioni, ma sono felice di conoscerti.- disse stringendomi la mano.
-Piacere tutto mio.- feci un leggero sorriso.
Ad un certo punto si girò e guardò la Ila.
-è lei?- disse rivolta ad Edo.
-Si.- Io guardai Edo cercando di capire cosa stesse succedendo.
-Piacere sono Bea, la mamma di Simo e ti prego dammi del tu.
-Piacere. – disse lei leggermente in imbarazzo stringendole la mano.
-Ho sentito molto parlare di te.- disse Bea con un lieve sorriso.
-E da chi?- Ila, Ila, certe volte sei proprio stupida.
-Da Simo, ovviamente. – lei arrossii immediatamente.
-Scusa, se ti sto mettendo in imbarazzo.
-No, niente.- era incerta ed in imbarazzo.
-Entra pure. Tanto non può sentirti.- la invitò Bea ad entrare. – noi aspetteremo fuori.
La Ila entrò lentamente nella stanza.
-Simo me l’aveva descritta in modo diverso. Lo metterò in punizione perché non dà la giusta descrizione alle persone.
Ridemmo.
-Tranquilla, non lo metto in punizione più o meno da quando aveva 12 anni. – disse rivolta verso di me.
Chissà come stava Simo e soprattutto che effetto avesse fatto sulla Ila.
Ila POV
-è lei?- disse la donna che ormai avevo capito fosse la mamma di Simo: una bella donna, aveva la classica faccia da mamma protettiva.
-Si.- gli rispose Edo. Cos’avevo fatto adesso? Non è che mi avrebbe ucciso vero? Venne verso di me, mi tese la mano e gliela strinsi.
-Piacere sono Bea , la mamma di Simo e ti prego dammi del tu.
-Piacere.- le risposi leggermente in imbarazzo. Che situazione. Conoscere la mamma di Simo, mentre lui era in un letto d’ospedale.
-Ho sentito molto parlare di te. – mi disse guardandomi con quei suoi occhi azzurri e con un leggero sorriso sulle labbra.
-E da chi?- dio, certo che alcune volte ero proprio scema.
-Da Simo, ovviamente. – appena lo disse, avvampai. Avevo improvvisamente caldo.
-Scusa, se ti sto mettendo in imbarazzo.
-No, niente. – ormai ci avevo fatto l’abitudine.
-Entra pure. Tanto non può sentirti.- mi invitò ad entrare con un braccio.
Avevo paura ad entrare a vedere in che condizioni fosse.
Quando Edo ci aveva detto che aveva fatto un incidente e che era in ospedale, il mio cuore aveva perso molti battiti. Non potevo crederci, cioè non lui, non Simo.
Le lacrime volevano uscire, ma cercai di trattenerle.
Entrai nella stanza.
Non sembrava tanto una stanza d’ospedale normale, sembrava più accogliente, sembrava quasi di stare in una camera da letto.
Quando entrai, sulla sinistra vidi un solo letto, strano perché di solito c’erano almeno due persone per stanza, ma forse pagando potevi permetterti una stanza, come dire “singola”.
Guardai il letto in cui era sdraiato Simo.
Sembrava un bambino che dormiva, peccato che avesse attaccati macchinari e tubicini di ogni genere.
Sembrava così indifeso e piccolo, tenero, quasi innocuo.
A vederlo dormire non avresti mai immaginato che nella vita reale fosse uno stronzo che andava con tutte.
Mi tolsi lentamente la tracolla e la appoggiai contro il muro.
Mi avvicinai lentamente, come se non volessi svegliarlo, nonostante sapessi che non si sarebbe svegliato, dato che erano cinque giorni che dormiva profondamente.
Cominciai a percorrere il suo corpo con lo sguardo, cercai di non soffermarmi sulle braccia con i vari tubicini, mi avrebbero fatto stare male e non era il caso (odiavo gli aghi).
Lentamente arrivai al collo, con il suo pomo d’Adamo abbastanza pronunciato. Salii per il mento. Mangiai con gli occhi le labbra che mi dicevano di baciarlo. Gli occhi chiusi e rilassati.
Dall’aspetto non sembrava stare poi così male, avevo l’impressione che le labbra avessero un leggero cenno di sorriso, magari anche in quel momento se ne stava facendo una dopo l’altra. Quel pensiero mi fece attivare un moto di rabbia o meglio, di gelosia.
Ormai ero seduta sulla sedia, messa in parte al letto.
Gli presi una mano. Cominciai ad accarezzargli un braccio.
Ed improvvisamente l’elettroencefalogramma segnalò l’aumento di battiti. Presi paura.
Si precipitò Bea in camera.
-Che succede?- mi chiese guardandomi preoccupata.
-Non lo so.- istintivamente lasciai la mano di Simo ed l’elettroencefalogramma smise di suonare velocemente.
Nel frattempo erano entrati anche Edo e la Ary.
-Rifallo. – mi disse Bea guardandomi speranzosa.
-Cosa?- qualsiasi cosa avevo fatto, non l’avevo fatta apposta, ma di certo non avevo intenzioni di rifarla.
-Prendigli la mano. Fai quello che stavi facendo prima.
Gli presi la mano e ricominciai ad accarezzargli il braccio.
Di nuovo il battito cardiaco accellerò.
-Edo, ora fallo tu.- appena lo mollai i battiti cominciarono a rallentare.
Edo venne al mio posto e lo fece. Non successe niente.
-Ila, rifallo.- nella voce della Bea scorsi speranza. Speranza che suo figlio potesse uscire da quel coma in cui ormai era da tre giorni.
Tornai a sedermi sulla sedia.
Appena toccai ed accarezzai il braccio a Simo, il suo battito accellerò.
-Ti riconosce. – cominciò a piangere. – devo andare a chiamare il dottore e chiedergli se è un buon segno.
Bea se ne andò. Uscirono anche Edo e la Ary.
Appena furono usciti, cominciai ad ammirare il volto di Simo.
Com’era possibile che mi riconoscesse? Cioè non è una cosa possibile. E se l’avessi baciato l’avrebbe sentito? Non volevo rischiare di far preoccupare qualcuno, se il battito cardiaco fosse aumentato troppo. Però potevo provare, quella del braccio non era una prova. E se avessi…