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Autore: nous    29/06/2010    3 recensioni
Arancio è il colore dell'ipocrisa. Gli eroi sono caduti: il presente è diverso dal futuro che si erano immaginati. La prepotente verità di Konoha nasconde la verità di Naruto. Sasuke non sa più qual'è la verità. Basta sapere che Madara è morto e che si festeggia un eroe fasullo. C'è chi ha aperto gli occhi. Chi vive di sogni. Konoha ignora tutto e continua a vivere.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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ARANCIO II

 

 

 

 

 
 

II.

 

Il suo ingresso fu accolto dallo sguardo del Rokudaime. Naruto si meravigliò di vederlo già a lavoro, ma non lo diede a vedere. Si accinse a percorrere quei cinque passi, abbassando gli occhi, che per un attimo avevano incontrato quelli comprensivi del vecchio sensei. Lui aveva imparato a conoscerlo meglio di nessun’altro. L’Uzumaki non voleva dargli la soddisfazione di trattarlo come un bambino, per l’ennesima volta.  D’altronde, per il biondo era sempre stato così. Ogni legame forte, che avesse costruito con una persona a lui cara, era andato a colmare il vuoto di una famiglia mai avuta. I suoi maestri avevano recitato da fratelli maggiori, zii e genitori. Non aveva mai ritenuto di poter considerare Kakashi alla stregua di un padre, era più uno zio incostante: un’ ombra sempre presente alle sue spalle, che però lo aveva lasciato solo molte volte. Non gliene poteva dare colpa, aveva compreso che quello era il suo modo d’essere.

Naruto si accostò alla scrivania, continuando ad analizzare i listelli di parquet sotto i suoi piedi. L’Hogake lo seguì con la coda dell’occhio, continuando a dedicarsi alle scartoffie sul suo piano di lavoro.

«Sei in ritardo…». Disse atono.

«Sono arrivato all’ora in cui dovevo arrivare».

«Potevi darmi questa soddisfazione, non capita spesso che io sia in anticipo…».

Naruto lo squadrò dall’alto con sufficienza.

«Scendi con me dopo?». La voce del Rokudaime si fece improvvisamente seria. Il ragazzo, prontamente, distolse lo sguardo dalla figura seduta vicino a lui. I piedi si mossero automaticamente e lo portarono tre passi più avanti, di fronte alla parete vetrata. Era sempre stato incapace di rimanere fermo in situazioni a lui scomode.

«Non ho ancora deciso…».

Shikamaru attendeva sull’uscio. Nessuno aveva prestato attenzione al suo ingresso. Aveva potuto chiaramente sentire come il tono della conversazione fosse cambiato e come, tutt’attorno, l’aria fosse diventata densa. L’allievo ed il sensei erano arrivati, nuovamente, ad un irreversibile situazione di stallo. Era uno stratega, sapeva che doveva intervenire un nuovo elemento per sbloccare la situazione.

Bussò sul legno massello della porta aperta per rivelare la sua presenza.

 «Ah…Shikamaru.». Kakashi alzò il volto nella sua direzione accogliendolo con una velata espressione bonaria.

«Sono venuto ad informarla che ora di andare.»

«E’ già ora!? Come vola il tempo....».

Si alzò frettolosamente dalla sedia, prese il soprabito appeso alla spalliera. Se infilò, continuando a fissare il moro.

«Sei tu la scorta oggi, vero?».

«Sì, signore.».

«Bene, andiamo.» Afferrò il cappello e si diresse verso il jonin che lo attendeva. Ma il suo percorso si bloccò a meta strada.

«Naruto, che fai?».

Il ragazzo, di spalle, non lo degnò né di un sguardo, né di un accenno di risposta. Quel silenzio, però, per Kakashi fu più efficace di qualsiasi parola.

«Come ti pare.». Appoggiò il copricapo in testa e fece cenno a Shikamaru di andare.

Lo stratega rimase immobile per un po’ a guardare la schiena dell’amico. Sperava di vederlo distogliere lo sguardo da oltre il vetro e seguirli. Purtroppo era consapevole che questo non sarebbe mai successo, non in quel giorno.  Fece perno sul tallone destro. Si voltò. Con le mani in tasca ripercorse i passi del suo capo.

Anche Naruto cominciava ad essere una seccatura.

 

 

«Anche quest’anno l’eroe fa i capricci.»

«Già….».

Strinse gli occhi e si morse il labbro inferiore fino a sentire il sapore metallico del sangue. Naruto odiava quel giorno e avrebbe fatto di tutto per non sentire più quei discorsi. La parola eroe lo disgustava. Un tempo avrebbe dato il braccio destro per sentire inneggiare il suo nome associato a quella, ma ora era tutto diverso.

 Per gli altri era facile scegliere la versione dei fatti che più si adattasse alle circostanze. Konoha doveva essere salvata da un fedele e valoroso ninja di Konoha. Aveva desiderato a lungo diventare l’eroe del suo villaggio. Lo era stato. La sensazione era durata un nulla. Non aveva senso essere acclamato nuovamente. Lo vedevano come un eroe assoluto che salvava tutto e tutti ad ogni situazione di pericolo, in ogni circostanza. Eroe una volta, eroe per sempre.

Quel 13 maggio, il salvatore di Konoha fu il suo nemico. Che fosse stato un atto eroico o no, cosa importava. Naruto aveva urlato al mondo che lui non era un eroe, ma nessuno lo aveva ascoltato. Non sopportava quell’ingrata attribuzione di merito.

Il silenzio annunciava una disgrazia imminente. Davanti alle porte del villaggio si stagliava il profilo di due ombre. Poteva distinguere le fattezze del compagno. Quel chakra spaventosamente freddo. Un brivido gli percorse la schiena. Paura ed eccitazione. Avrebbe combattuto, lo sentiva delle ossa. Era certo, che un giorno, si sarebbero scontrati e, sicuramente, sarebbero morti.

Naruto era pronto ad attaccare un nemico che non accennava a muoversi. Il biondo si sentiva ignorato. Lo stavano ignorando. Era praticamente impossibile che due ninja di tale calibro non si fossero accorti di lui. Madara di fronte a Sasuke. Sasuke di fronte a Madara. Una luna ambrata  illuminava di un lugubre bagliore quel poco che riusciva a vedere dei volti dei due nukenin. Le labbra di Sasuke si aprivano e chiudevano ritmicamente. Sicuramente stavano parlando. Naruto dalla sua posizione non riusciva a sentire che un minimo brusio. I due Uchiha continuavano a stare immobili. Due statue. Se la stavano prendendo comoda, come se avessero avuto tutto il tempo del mondo, come se non ci fosse nessuno disposto a combattere per Konoha. Lui era pronto a combattere e basta. Al diavolo il villaggio. Farsi guerra. Morire. Era pronto. Quello era il suo momento: l’amico tanto cercato era lì. Meno di sessanta passi da lui. Sentiva la frenesia espandersi per tutto il corpo. Il timore era annullato dall’eccessiva dose di adrenalina, che circolava nelle vene del ninja di Konoha.

 Sasuke si mosse. Naruto sobbalzò. Il vecchio amico aveva solo inclinato la testa in avanti, come per riflettere.  Il biondo lo vide sollevare il capo e rivolgerlo verso di lui, in un tempo che sembrò infinito. Il moro portava sul volto una smorfia simile ad una sorriso. Un’espressione artefatta. L’Uzumaki vedeva in quella bocca leggermente piegata all’insù la brutta copia di quei ghigni di sfida, che tante volte si erano scambiati a dodici anni. Ma gli occhi erano diversi. Quello sguardo gli fece gelare il sangue. Quelle iridi scarlatte avevano un disegno nuovo. Naruto si sentiva trafitto da quegli occhi. Vi leggeva una follia mai vita sul viso del ragazzo, ne in nessun uomo. La sua mente elaborò velocemente che quello non poteva essere Sasuke.

«Naruto, proprio tu».

Le parole furono accompagnate dal braccio sinistro allungato verso il biondo, come ad invitarlo. Per la prima volta in vita sua , quel Sasuke gli aveva teso una mano, ma quello non era il Sasuke che si era più volte promesso di salvare.

Si sentì miserevolmente preso in giro. Avvertì  il calore pervadergli  il corpo, la rabbia affanargli il respiro e velocizzargli il battito, gli occhi del nemico su sé, dentro di sé, tutto l’allenamento per controllare il Kyūbi rivelarsi inutile. Il ninja sentiva che quel folle la stava chiamando. Stava invocando la parte più inconscia di quello che era stato un fratello. Sasuke lo aveva tradito. Lui si era tradito. Quello che il biondo non aveva preso dal demone, ora, lo stava reclamando l’Uchiha.

Poi venne il buio.

Naruto non riusciva esattamente a ricordare cosa fosse successo. Aveva solo immagini frammentarie. Sasuke. Fuoco. Madara. Sangue. La sua mente aveva registrato solo questo.

Odiava ammettere che rammentava solo di essersi svegliato a terra con un ricordo dei suoi vestiti e zuppo di sangue. Odiava ammettere di avere provato una irrazionale odio nel momento in cui aveva visto Sasuke seduto, inespressivo, su quello che doveva essere l’architrave della porta del villaggio.

A quella visione concentrò tutta l’energia che aveva in corpo nel suo colpo migliore. Lo avrebbe scagliato all’amico, come ringraziamento. Ma qualcosa lo portò a voltarsi. Una sensazione che partiva dalla viscere. Sentiva la necessità di guardare oltre la sua schina.

Madara stava lì. Malfermo sulle gambe. Grondante di sangue. Con una maschera da vecchio in volto.

 Naruto riconduceva a quel momento la firma delle sua condanna ad eroe.

Guardò fiero la detonazione. Non si era reso conto con quanta rapidità avesse cambiato bersaglio. Si voltò in direzione di Sasuke.

Guarda cosa ho fatto. Ora siamo solo io e te.

 Ma tutto l’odio scomparve e lasciò posto alla pietà. Colui con cui voleva combattere aveva la casacca stracciata e innaturalmente rossa. Naruto non sentiva più il suo sguardo su di sé. Quegli occhi parevano guardare altrove, anche se stavano fissando nella direzione del biondo.

Naruto non riusciva a sostenere oltre quello scontro impari e silenzioso. Rivolse le spalle ai resti della porta di Konoha ed analizzò brevemente ciò che rimaneva di Madara.

La stanchezza si fece largo tra la sue carni travagliate. Gli arti inferiori non erano più in grado di sostenerlo. Chiuse gli occhi e si accasciò.

 

 

Sasuke Uchiha, a gambe incrociate davanti al fuoco, si sentiva la testa pesante. Era ipnotizzato dall’imbrunirsi della pelle del pesce. Troppo vicine alla fiamma, alcuni brandelli di squame bruciavano velocemente lasciando il loro posto ad aloni neri.

 Sin dall’infanzia aveva imparato ad utilizzare il suo elemento. Più che una sua peculiarità era una cosa di famiglia. Di padre in figlio, ogni Uchiha che si rispetti, prima dello Sharingan, doveva saper manipolare il fuoco. Si era più volte domandato come poteva essere carbonizzare una persona. Forse era come stare a guardare quel pesce da troppo lasciato a cuocere. Aveva letto che un uomo che brucia ha un odore dolciastro, ma non lo aveva mai annusato in prima persona. C’era stato un periodo in cui non uccideva nessuno. In cui tutto era allenamento. Quando nel suo mondo ancora resistevano gli ideali.

Afferrò lo spiedo. Si ricordava un vago sapore di arrosto. Bastava illudersi che fosse buono per mangiare. Soffiò un paio di volte per disperdere il calore. Avvicinò la bocca per addentare la carne. Sentì la porzione di pelle sotto il naso bruciargli. Aspettò un po’, osservando il diradarsi dei fumi provenienti dal pesce. Nuovamente, si avvicinò. Avvertita una temperatura accettabile per la sua lingua, aprì la bocca ed addentò il fianco dell’animale. Masticò lentamente, non per gustare il sapore ma per trovare qualcosa di buono.

La carne bianca dell’animale aveva un retrogusto di pesce. Il sapore predominante era quello dello strato superficiale quasi carbonizzato. Aveva la bocca piena di cenere.

 Cenere, sangue e polvere. Sentiva affogarsi nella nube incandescente delle ripetute deflagrazioni. Doveva socchiudere gli occhi per continuare a vedere.

Lasciò cadere il pasto a terra. Entrambe le mani gli raccolsero il volto. Andò a massaggiarsi le tempie. Il suo campo visivo era concentrato ad uno spiraglio tra i due palmi. La sua attenzione era localizzata in una manciata di centimetri. Una fila di formiche si dirigeva a conquistare il pesce.

Il capo era Madara. Lui voleva essere a capo di tutto. Voleva prendere tutto. In un modo o nell’altro aveva preso parte di Sasuke. Aveva portato al crollo di quel castello di carte, che per il ragazzo era la realtà. Aveva fatto breccia in quell’animo scoperto di bimbo sperduto. La semplicità di occhio per occhio, dente per dente continuò ad essere il suo irrazionale credo.

Quella successione di pallini neri, zampettava sul segno lasciato dai denti. Dentro e fuori. Anche per loro quel cadavere doveva avere la temperatura ottimale per essere lentamente smembrato. Il moro pensava che anche lui un giorno sarebbe stato mangiucchiato da quelle insignificanti bestiole. Probabilmente avevano digerito anche i suoi affetti. Da tempo il suo passato non c’era più.

«E’ ora.»

«Cosa dovrei distruggere!? Qualcosa che non c’è.»

«Konoha non è mai stata così debole. Approfittane.»

«No! Mi è stata spianata la strada una volta. Lo concedo a mio fratello, ma a Konoha non posso permetterlo. Devono perdere ciò che hanno di più caro, non quello che gli rimane. »

«Distruggila e basta.»

«Non prendo ordini da te.»

«Che ingrato...e dire che sono stato io a permetterti di arrivare a questo giorno.»

«Mpf». I suoi nuovi occhi guardavano la maschera di Madara.«Ho ridimensionato i miei obiettivi.»

«Mi stai dicendo che non vendicherai più Itachi?»

«Konoha sarà distrutta. Per mio volere, non per il tuo! Sarò io a decidere quando sarà il momento per rendere onore a mio fratello…»

«Illuso…»

«Sei solo un intralcio.»

«Ragazzino…»

«Ora siamo uguali. Abbiamo lo stesso potere.»

«Tu non sei nemmeno vicino al mio livello. Credi che avere ottenuto lo Sharingan Eterno ti renda simile a me!? Non farmi ridere. Sei solo un presuntuoso ragazzino inesperto.»

«Quanto può durare ancora quel corpo che ti porti in giro?»

«Cosa?»

«Io sono giovane e non posso altro che migliorarmi. Tu sei vincolato da quel bamboccio che usi per muoverti. Per questo hai lasciato combattere solo me…tu non puoi con quel corpo…Inoltre…»

«Taci!»

«Perché? Il ragazzino ha scoperto il tuo punto debole?», ghignò, tutto andava come si era immaginato, «Inoltre, chi meglio di me può fare breccia nel Nove Code…»

«Che vuoi fare?!»

L’ospite d’onore degli Uchiha era già arrivato.

«Naruto, proprio tu.»

Il demone era dinnanzi a lui, confinato nel biondo. Entrambi erano diversi dall’ultima volta, ma abbastanza potenti per il suo scopo. Con  suoi occhi poteva addomesticare la volpe ed adempiere al suo nuovo obiettivo; Madara non avrebbe visto l’alba.

Un attacco dopo l’altro, esplosione dopo esplosione. Quella potenza era inarrestabile ed indomabile.

La testa gli stava esplodendo, le formiche gli avevano cominciato a mangiare il cervello.

Il Kyubi era distruzione. Puro odio. A stento riusciva a controllarlo, a non farsi spazzare via dall’enorme quantità di chakra generato.

La pelle bruciava. Sentiva gli insetti camminargli sulla carne viva.

Il  corpo del suo nemico stava cedendo. Contava i secondi che impiegava a rialzarsi da terra. Il lasso di tempo si allungava ad ogni caduta. La maschera arancione aveva iniziato a cadere a pezzi. La pelle fittizia iniziava a perdere di tensione. Il corpo cominciava a mostrare l’età dell’anima.

I morsi di quelle creature erano insopportabili. Gli stavano sulle labbra, sulle cavità del naso, sulle palpebre. Mordevano e maciullavano.

Il nove code non smetteva la sua opera distruttiva. Sasuke  sapeva che doveva farlo rientrare il prima possibile. Non aveva intenzione di morire. Non lì. Non avrebbe dato a Konoha il privilegio di avere il suo cadavere. Il guerriero concentrò il suo potere sugli occhi. Il suo demonio cominciò a materializzarsi. Per la prima volta sotto gli attacchi della volpe vide la sua armatura scalfita e fiotti di sangue uscire dal suo corpo. Le fiamme nere si alzavano su campo di battaglia. La volpe e il ninja combatterono per un tempo indecifrabile. Quei suoi maledetti occhi chissà per quanto tempo li ingannarono.

Il dolore si fece insopportabile. Scattò in piedi. Nel lanciarsi cadde a carponi sul greto del torrente. Tuffò la testa in acqua. Le formiche sarebbero morte affogate. Nessuna si sarebbe salvata. Decimava insetti ad occhi aperti, scrutando il vicino letto di ciottoli. I capelli nuotavano trasportati dalla leggera corrente. Poteva sentire il fresco delle liquido annidarsi tra la barba. Nell’apnea, si sentì purificato. Ma i polmoni cominciavano a reclamare ossigeno, Sasuke dovette riemergere per respirare. Fece forza sulle braccia, per sollevare il capo ed il collo come fossero un blocco unico e rigido con la schiena. Si fermò con la punta del naso a pelo dell’acqua. I capelli per metà ancora immersi. La barba aderente alle guance magre. Gli mancò l’aria vedendo, da fuori, l’ombra si una figura con nove code sui sassi del fondale del rio.

 

 

Konoha si era tinta di arancio. Ogni finestra ed ogni lampione portava vessilli arancione. La gente si era riversata sul viale principale. Alcuni sventolavano la loro bandierina, altri intonavano canti e urla di gioia. I più mattinieri si erano guadagnati un posto sotto il palco alla fine di quel taglio sul villaggio. Sullo sfondo del palazzo dell’Hokage, la massima autorità si apprestava a tenere il tradizionale discorso da cerimonia. Naruto vedeva l’Hakate nascosto dietro il palco ligneo, anche esso con fastidiose decorazioni. Un mare si persone ad attendere le parole di un uomo che dava fiato a frasi fatte. In tre anni, il sensei non aveva cambiato tipologia di discorso, evidentemente i suoi collaboratori avevano trovato la formula efficace per gettare fumo negli occhi del popolo. L’eroe non vuole essere elogiato, poiché ritiene che tutto i cittadini di Konoha sono stati eroici nel riportare il villaggio al suo fasto originario. Il biondo, dall’alto dell’ufficio dell’Hokage, se la rideva si cuore sentendo quel passaggio e vedendo la popolazione alzarsi in un giubilo.

I bambini stavano sulle spalle dei genitori, facendo vedere i sorrisi sdentati e sventolando la bandierina arancione. Come lui, anche le nuove generazioni avevano bisogno di avere miti. I piccolo erano giustificati. Gli adulti, senza eccezioni erano un branco di idioti. Lui ne era il re. 

Quella baraonda sarebbe andata avanti fino a tardi. Dopo il pomposo discorso istituzionale, gli abitanti del villaggio avrebbero preso d’assalto le bancarelle e gli stand gastronomici. Gli uomini si sarebbero ubriacati, le donne spettegolato e i bambini giocato in suo onore. Oltre un falso eroe in certi momenti si sentiva un capro espiatorio per far aumentare gli introiti di Konoha.

«Naruto…», disse una voce femminile alle sua spalle. La riconobbe immediatamente.

 «Non sei di sotto a festeggiare, Sakura!?»

«Non ne avevo voglia...» La ragazza fece una panoramica della sala in cui era appena entrata. L’amico non si era voltato nemmeno per salutarla. «Ho saputo che a breve avrai un’altra missione in solitaria.» disse passandosi la mano desta sul gomito sinistro, come per mascherare il disagio, «Quando parti?»

«Domani.»

Naruto si voltò, perdendosi gli ultimi attimi del discorso dell’Hokage. Percorse i trentotto passi che si mettevano tra lui e l’uscio. Sakura se lo vide passare vicino senza che la degnasse di uno sguardo. Il biondo sparì nel corridoio. La ragazza abbandonò le braccia lungo i fianchi. Strinse i pugni per farsi sbollire la rabbia.

Salve a tutti. Grazie a coloro che hanno messo la storia tra le seguite. Un particolare ringraziamento va ad ilarione e Sarhita che hanno recensito.

   

   
 
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