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Autore: Erik Winterking    29/06/2010    0 recensioni
Una raccolta di racconti brevi che ho definito "scene". Non hanno un filo conduttore, sono solo scleri scritti in cinque minuti. =)
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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L'organista

Era uno strano tipo, era vero. Non strano per comportamento – o chissà, forse anche per quello – ma sicuramente chiunque lo vedesse riconosceva che era in qualche modo bizzarro – ma ancora, le parole non rendono in modo perfetto come poteva esserlo.
Alto, lungo, allampanato, la sua figura sembrava descritta solo da linee dirette verso l'alto, e dal continuo prolungarsi di quelli che sarebbero stati i caratteri normali di un essere umano normale. I palmi delle sue mani erano poco più larghi dei polsi, ma due volte più lunghi; e da essi le dita si prolungavano sottili e affusolate, quasi capaci di vita propria.
Il volto era un ovale squadrato, dai tratti secchi; la pelle, tirata quasi al limite dell'osso, accentuava la sua lunghezza, e la linea del naso occupava il terzo centrale della vista frontale; una leggera peluria cresceva sugli zigomi, giocando con le ombre in modo tale da esasperare l'effetto finale – l'effetto di lunghezza caratteristico di quell'uomo.
Infine, ogni carattere longilineo della sua persona sarebbe stato enfatizzato degli abiti che portava, sempre neri, come se fosse in lutto perenne; i pantaloni più larghi delle sue gambe, che lo alzavano di qualche centimetro – anche se, in fondo si trattava solo di un effetto ottico; l'elegante giacca, che sembrava di velluto – ma era un dettaglio importante? no, davvero non lo era – sotto la quale indossava un gilet, anch'esso nero, e una camicia, unica nota bianca. Tutto sommato, un accostamento raffinato, cui era aggiunto un cappello a cilindro che donava gli ultimi centimetri in più ad una figura che così torreggiava su chiunque incontrasse.
Ma ancora, se pure questi caratteri sicuramente lo rendevano un soggetto peculiare, erano nulla a confronto dei capelli – nulla, a confronto della spaventosa massa viva che ornava il suo cranio! Ah, davvero a questo punto le parole non bastano più a descrivere! Quei moti dell'animo che si possono manifestare all'esterno attraverso gli occhi, o una particolare posa, quei moti che possono essere indovinati anche sotto una calma glaciale, quando un impercettibile dettaglio stona con le maniere del vostro interlocutore, in lui sarebbero stati resi noti dai capelli.
Nessuno aveva mai trovato alcunché di strano nel suo comportamento, tutt'altro; la sua cortesia, la sua gentilezza, e la sua squisita affabilità non avrebbero attirato altro che lodi e ammiratori. Ma i capelli! I capelli! Invero, mai più vidi casi simili di cambiamenti rapidi e improvvisi. La prima volta che lo incontrai li aveva lunghi, lisci, neri come i suoi abiti – neri come la notte – e ricadevano sulle sue spalle fino a metà schiena. Nel suo incedere sicuro, i capelli svolazzavano come il cappuccio di un mantello.
Quando suonava l'organo o il pianoforte – era un musicista, e anche di talento – le sue dita sfogavano l'irrequietezza che le faceva fremere da ferme, e la sua spaventosa capigliatura – perché davvero, altro non era se non spaventosa! come descriverla altrimenti? – si sarebbe protesa in ogni direzione, sfidando ogni legge fisica conosciuta, dando l'impressione che suonasse persino con i capelli! E nelle sue esibizioni, nelle sue improvvisazioni, si lanciava in passaggi mai osati da alcun altro, senza tuttavia stonare, come se conoscesse ogni nota dentro di sé. E se una sonata per pianoforte da lui improvvisata poteva coinvolgere l'ascoltatore fin nella sua sfera più intima, restava pur sempre una pallida ombra della sua versione per organo.
Quali suoni! Quali accordi, quali registri usava lo stregone – perché davvero, c'era una magia nell'aria quando suonava – quali note suonava sulla tastiera per commuovere persino le pietre degli edifici in cui liberava la sua creatività? Ogni brano acquistava una propria corporeità, come uno spirito che toccasse le anime dei fortunati che ascoltavano. La maestosità solenne che il suono dell'organo possiede come caratteristica, veniva sottolineata; eppure, nella loro solidità, le note erano anche incredibilmente leggere; e con i più arditi dei legati, con la potenza dei fortissimo e la delicatezza dei pianissimo, riusciva a creare – la creazione stessa non è forse, nella Bibbia, frutto del Verbo, della parola, quindi del suono? – ma le sue creazioni sarebbero sembrate frutti della fantasia gotica di un architetto folle, davanti alle quali la Ragione stessa si sarebbe ritratta, scossa dal più profondo dei terrori.
E al termine di un'esibizione – di ogni infuocata esibizione – i suoi capelli avrebbero continuato a sfidare le leggi del mondo fisico, rimanendo sospesi nonostante il loro stesso peso, come se si appoggiassero agli echi della musica che ancora permeavano l'aria.
Allora, quale sarebbe stato il suo aspetto! Gli occhi ancora illuminati dai barlumi della follia, dai barlumi di una conoscenza al di là dell'esperienza umana, che sembravano cercare di trattenere visioni di altri mondi; e i capelli ancora vibranti per la passione infusa nella musica, tesi a formare una nuvola intorno al suo volto, ornato dalla barba corta, in modo da evidenziare i tratti più spigolosi della sua faccia, trasformandola quasi nell'immagine di un morto – se non fosse stato per il colore della pelle, che rendeva noto il vero stato di salute di quell'uomo.

Si dice che tutti abbiano un obiettivo supremo, nella loro esistenza, e forse è vero; ma in tal caso, diventano grandi persone solo coloro che lo compiono, o coloro che giungono alla grandezza anche cercando di raggiungere la loro meta?
Il mio amico era diventato un grande musicista, apprezzato in gran parte d'Europa; ma si sentiva ancora inquieto, lontano dal pensiero che stava cominciando ad ossessionarlo.
«Voglio suonare un Requiem- mi disse una volta -Non un Requiem già composto, no – li ho già suonati e apprezzati – ma il mio Requiem, che sia per solo organo.» Mentre esponeva il suo progetto, il suo sguardo fissava lontano, come se vedesse qualcosa che però poteva vedere solo lui.
«Per solo organo, deve essere! Che abbia la solenne maestosità della Morte stessa, e la triste malinconia della Vita! E dovrò suonarlo nel luogo giusto – non il solito teatro, non il solito salotto! La musica dovrà essere amplificata, vivificata dalla risonanza del luogo, e gli stessi decori che siano lì dovranno ornare il mio capolavoro! Un capolavoro, che sia eterno! Il luogo perfetto sarebbe una chiesa – in esse il suono viene magnificamente trasmesso – e per i decori, che siano come la mia musica, dovrà essere una chiesa gotica. Una cattedrale, deve essere una cattedrale!»
Fino ad allora ero stato in silenzio, ascoltando il suo ispirato monologo. Solo alla fine riuscii a parlare, avanzando la leggera obiezione di come avrebbe fatto a suonare in una cattedrale. Nella sua risposta, non sembrò mostrare dubbi. «Sarà difficile, certo; dovrò chiedere il permesso al cardinale, o chi di dovere – ma non dispererò! È fattibile, e sarà fatto!» In seguito, quando lo rividi, non chiesi più come andassero i suoi sforzi, né lui mi informò; così dimenticai presto la faccenda.

Eppure, dopo qualche anno, finalmente il progetto del mio amico si realizzò: mi invitò, pieno di gioia, ad assistere a quello che definiva “il mio miglior concerto”, nella cattedrale di S – nella città di P – . Sorpreso e contento per il mio amico, promisi di assistere allo spettacolo, che si sarebbe tenuto di lì a una settimana.
Come sempre, la cattedrale mi meravigliava. La magnificenza dei suoi ornamenti, l'arditezza degli archi rampanti, persino la bruttezza delle gargouille avevano un qualcosa di stupefacente; ma soprattutto le dimensioni lasciavano senza parole, annullati dall'immensità del posto. Entrai nella cattedrale guardando in alto, incantato dalla luce che entrava dal rosone e dalle finestre in vetro colorato, mentre seguivo il movimento delle colonne che attirava verso l'alto. Quando abbassai lo sguardo, mi accorsi che si era radunata una gran folla, tanto che le panche in legno erano state girate verso l'organo; e, non appena vidi quest'ultimo, capii perché il mio amico avesse scelto quella cattedrale per suonare.
Meraviglioso, è il primo aggettivo che gli attribuisco. O anche sfarzoso. Le canne dorate risaltavano sulla grigia pietra del santuario, risplendendo grazie alla luce che filtrava dalle vetrate. Erano disposte con le più piccole al centro, lasciando uno spazio vuoto triangolare con la punta verso il basso, che sembrava contrastare con la spinta verso l'alto dell'architettura dell'edificio: tale contrasto le faceva sembrare più alte di quanto non fossero in realtà.
La tastiera era posizionata in modo da nascondere l'organista, ma il legno da cui era composta era lucido come se fosse stata appena costruita – un'ottima manutenzione, senza dubbio. Il marrone cupo del mogano era solcato da mille venature che creavano le figure più bizzarre, attirando lo sguardo e fissandolo nella semplicità di quell'oggetto, che era senza alcuna decorazione; sarebbe potuto sembrare fuori posto in un luogo così ricco di abbellimenti, invece si armonizzava bene nell'insieme della cattedrale.
Infine, il mio amico arrivò, vestito come suo solito, nella sua figura nera, lunga e allampanata; alla sua apparizione scese un silenzio carico di attesa – erano tutti in attesa di sentire quali meraviglie sarebbero state offerte questa volta alle loro orecchie. Mi accorsi a malapena che non aveva con sé gli spartiti, e non vi feci molto caso – in fondo, anch'io ero ansioso di sentire ancora una volta la musica che così spesso mi aveva affascinato.
L'organista si sedette,scomparendo dietro la facciata in mogano della tastiera. Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale immaginai che si preparasse ripassando mentalmente il brano da eseguire; ma niente poteva preparare me – o meglio noi – a quello che stavamo per sentire.

Il primo accordo toccò direttamente i nostri cuori, facendoli vibrare all'unisono, mentre i nostri organismi risuonavano come le corde pizzicate di una chitarra, mossi dalla potenza delle note e di come venivano suonate. Le parole non possono mai descrivere una musica, e nessuna parola potrà descrivere quel brano, quello che fu suonato in quella cattedrale. Davvero, quando lo sentii e ripensai alle parole del mio amico, pensai che avesse soddisfatto in pieno il suo obiettivo. Che musica dunque!
Come aveva detto, risuonava della solenne maestosità della Morte stessa, la rendeva una presenza alle orecchie degli ascoltatori – e a malapena riuscivamo a comprenderla! Pure, non era una presenza spaventosa – per quanto la Ragione vacillasse al pensiero – ma accettata come dato di fatto. E anche, come aveva voluto, aveva la triste malinconia della Vita, non rimpianto per ciò che si lasciava, ma solo leggera malinconia – negli accordi, era tutto negli accordi. Un Requiem doveva essere, un Requiem – un canto per la pace eterna – e in esso si cantavano dunque la Vita e la Morte, l'una abbandonata senza rimorsi, l'altra accolta gloriosamente come vecchia amica. Ma perché dunque spendo ancora parole? Solo l'ascolto può rendere comprensibile l'effetto di un brano musicale – e per quel brano, non ci saranno altri ascolti.

Il Requiem finì, e noi – il pubblico – ci riscuotemmo lentamente dalla contemplazione in cui ci avevano fatto piombare le note. La musica aleggiava ancora nell'aria, e la cattedrale sembrava quasi viva, carica dell'essenza vitale che il concerto aveva evocato. Il mio amico aveva voluto che la sua musica fosse vivificata dall'ambiente, e invece aveva ottenuto l'effetto contrario, rendendo vive le fredde pietre con le sue note.
La folla uscì dalla cattedrale, in silenzio quasi religioso, mentre io mi attardai a contemplare lo splendore dell'edificio, reso più evidente dalla magia che vi aveva avuto luogo. Poi, visto che il mio amico ancora non si mostrava da dietro l'organo, decisi di andare io a congratularmi con lui.
Era seduto immobile di fronte alla tastiera, gli occhi sbarrati e fissi davanti a sé, ma dava l'impressione di non vedere nulla; le braccia abbandonate inerti lungo i fianchi, senza dar segno di movimento; la bocca piegata quasi in un sorriso. Ma l'immobilità, la rigidità erano innaturali per un corpo vivo – così mi avvicinai per sincerarmi che stesse bene – e orrore! Le sue membra, la sua pelle erano fredde come le pietre della cattedrale. La Vita era fuoriuscita dal suo corpo, per non tornare più – persino dai suoi capelli, che erano capaci di muoversi senza vento! essi erano adesso rigidi e fermi, sempre sfidando ogni legge fisica conosciuta – l'organista avrebbe continuato a meravigliare il mondo anche dopo la sua morte.
Guardai la tastiera, e mi accorsi che aveva suonato senza spartito. A memoria, o forse improvvisando? Scartai l'ultima ipotesi – non era possibile improvvisare un simile capolavoro – ma rimasi comunque affascinato e terrorizzato da quello che era successo quel giorno. Aveva voluto comporre un canto di pace – e davvero la pace aveva ricevuto; aveva creato musica con la sua anima – letteralmente; e la sua anima era finita dunque con la musica – aveva, insomma, dato la sua vita per un capolavoro. Mi sentii triste, piansi per la perdita del mio amico, e mi domandai se avesse previsto una simile conclusione alle sue opere; poi, in qualche modo mi consolai, pensando che almeno la sua musica sarebbe rimasta.
Ma nessuno trovò mai i suoi spartiti; sembrava che suonasse tutto a memoria, dopo ore e ore di prove e arrangiamenti; e, una volta composto, non dimenticava mai un pezzo – non un pezzo suo. Chi aveva ascoltato abbastanza spesso altri componimenti provò a ripeterli ad orecchio, e ogni tanto vi riuscì; ma il Requiem, suonato una volta sola, andò perduto per sempre.


Eccomi tornato! Scusate l'assenza, ma è decisamente un periodaccio... esami e impegni vari... aaah e ho pochissimo tempo per scrivere!!! >_<
Rispondendo velocemente ad alcune domande (o osservazioni) che mi hanno colpito nelle ultime recensioni; dunque... sììì esattamente quelle intendevo... le "storie spazzatura"... XD però comunque leggere è sempre esercizio... anche se si leggono scempiaggini =D e inoltre di solito le storie di serie B comunque seguono la grammatica... i personaggi della TV spazzatura a volte no!
Eh, ce n'è voluto di tempo per smettere di usare gli aggettivi possessivi: e comunque ancora a volte non riesco a farne a meno. Del resto, se qualcosa l'ho scritto io perché non dire, giustamente, che è una mia opera? u_u
In ultimo, non ti preoccupare di giudicare! Il giudizio è utile quando permette a chi lo riceve di migliorare o comprendere meglio ciò che fa. Un po' meno quando si tratta solo di generica disapprovazione dovuta alle proprie convinzioni, espressa al solo scopo di ferire l'altro. Dato che questo non è il caso... fai pure XD e se trovi che qualcosa secondo te non funzioni... fammelo sapere senza problemi ^^
Domani esame orale!!! Oggi ho assistito al primo turno, le domande le so... ma un po' di nervosismo c'è sempre! Aiuto! XD
Cordialmente vostro,
Erik =)
   
 
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