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Autore: Tiferet    30/06/2010    2 recensioni
Anno 2030. In Cielo sono pronti all'epocale battaglia contro i demoni.
Una ragazza, moglie di Azrael, l'Angelo della Morte, si innamora di un Arcangelo.
Quella loro relazione, però, non porterà a nulla di buono.
Genere: Romantico, Drammatico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di lasciarvi alla lettura tranquilla del capitolo, volevo scusarmi con voi per questa interminabile attesa. Purtroppo gli esami si fanno sentire tanto e difficilmente riesco ad aggiornare periodicamente, ma state sicuri che aggiorno J Ed ora, buona lettura!

 

Capitolo quinto

 

 

Il giorno nuovo cominciò, e il sole penetrava invadente attraverso le sottili e pallide tende che coprivano le finestre nell’unica stanza  femminile di quella grande villetta nella periferia della città terrena. Israfil si voltò, mentre fu inevitabilmente svegliata. Mugugnò con disapprovazione e si tirò la coperta sulla testa.
Per il resto, nella stanza era tutto come sempre. Il padre che bussava alla porta, si avvicinava al letto della figlia e le accarezzava il corpo amato da sopra le coperte, posava la colazione sul comodino e la scopriva piano, le sorrideva e le baciava la fronte.
- Ti aspetto giù-, le sussurrava piano come ogni volta.
E Israfil, come di consuetudine, allungava la mano verso il bicchiere di latte e lo beveva seduta sul letto, con le coperte che le coprivano le gambe. Scese dal letto, andò in bagno e, canticchiando un motivetto che aveva in testa da quand’era piccola, tolse il pigiama, allontanandolo con i piedi in un angolino. Lasciò le l’acqua della doccia scorresse e si facesse tiepida, e nel frattempo rimirava e pensava a come avrebbe potuto fare quel giorno i capelli. Infine li legò e li alzò, coprendoli con una cuffia, e si infilò nella doccia, che aveva i vetri opachi e semitrasparenti. Una volta che si fu tolta da dosso il sonno, uscì e si avvolse in un soffice e profumato accappatoio, e tornò in camera.
Una volta che si fu vestita con quel bel jeans che adorava e una maglietta a mezze maniche aderente, scese giù per le scale e raggiunse il padre nel salone.
- Ciao, papà. Io vado!- esclamò, senza rendersi conto che, seduto comodamente sulla poltrona di fronte al padre, c’era un uomo sconosciuto, ma bastò uno sguardo in giro per fermare la sua corsa a scuola.
- Buongiorno- disse allo sconosciuto.
Si sentì arrossare. Non era uno sconosciuto qualunque, uno dei pazzi teologi amici del padre, bensì un uomo dall’aura scura, i capelli neri come la notte e lunghi, che gli ricadevano sciolti sul collo. Indossava degli abiti non propriamente adatti a un teologo, ma più a un motociclista sulla ventina che sembrava avere l’aria da bastardo: insomma, il tipico ragazzo piacente. E, a detta di Israfil, lui era particolarmente piacente, soprattutto con quegli occhi scuri come i capelli.
-  Buongiorno a te, Israfil- rispose lui.
Is fu colpita dalla profondità della voce di lui. Sembrava provenisse dall’interno di una caverna profonda. Eppure, le pareva di averla già sentita qualche volta.
- Immagino che non si ricorda affatto di te, Uriele. D’altronde era molto piccola l’ultima volta che vi siete visti-, si intromise il padre.
Uriele. Quel nome non le era affatto sconosciuto, ma non ricordava se l’aveva letto o sentito da qualche parte. Fatto stava, che continuava a non capire.
- Già. Sono il fratello di tua madre- disse lo sconosciuto.
Is battè forte le ciglia. Era da tanto tempo che non sentiva parlare della madre. Era tutto così strano. Il suo passato tornava a bussare alla loro porta. Che strano, il padre gli aveva aperto.
- Quindi…sei mio zio-, concluse scioccamente lei.
Lo sconosciuto, anzi, lo zio annuì col capo. Sembrava stesse per aggiungere qualcosa, ma il silenzio calò invadente tra di loro. Raffaele e Uriele si scambiarono uno sguardo complice.
- Vorrei parlare con te- interruppe il silenzio Uriele, alzandosi. Era particolarmente alto. Is si accorse di arrivargli solo a poco più di metà petto. Il suo cuore fece un salto.
Raffaele guardò il giovane uomo.
- Non credi che non sia ancora il caso? E poi deve andare a scuola- ricordò il padre.
Lo zio si alzò e fece spallucce.
- Forza Is, andiamo a scuola-, rispose risoluto.
La ragazza fu sorpresa che per una volta non avrebbe dovuto prendere l’autobus e ringraziò di cuore lo sconosciuto, che così per lei non doveva essere. Eppure, che cosa strana. Il padre non le aveva mai detto che la madre avesse un fratello ancora in vita, e così giovane e attraente per di più.
Mentre si perdeva in questi e in simili discorsi, prese la cartella e si avvicinò al padre.
- Buona giornata- gli augurò. Questi le sorrise e le baciò le guance.
- Buona giornata anche a te- fece.
Mentre si avvicinava alla porta, Is sentì lo sguardo del padre seguirla ovunque andasse. Non osava, però, alzare lo sguardo dal pavimento. Si sentiva in soggezione, perché oltre a quello del padre percepiva anche quello dello sconosciuto. Era come se entrambi temessero per qualcosa, che dovesse fare qualcosa o le succedesse qualcosa, era come se fossero entrambi inquieti e poco tranquilli.
Decise, per non sentirsi abbattere, di ignorarli completamente e, una volta aperta la porta, si fiondò sul vialetto che attraversava giusto al centro il giardino e raggiunse velocemente il cancelletto.
Non dette che un veloce sguardo al giardino, deliziosamente colorato grazie ai fiori che durante l’anno aveva piantato e in estate erano sbocciati. Purtroppo, con l’arrivo dell’autunno, tutto tornava a seccarsi. Sospirò e uscì fuori.
Uriele subito le fu dietro, e aprì la sua macchina col telecomando. Era una mercedes classe e coupè bianco perla. Restò piacevolmente sorpresa. Chi se l’aspettava che suo zio fosse così benestante da permettersi quell’auto ancora così giovane?
Prese posto sul sedile al fianco del guidatore e abbassò il finestrino. Anche l’aria che entrava aveva un buon odore, per niente somigliante a quella piena di smog che era effettivamente.
Uriele mise in moto e partì. La macchina sotto di sé fece quasi le fusa, partendo piano.
Per un po’ regnò il silenzio, mentre la macchina mangiava l’asfalto con grazia infinita.
- Allora- disse all’improvviso Uriele, forse stanco di quel silenzio, - come va a scuola?-
Is lo guardò, stranita. Aveva uno zio lontano, che rivedeva dopo anni e anni e l’unica cosa che riusciva a dirle era una domanda sulla scuola? Che tipo stravagante, convenne.
- Oh, tutto bene, anche se non tanto in matematica-
Uriele fu quasi divertito e deluso al tempo stesso.
- La maggior parte di voi ragazzi odia la matematica. Invece è proprio quella che insegnerò io a scuola tua. Nella sezione E e nella F- informò la ragazza.
Is sgranò gli occhi. Non ci credeva. Quindi, al posto della vecchia megera avrebbe avuto quell’insegnante?  E per di più suo zio?
Uriele non aspettò che dicesse qualcosa perché continuò quasi subito.
- Preferirei che non si sapesse in giro che siamo parenti. Anzi, preferirei che sembrasse che non ci conosciamo affatto-
Lei annuì. Tutto quello le sembrava strano. Perché mai non si doveva sapere a scuola? Probabilmente perché avrebbero pensato che fosse raccomandata.
La macchina si fermò all’inizio della strada.
- Ti conviene scendere qui-, l’avviso Uriele.
Lei lo guardò interrogativa.
- Altrimenti non si spiega come sei in macchina dato che non ci conosciamo- le ricordò.
- Giusto. Aehm, sì, allora ciao, a più tardi- replicò lei, con l’amaro in bocca.
Raccattò le sue cose e scese dalla macchina. Si infilò lo zaino in spalla e raggiunse a piedi la scuola. Come al solito, arrivò in ritardo.
 
Gli uccellini cantavano felici fuori dall’aula in cui si era  rinchiusa già da qualche ora la ragazza, e, per impedire che la professoressa la chiamasse, si schiacciò con la testa contro il banco, nascondendosi per bene dietro un compagno. Sperava che prima di dire il nome, la professoressa desse una scorsa a chi aveva voglia di essere interrogato. Che cosa primitiva e da bambina era quella! Infatti, se la professoressa avesse guardato negli occhi tutti i ragazzi, li avrebbe scorti del tutto impreparati. Non lei, però, sempre pronta e preparata, perché ci teneva alla sua reputazione. Non le importava se gli altri ragazzi la chiamassero secchiona, l’importante era tenere a distanza debita certa gente, ma le importava dei complimenti che facevano a lei e al padre i professori e chiunque intavolasse una qualche discussione con lei. E sapeva che il padre si sentiva totalmente fiero di lei quando succedeva, e quello era sempre stato il suo obiettivo.
Quel giorno, però, la voglia di essere interrogata era pari a zero, se non di meno. La sua mente era completamente impegnata a pensare a quanto successo quella mattina. Era completamente convinta che qualcosa non quadrasse nello zio. Che strano chiamare uno sconosciuto zio! No, l’avrebbe chiamato Uriele. Non potè fare a meno di pensare che Uriele fosse un nome davvero strano per un uomo, ma d’altronde si chiedeva se già qualche parente si chiamasse così per aver ereditato quello strano nome.
E non poté far altro che continuare a pensare che avesse anche degli strani modi. Lasciarla a piedi alla fine della strada poi era stata una mossa che non avrebbe di certo elogiato. Poteva anche avere tutte le ragioni, ma perché lasciarla a piedi quando il padre era convinto che l’avesse portata fino a scuola indenne? E se in quel frangente le fosse successo qualcosa, come si sarebbe discolpato?
Il suono della campanella la risvegliò dai suoi pensieri.
Si alzò e camminò in giro all’aula per sgranchirsi le gambe, e scambiando giusto qualche parola con i compagni.
Seduto in silenzio, intravide Marco, sempre seduto dietro di lei, ma con lo sguardo perso nel vuoto. Venne un loro amico, e si sedette per parlare con lui. Sorrise, rise, annuì e si alzò, seguendolo.
Is, curiosa, avrebbe voluto sapere cosa stesse passando nella testa del suo migliore amico, tanto più che dopo quella sera non si erano né sentiti né visti. Di solito era lui che, avendo la macchina, passava a prenderla per andare al centro commerciale, o semplicemente giocare con lei a casa sua a qualche gioco da tavolo. Era capitato spesso che si fosse fermato anche a cenare e a guardare un film mentre il padre di lei li lasciava soli giù, fiducioso nella loro amicizia. Quando litigavano, era sempre lei a chiedere scusa, ma stavolta non credeva affatto che doveva fare lei il primo passo.
- Signorina!- disse una voce profonda. Le era stranamente familiare.
Si voltò di scatto, ignorando una domanda fatta dall’amica, e si trovò di fronte, con grande sorpresa, Uriele. Stava per controbattere che poteva chiamarla anche Israfil, ma qualcosa la bloccò. Forse è stato proprio il ricordo, non proprio piacevole, di qualche ora prima a bloccarla.
Annuì e senza aggiungere altro si andò a sedere al proprio posto.
Osservò come Uriele si destreggiasse tra i banchi, come se quella fosse la vocazione di sempre. D’un tratto, sotto i capelli lunghi, vide una cicatrice. Era ormai cicatrizzata da tempo, però pareva che di tanto in tanto si infuocasse, come se divenisse improvvisamente rossa. Non ricordava se l’avesse vista prima, ma sentì una strana forza richiamarla. Seguì con i battiti del cuore accelerato a mille una voce che dentro di lei le imponeva di restare seduta e fingere che niente fosse successo, eppure il ciondolo in fondo alla sua collanina, quel pesce che le aveva regalato il padre, pareva vibrasse, come a contatto con qualcosa. Era una specie di richiamo che, come sempre, non avrebbe dovuto seguire.
Qualcuno la scosse per la spalla.
Si voltò di scatto, trattenendo rumorosamente il respiro, e i suoi occhi incontrarono quelli di Marco, che la guardavano interrogativi.
Il contatto che si era creato tra tutta se stessa e quella strana cicatrice si dissolse all’istante e la mente ora fu sgombra da quelle voci che sentiva nella testa. Ora ascoltava solo tante domande. Che cosa era successo? Che cosa le stava accadendo in quei giorni? Ma soprattutto, quand’è che Marco era tornato in classe?
- Tutto a posto?- sussurrò, per non essere sentito dal professore, che intanto era voltato di schiena e stava riempiendo la lavagna di strani graffiti che per tutti sarebbero dovute essere incognite e formule già conosciute.
Lo sguardo di Marco era preoccupato, e lei fu sollevata. Allora non era finita la loro amicizia. Non sapeva perché ma era sicura di quello che pensava.
Gli sorrise, felice di nuovo di riavere il suo migliore amico al suo fianco. E scosse la testa.
- No, va tutto bene- rispose.
Non finì, però, la frase che Uriele si voltò ed esclamò:
- Voi due, là in fondo!-
Si voltarono verso il professore. Is arrossì violentemente. Era la prima volta che la rimproveravano in classe, e un duro colpo al suo orgoglio.
- Smettetela di chiacchierare e seguite la lezione!- ordinò ai due, per poi tornare a spiegare tutto.
Is lo guardò male. Quando sarebbe tornata a casa l’avrebbe rimproverato ben bene lei. Ma come si permetteva? Gonfiò la faccia e assottigliò lo sguardo. Da fuori poteva sembrare buffa, infatti la compagna di banco riuscì a stento a trattenere le risate. Strinse forte i pugni, fino a far entrare le unghie nei palmi delle mani.
In mente ormai c’era un solo obiettivo.
Vendetta.
 
   
 
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