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Autore: eleanor89    30/06/2010    21 recensioni
Questa storia racconta dei Malandrini e di tutte le persone venute a contatto con loro a Hogwarts e negli anni successivi; tanti pezzi di vita che possono avere un significato importante nelle loro esistenze o essere episodi di normale quotidianità.
Avanti e indietro nel tempo, momenti di gioia e di dolore: ecco a voi una lunatica e pessimista Lily Evans, Un Frank Longbottom calmo e che non si lascia influenzare dai suoi pazzi amici, una Alice sportiva e dura, una Mary McDonald civettuola e allegra, e naturalmente Severus Snape, Regulus Black, i Lovegood, tutto l'Ordine della Fenice, compresi i magnifici Prewett, la spaventosa Dorcas, e tanti altri ancora.
Ultimo capitolo: Come Alice soprannominò James "Capitano": "James individua Alice da sola il giorno dopo Natale e pensa che avrebbe preferito non aver stampato sulla fronte il segno di una delle pantofole pelose di Remus, che Sirius gli ha lanciato quando ha ripreso a cantare. Le pantofole sono state trasfigurate da lui – ed è abbastanza sicuro che Remus le preferisca così – ed è ingiusto che siano state usate per tentare di stroncare la sua futura carriera."
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '70's students.' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Il Natale di Remus [ dicembre-febbraio 7° anno ]








Tutte le rarissime volte in cui Remus aveva litigato coi Malandrini gli era capitato qualcosa di particolarmente brutto. Non accadeva facilmente che si tenessero il muso o che addirittura il ragazzo alzasse la voce, ma se le due cose si combinavano, poco ma sicuro sarebbe finito al San Mungo o qualcosa di simile.
Tutti lo sapevano e tutti avevano assistito con impotenza al loro litigio a dicembre del settimo anno, quando un Remus già stressato li aveva ripresi perché non si impegnavano abbastanza per essere giunti così vicini ai M.A.G.O. e James aveva replicato stizzito che il Caposcuola era lui, provocando un particolare effetto a catena per cui dopo una settimana avevano litigato per dei calzini e non si rivolgevano più la parola. Sirius aveva provato a far da pacere la bellezza di tre secondi, finché Remus, con la luna piena vicina a renderlo più esasperante ed esasperato del solito, gli aveva detto di non perdere tempo con loro e lui l'aveva preso come un attacco personale. Peter si era aggregato agli altri due, pur tenendo a sottolineare che non parteggiava per nessuno.
Curiosamente Lily Evans non era intervenuta a calmare gli animi, presumibilmente ancora arrabbiata col mondo per l'ingiustizia che aveva dato a James la sua immeritata spilla e incapace di comunicare con la sua nemesi per questo. Frank rideva, facendo notare come avesse preso i turni peggiori per non capitare con lui nelle ronde.
James ne rideva molto meno, finendo col rabbuiarsi maggiormente.
Ad ogni modo tutti sapevano che un litigio coi Malandrini portava sfortuna a Remus Lupin. Nessuno però, neppure con le strane sparizioni e gli omicidi di babbani di quell'epoca buia, sospettava che quell'anno sarebbe stato così sfortunato.


«Se cambi idea e vuoi passare a trovarci, Wormtail, casa nostra è sempre aperta per te.» stava dicendo James, ben attento a non guardare Remus, che scendeva dal treno in compagnia di Frank.
«Vedrò... i miei ci tengono a passare il Natale con me quest'anno. Dove pensano che sarò al prossimo, proprio non lo so...» asserì sconsolatamente Peter, e Sirius ridacchiò dandogli una dolorosa pacca sulla spalla. Era tornato di buon umore, come ogni volta in cui James lo includeva in discorsi simili.
«Evans, anche tu, puoi venire a casa mia quando vuoi!» aggiunse James, evitando per una volta di attirare l'attenzione di tutti con le solite urla e parlando con voce più misurata, mentre si metteva in disordine i capelli.
Lei evitò di rispondergli, scoccandogli un'occhiata scettica. Alice, dietro di lei, lo salutò sollevando una mano e scuotendo la testa.
«E anche questa è fatta.» commentò il ragazzo, ricambiando il saluto e sorridendo tirato. «Se non altro non mi manda più al diavolo. Dove sono i miei?»
Peter ne approfittò per fare un cenno di saluto a Remus senza che gli altri lo vedessero e l'altro fece lo stesso, per poi voltarsi verso Frank.
«Ci vediamo, Frank. Buon Natale.»
«Anche a te.» rispose l'altro con sincero affetto e un'occhiata incoraggiante. «Se vuoi passare a trovarmi mi farà soltanto piacere, ricordalo.»
Remus era abbastanza convinto che la luna piena ormai vicinissima avrebbe potuto modificare quella certezza nell'amico, ma restò in silenzio. Attese di riconoscere la sagoma dei genitori e quando individuò suo padre gli corse incontro.
John Lupin era un padre molto cauto, quasi distante. Nonostante tutti i tentativi del figlio, non era mai riuscito a smettere di sentirsi in colpa per aver contribuito a renderlo un licantropo facendo uno sgarbo a Fenrir Greyback. Tutt'ora cercava il malvagio lupo mannaro, per impedirgli di mordere altri bambini e soprattutto per vendicarsi. Il suo dolore sembrava essersi leggermente acquietato soltanto per un breve periodo del primo anno, quando Remus aveva comunicato loro di essere stato scoperto e accettato dai suoi amici, e aveva cominciato a languire per davvero al quinto, quando a sua insaputa il figlio poteva correre dietro alla luna in compagnia di tre animagi senza più ferirsi. Vedere Remus così felice e soprattutto senza nuove cicatrici era stato come ricominciare a vivere per lui.
Sua moglie invece era rimasta la stessa, forse solo più premurosa e ansiosa nei confronti del loro bambino, ma comunque presente, dolce e serena come era sempre stata. Appariva naturale sia che si parlasse di licantropia che di magia, ed era sconcertante che lei fosse una babbana, così aperta.
O forse proprio in virtù della sua ignoranza aveva accettato tutto senza i pregiudizi del loro mondo.
Remus si era attaccato a lei per poter riversare l'affetto che il padre non dimostrava di volere e, anche se i sette anni ad Hogwarts li aveva allontanati com'era normale che fosse, era lei che cercava ora con lo sguardo, mentre ancora salutava l'uomo.
«Tua madre stava poco bene, influenza credo. Andiamo.» spiegò John, brusco. «I tuoi amici?»
Remus si incupì.
«Loro non...» cominciò, per poi scuotere la testa, «Abbiamo litigato. Per la scuola e lo studio e cose così.» specificò, perché il padre non fraintendesse dando la colpa alla sua condizione.
«Me lo racconti in macchina.»
Forse appariva freddo, ma non mancava mai di ascoltare tutto ciò che aveva da dire. E Remus, per la prima volta dopo due settimane, si sentì bene.


Quando arrivò a casa sua madre lo abbracciò tanto forte da togliergli il respiro, scompigliandogli i capelli chiari raccolti in un codino basso.
«Bentornato! Come stai? Ti vedo pallido, tesoro...»
«È la luna, mamma.» si giustificò il ragazzo, notando il padre irrigidirsi per qualche momento.
«Entrate, non state a parlarne fuori.» disse l'uomo. «Tu sei anche malata.»
«Questo non ti impedisce di lasciarmi sola, mi pare.» ribatté freddamente la donna.
«Sandra.» l'ammonì il marito.
«Mamma?» domandò Remus, perplesso.
«Oh, niente di che, tesoro. Tuo padre va a fare affari domani mattina e poi al lavoro e ci molla qui, anche se è la settimana di Natale.» spiegò la donna, in tono di rimprovero.
«Affari?» ripeté, senza capire.
«Non pensarci ora, vai a disfare la valigia. Ti ho preso qualcosina...»
Remus sorrise istintivamente e corse in camera propria. Come immaginava trovò poggiato sul letto un cesto pieno di cioccolato, decorato con una ghirlanda natalizia.
«Grazie, mamma!» gridò, rivolto alla porta spalancata, prima di gettarsi di pancia tra le coperte e afferrarne una tavoletta.
La luna piena era abbastanza vicina perché i suoi sensi fossero acuiti e percepì subito una nota grave nella voce della madre quando qualche minuto dopo i genitori cominciarono a discutere. Parlavano a bassa voce e Remus fu ben attento a non farsi sentire mentre si spostava a origliare accanto alla porta, mantenendo un libro in mano come scusa per essere in piedi lì accanto, a qualche passo dalla libreria.
«... licantropi, John. Se scoprono che stai mettendo ancora il naso nei loro affari, quel mostro potrebbe decidere di fartela pagare un'altra volta. Chi dovrà rimetterci ora?»
Remus fissò il pomello della porta, agghiacciato.
«È proprio per questo! Qualcuno deve fargli pagare tutto il male che ha fatto! Se domani troverò il contatto giusto scoprirò esattamente dove si trova e cosa sta facendo ora, potrò dare queste informazioni a qualcuno in grado di fare qualcosa!»
«Ci sono gli Auror per queste cose! Il ministero!»
«A nessuno importa dei lupi mannari, che siano vittime o bastardi come quello. Dobbiamo pensarci noi che ne abbiamo interesse. E non fare più commenti davanti a Remus, quel ragazzo farebbe di sicuro qualche sciocchezza. Uscirò domattina all'alba, vedi di coprirmi decentemente.»
Remus si allontanò lentamente dalla porta, gettando il cioccolato rimasto nel cestino.
Ora aveva troppa nausea per mangiarne ancora.
Desiderò soltanto che gli altri Malandrini fossero lì, per pianificare con loro un piano perfetto. Lui poteva essere bravo nel prevedere le complicazioni, ma ci voleva il genio maligno di James e Sirius per evitarle e la naturale predisposizione di Peter a fregarsene di chiunque per raggiungere i propri scopi per non sentirsi troppo in colpa e abbandonare la missione.
Purtroppo non li aveva e non poteva chiamarli, poteva soltanto crogiolarsi nel ricordo delle ultime malefatte. Grazie a loro era avvezzo a infrangere le regole e si ripromise di ringraziarli una volta fatto pace.
Era abbastanza abituato a fingere da non destare sospetti nei suoi, mentre per tutta la sera si dilungò nel raccontare i particolari di quei tre mesi a scuola, come l'aver cominciato a considerare tra i suoi migliori amici Lily Evans, il modo in cui Sirius prendeva in giro James per la sua carica, il modo in cui James sembrava non aver ancora deciso come comportarsi a tal proposito, le ultime malefatte degli Slytherin, quella che per lui era l'ormai palese cotta di Frank per Alice, ma che nessuno sembrava aver notato e naturalmente il futile litigio nato dall'accusa di James di essere geloso di lui, del tutto infondata e nata probabilmente dai suoi stessi strani sensi di colpa in merito e anche dal proprio isterismo per gli esami.
«Ma dai, come andranno andranno, non stare a crucciarti...» lo riprese la madre ridendo, alla fine del suo racconto. Lui spalancò gli occhi.
«Ma ti sembra un ragionamento da fare?» sbottò, sconcertato.
«Tanto so che sei abbastanza responsabile da solo.» replicò saggiamente la donna, «E poi ci sono cose più importanti dello studio, come la salute... e il mantenere gli amici che si sono sempre dimostrati fedeli. Mi piacciono. Soprattutto quel James, ha degli occhi...»
John si schiarì la gola e lei scoppiò a ridere. Remus stava decidendo se affondare o meno la testa nello sfornato.
«Non in quel senso! Intendo dire che quando ti guarda lo fa schiettamente e si vede che è un gran bravo ragazzo, dopotutto ti adora, Rem. Tutti e tre ti guardano come se fossi un tesoro da proteggere tutte le volte che ti veniamo a prendere alla stazione o ti ci portiamo.»
Ora il figlio la guardava incredulo e lusingato. Per l'imbarazzo si atteggiò comunque a ritroso.
«Di che parli?»
«Del modo in cui ti si mettono intorno come un branco quando ti affidiamo a loro. Le volte in cui stavi male per colpa della luna piena e quasi non ti reggevi ho sempre pensato che quel Black ti avrebbe anticipato finendo in infermeria per la preoccupazione. Bel tipo, anche quello. Si comporta tutto da aristocratico ben educato con noi, ma quando pensa che nessuno lo guardi fa comunella con James all'istante. E tutte le volte che siamo arrivati prima dei loro genitori e ti abbiamo prelevato dal gruppetto di angeli custodi per portarti a casa, a giudicare dalle loro faccette afflitte sembrava fosse un addio per l'eternità.»
«Ma tu perché guardi tanto i ragazzini, si può sapere?» la rimbeccò il marito, in qualche modo visibilmente soddisfatto dalle constatazioni della donna.
«Bella domanda. Forse mi piacciono gli occhi grigi di Sirius.» lo stuzzicò lei, ridendo ancora. «O quei bei capelli sconvolti di James, o le guanciotte di Peter.»
«Signore, falla smettere...» rantolò Remus.
«In effetti gli occhi di Sirius sono più che abbastanza senza chiamare in causa gli altri.» concordò Sandra.
«Voglio il divorzio.» concluse John.


Tutto quel buonumore e quello scherzare resero ancora più penosa l'attesa notturna di Remus, che più di tutto avrebbe voluto godersi la prima notte a casa, lasciandosi cullare verso il sonno dalle parole rassicuranti della madre. Invece dovette attendere l'alba e i primi leggerissimi rumori per poter seguire il padre, mantenendosi ben a distanza e affidandosi all'udito. Fu fortunato a non doversi allontanare molto, meno al non poter trovare un nascondiglio sicuro nelle vicinanze del padre, che si era fermato vicino al cancello che portava al paese.
La casa dei Lupin era situata in collina, abbastanza lontana perché nessuno sentisse le grida del lupo bloccato nel seminterrato e abbastanza vicina perché i beni di prima necessità fossero a portata di mano. Se suo padre si era fermato in un luogo così conosciuto, l'informatore non poteva essere così pericoloso. Però poteva diventarlo se avesse scoperto Remus, che si era appena reso conto di essere riuscito a beccarsi il raffreddore grazie alla vicinanza con la madre e di non poter quindi contare sull'olfatto per individuare l'estraneo in arrivo.
Attese un'ora intera, sentendo il gelo pervadergli le ossa e maledicendo se stesso e il padre per la loro avventatezza. Sapeva benissimo che sua madre si sarebbe alzata di lì a poco, lo avrebbe scoperto e sarebbe stato un disastro.
Stava decidendo se tornare indietro o meno quando una voce familiare lo fece sobbalzare.
Un amico di famiglia di vecchia data, vestito con una tuta sgualcita e con una vanga in mano, stava salutando suo padre che sembrava sinceramente stupito di vederlo.
Remus, sollevato, lo ascoltò convincerlo ad andare a bere qualcosa prima di mettersi al lavoro e capì che alla fine l'estraneo non si era presentato e non l'avrebbe fatto, non davanti al paese che cominciava a mettersi in moto.
Battendo i denti per il freddo e sfregando le mani, cominciò a tornare verso casa, sperando di riuscire ad anticipare anche la madre. Pensò al fuoco che avrebbe acceso, per poi preparare la colazione a tutti, e il gelo sembrò farsi meno insopportabile.
Quando arrivò e trovò la porta di casa socchiusa, ebbe un tuffo al cuore. Sua madre l'aveva beccato in pieno e di sicuro lo aveva anche cercato intorno alla casa.
Avvicinandosi cautamente all'entrata trovò con sorpresa un biglietto vergato in una grafia che lo rendeva quasi irriconoscibile.
Se mi cerchi, mi trovi.
Sua madre era così arrabbiata da non riuscire a scrivere, si disse preoccupato. Però perlomeno non aveva lasciato una minaccia. Poteva specificare il dove l'avrebbe trovata, ma non si poteva aver tutto dalla vita. Doveva aspettarsi un'imboscata in ogni camera.
«Mamma, sono tornato!» avvisò, arrendendosi al fato. Si affacciò in soggiorno ma non trovò nessuno.
«Mamma, dove ti trovo esattamente?» domandò al silenzio, addentrandosi in casa e andando verso la propria camera. Controllò che non si fosse appostata dietro il muro e proseguì verso camera dei genitori, rallentando il passo.
«Posso spiegare.» cominciò, mettendo le mani avanti e affacciandosi lentamente. Notò le gambe della madre, che evidentemente lo aspettava seduta a letto con la schiena poggiata alla testata e le braccia incrociate, e deglutì. La stanza era troppo buia per vederne il viso e quindi l'espressione. «Mamma?» sussurrò, «Ti sei riaddormentata?»
La risposta non arrivò e si decise ad accendere la luce.
Gli occhi della madre lo fissarono.
«Mamma, scu...» si interruppe, perché avendo abbassato lo sguardo aveva notato anche la macchia rossa a terra. «Mamma, cosa...?» riprese, avanzando senza capire. La macchia arrivava dal letto, da dietro sua madre.
Che lo fissava, immobile.
Senza vederlo.
«Mamma?» chiamò con un filo di voce, riuscendo a cogliere attraverso il naso raffreddato il sentore di sangue che non aveva voluto riconoscere fino a poco prima. La raggiunse, sentendo il rumore delle scarpe che calpestavano il pavimento bagnato, e poggiò una mano sul suo collo, consapevole di quanto fosse inutile, per ascoltarne le pulsazioni. Come prevedeva non ce n'erano e la testa della donna si reclinò di scatto in avanti, mostrando i capelli biondi macchiati di rosso sulla nuca e una traccia di sangue sulla spalliera che di sicuro continuava oltre la sua schiena sino a terra.
«Mamma


Non era sicuro di che ore fossero, sapeva soltanto che ora il sole era alto in cielo quando riprese pian piano coscienza di sé. Era sdraiato accanto alla madre, che era rimasta nella stessa posizione, e teneva un braccio sulla sua vita per scaldarla.
Aveva dimenticato la porta di ingresso aperta e ora in casa si gelava.
Gli sovvenne che avrebbe dovuto chiamare qualcuno, ma non sapeva chi. Era certo solo che non fosse suo padre, lui era una delle cause di quello che era successo, di quella cosa che ancora non riusciva a concepire.
Alla fine si alzò, lasciandosi scivolare a terra dall'altra sponda del letto, e poi fece un giro a vuoto per casa, fermandosi a fissare un quadro senza vederlo. Poi di dover prendere il telefono e digitò l'unico numero che conosceva a memoria.


«Mamma, il feletono!» gridò James, schizzandovi accanto senza degnarlo di uno sguardo, rincorso da Sirius che voleva rubargli il panino imbottito. I due salirono le scale ignorando la prevedibile correzione della madre “telefono!” dato che avevano scelto di ribattezzare l'apparecchio a quel modo, e si buttarono contro uno dei letti lottando come animali.
Fu Charlus Potter a rispondere, convinto che si trattasse di un suo amico nato-babbano che voleva parlare dell'ultima partita di Quidditch.
«Pronto, Richard?»
Vi fu una lieve esitazione dall'altra parte.
«Signor Potter?» tentò con voce meccanica Remus.
«Sì, chi è?» domandò l'uomo stupito, escludendo velocemente Peter per via della voce troppo grave e restando con una possibilità visto che non era quella di un adulto, «Remus?»
«Sì. Io... Lei deve venire.»
«Venire dove?» domandò, sorpreso. Sua moglie Dorea lo stava guardando con la fronte corrugata.
«Qui.» ci fu una breve pausa, in cui Remus evidentemente raccoglieva le idee. «A casa mia.»
«Oh.» replicò lui, non trovando cosa rispondere.
«Fenrir Greyback è stato qui.» affermò il ragazzo con voce piatta.
Charlus fece quasi cadere la cornetta.
«Cosa? Stai bene? State bene?» si corresse velocemente.
«No.» rispose Remus, chiudendo bruscamente la chiamata.
«Charlus?» esalò Dorea, vedendolo pallido. «È successo qualcosa a Remus?»
«Fenrir Greyback ha fatto una visita a casa loro e devo andare a vedere. Remus mi ha chiamato quindi non dovrebbe essere ferito. Mi smaterializzo, e se non torno entro dieci minuti a dirti che va tutto bene, chiama aiuto. Anche se ti dovessi avvertire dal camino non fidarti, potrebbe esserci qualcuno a costringermi, chiaro?»
La donna si portò le mani alla bocca.
«No.» gemette, mentre il marito correva fuori, per uscire dalla barriera che impediva loro di smaterializzarsi. Senza sapere cosa fare, incapace di restare con le mani in mano, Dorea afferrò un panno che altro non era che una maglietta di James, e cominciò a spolverare per casa, ripetendosi che andava tutto bene.
James e Sirius, ignari al piano di sopra, stavano in panciolle e masticavano in silenzio il panino che avevano diviso.
«Chissà chi era al feletono... non lo usano in molti.» considerò il Black dopo un minuto.
«Ingegnosi però, i babbani.» commentò l'altro.
«Sì, ma... Magari era la Evans.» disse improvvisamente il Black.
James scattò a sedere, con gli occhi spalancati: «Dici?»
«Ma no, idiota!» lo riprese Sirius, scoppiando a ridere. James, indignato, gli lanciò un cuscino che lui afferrò prontamente. «E poi non sono in molti ad avere il numero, lo usano solo i babbani e i nati-babbani, è più facile parlare dal camino.»
«A proposito di babbani, hai sentito che è sparita la cugina del cognato di Randall?»
Sirius si portò una mano al viso, gettando indietro il ciuffo che gli ricadeva sugli occhi.
«Pure. Io ho sentito che i Prewett sono finiti all'ospedale entrambi. E sono purosangue.»
«Sì, ma traditori del loro sangue.» cantilenò James, disgustato. «Quante cazzate.»
«Se ci pensi lo siamo anche noi che non ci uniamo alle stronzate sul sangue puro. Siamo tutti in pericolo.» constatò Sirius, insolitamente preoccupato. «Specialmente voi che ospitate uno come me.»
«Ma finiscila! Saremmo in pericolo lo stesso, lo hai detto anche tu! E che ci provino a venire qui!» esclamò James, con sicurezza. «Tanto figurati se ci calcolano, per loro siamo mocciosi a scuola. Che palle, non vedo l'ora di essere Auror e andare a fare l'eroe per mestiere. Ci sto benissimo nei panni di quello che si sacrifica.»
«Chi, tu?» rise Sirius, sguaiato. «Vallo a dire alla Evans!»
«Questo è un colpo basso.» notò James, con un mezzo sorriso, lieto di averlo distratto, «E comunque lo dirà anche lei, e ci sposeremo e avremo taaaanti bambini a cui baderete tu e gli altri, e io mi godrò la vita con lei fino alla vecchiaia. Ci ritroveremo in una qualche veranda a giocare a scacchi, tutti vecchi e grigi tranne te, preciso identico al Sirius ventenne. Tu sarai come di plastica, un monumento ai Malandrini.»
Sirius quasi soffocò.
«Certo, hai giustamente scelto il bello, tra il quattrocchi, il depresso e quello che vive per mangiare.» riuscì a dire infine, e James fece per ribattere, «Concordo sul fatto che non invecchierò mai. Sono troppo fantastico anche per il tempo.»
«Senti, ogni tanto, vai a cagare, Padfoot. Io sarò il quattrocchi, ma tu sei la donna che passa tre ore in bagno.»
«Ah, io? Chi ha passato tutta la mattina a sistemarsi i capelli e profumarsi perché era in coppia con la Evans a pozioni, ragazzina?»
Li interruppe il rumore di qualcosa che si infrangeva al piano di sotto e si immobilizzarono entrambi. James scosse la testa, sorridendo come per sdrammatizzare. Era ridicolo visto che non c'era nulla di cui preoccuparsi.
«Ehi, mamma, che hai rotto stavolta?» strillò. Sua madre sapeva essere davvero maldestra quando ci si metteva.
Non giunse alcuna risposta e per via dei discorsi di poco prima, nonostante mantenesse un'aria noncurante, James afferrò la bacchetta sotto lo sguardo inorridito di Sirius.
«Tutto bene? Ma'?» James chiese ancora, guardingo. Quando non arrivò altro che silenzio si scambiarono uno sguardo insieme determinato e atterrito, e anche l'altro prese la bacchetta mentre James faceva strada.
Sentirono la porta di casa aprirsi e dalle scale poterono notare la testa spettinata di Charlus sfrecciare verso il soggiorno. James fece un passo indietro, chiudendo gli occhi, e sentì una mano di Sirius afferrargli il braccio con forza.
«Che infarto.» sussurrò, liberandosi dalla presa e correndo giù per le scale. «Perché mamma non rispond-» James si bloccò, il fiato mozzo, vendendo la madre coprirsi il viso con le mani e sentendola singhiozzare. Sirius quasi lo buttò giù dalle scale, precipitandosi da basso. «Signora Dorea...» tentò anche lui, atterrito.
«Moony.» disse invece James, di getto, riconoscendo la sagoma ammantata nel giaccone di suo padre che si stava avvicinando quasi strisciando raso al muro.
Remus non si voltò, guardando un punto imprecisato tra Sirius e la signora Potter, che si asciugò le lacrime e corse ad abbracciarlo.
«Sei ferito anche tu?» la donna gli domandò fiocamente, scostando il giaccone e scoprendo i vestiti imbrattati di sangue. Sirius e James trasalirono rumorosamente, mentre Remus si impegnava per riuscire a scuotere la testa e negare.
«È suo. Lei era fredda.» rispose incoerente, cercando di alzare lo sguardo verso la donna e fermandosi all'altezza della sua spalla. «Sono rimasto perché ho lasciato la porta aperta e non volevo lasciarla sola, non volevo che si raffreddasse di più.» spiegò, col tono di voce assente e soprattutto sorpreso come se stesse iniziando a comprendere ciò che era accaduto solo in quel momento. Dorea singhiozzò, accarezzandogli i capelli. Charlus sembrava disperato.
«Chi, cosa? Di che sta parlando?» si agitò James, che aveva gli occhi lucidi ed era più confuso che mai. Sirius pregò di aver capito male.
«Mia madre. Era fredda. Non volevo lasciarla sola.» ripeté Remus, col medesimo tono assente. Sirius imprecò a mezza voce. James, senza parole, fece l'unica cosa che reputò valida e gli si buttò addosso di slancio, facendolo quasi cadere mentre lo abbracciava.
«Non sono riuscito a farmi dire dove fosse il padre, se in casa o fuori. Credo che Remus sia rientrato questa mattina presto a l'abbia trovata... così. Di John non c'era traccia.» spiegò Charlus alla moglie.
Fu Sirius a prendere in mano la situazione, separando i due amici e ponendosi di fronte a Remus.
«È sotto shock.» intervenne Dorea, inquieta.
«Lo so. Remus... Ehi, Remus.» chiamò, scrollando con delicatezza le spalle dell'amico, che mai gli erano parse così fragili, «Tuo padre... l'hai visto?» lo interrogò Sirius, poggiandogli le mani sul viso per obbligarlo a guardarlo. Accanto a lui James tentava di fermare le lacrime.
Remus si morse le labbra, restando in silenzio.
«Io torno a vedere se è nei dintorni.» proclamò Charlus.
«No! I lupi mannari!» gridò la moglie, e questo parve riscuotere anche Remus.
«Cosa c'entrano?» domandò James, deglutendo a vuoto.
«È stato Greyback.» sputò fuori il padre con odio, senza notare il modo in cui i due parvero barcollare come colpiti, «Dorea, devo solo dare un'occhiata. Tu intanto chiama-»
«Mio padre è via. Al paese.» ringhiò Remus, interrompendolo. «A lavorare. A fare affari.» aggiunse, con più astio nella voce di quanto non ne avesse messo l'uomo per parlare di Greyback.
«Se è così andrò direttamente lì, bisogna avvisarlo. Non può tornare a casa e trovare il corpo così.» ribatté Charlus con voce tremante.
Remus sobbalzò alle sue parole, spalancando maggiormente gli occhi.
«Perdonami!» si affrettò a dire l'uomo, «Mi dispiace tantissimo, Remus... Dorea, prendigli qualcosa per i nervi, ne avrà bisogno!» aggiunse poi, «Io vado, non c'è tempo.»
«Papà, stai attento!» si raccomandò James, visibilmente spaventato.
«Tu ora pensa a Remus, Jamie. Sarò qui prestissimo.» promise lui, con un sorriso nervoso e una pacca veloce sulla spalla del figlio.
«Ti preparo subito qualcosa, Remus.» disse invece Dorea, dopo aver dato un ultimo abbraccio al ragazzo, che era rimasto imbambolato.
«Vieni, sediamoci.» lo invitò Sirius, con una voce nasale che comunicò a James quanto fosse vicino a piangere anche lui. Lo trascinò fino al divano, dove si sedettero entrambi mentre James si accomodava sul bracciolo incapace di parlargli.
«Io... non ci sono parole.» mormorò il Black, poggiandogli un braccio intorno alle spalle.
«Dovrei chiamare Peter.» dichiarò James, con voce troppo alta. «Anche altri, non lo so. Vuoi che chiami qualcuno?»
Remus fece lentamente un segno di diniego, poi guardò James. «Peter va bene. Anche Frank, era così preoccupato ieri...» considerò perso, spostando lo sguardo sul pavimento, gli occhi ancora spalancati.
La mano di Sirius gli strinse la spalla.
«Li chiamo all'istante!» annunciò l'altro, schizzando al camino.
«Remus, cosa posso...» cominciò lui, con voce soffocata. Non riuscì a continuare.
Il ragazzo ci mise qualche secondo a rispondere: «Cosa puoi, cosa?»
«Fare, dire, non lo so.»
«Niente.» rispose semplicemente. Ancora guardava il pavimento.
La voce di James giunse fino a loro, le parole erano dette troppo velocemente per essere comprensibili a quella distanza, cosa di cui Sirius fu grato: Charlus non aveva un gran tatto, soprattutto sconvolto per la fine di una famiglia così vicina, e il figlio aveva ereditato la medesima incapacità di gestire le proprie parole quando nervoso.
Sirius provò a evocare il viso della madre di Remus, dall'espressione dolce e i lineamenti delicati che aveva donato al figlio, gli occhi castani e dei capelli biondo chiaro mossi che le incorniciavano il viso. Sorrideva sempre, eppure, quando al primo anno il ragazzo mentiva sulla propria condizione adducendo come scusa per le sue sparizioni mensili una malattia della madre, non avevano esitato a crederci vedendola così pallida ed esile.
Ma guardava sempre tutti con orgoglio, senza mai abbassare la testa, neppure davanti agli sguardi disgustati della famiglia Black, quando tutti i nobili purosangue lo aveva scortato fino al treno per assicurarsi che non fosse troppo in confidenza con babbanofili; anzi, la madre di Remus sembrava parecchio divertita dalla sfida silenziosa di quella di Sirius, e il suo sorriso era cambiato diventando lo stesso che Remus sfoggiava nei rari momenti in cui la sua anima Malandrina emergeva, mentre salutava anche gli amici del figlio con palese affetto.
Gli aveva fatto l'occhiolino, e a quel ricordo gli bruciarono gli occhi. Com'era possibile che quella donna così tenera ma anche capace di gesti tanto arditi di fronte a una come Walburga Black, ci mancava soltanto che gli baciasse una guancia, maledizione!, ora non avrebbe più fatto l'occhiolino a nessuno?
«Pete arriva subito, chiama anche gli altri. Ha detto che ci pensa lui ad avvertire chiunque ti conosca.» avvisò James, tornando da loro. Sembrava essersi leggermente calmato dato che il viso non era più paonazzo.
Remus guardò improvvisamente prima l'uno e poi l'altro, come ancora non aveva fatto da quando era arrivato.
«Ma voi...» chiese innocente, «non eravate arrabbiati con me?»
Sirius riuscì a malapena a deglutire il groppo che gli si era formato in gola prima che James franasse addosso a entrambi, stavolta scoppiando realmente in lacrime e affondando il viso contro una spalla di Remus.«Mi dispiace!»
«Va tutto bene.» lo rassicurò automaticamente il licantropo, dandogli una leggera pacca sulla schiena. Anche gli occhi di Sirius si riempirono di lacrime.
«No, che non va tutto bene.» ribatté, pieno di sconforto, poggiando la testa contro la sua spalla libera senza forze.
Remus notò che la propria mano era sporca di sangue, poiché aveva macchiato anche la manica di James. La fissò ipnotizzato, poi spostò lo sguardo dall'uno all'altro, e in qualche modo la bolla che gli aveva ottenebrato il cervello esplose.
Si rese conto che sua madre era morta, ammazzata, e non sarebbe tornata mai più. Per mano della stessa persona che lo aveva reso un lupo mannaro e che aveva vergato quel biglietto di sfida appeso alla porta, rivolto probabilmente a suo padre. Si rese conto che suo padre ancora non sapeva che la donna che amava era morta, anche stavolta una tragedia a causa sua, e che lui, Remus, rischiava di vederli morti entrambi perché il prossimo sarebbe stato lui. Si rese conto che quel sangue sulla manica sarebbe stato lavato dalla madre di James, mentre la sua di madre non avrebbe lavato più nulla e non gli avrebbe neanche più raccontato alcun particolare sui suoi amici che gli era sfuggito, e che Sirius e James lo abbracciavano e piangevano disperati perché l'avevano capito prima di lui e forse temevano di perderlo, morto o impazzito o chissà cosa.
Fu in quel momento che cominciò a piangere, e lo fece così forte che pensò che gli sarebbe scoppiato il cuore. Si accorse appena dell'arrivo di altre persone, era sicuro soltanto che uno di loro fosse Peter, che si era inginocchiato davanti a lui e si era appoggiato alle sue gambe, afferrandogli la mano libera, e poi riconobbe Frank che davanti alla madre di James gli porgeva una tazza di qualcosa.
«Cos'è?» gracchiò con voce irriconoscibile.
«Ti aiuterà a dormire senza sognare.» rispose una voce che sembrava quella di Lily.
«Lily, sei tu?» domandò allora lui, cercando di mettere a fuoco.
«Frank mi ha chiamata subito. Alice sta arrivando, sta avvisando i genitori che non ci saremo per un po'. Per quanto riguarda Mary dipende dal preside, credo, visto che è voluta restare a scuola.» una fitta al cuore lo colpì a “i genitori”; il plurale faceva male.
«Ho chiamato tutti quelli che ti sono amici.» mormorò Peter a mo' di spiegazione.
«Se preferisci che me ne vada non mi offendo, eh.» precisò Lily ansiosamente.
«No, resta.» disse subito Remus, buttando giù la pozione tutto d'un fiato non appena Frank gliela passò. «Mi fa piacere vederti.» aggiunse, chiudendo gli occhi per frenare le lacrime.
La calma lo invase più lentamente di quanto sperasse. Aveva mal di testa e nausea da troppo pianto, il sonno non faceva che acuirli. Cercò almeno di mettersi comodo tra i suoi Malandrini, sperando che non credessero di doversi allontanare, ma a nessuno di loro passò per la mente. Lily si accomodò sul bracciolo accanto a Sirius, accarezzandogli i capelli come aveva fatto la signora Dorea, che ora stava seduta a tavola con la testa tra le mani, e Frank era in piedi accanto a James, con una mano sulla sua spalla. Poco dopo anche Alice era lì, che accanto a Peter gli sfiorava una gamba. Tutti lo stavano toccando per fargli sentire che erano lì senza dover parlare.
Neanche si accorse di addormentarsi. E mentre Remus dormiva nessuno osò spostarsi, neanche quando arrivò il signor Lupin e alcuni di loro già dormivano ancora aggrappati a lui. Dorea vide che era l'immagine della disperazione, ma non osò neppure avvicinarsi al figlio, preferendo non svegliarlo.
Quando arrivò Mary che non aveva voluto saperne di restare al castello li trovò tutti addormentati l'uno sull'altro, mentre gli adulti erano a tavola, in compagnia anche di alcuni Auror.
Si accomodò all'altro fianco di Peter in attesa del loro risveglio, e guardò Remus dormire.


«Remus mi ha detto che, per quanto possibile, si è sentito meglio a sapervi tutti vicini. Vi ringrazio per essere venuti.» disse James, stando poggiato allo stipite della porta di ingresso. «Ve l'ho detto, se volete restare non c'è problema.»
«Tranquillo. E poi Remus ha detto di voler tornare a scuola il prima possibile, lo rivedremo presto.» lo rassicurò Alice, mentre Lily annuiva in imbarazzo.
«Grazie per averci ospitate questa notte.» si sforzò di dire. «Sono venuta qui di corsa e non ho neanche pensato al fatto che fosse casa tua.»
«Guarda che sei tu che odi me, non il contrario.» ribatté il ragazzo con un sorriso mesto.
«Io non... Non è che ti odi. Non più.» bofonchiò Lily.
«Guarda, adesso le strappa una dichiarazione.» commentò la voce ilare di Sirius alla finestra e James rispose mostrando un pugno con finta minaccia. Remus, più morto che vivo accanto a lui, riuscì a fare una smorfia somigliante a un sorriso.
«Grazie di tutto.»
«Non c'è bisogno di ringraziarci, Rem.» ribatté Mary. «Tu ci offri sempre cioccolato, era il minimo.»
Questo riuscì a strappare un altro quasi sorriso al ragazzo, che poi sparì dalla finestra ricordando il cesto di cioccolato sul proprio letto, regalatogli dalla madre.
Andò al divano, dove si raggomitolò nuovamente stringendo le gambe contro il corpo e circondandole con le braccia. Si sforzò di non piangere di nuovo, non era da uomo.
«Moony...» sussurrò Peter, avvicinandosi a lui.
«Voglio essere forte...» accennò il ragazzo. Gli altri due Malandrini lo raggiunsero. «Così un giorno potrò ammazzare quel bastardo, dovessi anche unirmi ai lupi per farlo.»
«Non dire cazzate.» ringhiò Sirius, «Certe cose non le devi pensare, lei non le vorrebbe.»
«Non sappiamo cosa vorrebbe, lei non c'è più.» replicò Remus freddo.
James sussultò.
«Sì, ma Moony, è sicuro che non vorrebbe che tu ti faccia del male.» replicò, addolcendo il tono, Sirius.
«Troppo tardi.»
James si scompigliò nervosamente i capelli.
«Se fai stronzate guarda che ti seguo.» dichiarò, cercando di non badare alle occhiate ansiose degli altri due.
«Perché non sai in cosa ti stai cacciando.» ribatté Remus ancora gelido, «Greyback è un mago, ma non ha usato magia per... ucciderla.»
Peter si coprì gli occhi con le mani.
«Lo sospettavo alla vista del...» sangue, stava per dire Sirius, «Tutto.» si corresse, «Vuoi parlarne?»
«Di cosa?» domandò Remus, lontanamente stupito.
«Hai combattuto?» azzardò il ragazzo.
E lui ghignò. Remus ghignò amaramente, terrorizzandoli più che con ogni altra reazione. Raccontò loro tutto, dall'inizio alla fine.
«Quando le ho sfiorato il collo per sentire se il cuore batteva ancora, ho visto che c'era tutto uno squarcio dietro. Era messa in quella posizione per dare l'impressione di essere viva e di guardare chi entrava. Se fossi rimasto a casa non dubito che sarei stato messo nello stesso modo.»
«No.» gemette Peter, soffocando le lacrime.
«È colpa di mio padre, anche. È meglio che non mi venga davanti, perché se non mi lascerete lanciargli un Avada Kedavra lo assalirò come lupo.»
«Ti prego....» supplicò James.
«Mi sono sdraiato accanto a lei,» proseguì il ragazzo come se non avesse appena minacciato di morte il padre, «Ero sconvolto. Pensavo soltanto al fatto che fosse così orribilmente... fredda.»
«Basta così. Non c'è bisogno che ti sforzi di raccontare altro.» lo bloccò Sirius, pentito di aver chiesto.
«Non sono così a pezzi, ora. L'odio è un buon modo per mantenersi coscienti. Ora capisco molte cose.»
Tutti e tre pensarono che si riferisse alla dottrina di Voldemort e James dovette farsi violenza per non colpirlo. Sirius tacque, senza sapere che avrebbe ricordato quelle parole quattro anni dopo, consigliando a James di non rivelargli chi fosse il vero custode segreto. Peter era ancora più spaventato, ora anche da Remus, e si spostò impercettibilmente come per non trovarsi nel suo campo visivo.
«Cose sbagliate.» disse infine James, con voce improvvisamente matura. Di solito la riservava per Lily, tentando di apparire cresciuto, ma qui era decisamente naturale perchè sincera. «È l'odio che ha provocato questo disastro. Soltanto tenendosene alla larga si possono cambiare le cose. Fidati di noi, Moony. Risolveremo tutto assieme. Ma prima finiremo la scuola, per essere pronti.»
Remus avrebbe voluto ribattere che la scuola non li avrebbe affatto preparati al mondo esterno, ma di fronte alla sua espressione formulò un «Va bene.» con molta accondiscendenza.
Sirius finse di non badare al tono.
«Basta parlare di questo ora. Dovremmo distrarci tutti, per quanto possibile. Cosa vuoi fare? Ti cerchiamo un libro, dei giochi idioti? Vuoi parlare di qualcos'altro o mangiare?»
«Pads, fallo respirare, però.»
«Però ha ragione anche lui...» tentò di dire Peter, «Voglio dire, stare a fissarsi in silenzio su una cosa così è peggio.»
«Mi piacerebbe mangiare del cioccolato con voi. Per mia madre. Mi aveva detto di offrirvelo una volta fatto pace, anche se ovviamente ora quello non è qui.» sussurrò Remus, abbassando lo sguardo.
«Accio cioccolato.»
«Prongs!» tentò di bloccarlo Sirius, colpito poi alla testa da una tavoletta di cioccolato al latte. Da tutte le parti della casa, in particolare il soffitto, giunsero i cioccolatini nascosti dai due.
Remus e Peter li guardarono allibiti.
«Papà deve stare attento a ciò che mangia, e la mamma non ne compra più, così...» si giustificò brevemente il ragazzo, azzardando un sorriso timido. Non era sicuro che fosse accettabile sorridere a Remus in quella situazione.
«Sei assurdo.» commentò lui, abbozzando una smorfia incoraggiante. A James si appannò nuovamente la vista.
«Eh, lo so.» borbottò.
«Allora dai, il primo giro è per Signora Sandra, il secondo per Moony.» decise Sirius.
Tutti presero la tavoletta più vicina, scartandola con attenzione chirurgica.
«Allora... Alla madre di Moony. Una grande donna.» proclamò il Black, solenne. James annuì.
«Che sorrideva sempre e che di sicuro lo fa ancora.»
«Bellissima. Dentro e fuori.» disse Peter, incerto se aggiungere qualcos'altro.
Remus sollevò in alto la sua tavoletta. «La madre migliore del mondo.»
Morsero il primo pezzo contemporaneamente, masticando in silenzio.
In mezzo alla desolazione che sentiva dentro, a tutto il dolore e la voglia di vendetta e di morire, Remus si rese conto che ce l'avrebbe fatta. Non sapeva ancora come, sembrava impossibile, eppure una parte di lui sapeva che ci sarebbe riuscito.
Guardò i compagni uno a uno, che lo osservavano a loro volta, in attesa.
Sì, nonostante le apparenze, il mondo non era ancora finito.


Era iniziato febbraio, e Remus aspettava James, Sirius e Peter al ponte sospeso. Teneva ancora il libro della biblioteca sottobraccio e rabbrividiva, avendo sottovalutato l'umidità quando quella mattina si era vestito.
«Remus.» lo salutò Lily, arrivando al suo fianco.
«Lily.» sorrise il ragazzo, «che ci fai qui?»
«Sapevo che James sarebbe passato e devo rendergli la sciarpa. Me l'ha prestata a Hogsmeade.»
«Capisco.» disse lui, poggiandosi sul parapetto per guardare il panorama. Lily prese posto accanto a lui.
Poi Remus sbarrò gli occhi e la guardò.
«Scusami, hai detto a Hogsmeade
«Ah. Allora davvero non ve l'ha detto.» rise lei, «Gli avevo chiesto di essere un po' riservato, ma visti i mancati commenti di Black immagino sia stato proprio muto. Stiamo uscendo insieme, ci siamo visti qualche volta in giardino e per la scuola oltre che al villaggio.»
Il ragazzo, che nei precedenti due mesi aveva dato prova di aver perso ogni capacità di reazione ed era diventato una macchina di puro studio, spalancò la bocca, scosse poi la testa e infine scoppiò a ridere, entusiasta.
«No, non ci credo! Non è possibile che stia accadendo e lui non ce ne abbia accennato! Deve essere stato qualcosa di superbo se sei riuscita a convincerlo!»
«Lo spero.» mormorò lei, arrossendo graziosamente.
«Ti piace, eh?» insinuò con malizia, e Lily portò la sciarpa al viso per nasconderlo.
«Piantala, Malandrino
«Ehi, che succede?» domandò Sirius, arrivando alle loro spalle in compagnia degli altri due e tenendo d'occhio Remus, che sembrava sul punto di caracollare di sotto.
«Chiedilo a Prongs!»
«James, a loro potevi dirlo.» disse lei, rassegnata. James arrossì, con grande sorpresa degli altri.
«Ah, sì, non l'avevo capito.» farfugliò, «Beh... Ce l'ho fatta!» urlò, sollevando le braccia in segno di vittoria.
«A fare che?» chiese ovviamente Peter. Lily afferrò il libro che Remus teneva ancora stretto e lo sbatté contro la testa di James.
«Ma ti pare il modo?!» lo sgridò.
«Evans, ci serve per il Quidditch!» si lamentò Sirius.
«Io e Lily stiamo uscendo insieme! Siamo usciti due volte! Sabato! Hogsmeade!» gridò ancora James, ignorandoli tutti.
«Oh, ma piantala...» lo liquidò l'amico.
«No! È vero! Lil, diglielo anche tu!» piagnucolò.
«Temo sia vero...» confermò lei, divertita.
Diverse urla seguirono la sua affermazione. Mentre Sirius e Peter spingevano James fingendo di volerlo gettare di sotto per festeggiare, Lily si voltò verso Remus, stavolta rossa come un papavero.
«Sì, comunque, non mi dispiace. E poi dopo anni di due di picche, una piccola soddisfazione volevo dargliela.»
«Chiaramente.» concordò lui, cercando di mantenere un tono serio. Poi si aprì in un altro sorriso. «Sono felice per voi.»
«E per te come stai? Intendo... in generale.» domandò ansiosa. Il ragazzo fece un'alzata di spalle, rassegnato.
«Non riesco a non pensarci. Ogni cosa... mi fa pensare a lei.» sussurrò, guardando gli amici, che sembravano prolungare le loro stupidate giusto per farli parlare. «Loro vorrebbero aiutarmi e io non vorrei farli preoccupare.» rivelò, amareggiato, «È sempre stato così. Per un mucchio di ragioni.»
Lily annuì brevemente, appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Te l'ho detto, per queste cose ci sono io. Ne so qualcosa, ti ricordo che i miei genitori sono morti.»
Remus sussultò.
«Perdonami, io credo... di non aver collegato...»
«Lo so, sfugge di mente a tutti perché sono stata brava a non parlarne mai. Eccetto che con pochi fortunati che dovevano subirsi i miei sfoghi.» tagliò corto lei, con un mezzo sorriso mesto, «Compreso James, una volta, l'anno scorso. È così che ho iniziato a vederlo meno come il nemico numero uno e più come persona. È sorprendentemente bravo a far sentire meglio le persone.»
«Lo è.» confermò Remus, annuendo. «Non fosse per tutti loro forse non sarei neppure tornato a scuola...»
«Francamente non riuscirei mai a parlare con Black senza finire con l'insultarci a vicenda o perlomeno l'ignorarci, però se ho rivalutato il signorino Potter penso di poter provare a non giudicarlo troppo male e vedere se è fattibile anche per me parlarci.» commentò Lily a questo riguardo, «Senza contare che ci stanno dando del tempo per parlare a costo di congelarsi.»
«Te ne sei accorta? Sembra siano piuttosto preoccupati per me. Alla fine non riesco a evitare che stiano male a causa mia.» sospirò, «Penso mi toccherà prenderli da parte e sfogarmi come hai fatto tu. Anche se suona estremamente femminile.»
«Estremamente.» sottolineò lei.
«Grazie.»
«Prego.» rispose Lily, ignorando il sarcasmo. «James, la sciarpa!»
«Ah, è la mia? Ma no, tienila...» la invitò il ragazzo, con tono vagamente melenso.
Lily guardò gli altri due.
«C'è qualche significato che mi sfugge nel tenere una sciarpa altrui?»
«No, è lui che è cretino.» rispose Sirius, sicuro.
«Grazie Padfoot, sei il migliore dei migliori a-»
«Perché quel soprannome?» domandò improvvisamente Lily.
Tutti e quattro i Malandrini la guardarono agghiacciati.
«Per Prongs non l'hai mai chiesto, però.» notò James, perplesso, rischiando una spalla nella stretta di Sirius.
«Perché Pettigrew mi ha spiegato il motivo in passato.» ribatté Lily.
«Cosa?» gracchiò il Black.
«Ma sì... per le corna... con le ragazze... tipo le renne solo con l'altro senso.» fece presente la Gryffindor, titubante.
«Le... Ah
L'occhiata infuocata di James si perse nelle risate degli altri.
«Ah, era da un pezzo che non ridevo tanto... Grazie, Lily.» disse Remus, senza fiato.
«Non capisco...»
«Un giorno ti spiegheremo per filo e per segno, ora dobbiamo proprio andare, scusaci!» si congedarono in tutta fretta, e Lily li guardò correre via, con James che colpiva Peter alla nuca mentre Sirius si attaccava al mantello di Remus, trovandoli incorreggibilmente scemi ma divertenti. Si concesse una risatina, prima di ruotare su se stessa e tornare a castello.
«Gran bella scusa!» si complimentò in quel momento Sirius, sghignazzando.
«Le corna! “Prongs” perchè le ragazze mi mettono le corna e ricordo le fottute renne!» esclamò James scandalizzato, «Come hai potuto?»
«Era la prima cosa che mi è venuta in mente!» protestò Peter, atterrito, nascondendosi dietro Remus.
«Buoni, dai. Dobbiamo o non dobbiamo fare lo scherzo agli Slytherin?»
Gli altri lo guardarono sospettosi.
«Non è molto da te questa domanda.»
«Me ne rendo conto, signor Esco-Con-Lily-e-me-lo-tengo-per-me.» ribatté lui, altezzoso. «Un comportamento vergognoso, non trovi Padfoot?»
«Assolutamente sì, Moony!» concordò enfaticamente Sirius, «Sei disconosciuto, Potter.»
«E allora io disconosco Peter per la sua slealtà!» protestò lui, «E le figure di merda che mi fa fare!»
«Ero nel panico! Anche a te la Evans manda nel panico!» si giustificò Peter.
«Spero non per lo stesso mio motivo.» l'ammonì James, minaccioso.
«Ma no!»
«Ragazzi,» attaccò Remus, seriamente deciso a dir loro come si sentiva, finalmente. I Malandrini lo fissarono, in attesa. E lui si rese conto di non averne più bisogno, non in quel momento. Era sufficiente essere finalmente naturale con loro.
«Pensiamo allo scherzo per Snivellus, prima che Lily decida di scoprire per quale esatto motivo ci siamo incontrati qui al ponte.» propose, ghignando soddisfatto.












Potrete pensare che Remus è esagerato nella sua reazione sconvolta a casa Potter, ma tenete conto che Remus generalmente cerca di reprimere i suoi sentimenti e, a parte Greyback, finora non si era esattamente trovato in grandi situazioni di pericolo e tragedia, quindi ora vedere sua madre ridotta così... E due mesi dopo non sta ancora bene, chiaramente, però grazie ai suoi fantastici amici riesce ad andare avanti.
E' stata la primissima storia che ho scritto di questa raccolta prima di farmi prendere la mano e, dal primo dicembre al primo febbraio, scriverne circa una sessantina XD
Inizialmente non era neppure una raccolta ma ho finito con l'unire i personaggi in relazioni particolari che sono riapparse man mano.
Oh, e lo so che i ragazzi di solito sembra non piangano moltissimo, ma all'ultimo incidente, non mortale, di un mio amico, abbiamo pianto TUTTI. Quindi suppongo che in certe situazioni sia giustificabile lasciarsi andare quasi come bambini e non ci sia nulla di male.
E poi non mi viene in mente altro da dire.
Alla prossima, domani o dopodomani.
   
 
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