C’erano una volta due fratelli. La
loro vita proseguiva felice,
ma un brutto giorno un servo di un orco cattivo li rapì…
Il dottor
Gero li fissava. Accennò un sorriso e si mise in ginocchio
all’altezza
dei gemelli. “Signore…quando arriverà la mamma?” chiese intristito
il
bambino,ora battezzato come numero 17.
“La tua mammina mi ha detto che tornerà…a patto che voi facciate
quello che dico. Mi sono spiegato?” rispose Gero
carezzandogli una guancia.
La bimba,18, era in lacrime,spaventata dal posto umido e da quelle
persone
da
poco conosciute. “Quanti anni avete,piccoli?” chiese
numero 6 a qualche
metro
di distanza. “Sei…” mormorarono all’unisono i due.
“Siete
ancora un po’ giovani…inizierò a praticare quando sarete più grandi…”
borbottò
tra se e se l’uomo. I bimbi furono
accompagnati alle loro camere.
Come ogni
bimbo della loro età,si aspettavano una stanza piena
di balocchi,di
tende
colorate. “Ecco qui.” fece Gero spingendoli dentro.
I loro
visi,al veder i loro lettini,persero ogni piccolo
bagliore di felicità:
due
piccole brande,sporche e malridotte,stavano nel mezzo di una stanza di circa
tre
metri per quattro di diametro. Tutto intorno vi erano tubi,fili
della corrente che servivano per il laboratorio adiacente.
Come una
prigione.
Non vi
erano finestre,ne,quanto minimo,una piccola porta sul
mondo esterno.
“Credo
sia ancora molto tardi per voi,piccoli…vi conviene
dormire ancora. Il bagno se vi serve è alla prima porta a sinistra.
Buonanotte…” sghignazzò Gero
apprestandosi a chiudere la porta di ferro. Ma prima di poterlo fare,venne bloccato
dalla
manina gelida di 18.
“Embè…cosa hai,ora?” domandò
stizzito.
La bimba
assunse un’espressione imbronciata.
“Signore…questo
posto non mi piace,e il nome che mi hai dato,lo trovo
brutto…”
non
ebbe nemmeno tempo di finir la frase,che fu colpita al volto da uno schiaffo,
cadendo
all’indietro e battendo la testa sulla parete.
“Sorellina!!!” urlò 17 correndole incontro. 18 era grondante di
lacrime,e si teneva la guancia arrossata.
“Perché
mi hai picchiato,signore?” pianse tra un singulto e
l’altro.
“Che vi piaccia oppure no,questa è la vostra casa,ora!Non vi
permettete di lamentarvi,altrimenti non mi faccio problemi a picchiarvi. Anzi,posso anche
farvi
di peggio.” così dicendo si tolse la cinghia e la fece
schioccare tra le mani.
17 e 18
trattennero il fiato e le lacrime,terrorizzati.
Gero si
mise poi alla porta e la chiuse sonoramente “Scordatevi che io vi vizi come
i
vostri genitori,marmocchi…ora filate a dormire!!!” urlò,e i gemelli obbedirono
istantaneamente.
Il
fratello si sdraiò accanto alla sorellina,ancora
dolorante.
“Fratellino
mio…perché è stato cattivo con me?” domandò singhiozzando.
“Non lo
so…voglio la mamma…” mormorò coprendosi con una lercia coperta.
“Spero
che torni presto…” concluse la bimba imitando il fratello.
I gemelli
chiusero poi gli occhi e si addormentarono.
Nello
stesso momento,numero 6 stava seduto su una
sedia,osservando la scena.
“Che cazzo guardi,tu?” chiese il
dottore avvicinandosi.
“Lei è troppo cattivo,dottor Gero…” mormorò a testa bassa.
L’uomo lo
fissò irritato,ma poi si mise a ridere.
“Cattivo,dici?No…io sono davvero una persona per bene…”così dicendo
si rimise
la
cintura. Proseguì poi a parlare “I genitori di quei due li
stavano rovinando…
se
vizi i mocciosi così,da grandi non ti danno altro che grattacapi…”.
6 lo osservò insensibile,sempre con la solita espressione,mentre
gli carezzava i capelli bianchi.
“…6…sai
che tu sei come un figlio per me…ti ho salvato dai
tuoi genitori,ricordi,vero?”.
L’androide assunse un viso sorpreso. “Certo che ti
ricordi…non ti ho resettato tutta la memoria,quindi so per certo che puoi…”.
Gero non
finì la frase e iniziò ad allontanarsi lentamente.
Ma 6
lo fermò prendendolo per un braccio.
“Che c’è figliolo?” domandò con un ghigno.
“La
prego…non voglio più che mi faccia fare come prima…non voglio più
uccidere…”
supplicò l’androide con tono remissivo.
“…Ci
penserò su…” abbozzò noncurante l’uomo,per poi
dirigersi verso la sua
camera.
La porta quindi si chiuse e venne chiusa a chiave
dall’interno.
Solo numero 6 rimase in piedi nel laboratorio.
Da quando
il Red Ribbon era stato
distrutto,Gero aveva costruito in una cavità
di un
monte a nord il suo laboratorio. Lui era stato il primo androide
a funzionare,
tra quelli
che aveva costruito.
Il primo
con anima umana…
Questa
peculiarità era stata la sua condanna. Il suo corpo era per il 70% meccanico,e quindi poteva venir controllato dal suo creatore,tramite
computer.
Ma la
mente restava.
Volente o
nolente,ogni volta che Gero decideva di uccidere
qualcuno,a
lui toccava tenersi il rimorso.
Uscì fuori dalla base,sedendosi lentamente sul bordo del
passaggio.
La luna
brillava intensamente,ma a lui pareva rossa.
Rossa del
sangue di chi aveva ucciso.
Tutto era
accaduto così in fretta…
Non
poteva immaginare che i genitori si svegliassero. Un cyborg non fa rumore.
Forse per
istinto i due genitori si erano alzati dal letto.
Perché lo
avevano fatto?Se se ne fossero stati la,non sarebbero
dovuti morire.
La madre
l’aveva uccisa con un colpo alla nuca,scoperchiandogli
in parte la
calotta
cranica,e spargendo materia cerebrale ovunque.
Il padre venne poi colpito dallo stesso tipo di proiettile,ma ebbe
tempo di correre fino alla camera,con mezzo intestino di fuori.
Lo vide
negli occhi,prima di ucciderlo con un colpo al volto.
Occhi blu,profondi…tanto profondi che parevano scrutarti nell’anima.
Occhi
disperati,velati dal pianto e dal sangue.
Uno sparo
silenzioso.
Quelle
due persone erano morte. Tutte le cose belle che potevano aver fatto,
tutti
i loro ricordi,la felicità,cancellati da un paio di proiettili calibro 46.
“Se solo
se ne fossero stati a letto,non sarebbero…” mormorò l’androide
chinando
il capo con un groppo alla gola.
“Morti…”.
Una
lacrima.
Un
liquido salato che iniziava lentamente a scendere dall’occhio destro,l’unico
dei
due ancora organico.
“Perché
piango…perché…” concluse 6 guardando la luna e
pensando ai due
gemelli.
“Piccole
anime innocenti,abbiate pietà di me…”