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Autore: Lenfadir    15/09/2005    0 recensioni
Leggende su Burznumèn raccontate da un simpatico Oste
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Certo che mi incuriosì, quella notte di tempesta.
Avrei proprio voluto sapere che successe quella mattina, e dove doveva andare Numèn quel giorno. Chiesi, allora, al giovanotto, quando lo andai a svegliere, dove erano diretti. A malavoglia e un po’ pentendosi, mi disse il nome di una città vicina. Non riuscii a sapere altro.
Ma nella mia taverna ne girano di tipi, e le cose, se voglio, le vengo a sapere. Infatti non molti giorni dopo venne un bardo nel mio locale e non ci volle molto a farmi raccontare le gesta del “terribile” essere dal mantello nero e gli occhi rossi che rubò la figlia del possedente terriero.
Raccontò tante cose, ma a me erano arrivate anche voci del “possedente” sfruttatore di contadini, e non mi ci volle molto a scoprire che Numèn fu chiamato dai contadini per vendicare e porre termine ad alcune libertà che si era preso nei confronti delle “contadinelle” sue dipendenti, insieme ai suoi soldati.
Da un più affidabile amico, chiesi notizie più precise, e mi rispose con questa lettera.
Caro Amico, ecco quello che ho scoperto riguardo quella sera.
…. ( omissis ) …
Come non vi furono più soldati che ebbero il coraggio di alzarsi da terra, Numèn, si diresse verso la casa del pover’uomo. O meglio di quello che ne restava.
La scena era pietosa. La famiglia era tutta in ginocchio, implorante e piagnucolante, nella speranza di impietosire Numèn, ma l’esito sembrava scontato: nulla sarebbe rimasto di quella famiglia, e dei suoi averi.
Il possedente cercava di giustificare i suoi comportamenti e di distogliere quel potente “giustiziere” dal suo intento.
Quando Numèn fu abbastanza vicino da tagliare a tutti la testa con un colpo della sua lunga spada, il disgraziato disse: “ Non ucciderci, non distruggete tutto quello che ho: prendete in cambio una delle mie figlie.”.
Intanto si era portato dietro di loro che, col volto basso, erano inginocchiate e tremanti, a terra. Le tirò per i capelli, in modo da farne vedere il volto. Erano entrambe ragazze bellissime, dai capelli neri e ricci; la più giovane li aveva lunghi fino a mezza schiena, mentre l’altra li aveva corti fin le spalle. Vedendo che Numèn si fermò, prosegui : “ Troverete certo in lei più soddisfazione che nell’ammazzarci tutti in questo modo”. Il silenzio si era fatto glaciale, e tutti attendevano una risposta.
Numèn parlò : “ Lo scambio sembra equo: in nome di Vecna, che ella sia mia schiava, per redimere le tue colpe.”, ed indicò la giovane con i lunghi capelli. Nello stesso istante scoppiò un grido, delle tre donne presenti ( c’era lì anche la madre, e due fratelli, uno grande e uno ancora bambino ), mentre Numèn tirò la ragazza trascinandola verso la porta, mentre lei invano cercava di afferrarsi, ad ogni appiglio della casa, e l'uomo la guardava con sguardo soddisfatto.
Mentre stava uscendo, si fermò e disse : “ Neanche Vecna è così infame da vendere sua figlia, per la propria pelle. Non sei degno di vivere oltre. ” E senza neanche voltarsi gli lanciò un pugnale che lo colpì, mortalmente, alla gola. Rivolgendosi, poi al figlio maggiore :” Porta, giovane, avanti questa famiglia, più degnamente di quanto fece tuo padre, così da non farmi venire la voglia di continuare, ciò che oggi non ho finito. Questo è il volere di Vecna.”
Ed uscì senza voltarsi, trascinando con se la giovane che piangeva ed implorava, e chiamava… ma nessuno sarebbe mai venuto a liberarla dalle mani di Numèn.
Camminarono nelle vie del paese, ancora illuminato dalla luce tetra dell’incendio, per poco ancora, ma poi si diressero nella foresta. La notte era oramai fonda, e l’ululare dei lupi faceva ogni volta rabbrividire la povera ragazza ( ora legata ai polsi da una corda, con cui Numèn la tirava); ma lui proseguiva silenzioso e dritto sul suo cavallo nero, senza mai voltarsi, e ben presto la ragazza, singhiozzante, gli stava al passo.
Giunti in uno spiazzo nella foresta, Numèn si ferma, scende da cavallo, ed alle sue briglie lega la corda della ragazza.
Accende un fuoco e monta una tenda nera, a forma di cono, con una punta a croce, ai cui due estremi, vi pose due tizzoni accesi. Guardandola da lontano, così nella foresta, sembrava tanto la sua figura pure nera, avvolta nel mantello, con gli occhietti rossi che luccicano di rabbia.
Poi si avvicina alla ragazza e le punta la spada contro: con un rapido colpo di spada le taglia i vestiti che aveva addosso, lasciandola completamente nuda; la sua pelle bronzea e giovane brillava in quel nero pesto, mentre un tremito di freddo e paura, si vedeva scorrere dal volto fino alle caviglie.
“Una schiava di Vecna non va vestita con quegli stracci. Come ti chiami?”
“Esere, Signore”. La voce era docile e ancora singhiozzante.
“Mettiti questa”, le disse porgendole una tunica nera.
”Non cercare di allontanarti dal fuoco, o gli animali di questa foresta ti sbraneranno, prima ancora che avrai raggiunto quell’albero. Se hai freddo entra nella tenda. Oppure fai compagnia al cavallo. Io vado a dormire.”.
Infine prima di sparire nella tenda concluse :”Stanotte Vecna veglierà anche su di te.”
  
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