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Autore: Silent Night    03/07/2010    6 recensioni
Il titolo di questa raccolta è in ricordo delle stragi conseguenti all'ideale dell'antisemitismo: il periodo nazista; e della violenza in ogni sua forma.
Una raccolta sul tarlo che mina l'animo e la bontà umana alle fondamenta.
Non è eccessivamente impegnativo da leggere.
Vi prego di sprecarci qualche minuto del vostro tempo, al limite farete una smorfia e passerete oltre.
[Cit.]
"Avanti, Penny, Saluta il Duce come si deve,
Sennò il Cielo cade, il Cielo Cade!"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Olocausto
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Non ho intenzione di utilizzare caratteri o colori strani, e se questa volta inserisco le note dell'autore prima del racconto, e non alla fine, come mio solito è semplicemente perchè voglio essere sicura - o comunque poterci sperare - che le leggiate. Non è nulla di particolare, nulla di insolito, e per questo è ancor più spaventoso. Due parole, prestatemi attenzione, non credo possa cadervi addosso un fulmine, se lo fate.
Questa è la prima...storia? Qualcosa di simile. La prima, comunque, di una raccolta, che non ho idea di come e se concludere, ma che voglio iniziare, perchè mi sento in dovere di farlo, perchè quando l'ispirazione ti si presenta davanti è bene gettarle un occhio, o un orecchio, e perchè si tratta di un tema delicato.
Parla dell'uomo, e del suo aguzzino, l'uomo, quello che uomo non si può definire. Un mostro, semmai. Perchè il marcio c'è in ogni mela, superficiale o meno che sia. Ma nell'uomo, a volte, è un qualcosa di radicato alle fondamenta, che ne divora le viscere e la facoltà di ragionare come un essere umano. Un male che rende l'uomo estraneo a sè stesso.
La violenza c'è sempre stata, ma i momenti nella storia che ricordiamo sono quelli in cui è divenuta gratuita e di dimensioni epocali.
Un tributo alle vittime di questa violenza sparsa come fiori su un prato.
Siamo in periodo di saldi, e stamane vidi un paio di scarpette rosse, lucide da far venire le lacrime agli occhi.
Erano orride, ma ho avuto un flash, e quest'idea mi ha martellato la mente finchè non mi sono decisa a metterla per iscritto.
Mi sono sentita in dovere di comprare quelle scarpe, semplicemente per ringraziarle d'avermi spinto ad iniziare questo lavoro(?).
Ovviamente è anche un tributo alla poesia, o quel che fosse, di NonRicordoChi, intitolata, mi pare, proprio scarpette rosse.
La storia dovreste conoscerla, dovreste sapere cosa subirono gli ebrei nel periodo nel nazismo, sebbene l'antisemitismo abbia radici sin dai tempi dell'antico testamento.
Smetto di sproloquiare e passo alla storia, se avete ancora voglia di leggerla.






Red Shoes

Mio padre, Ephraim, è la persona più buona del mondo.
E' anche tanto bravo, perchè sa sempre tutto.
Ogni domanda che io possa porgli, fin alla più strana, non rimane priva di una risposta.
Non guadagna tanto, anche se ha passato tanti di quegli anni a studiare che deve averne perso il conto.
Eppure, ogni volta che gli dan due soldi da poter impiegare come meglio crede, torna con qualche sorpresa per me.
Io mi sento in colpa, perchè non mi piace ricevere regali da mio padre: guadagna già così poco che sento di penalizzarlo in maniera ingiusta.
Ma sono pur sempre una bambina, e ne resto comunque contenta e stupita, lui dice che mi fa di questi doni perchè quando li vedo mi brillan gli occhi.
Dice che vedere i miei occhi blu mare alla sera annulla il peso delle fatiche sopportate durante la giornata, e che a lui va bene così.
Un giorno tornò a casa con le gote rosate, segno che s'era esposto troppo al freddo pungente di fine gennaio, e con in mano un fagotto, che stringeva a sè come dovesse scoprirsi contenere oro.
Come mi vide il suo volto s'illuminò d'un sorriso colmo d'entusiasmo represso, e mi porse il pacchetto, con un semplice ed accorato 'per te, stellina mia'.
Preso il fagotto dalle sue mani tremanti lo rimirai trepidante qualche secondo, districando poi l'involucro di stoffa ingarbugliata, scoprendo lentamente qualcosa di rosso e brillante.
Le mie labbra erano dischiuse e sia i miei occhi che quelli di papà, riflettevano la nitida immagine di un paio di scarpette lucide, del colore dell'amore.
Le riavvolsi nella stoffa con cura maniacale, con rispetto quasi, fiondandomi poi tra le braccia di papà, gli occhi lucidi di lacrime trasudanti emozione e gratitudine.
"Sono bellissime.." Singhiozzavo. Sapevo bene dei sacrifici che faceva per me il padre mio...
"Sì, sono belle, ma mai quanto te, perciò pensa; un paio di scarpette rosse, così belle, indossate da una perla ancor più sfolgorante, non solo diverranno ancor più splendide, ma risalteranno ancor più quanto sia incantevole la mia bambina."
[...]

Avevo care quelle scarpette più della mia vita, erano gli sforzi di mio padre, quelle scarpe. Erano il suo amore per me, ed il mio legame con lui. Erano un patto, una promessa. Lui ci sarebbe sempre stato, per me, e per me avrebbe fatto di tutto. Per poter dare sempre il meglio alla sua bambina.
Ma me le avevano portate via, assieme alla vita, perchè la vita stessa non valeva che un fil di vento, senza le mie scarpette rosse.









Non è nulla di particolare, ve l'ho detto, e non sono in grado di rendere come vorrei la mia idea di cos'è la violenza per pregiudizio. Ma, se siete arrivati fin qui, dedicandomi un secondo del vostro tempo, ve ne sono grata, a prescindere.
Vostra, J.
   
 
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