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Autore: Ulissae    05/07/2010    3 recensioni
[Long fic / raccolta su Rachel e Paul (L)]
Una Giulietta senza Paride, neanche intenzionata a trovarne uno, un Romeo con troppe Rosaline, senza la voglia di sceglierne una.
Una Giulietta che odia Romeo, ed un Romeo non intenzionato a morire per lei.
Insomma, non proprio una storia d’amore, direte voi, ma chi dice che così non possa essere?
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Quileute
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ululati vari'
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Re-start

La principessa lasciò il principe ranocchio e lo trovò modello. Direi che ci ha guadagnato, no?



Rachel non aveva mai amato gli aerei. La prima volta che lo prese fu quando volò a Washington e aveva vomitato tutto ciò che la gentile hostess le aveva offerto.
Una volta arrivata nella capitale aveva trovato nella sua camera un ottimo nido, nella sua compagna di stanza una buonissima amica e nei viali enormi e pieni di ristorantini la soluzione migliore per la sua vita.
Come dire: ormai Rachel aveva deciso che Washington D.C., stato del Maryland, era diventata la sua nuova casa.
Precisa, linda, pulita. Con i suoi abitanti sempre in forma, intenti a correre da un monumento all'altro, i bambini che giocavano a baseball, i turisti che scattavano foto ai piedi di Lincon, i musei gratuiti nei quali rifugiarsi nelle giornate troppo calde o troppo fredde.
Insomma, quell'aria frizzantina, piena di vitalità le piaceva. Si sentiva in sintonia con tutte le persone che camminavano vicino a lei e più che mai con i suoi colleghi di lavoro.
Rachel adorava con tutta se stessa il “Native Museum” dove l'avevano assunta. Adorava il colore caldo delle sue mura, la sua struttura stranissima e particolare, le pannocchie che crescevano sul retro, tutte quelle informazioni, la possibilità di poter condividere il suo sapere e le sue idee con gente che la capiva e la spronava a migliorare.
Tra campus e museo la sua vita sembrava essersi risolta nel verso giusto.
 Quindi, noi, potremmo tranquillamente mettere la parola fine a questa storia.
Oppure, se volete, potrete continuare a leggere. Al mio tre tuffatevi. Uno. Due. Tre.
 Rachel stava pensando tutto ciò mentre l'aereo tremava sotto i colpi della pioggia e di quella leggera turbolenza che la paralizzava al suo posto. Deglutendo sonoramente chiuse gli occhi e pensò a quante altre cose avrebbe potuto fare e che mai avrebbe fatto se quell'aereo fosse precipitato.
Non si era mai fidanzata, l'unico bacio che aveva dato era stato da ubriaca a un nerd della facoltà di informatica e grazie a Dio era riuscita a eliminare tutte le foto.
 Non avrebbe potuto far sapere al mondo delle sue ricerche, non avrebbe potuto esporre le sue tesi ai congressi, non avrebbe potuto sentire “Oh, dottoressa, la stavamo aspettando”.
No. Niente.
Tutto per colpa di quello stupido tempo, di quello stupido stato, di quella stupida riserva.
Perché mai era ritornata? Perché si era lasciata sfuggire con il padre che le vacanze estive sarebbero state prolungate? E perché quell'idiota di suo fratello era scappato di casa, lasciandola con tremendi sensi di colpa all'idea di suoi padre da solo, con tutte le debilitazioni dovute alla sua malattia?
Perché era la solita sfigata, ecco perché, pensò.
Quando avvertì il leggero sobbalzo dell'atterraggio e la seguente frenata brusca, strinse i denti e un pugno, e unicamente quando l'aereo prese il classico andamento calmo e gentile che assume quando parcheggia e si avvicina al terminal riuscì a riprendere a respirare regolarmente.
Si alzò non appena diedero il permesso di farlo, prendendo numerosi spigoli di valige sulla testa, e per poco non le caddero gli occhiali. Fu spintonata fuori, verso il tubolare grigio, aspettando pazientemente che la folla defluisse, accusando il gelido arrivo di una goccia all'interno della sua maglietta, dietro al collo.
Sospirò tristemente e si avviò al ritiro bagagli, con il suo zaino ben stretto al petto. Dopo una lunga attesa raccolse il suo borsone zuppo e se lo caricò sulla spalla, modificando il suo andamento e arrancando fino all'uscita.
Qui, nuovamente, dovette accusare un ingorgo di gente in attesa dei taxi e con un enorme sforzo dovette aguzzare la vista cercando la sua amica. Leah.
L'aveva contattata gentilmente e lei aveva risposto alla sua chiamata; sapeva bene che chiunque altro, appena sarebbe venuta a prenderla, l'avrebbe sommersa di domande continue e fastidiose.
La sua amica d'infanzia stava dentro un pick up grigio, leggermente scostata rispetto all'entrata. Si avvicinò velocemente, cercando di evitare la pioggia proteggendosi con la felpa. Inutilmente.
Bussò al finestrino e ci volle un attimo prima che Leah spostasse lo sguardo da davanti a sé, quasi in modo vacuo, fino a lei. Entrambe sorrisero, in un modo unico, caldo e si sentì lo scatto delle serrature. La ragazza le fece cenno di entrare e questa velocemente gettò i suoi bagagli dietro, infilandosi con un guizzo nel sedile davanti.
-Quanto odio questo tempo- commentò, poggiandosi allo schienale e sorridendo tristemente.
-Mi mancavano i tuoi adorabili commenti- rise l'altra, allungandosi e stringendola -per lo meno non sembrerò più l'unica acida e cinica dei dintorni- scherzò, avvertendo che Rachel aveva ricambiato la stretta a sua volta.
-Dovresti venire a Washington, Lee-Lee- disse, staccandosi e starnutendo. Tirò su con il naso e sospirò. -Per lo meno, se nevica, ti avvertono alla tv e se piove... bhé, di sicuro non piove così a settembre!-
Leah mise in moto e uscì dal parcheggio, dirigendosi velocemente verso l'uscita e quindi verso la statale. Rachel iniziò a tremare, e guardò stralunata l'amica, che indossava una semplice maglietta a mezze maniche.
In quel momento, osservandola più attentamente, si rese conto di tante cose che aveva ignorato: portava i capelli corti e disordinati, cosa che lei non aveva mai fatto -detestava l'idea di non poterli legare e acconciare a suo piacimento-; il viso si era indurito e quegli occhi che aveva sempre considerato tra i più vispi e vivaci ora sembravano velati da un'assurda rabbia, offuscati dal rancore.
Le sembrò, per un attimo, di rivedere lei prima di partire. Sempre così contrita e pronta a esplodere.
-Non sarebbe male come proposta- mugugnò lentamente, poi sorrise e le disse, quasi scacciando quell'idea di fuga. -Sono felicissima che tu sia tornata, Rachel, non sai neanche quanto-
La ragazza le sorrise, dolcemente, e dimenticò di chiederle spiegazione sul fatto che con quel tempo non sentisse freddo e, al contrario, prese a rispondere a tutte le domande di Leah, che non assumevano quel tono inquisitore che avrebbero avuto se poste da altri, ma bensì erano tinte da quella curiosità dolce con la quale gli amici si rivolgono l'un l'altro.
Stranamente il viaggio durò poco e Leah, mentre l'aiutava a scaricare dalla macchina i bagagli con sconcertante facilità, riuscì a estrapolarle la promessa di venire al falò della sera seguente; come spalla, le disse.
Rachel, rientrando in casa, poté udire immediatamente la voce del fratello accoglierla con una pessima battuta, il padre venirle incontro e farle segno di chinarsi per abbracciarla.
La stritolò. Sia lui che quel silenzio assurdo nel quale il fratello era chiuso.
Sempre più cose le sembravano strane.

La sera dopo, tre l'eccitazione del padre e il viso mogio e crucciato di Jacob, uscì di casa. Il fratello si mise alla guida e considerando la faccia che aveva, Rachel si chiese più volte se nella sua mente bacata non covasse l'idea di sfracellarsi per un dirupo.
Non sapeva bene come mai fosse così giù di corda, aveva provato a chiedere al padre, sapendo già in partenza che Jake non le avrebbe detto nulla, neanche sotto tortura. Purtroppo, però, non riuscì a estrapolare nulla: amore. Tutto qui.
Rachel, inoltre, era troppo preoccupata dall'idea di doversi difendere dalle vecchie conoscenze e dalle loro fastidiose domande.
Contro la sua volontà, per di più, il pensiero di lui la tormentava. Il sapere che l'avrebbe incontrato, che avrebbe rivisto quel fastidioso ghignetto sulle sue labbra, quegli occhi sempre troppo maliziosi per i suoi gusti, e la sua voce, irritante e rauca, come se urlasse troppo e che quindi non riuscisse mai a conservarla tutta.
Paul. Paul Simor. L'essere inetto che aveva rovinato la sua infanzia e la sua adolescenza. Il distruttore di pastelli, il depredatore di astucci, il boia delle bambole, il petulante ginnasta. Lui. Fastidiosamente lui.
Arrivarono al parcheggio davanti alla spiaggia e con stupore vide suo fratello prendere il padre in braccio, con una semplicità dei movimenti tale che la lasciò senza parole.
In generale, molte cose l'avevano lasciata basita; prima fra tutte il fisico possente di Jacob, che dal ragazzo smilzo quale era, si era trasmutato in un gigantesco bestione palestrato.
Si sentivano già le risate dalla spiaggia, le urla dei ragazzi e i tentativi di alcuni di gettare un povero disgraziato in mare, del quale si vedeva solo la sagoma scura.
Rachel sospirò profondamente e si avviò. Spingeva la carrozzella del padre, faticosamente, e solo l'intervento di Jake, che l'aiutò, le permise di raggiungere il falò.
Il fuoco scoppiettava e notò nitidamente tutte quelle brave ragazze, che al liceo erano le magnifiche reginette della scuola, sempre brave e gentili, intente a ridere e a preparare la cena. In disparte stava Leah, seduta su un tronco, scrutando torva davanti a sé. I più anziani erano seduti e chiacchieravano tra di loro; Jake lasciò Billy tra i suoi amici, poi, con la testa china e la schiena curva, si avvicinò a quel cumulo di corpi in penombra che lo salutarono con una serie di versi che a Rachel ricordarono quelli di un branco di cani.
Storse il naso e si lasciò cadere pesantemente sulla sabbia, accanto a Leah.
-Sempre uguale, vero?- sospirò, alzando leggermente la testa.
-Anche peggio- sorrise amaramente e affondò il viso in un bicchiere di birra. -Sempre astemia?- rise e glielo porse, per fare una prova.
-Sì- confermò quasi con orgoglio, declinandolo con un cenno del capo.
Ci fu un attimo di silenzio, interrotto dalla risata sguaiata di Paul. Rachel si gelò, non voleva neanche vederlo; sapeva che sarebbe iniziata la diatriba, quell'eterna lotta.
-Chi si rivede! L'acida numero uno della riserva! Sento già odore di yougurt scaduto- sghignazzò.
Eppure, sentì un nuovo brivido percorrergli la schiena: quel profumo superava tutto: la fragranza accattivante e gustosa della carne arrosto, l'odore acre e forte del fumo, quello della salsedine, alzata dal vento.
Rachel si voltò, con un sopracciglio inarcato e lì, proprio in quel momento, zac! Fregato!
Oh, avrebbe voluto scappare da lì, quanto lo avrebbe voluto.
Sembrava come se all'improvviso una parte di sé fosse stata sbalzata fuori e con tutta la sua forza stesse cercando di aggrapparsi a quel corpo. Lo graffiava, mentre veniva scacciato.
E quell'altro lui, che da anni stava accucciato nell'ombra, cercando di emergere, finalmente aveva campo libero.
Come saltava e come gioiva! Lo inondava di quell'amore per troppo tempo reciso e continuamente oscurato. Era una fonte in primavera, il ghiaccio invernale si era finalmente sciolto e andava a irrorarlo tutto.
Quegli occhi, avevano perso la scintilla di superbia che gli aveva sempre affibbiato, guadagnando una luce unica e speciale, così viva, così vispa.
Quella bocca, sempre tesa e contrita quando lo vedeva, ora era socchiusa in stupore. E quelle labbra rosa come erano belle e piene.
Paul desiderò solo baciarle e baciarla ancora. Farle diventare ancora più rosse grazie ai suoi baci.
Quel naso, che gli era sempre sembrato tirato all'insù, con stizza, come mai in quel momento gli sembrò la cosa più armoniosa di tutto il creato?
E il corpo! Oh, quel corpo che aveva sempre disprezzato e creduto brutto, era perfetto.
Sì, perfetto e magnifico.
Paul aveva smesso di respirare, deglutiva ripetutamente, e solo dopo un lungo minuto riuscì a riprendere una lunga boccata d'aria.
Leah lo guardava stupita e intendendo tutto -che faccia da pesce lesso che aveva!- guardò all'istante Rachel, che, a sua volta, lo fissava sconvolta.
Avrebbe voluto insultarlo, come suo solito, avrebbe voluto appellarlo “nano”.
Ma non poté. Non poté farlo non perché ormai era un enorme gigante, proprio come il fratello, ma semplicemente perché non voleva.
Non riusciva più a dire nulla di cattivo verso quello sguardo che la fissava con intensità e meraviglia.
Sembrava un miracolato, pensò.
-Rachel...- lo mormorò sottovoce, come se pensasse che quel momento fosse una visione e in verità non fosse successo nulla.
Magari era solo un sogno, si ripeteva in mente.
La voce, Rachel colse il suono di quella voce e non riuscì a pensare altro se non: amore.
Come ne era intrisa e come ne faceva buon uso.
Si rivolgeva a lei con estrema dolcezza e ora si era chinato a sorriderle.
-Non mi saluti, Rachel?- chiese, senza vena di sarcasmo.
Continuava a ripetere quel nome, più volte, incidendolo nella sua mente e in tutto se stesso.
La ragazza annuì e balbettò qualcosa: -ciao- secco, preciso.
Non capiva più niente. Quel turbine di sentimenti e sensazioni li stava travolgendo entrambi e nessuno dei due sapeva bene il perché; Paul non avrebbe mai e poi mai creduto possibile che l'imprinting avrebbe potuto colpire anche lui, Rachel perché semplicemente non ne era a conoscenza.
Eppure, quale gioia negli occhi di entrambi; quale fantastica espressione sui loro volti.
Scomparve il falò, scomparvero gli amici, scomparvero i parenti e tutto il resto. Il mare divenne solo un rumore, la scogliera un'ombra lontana.
-Non sei cambiata per niente- si sedette al suo fianco, con goffaggine e lei si fece un poco più in là.
Leah li guardò e trattenendo un gemito disperato, di rabbia e frustrazione, se ne andò. L'ennesimo tonto a cadere nella rete. E pure Rachel!
-Invece tu sei un altro- mormorò lei, arrossendo lievemente, non riuscendo più a controllare il più piccolo dei gesti.
Passandosi una mano nervosa tra i capelli cercava di spiarlo senza farsi vedere.
Era sparito lo strafottente idiota del liceo, lo stupido delle elementari. Svanito nel nulla, sostituito da quel ragazzo dalle fattezze straordinarie e quel sorriso che scioglieva l'anima.
-Completamente- sorrise lui, sfiorandole le dita intrecciate tra quei fili scuri e pesanti.
-Completamente- ripeté Rachel, sorridendo tra sé e capendo che, quella nuova versione del suo Paul , ormai era suo, ne era consapevole, le sarebbe piaciuta.
Oh, quanto le sarebbe piaciuta!

Ora è finito tutto. Non voglio narrare oltre, ho altro da fare, nonostante questi due mi abbiano tenuto impiegato per molto.
Un bambino con un archetto mi richiede a lavoro e non posso rimanere oltre.
Spero di essere stato un buon narratore e di avervi saputo appassionare abbastanza, io ho fatto del mio meglio, ve lo assicuro.
Scacchiere di fiducia, abile manovale di sentimenti e costruttore di storie,
sempre vostro,
Destino.




Angolo autrice:
Ah, quanto ci ho messo, vero? Mi avete dato per dispersa, morta, annegata, affogata. No, semplicemente non avevo il cervello per continuare questa storia, insieme a tutte le altre long. Però, sforzandomi, ho sfruttato una settimana di vacanza, senza internet XD, e ho buttato giù questo ultimo capitolo.
Avete scoperto chi è il narratore e quanti di voi avevano azzeccato?
Mi spiace che questo sia l'ultimo capitolo, ma credo che ritornerò con questi due. Magari, non lo so. Forse con qualche raccolta partecipante a qualche community su LJ, visto che ultimamente mi ha molto ispirato come piattaforma web.
Il museo in cui lavora Rachel è il museo di Arte Nativa di Washington, l'anno scorso ci ho passato una giornata e mezza. Bellissimo. Meraviglioso.
Ho sempre immaginato Rachel e Leah amiche (: Leah per me è sempre stata una ragazza forte, anche quando stava con Sam.
Passo ora a ringraziare i 21 che la preferiscono e i 22 che la seguono. Infinite grazie per avermi seguito in questo piccolo viaggio durato pochi capitoli, ma nei quali ho messo molta me stessa.
Un grazie speciale va anche a chi ha commentato, facendosi sentire e facendomi capire che la storia valeva qualcosa e c'era effettivamente qualcuno che ne traeva un piccolo piacere.
E un grazie a chi ha commentato l'ultimo capitolo.
Uchiha_girl: grazie mille. Sapere che ciò che scrivo sembra reale è una tra le più grandi gioie che possono smuovermi! Tutto ciò che volevo -in particolar modo in questa ff- era di trasmettervi sentimenti il più possibile genuini e semplici e se tu mi dici che ci sono riuscita... bhé! Sono più che felice! Direi che lo ha proprio inteso ;) Arrivederci e spero di ritrovarti in giro per EFP!
beba94: sono una pessima fanwriter @.@ i miei lettori mi odieranno per il tempo che impiego nell'aggiornare! Grazie mille per i complimenti e alla prossima ff su Pul e Rachel!
 daniciao: ecco qui il seguito e anche il finale (: Grazie per avermi letto!
NocturneViolin_: direi che qui la vergonosa e quella che fa schifo sono io D: considerando quanto ci metto per aggironare :\ Tutta? Te la rileggi sempre tutta? Wow, cara, veramente wow. Ti ammiro e ti ringrazio nello stesso tempo. Le tue parole sono sempre efficaci! Arrivano al mio cuoricino <3 e i tuoi commenti... oh, sfiorano le lodi (L) Grazie per avermi seguito in questa piccola avventura, per essere sempre stata presente a ogni capitolo e per esserti lasciata trascinare dalle mie parole. Grazie. Tutto qui. Grazie.
_VioletDAY: eccolo qua. Grazie per il tuo commento e per la folle impresa di leggere tutto insieme!

Ho finito qui, gente.
Vi saluto con immenso dispiacere e mi accingo a chiudere questo piccolo sipario.
Spero in un commmento di saluto (:
Arrivederci,



Per qualunque domanda, attinente alla storia, a me o agli uccellini che cantano fuori dalla mia finestra, potete usare questo sito e porgermela anonimamente
Mi diverto terribilmente a rispondere *-*.
   
 
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