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Autore: Ely79    10/07/2010    3 recensioni
Harry è Auror e vive a Grimmauld Place con la sua famiglia, ma il palazzo cade a pezzi e le memorie dei Black ingombrano ancora le stanze. Ginny, preoccupata per James e Albus e per la figlioletta in arrivo, decide di rivolgersi a chi può dar loro una mano.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Sirius Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Tavola 9 - Fine lavori
Oltre la finestra, i rami verdeggianti di un albero. Foglie stormivano lievi e vibravano contro un cielo di lapislazzuli. La luce inondava ogni angolo tersa e cristallina, ma Camille viveva un crepuscolo novembrino.
Guardava le spesse bende che avvolgevano braccio e ginocchio destri, provando l’immotivato desiderio di sentirle stringersi in una morsa. Eppure il dolore c’era, continuo e sfibrante anche quando tentava di dormire. Scivolava fra le sorsate delle pozioni ricostituenti, fra i granelli delle polveri disinfettanti, filtrava dalle tende accostate. Talvolta si domandava perché cercarne altro e la sola risposta che trovava era che se lo sarebbe meritata. Ricordava ogni fitta provata sui gradini, contro i pilastrini della balaustra, il peso del bambino stretto al suo petto, la paura.
Nessuno era andato a trovarla da quando aveva riaperto gli occhi e questo, a suo giudizio, indicava della correttezza del ragionamento. Ernest era lontano per affari, dubitava che qualcuno l’avesse informato dell’accaduto: andava in bestia se veniva interrotto mentre era all’opera, nel vero senso della parola. Fosse pure risorto Voldemort una seconda volta, nulla l’avrebbe distratto dalle contrattazioni. I Potter dovevano essere furiosi, visto che per colpa sua un estraneo, un ladro, era riuscito ad introdursi in casa, saccheggiando i preziosi ed arrivando molto vicino a far del male a James Sirius. Aveva procurato loro un bel po’ di guai e li aveva lasciati con la casa a metà. Bel servizio. Davvero di prim’ordine. Degno dell’Archimaga Goldstein. Se ne sarebbe vergognata, se avesse avuto ancora un po’ di forze. Persino Lappie si era ben guardata dall’avvicinarla. Probabilmente aveva preferito starsene a morire di fame a casa, piuttosto che sincerarsi delle condizioni di quell’ingrata padrona.
Inutili le moine dei guaritori e del personale sanitario per spingerla a reagire: voleva solo crogiolarsi nell’amarezza e nel senso di colpa. L’intenzione di autocommiserarsi a vita cominciava a piacerle. Ipotizzava di tenere le bende, per ricordare l’accaduto ogni volta che avesse visto riflesso da qualche parte quell’obbrobrio che era la sua immagine. I medimaghi le avevano spiegato di non aver proceduto con pozioni e incantesimi saldanti a causa del suo stato di salute, tutt’altro che buono. Era arrivata in clinica debilitata, allo stremo delle forze, difficilmente avrebbe retto un paio di giorni ancora. A quel punto desiderava di non tornare ad essere sana mai più. Avrebbe vissuto in qualche misera abitazione di periferia usufruendo dei sussidi di disoccupazione Babbani, evitando di danneggiare altri clienti, esiliata dal mondo magico.
Sì, decisamente la migliore prospettiva a cui potesse ambire un’incapace come lei. Aveva studiato tanto per cosa? Per mettere insieme il peggior esempio di negligenza, un’enorme fiera della mancanza, dell’errore. Elder doveva averlo saputo e probabilmente stava già festeggiando. Una concorrente in meno e le sue tesi sull’incapacità dei giovani avvalorate. Avrebbero fatto bene a toglierle il M.A.G.O. e se non l’avessero fatto d’ufficio, l’avrebbe chiesto lei stessa. Strega. Ma quale strega? Era una pessima imitazione della peggior fattucchiera del mondo.
Alla fine, le parole di Francis si erano rivelate veritiere: era rimasta sola. Aveva creduto di poter affrontare le sfide della vita in solitaria, che la presenza di un’altra persona accanto non fosse così determinante. Ma nell’immobilità forzata del letto, scopriva quanto la solitudine la spaventasse a morte. Aveva disperatamente bisogno che ci fosse qualcuno al suo fianco, anche solo per rimproverarla o guardarla in silenzio.
Invece era sola, nessuno l’avrebbe difesa.
«Le ho fatto male?» chiese l’infermiera, sentendola trasalire.
Scosse il capo senza guardarla. Presa dai suoi grigi pensieri, non l’aveva notata. In fondo, la cosa la sfiorava a malapena: entro una settimana avrebbe lasciato il San Mungo e sarebbe tornata a casa. L’avrebbe dimenticata, insieme a molte altre facce che vedeva giornalmente.
«Ttega?» pigolarono lì accanto.
Sbarrò gli occhi, credendo d’essersi ingannata. Doveva aver scambiato il cigolio del materasso per una voce. Chi avrebbe portato un bambino là dentro?
Girò impercettibilmente lo sguardo sull’infermiera e la vide sorridere a qualcuno che stava in basso.
«James… Sirius?» azzardò timidamente, aspettandosi che quella domandasse chi chiamava.
«’ao!» salutarono un paio d’occhi castani dietro un piccolo dono.
Rimase qualche istante a bocca aperta, cercando d’inquadrare l’ospite che superava di poco il bordo del letto.
«Fioellino» spiegò, sventolandoglielo davanti al naso.
«Oh, ma che carino!» esclamò l’infermiera, facendogli un buffetto.
«No!» protestò James, ritraendosi.
«Che tipetto suo figlio!» fece il paramedico, tutt’altro che indispettita.
«Lui… non è mio figlio. È…»
«Capomatto!» rispose James indicando la medaglia sul petto.
Il suo piccolo apprendista che fingeva d’incantare i muri con una bacchetta di cioccolato. Aveva ancora voglia di starle appiccicato, dopo averlo trascinato giù dalle scale. Si morse le labbra per trattenere un impulso strano e indecifrabile.
«Sì, il mio capomastro» confermò con un filo di voce.
Occorsero ancora alcuni incantesimi perché le bende pulite prendessero il posto di quelle vecchie. Il lezzo nauseante degli unguenti lasciò una breve traccia alle spalle della donna che usciva, lasciandoli soli.
«Fioellino!» insisté il visitatore.
Con mano tremante, Camille sfiorò la minuscola spiga d’erica che le porgeva. James le cacciò lo stelo tra le dita, estremamente compiaciuto del suo stupore.
«Faianinna?»
Di nuovo, la maga perse la parola. Il marmocchio aveva quell’arcano potere.
«Ninna? Oh, n-no… non dormo»
«Nelletto» osservò, tirando le lenzuola.
«S-sì, è… è vero, sono a letto ma non devo dormire»
«Aia bua?» chiese, indicando le garze.
«Passa presto» e sollevò un poco il braccio, per mostrargli che non mentiva.
«Acchiio» e mostrò orgoglioso una consistente sbucciatura sul gomito.
Camille trattenne il respiro. La crosta rossastra era piuttosto recente.
«Come te lo sei fatto, James Sirius?»
«Caccato a giaddino»
«Sei caduto in giardino? Quello dietro casa?»
Si diede della stupida. Non Avrebbe dovuto sapere che prima o poi avrebbe imboccato il passaggio che dall’atrio portava al piccolo spazio verde. Era disastroso, pieno di gibbosità, radici sporgenti, giocattoli abbandonati e non l’aveva ancora sistemato. Aveva previsto di realizzare un piccolo patio rialzato, aiuole, un piccolo sentiero in mattoni che… Chiuse gli occhi. Inutile pensarci.
«Come sei caduto?»
«Igatto. Chiccè o deve buttae via!» si lagnò.
«Gatto? Quale gatto?»
«Igatto butto didiammione»
Camille era incapace d’afferrare di chi stesse parlando. Non sapeva di Grattastinchi, il vecchio gatto della zia, e della loro reciproca insofferenza.
«Dov’è tua madre?»
In risposta, il piccolo corse fuori chiamandola a gran voce. Pochi istanti e la chioma rossa di Ginevra Potter si affacciò alla porta.
«Vedo che il piano ha funzionato» sorrise, divertita dall’espressione stranita della paziente. «L’ho mandato in avanscoperta, perché non ero sicura volessi vedermi»
Lei scosse la testa per nascondere il proprio disagio.
«Ero certa fosse lei a non volermi vedere» rispose con lo sguardo basso.
«E perché mai?» domandò, accomodandosi sulla sedia accanto al letto.
La gravidanza era prossima alla conclusione e le rotondità pesavano troppo per sostenerle a lungo sulle sole gambe.
«Per quello che è accaduto» rispose dolente. «Io… non so davvero come chiedervi perdono e… se riterrete opportuno affidare i… lavori ad un altro Archimago… sono d’accordo. Anzi, se permette potrei farle nomi di professionisti decisamente più abili ed attenti della sottoscritta»
Ginny si sistemò sulla sedia, perplessa. Quella voce incerta era molto distante da quella a cui era abituata.
«Sono cose che succedono. I topi d’appartamento entrano ed escono dalle case ogni giorno. E casa nostra è un bersaglio più che appetibile. Era stata già svaligiata prima che andassimo a viverci!»
«Ma è stato a causa dei miei errori se quell’uomo è entrato. E James Sirius… avrebbe potuto…»
Avrebbe voluto dire altro, chiarire l’accaduto, ma il sorriso furbo del bimbo la fece distrarre.
«Abbu è co papà. È piccoo, piagge. Io gaaande!» spiegò, seguendo un discorso tutto personale.
«Poteva fare, ma non ha fatto» l’interruppe la donna. «Voleva vendicarsi di Harry per averlo arrestato mesi fa. Certo Miles non credeva di doversi scontrare con un’Archiamaga ed un elfo domestico tanto agguerriti. L’avete spiazzato e dubito si farà rivedere tanto presto. Kreacher gli ha quasi fatto lo scalpo, mentre sembra che lei abbia tolto a Marvin il piacere di rifargli il setto nasale»
Ginevra trovava preoccupante la sua frustrazione e tentava di risollevarle il morale con quei dettagli ridicoli. Le aveva sempre dato l’idea di una persona molto forte e determinata. Stentava a riconoscerla in quelle condizioni.
«Avete fatto i conti?» chiese ad un tratto la Goldestin, tormentando un lembo dei medicamenti.
«Conti?»
Che le dessero una scopa in testa se fosse riuscita a capire dove voleva arrivare con quella domanda.
«Per l’ammontare delle penali»
«Penali?!?» chiese la cronista, strabuzzando gli occhi.
Camille annuì, continuando a rigirare tristemente la garza.
«Erano indicate chiaramente nel contratto. “In caso di ritardo nella consegna delle opere oggetto d’appalto, verrà applicata una penale pari a…”» citò, ma l’interlocutrice era di ben altro avviso.
«Andiamo, sii seria! Vuoi parlare di lavoro proprio ora? In una stanza d’ospedale? Dovresti pensare solo a guarire!» esclamò, perdendo l’abituale distacco cliente/Archimaga.
«Guaicci? Tì?» intervenne James, cercando di arrampicarsi sul letto.
La donna gli rivolse una rapida occhiata, accennando un mesto consenso.
«La mia salute conta poco. I danni che vi sto arrecando…»
«No!» protestò spazientita Ginevra, incerta se rivolgersi a quella zuccona Corvonero o al figlio che tentava la scalata. «Sai quanto me ne importa se sei in ritardo? Ti sei ammazzata di lavoro per accontentarmi, ma soprattutto per dar retta a mio marito e alle sue assurde paturnie! Sei finita qui per proteggere mio figlio. Mi sembrano giustificazioni più che accettabili per un ritardo di qualche giorno»
«I guaritori parlano di almeno un mese di assoluto riposo» disse, posando l’erica sulla fasciatura. «Non potrò concludere prima della nascita della bambina come stabilito. È una mancanza oltraggiosa»
La sua totale dedizione agli impegni presi era quasi irritante.
«Finiscila!» sbottò, ma notando il malessere che seguitava ad oscurarle il viso, cambiò tono. «Ti prendi sempre così sul serio, Camille? Sai che esiste una cosa chiamata perdono? E tu dovresti imparare a perdonarti»
«Perdonarmi non servirà a mantenere gli accordi» obbiettò.
La signora Potter pensò che quella strega meritasse d’essere presa a schiaffi.
«E allora? Non ho Voldemort che minaccia di farmi fuori se non finisci i lavori per fine maggio!»
«Butto, Voddemott!» trillò il bambino dando una pacca al letto, fingendo fosse il nemico.
«Molto brutto, Jamie. Picchialo ancora» concordò la madre, soddisfatta nel vederlo obbedire per una volta. «Se questa peste bubbonica è tutta intera e dorme beata nel suo lettino dopo aver combinato ogni genere di guai, facendomi impazzire da mattina a sera, lo devo a te. Hai fatto più di quello che ti veniva chiesto. Quindi, prenditi tutto il tempo che ti serve per guarire e per terminare i tuoi favolosi incantesimi di ristrutturazione»
«V-volete che lavori ancora per voi? A Grimmauld Place?»
Era incredula, lo sguardo sgranato lo confermava. Aveva dato per scontato il suo licenziamento in tronco.
«Non toglierei mai una pluffa ad un ottimo Cacciatore. Specie se quel Cacciatore gioca nella mia squadra. Che diritto avrei di farlo?»
«E… suo marito? È d’accordo?»
«Vorrei vedere! Se non lo fosse finirebbe gonfiato come una mongolfiera. E non da me» disse, strizzando l’occhio. «Sai a chi mi riferisco»
Ora Camille sapeva da chi James avesse ereditato la capacità di ammutolire le persone. Sua madre.
«Centro! Dieci punti!» esclamò ridendo all’espressione attonita dell’altra, che aveva palesemente indovinato chi fosse il mago in causa. «Harry e David l’hanno trascinato via a forza. Avrebbero chiesto aiuto anche a mio fratello, ma era talmente su di giri per la nascita del bambino che praticamente camminava sul soffitto!»
«Oh… congratulazioni» sospirò, mentre James saltellava canticchiando “cu-gi-e-tto, cu-gi-e-tto”.
«Grazie, ma non è di questo che stiamo parlando» le rammentò. «Francis è stato qui da quando ti hanno ricoverata fino a tre giorni fa. È più ostinato di un Cerbero»
«Tre giorni fa ero sveglia. Non c’era» ribatté acida, prendendo quelle parole per una bugia inventata ad arte per farla riavvicinare al suo ex.
«Ti dice niente il fatto che sia un Auror? Era Occultato, furbona! Sarà ancora innamorato perso, ma non è così cretino da rischiare di farti star male! I medimaghi sono stati categorici sul tuo bisogno di tranquillità, però… al cuor non si comanda!»
«Deve dimenticarmi» tagliò corto, guardando in cagnesco Ginny quando scoppiò a ridere.
«Sai che si dice dei Grifondoro? Che sono testardi e non si arrendono mai, anche quando sono lì in un angolo zitti zitti. Sperano sempre. Io lo so»
«Ttega!» le interruppe James.
Era davanti alla finestra e la indicava col dito.
«Butta finetta! Io cabbio!» e cominciò ad agitare le manine soffiando, imitando il suono prodotto dagli incantesimi che lei usava abitualmente.
«Potrei lasciartelo finché non ti dimettono. Mi sembra d’aver visto una specie di sorriso…» sospirò la madre, allusiva.
«Una specie» confessò, colta in fallo.
«Beh, vediamo se almeno questa notizia ti tira su il morale» sghignazzò perfida e divertita. «Sai cos’è stata l’unica cosa che Miles è riuscito a portare via? Il ritratto di Walburga Black!»

***

Passarono altri giorni. La sua permanenza al San Mungo era prossima alla conclusione. Il rametto d’erica colorava il bicchiere sul comodino, dandole un po’ di sollievo. Lo preferiva al grande mazzo di variopinte orchidee inviato da Ernest. Si scusava per la sua assenza, avrebbe voluto esserle accanto dopo quello spavento, ma qualcosa di nuovo ed importante lo tratteneva a Parigi. Qualcosa che l’avrebbe resa estremamente felice, così diceva nel biglietto.
Fu un tuono a svegliarla. Un rimbombo poderoso e selvaggio. Aprì gli occhi sulla debole luce della camera. Aloni mobili sul soffitto e sui muri le dissero che le cateratte erano state aperte.
Il ginocchio pulsava fastidioso. Cercò d’appoggiare meglio la gamba, quando si accorse di avere visite.
Avrebbe pensato ad un medimago venuto a controllarla, se non avesse visto quella giacca posata in fondo al letto. Dopo la visita della signora Potter, attendeva quella meno cordiale del marito, ma non era lui che si muoveva silenzioso per la stanza. Per un attimo pensò al ladro, venuto a vendicarsi del colpo andato a monte, rendendosi conto però che solo uno stupido avrebbe atteso il suo risveglio per mettere in atto tali propositi.
Le occorse qualche minuto per realizzare che la persona era Francis. Non si radeva da giorni, aveva i capelli arruffati. Le guance scavate facevano sembrare ancor più allungato il suo viso. Aveva un’aria da degente peggiore della sua. Oppure era l’effetto della pioggia che scorreva sui vetri.
Quasi avesse percepito il suo risveglio, si volse, avvicinandosi con un sorriso. Un sorriso gentile, caldo, sincero.
«Sei venuto a gongolare?» ringhiò voltandosi dall’altra parte.
Quella dolcezza minacciava di scatenarle una crisi di pianto. Uno sfogo che arginava da giorni.
«Dovrei?» domandò, reprimendo a fatica uno sbadiglio.
Nonostante l’avessero messo a riposo forzato, costringendolo a starsene a casa con la scusa ufficiale di smaltire ferie arretrate guardato a vista dai colleghi, non aveva chiuso occhio. La lontananza da Camille l’aveva reso isterico e insonne.
«È andato tutto come avevi previsto, no?» borbottò rannicchiandosi.
«Perché? Cos’avevo detto?»
Mordendosi il labbro, l’Archimaga si fece forza. Le seccava dover ammettere come stessero le cose.
«Che sarei rimasta sola a causa del mio lavoro»
«Della tua fissazione per il lavoro» specificò Francis, sedendole accanto. «Non sono la Cooman. Non ho il dono della preveggenza, sempre che pure quella ce l’abbia. E nemmeno mi ritrovo una connessione mentale con qualche mago oscuro come il capo. Ero solo molto arrabbiato, stanco, affamato. E sessualmente represso»
«Francis…»
«Ehi, non sono un Golem! Ho delle necessità. E tu le condividevi con un certo entusiasmo» sottolineò aspro.
«Se sei venuto a rinfacciarmi quel che è successo sei anni fa, grazie, ho ben altro farmi star male» replicò, scrutandolo accusatoria da sopra la spalla.
Lui cercò di controbattere, aprendo e chiudendo la bocca, senza emettere alcun suono. Restò per un po’ a guardare quella schiena, avvolta da semplici lenzuola di cotone, rivivendo ogni notte in cui l’aveva sentita singhiozzare, là, a Dublino.
«Girati, Camille. Mi hai sempre detto che ci si guarda in faccia quando si parla» disse allungando la mano, ma la strega lo scrollò via, decisa a non farsi toccare. «Sei convinta che io sia qui perché voglio riconquistarti, perché non ti ho mai dimenticata, sei l’unico amore della mia vita, senza di te mi sento solo un bambino troppo cresciuto con una bacchetta in mano che non so come usare, perché è come se mi mancasse il sole-la luna-il mare-l’aria e bla-bla-bla… ma posso assicurarti che ti sbagli. Cioè, sì, è vero che ti voglio ancora bene, ma tu non me ne vuoi. Non come prima. Per niente. Hai voltato pagina e non hai più bisogno di me. E io… insomma… ci siamo ritrovati, no? Siamo qui. Vorrà dire qualcosa!»
«Mi fai venire il mal di testa quando parli così» sibilò, fingendosi risentita.
In realtà desiderava vederlo andar via per non dover fare i conti con il desiderio, sempre più impellente, di lasciarsi confortare. Francis era sempre stato molto bravo in quel genere di cose, ma non poteva tornare ad essere la sua ancora di salvezza. Lui non faceva più parte della sua vita.
«Lo so. Scusa. Quel che voglio dire è… è che non sei sola. Un amico ce l’hai. Oltre al nanerottolo di Potter intendo. Se mi vuoi come amico»
Sorpresa, tornò a volgersi un poco verso l’Auror. Sapeva che il piccolo James Sirius aveva fatto breccia nel suo cuore? Che era riuscito a farsi voler bene quando lei preferiva tenere le distanze dai clienti?
Poi i pensieri cambiarono bruscamente prospettiva. Lo fissò a lungo, scettica.
«Sei un pessimo bugiardo, Francis. Lo sei sempre stato»
«È la verità, giuro!» rispose, levando le mani in alto.
Faticosamente, Camille si mise a sedere.
«Non giurare, Grifondoro. Non potresti tener fede a questa promessa, ti conosco troppo bene. Parli d’impulso e finisci col morderti la lingua»
«Mi stai dando dello spergiuro?»
«Dico che mi ami ancora e non ti rassegnerai mai al fatto che tra noi è finita»
Francis scattò in piedi per impedirsi di commettere qualche sciocchezza. Camminò per la stanza, cambiando direzione ogni due passi. L’Archimaga non sapeva cosa pensare: non l’aveva mai visto comportarsi a quel modo. Dopo qualche minuto si fermò, grattandosi nervosamente la testa, e tornò spedito e minaccioso verso al letto.
Al diavolo l’orgoglio e al diavolo pure quel damerino di MacMillan con i suoi soldi, i suoi contatti altolocati e tutto il resto.
«Okay, cornacchia! È vero, è come dici tu. Ti amo ancora, ti adoro, ti venero sopra ogni altra cosa, ti sogno ogni notte, ti penso ogni secondo del giorno, ti vedo ovunque, ti rivorrei tra le mie braccia e lotterei col mondo intero per questo» snocciolò e, scorgendo un’ombra di tentennamento, proseguì addolcendosi: «Ma visto che non cederai mai, perché sei cocciuta come un Drago incartapecorito ed hai già un altro rompiscatole ad occupare la tua vita, mi arrendo. Cedo le armi. Hai vinto, cornacchia. Ma almeno, mi vuoi come amico? Uno di quelli che ti Smaterializzano a casa quando esci dall’ospedale quando non c’è nessun altro a farlo? Che ti portano la slavina di pergamene e libri che compri ogni quindici giorni per tenerti aggiornata? Che stanno a sentirti in silenzio quando la tua giornata è andata storta anche se ne hanno avuta una ancora più brutta? Che ti preparano una bella zuppa di cavolo nero con tanto tanto tanto aceto…»
«Ti prego, non ho intenzione di restare a vita qui dentro» rampognò la donna, storcendo il naso al ricordo del malsano manicaretto che le aveva preparato anni addietro.
«Andiamo, ammettilo: nessun altro ti ha mai preparato niente di simile» fece lui, smorfioso.
Dubitava che Macmillan avesse mai messo piede in una cucina, escluse quelle dei suoi lussuosissimi alberghi e ristoranti. E comunque, mai con l’intento di mettersi a spadellare per lei.
«Grazie al cielo, no» ammise, cercando d’ignorare il sorriso affettuoso che le rivolgeva.
Francis le prese la mano mentre si lasciava cadere sul letto, che cigolò penosamente.
«Tienimi come amico. Sarò inoffensivo, lo prometto. Basta solo che tu lo dica e sarò solo questo: un buon amico. Niente più del tuo sciocco Grifondoro» aggiungendo dimesso: «So stare al mio posto, credimi. Me l’hanno insegnato bene negli Auror»
Il calore di quel contatto le diede le vertigini. Non era la mano del suo fidanzato di un tempo. Era una mano sconosciuta, grande e ruvida, eppure sentiva che quel tocco era rimasto lo stesso di quando stavano insieme.
«Non sono sicura…» disse, sentendo la voce assottigliarsi.
«Dammi una possibilità, Camille»
Gli occhi azzurri dell’uomo apparvero di fronte a lei. Cercava di persuaderla a dargli retta. Sapeva di non potersi fidare di un Grifondoro. Di quel Grifondoro.
«Francis…»
«Per favore… amica mia. Una possibilità al tuo sciocco Grifondoro. Una sola»


Con questo capitolo ci avviamo alla conclusione. Il prossimo sarà l’epilogo. Lo so, state già pensando di trucidarmi…
Ben arrivate ad AundreaMalfoy, Cerenyse, Owly, superkina e _screps_. Anche se siamo agli sgoccioli, ribadisco che le vostre comunicazioni, di qualunque tipo, sono ben accette.
Per Emily Doyle: sintetica!^^
Per Circe: spero che questo capitolo abbia chiarito i tuoi dubbi.
Per Foolfetta: beh, complimenti per aver indovinato la presenza di Francis al San Mungo! Come vedi anche qui James non lesina sull’affetto che prova per la ttega. Quanto a Miles, la sua vendetta (qualunque cosa comportasse) è andata a monte, certo come ladro non è un granché, visto cosa si è portato via… ^^
   
 
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