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Autore: Akemichan    18/09/2005    1 recensioni
Un triangolo a tre fra una famosa regina, il suo più fedele servitore e una pittrice... Ai tempi dell'antico Egitto!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Antichità
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Tuthmosis finì

 

Tuthmosis finì, con sommo sollievo, di controllare le ultime pratiche che il visir gli aveva consegnato, sulla situazione del doppio granaio. Mentre arrotolava il papiro giallastro e lo collocava ordinatamente a fianco degli altri, pensò che, dopotutto, Hatshepsut gli affidava quei lavori non perchè lo tenesse in qualche considerazione, ma solamente per liberarsi di un fastidio inutile che si poteva tranquillamente delegare ad un ragazzino.

Questo atteggiamento lo irritava per due motivi essenziali: il primo, più superficiale, riguardava il suo odio per qualunque lavoro statico, come aveva sempre mal tollerato le lezioni di scrittura. Il secondo, invece, era talmente radicato in profondità che lui stesso si rifiutava di ammetterlo. Se Hatshepsut lo sfruttava solamente, significava che non era ancora riuscito nella sua intenzione di diventare un Faraone capace di farsi rispettare. Desiderava diventare forte, talmente forte da guadagnarsi l'ammirazione della regina che, lo sapeva bene, lo detestava per essere il figlio dell'uomo che odiava.

Si alzò dalla scrivania, stiracchiando le braccia fino a sentire i muscoli, sviluppatisi per i duri allenamenti a cui si era sottoposto in quei tre anni, tendersi e rimettersi in moto. Considerato che Hatshepsut si stava occupando delle udienze e che lui aveva finito di occuparsi delle faccende più noiose, avrebbe anche potuto uscire per andare a visitare la caserma di Waseb senza dover informare la "reggente"...

Così fece: uscì dal palazzo, andò nelle scuderie e ordinò al primo stalliere che trovò di preparargli un carro e di portarlo alla caserma. Sapeva che Hatshepsut non l'avrebbe approvato, non del tutto, almeno. Sembrava che cercasse di tenerlo lontano da qualunque centro di potere e, più il tempo passava e lui cresceva, più la situazione peggiorava. Forse che lei lo temesse? Tuthmosis ne dubitava: dubitava che Hatshepsut avesse mai temuto qualcuno in vita sua. Voleva solo il potere e, grazie alla sua abilità, lo aveva ottenuto. Peccato. Se davvero avesse avuto paura, avrebbe significato che, un poco, lui contava ai suoi occhi.

Arrivato alla caserma, si stupì molto della confusione che vi regnava. Sapeva che Hatshepsut non aveva intenzione di condurre una guerra e che quindi teneva l'esercito a riposo, perciò poteva esserci solo un'unica spiegazione: si trattava di un'insurrezione! Balzò immediatamente giù dal carro ed entrò nel campo di addestramento che precedeva l'edificio. «Che succede qui?!» E pregò che la sua voce risultasse abbastanza autoritaria, sebbene il suono non gli sembrasse ancora in grado di eseguire un comando decente.

I soldati si bloccarono, riconoscendolo nonostante l'abbigliamento succinto e poco nobile che indossava, e si inchinarono senza risistemarsi nei giusti ranghi, osannandolo. «Potente Ra...» fischiò leggermente Tuthmosis, compiaciuto per quell'atteggiamento a cui era non troppo abituato. «Che succede, qui?» ripetè la domanda, apprendendo con sollievo che non si trattava di una rivolta.

«Che succede?» gli fece eco un'altra voce, entrando nella stanza da una delle porte laterali. «Maestà!» L'uomo, imbarazzato, fece per inchinarsi, ma Tuthmosis lo interruppe prima.

«Spiegami che accade, Nehesy» disse severo, incrociando le braccia sul petto. Quell'uomo, il giovane Faraone non riusciva proprio a sopportarlo. Sorrise debolmente: quest'antipatia era probabilmente l'unica cosa che aveva in comune con Senmut, l'amante della sua matrigna.

«Non ne sei a conoscenza? Capisco...» Nehesy piegò leggermente lo sguardo di lato, con le dita leggermente poggiate sulle labbra sottile e lo sguardo artificialmente innocente. Tuthmosis inarcò un sopracciglio nero: poteva fingere quanto voleva, ma era chiaro a tutti che gli veniva da sorridere pensando a quanto poco potere avesse il Faraone. «Sua maestà Hatshepsut ha incaricato me di esaudire il suo sogno, conducendo una spedizione a Punt» spiegò con soddisfazione. «Stavo solo scegliendo i membri della scorta... La strada per Punt è irta di ostacoli: animali selvaggi, briganti, beduini... Tu capisci»

«Una spedizione a Punt» Tuthmosis stava tenendo lo sguardo basso, al pavimento di pietra su cui i soldati erano ancora inchinati. «Una spedizione a Punt!» sbottò con violenza. Quindi, senza aggiungere una parola, risalì sul carro, che lo stava ancora aspettando all'uscita della caserma, e si fece ricondurre a palazzo. Poi, ancora in un pericoloso silenzio, che inquietò il conducente quasi fino a farlo sbagliare, scese e si diresse immediatamente verso la sala reale, dove Hatshepsut era solita tenere le sue udienze.

«Devo parlare con lei!» praticamente gridò ad Amenhotep, il maggiordomo, che controllava la porta sbarrata, e dirigeva il flusso dei visitatori come i canali d'irrigazione dei campi di limo. «Adesso»

«Sua maestà è impegnata» replicò l'uomo con un leggero cenno di fastidio. «Forse per l'ora del crepuscolo sarà disponibile» E un leggero sorriso gli increspò le labbra, mentre guardava il raggio di sole ancora alto nel mantello di Nut. «In questo momento sta parlando con...»

Tuthmosis non annoverava fra i suoi pregi una grande pazienza e, per quel giorno, l'aveva già persa a causa dell'incontro con Nehesy e alla notizia della spedizione. «Non mi interessa affatto con chi sta parlando!» esclamò. «Credi davvero che, chiunque sia il tizio là dentro» E, indicando la porta ancora sbarrata, sperò che la sua voce la potesse attraversare. «Sia più importante del Faraone in persona, prediletto di Amon, vita, forza e salute delle Due Terre? Io credo di no!» Respirò profondamente. «Non è un capriccio. I sovrani non hanno capricci. Adesso entri là dentro, e le dici che voglio parlare con lei, di una cosa molto importante. Subito»

Amenhotep sorrise ancora, ma, questa volta, non si trattò di ironia, ma di una sorta di leggero rispetto. Quindi, con un leggero cenno di assenso, accostò leggermente la porta e vi entrò, senza lasciare intravedere nulla di quello che vi era all'interno. Tuthmosis sospirò lievemente. Era la prima volta che quell'uomo gli dava anche un minimo di ascolto: che fosse diventato un buon sovrano? No, niente affatto. Aveva solo urlato, e nient'altro. Si scrisse un geroglifico mentale: cercare di tenere la propria rabbia sotto controllo. Ricordava gli urli che Tuthmosis II riservava alla sua consorte, ampiamente ricambiati, ma non l'aveva mai visto alzare la voce per affari di stato. "Trattenere la propria rabbia..." «La rabbia di Seth!» esclamò mentalmente. «Controllare Seth con Horus...»

«Sua maestà ti aspetta nel suo ufficio» disse Amenhotep con un leggero cenno della testa calva, prima di rimettersi a sorvegliare la porta.

Tuthmosis, certo di aver iniziato a comprendere qualcosa a proposito del suo ruolo nella società, si recò all'incontro molto più tranquillo di quanto non fosse prima, stupendosi della sua pazienza. «Amon ti conceda una buona giornata» la salutò, entrando nello studio.

«Me lo auguro» rispose lei, senza preoccuparsi di mascherare la propria irritazione. «Spero che sia davvero importante» Iniziò ad armeggiare con i fogli di papiro poggiati sul tavolo.

«Nehesy mi ha detto che hai organizzato una spedizione a Punt» Tuthmosis non si mosse dalla soglia, come se temesse di avvicinarsi troppo. «E' vero?»

«Si» rispose semplicemente lei, continuando ad armeggiare noncurante con i papiri.

Questo atteggiamento irritò il ragazzo, facendogli scordare completamente l'intuizione avuta poco prima, come un ostraka ripulito. «E... Non hai niente da dire?» chiese con lentezza rabbiosa. «Prepari una spedizione praticamente inutile...»

«Non è inutile» lo interruppe lei, con un leggero tremolio della voce, che rivelava quanto il desiderio di Punt la tormentasse, come un desiderio fanciullesco.

«...mentre, e lo sai bene» continuò lui imperterrito. «I principi degli stati cuscinetto minacciano di ribellarsi alla nostra potenza e di attaccare i nostri confini, privando di membri l'esercito, e non hai nulla da dire?»

Hatshepsut scrollò la testa. «So tutto della rivolta che si sta preparando» ammise. «Ma so anche che i territori che conquisteranno non valgono poi così tanto. Quelli non oseranno proseguire oltre»

«Ma sono territori egiziani!» Tuthmosis si sentì strano. Amava profondamente la sua terra e, come conseguenza logica, aveva pensato che anche lei, così capace come sovrana, provasse gli stessi sentimenti. Sembrava che si fosse sbagliato.

«Credi che non lo sappia?» sorrise ironicamente Hatshepsut. «Te lo dico chiaramente: non posso combattere contro i ribelli, perchè non ho nessuno da mandare in guerra»

«Oh, Nehesy non va bene?» commentò annoiato lui, sapendo quanta stima, a suo parere ingiustificata, avesse per il generale.

 «Lui non è Faraone» spiegò brevemente lei, con un tono di voce piuttosto serio. «I soldati daranno il meglio di loro solo quando ci sarà la mano di Seth a guidarli» Lo fissò per un interminabile istante, leggendo dentro di lui. «La risposta è no. Non ti manderò a comandare l'esercito e sei ancora abbastanza giovane per dovermi obbedienza»

«Perchè?» Tuthmosis aprì la bocca per protestare, ma Hatshepsut lo bloccò prima. «Te lo dimostro, se vuoi. Aspettami in giardino dietro il palazzo, arrivo subito» Detto questo, lo superò e uscì dalla stanza come se fosse invisibile.

Lui prese un bel respiro. Voleva andare in guerra. Lo aveva sempre desiderato, fin da quando aveva visto sua padre partire alla testa delle truppe. E quanto finalmente gli era capitata un'occasione, la sua matrigna, alla quale, era purtroppo vero, doveva ancora obbedienza, glielo impediva, preoccupata solo di realizzare i suoi desideri. Come poteva essere Horus, con un'Iside con quel ka? Aprì la porta e la sbattè dietro di sè. I suoi muscoli tremavano per la rabbia e, sebbene non volesse ammetterlo, anche per l'agitazione per la prova che lo aspettava. Ma le avrebbe dimostrato che era pronto ad andare in guerra e si sarebbe meritato un minimo della considerazione che provava per una donna così capace.

Quando arrivò in giardino, Hatshepsut era già ad aspettarlo. Accanto a lei, Neferure, la sua primogenita. Tuthmosis non aveva mai avuto una particolare simpatia per lei e il fatto di averla dovuta sposare a forza il giorno della sua incoronazione non aiutava certo le cose, considerando che i due ragazzi avevano quasi la stessa età e due caratteri praticamente opposti.

Neferure era calma e riflessiva, poco incline a cedere su qualunque punto, quasi sempre ironica. Non era per nulla bella e, pensava sempre Tuthmosis con una gioia divertita, per lei era stata una fortuna diventare sua moglie, visto che nessun altro l'avrebbe mai voluta. Evidentemente, aveva preso la mascella severa e ampia del nonno e gli occhi piccoli e brillanti del padre. L'unica cosa di sua madre erano i capelli, neri e liscissimi, che però teneva sempre corti e nascosti dalla parrucca, quasi a voler nascondere qualsiasi vezzo femminile. Il corpo era tozzo, con un seno troppo grosso, e praticamente non possedeva nè vita nè fianchi. Eppure proprio questo corpo, troppo muscoloso per una ragazza, la rendeva un'avversaria temibile.

Hatshepsut gli passò una spada in legno leggero. «Te la senti di combattere contro mia figlia, vero?»

Il fatto che lei aveva sottolineato con maggior forza il "mia" non fece altro che aumentare l'intensità dell'orgoglio di Tuthmosis, che, riprendendo la lezione su Horus e Seth appresa precedentemente, cercava di controllarsi. Prese la spada  e la stese davanti a sè, piegando leggente le ginocchia.

Con un gesto che voleva far sembrare leggiadro, ma che non lo era per nulla, Neferure si tolse l'ampia veste rossa che indossava, e rimase solo con il sottile perizoma bianco che portava sotto. Poi, senza aspettare nessun segnale, strinse forte l'impugnatura dell'arma, e scoccò un fendete verso di lui. Tuthmosis alzò la spada, posizionando trasversalmente la finta lama, e parò, ma lei, utilizzando la spinta iniziale, rigirò la spada e si portò in un secondo dietro di lui, fino ad appoggiare il legno contro il suo collo scoperto. Quindi, con un piccolo sorriso, si staccò, andando a recuperare la sua veste.

«Se non riesci a vincere contro una donna, come pensi di sopravvivere in guerra sul carro?» Hatshepsut teneva le braccia incrociate sul petto e aveva sul viso un'espressione indecifrabile. Non era d'odio, nè ironico, ma totalmente indifferente. E faceva ancora più male. «Forse, dovresti riflettere meglio sul fatto che la rabbia di Seth non va solamente controllata, ma anche utilizzata» Detto questo, lo superò e si avviò di nuovo verso il palazzo, seguita da Neferure e dal suo sorrisino ironico. «Non voglio più sentir parlare di guerra»

Tuthmosis non si voltò neppure per guardarle allontanarsi. Era rimasto bloccato, pietrificato in quella posizione, con la spada in avanti. Era stato sconfitto e, appunto, da una donna. Aveva sempre cercato di migliorare, di allenarsi, di diventare forte... Erano quelli i risultati? Era furioso, ma con sè stesso per non essere riuscito a bloccare quell'attacco. Neferure era insopportabile, ma non si poteva negare che fosse una combattente, pur donna, più forte di lui. «Maledizione!» Gettò la spada lontano da sè, con violenza, fino a spaccarla. «Maledizione! maledizione!» L'umiliazione era stata troppo intensa. Si passò le mani sul viso, cercando di contenere gli spasmi. Non era così che andava impiegato Seth, lo sentiva.

Ancora furioso, si recò al pozzo, prese un secchio d'acqua e se lo gettò sulla testa mora. Il contatto con quel gelo, che lo liberava dall'afa di Ra, gli restituì un minimo di serenità. Era inutile stare a recriminare: sapeva che Neferure gli avrebbe rinfacciato per anni questa storia, ma nemmeno Horus era stato poi così bravo contro lo zio, visto che si era anche fatto sorprendere nel sonno e accecare. L'unica soluzione era cercare, nei limiti del possibile, di sopportarla e, infine, di superarla. Si recò all'arsenale di palazzo, prese arco e spada e iniziò immediatamente ad allenarsi.

La sera, Hatshepsut non rimase poi troppo sorpresa di non trovarlo a cena. Immaginava e, in un certo senso, sperava, che fosse rimasto a digerire l'offesa subita. La cosa che invece la stupì fu la mancanza della sua seconda figlia, Marytre, di solito sempre ligia ai doveri e al protocollo reale. Incuriosita, si affacciò alla finestra che dava sul retro del giardino, senza farsi scorgere, e guardò la situazione. Tuthmosis, incurante del buio, aveva acceso una torcia e continuava ad allenarsi. Marytre, nascosta dietro il muro, lo stava osservando da solo Ra poteva sapere quanto tempo, cercando di non farsi notare troppo. Aveva gli occhi leggermente brillanti, le guance arrossate nonostante l'immobilità a cui era costretta da tempo, e le labbra semiaperte. Hatshepsut sorrise dolcemente nell'osservare questa scena che, supponeva, non differiva poi tanto da quello che era successo ad Horus e Hathor, quindi ordinò al primo servitore di portare un piatto di ful medames alla principessa. E sorrise anche pensando che, forse, il suo figliastro aveva ereditato, per sua fortuna, il ka del nonno, Tuthmosis I, e non di quell'incapace del padre.

«Dovresti riposarti... Almeno un po'» Marytre, approfittando del cibo che le era stata consegnato, si decise, con assoluto imbarazzo a mostrarsi al fratellastro. «Mangia qualcosa...» E allungò il piatto che stringeva fra le mani verso di lui.

«Non posso» Non si fermò nemmeno, per parlarle. «Finchè non sarò in grado di battere tua sorella...»

Marytre scosse la testa. «Pensi di riuscirci in un sola sera? Impossibile» disse, come dato di fatto.

Lentamente, Tuthmosis abbassò la spada. «Se ce la facessi, forse...» Sospirò vagamente. «Tua madre non mi odierebbe così tanto, e smetterebbe di trattarmi come un bambino»

«Io invece credo che la mamma non ti odi affatto, anzi» Lei sorrise dolcemente, con una voce ferma, tanto che lui, come rinvigorito, si voltò finalmente a guardarla. «Se davvero ti odiasse, ti avrebbe mandato in guerra» proseguì Marytre. «Come hai visto, per l'Egitto non è un gran problema avere un faraone donna... Se fossi morto, com'era probabile data la nostra giovane età» E Tuthmosis le fu grato per questo comune difetto che aveva espresso. «Neferure avrebbe potuto tranquillamente salire sul trono dopo mia madre. Così non avrebbe rispettato gli accordi presi con nostro padre, con sua somma gioia. Invece, non l'ha fatto» Lo fissò. «Non l'ha fatto»

«Che intendi dire?»

Marytre scostò lo sguardo, imbarazzata. «Credo che la mamma ti rispetti, e abbia deciso di dimenticare che il suo sangue non erediterà il trono» disse ancora. «Non mandandoti in guerra, ha solo voluto salvarti la vita, perchè sa che non sei ancora pronto» Temendo di averlo offeso, si interruppe bruscamente, con le guance in fiamme, e lo fissò di nascosto. «Vero?»

Tuthmosis lasciò cadere a terra la spada. «No, non sono pronto» ammise. In realtà, aveva capito le motivazioni di Hatshepsut, ma non riusciva ad accettarle per il modo in cui lei lo trattava. Era migliorato almeno un poco dalla morte di suo padre, no? Però lei non aveva mai dato segnali di apprezzarlo. Non sarebbe stato più semplice dire: «non voglio mandarti in guerra perchè non voglio perderti? L'Egitto ha bisogno di te»? E Tuthmosis stesso non si rendeva conto che, se fosse successo, lui non le avrebbe affatto creduto. Doveva provare la verità sulla propria pelle, prima di sperimentare le proprie capacità.

«Forse, non lo sarai nemmeno domani» Marytre spinse nuovamente avanti il piatto. «Mangi?»

Tuthmosis fissò la sorellastra minore. Lei si che aveva ereditato la bellezza della madre, con un corpo sottile e un viso ovale e perfetto, unito ad una bocca piccola e carnosa, un nasino ancora da bambina e due grandi occhi con ciglia lunghe. Non possedeva, invece, la stessa forza d'animo di Hatshepsut, perchè era dolce e delicata come un fiore di loto sull'acqua e questo suo carattere rendeva ancora più affusolati i suoi già perfetti lineamenti. «Ma... Ho le mani sporche...» addusse come scusa, avendo capito che nemmeno lei aveva ancora cenato.

Lentamente, Marytre infilò le sue mani bianche e linde dentro il piatto, afferrando qualche fava con il pollice, l'indice e l'anulare, con grazie naturale. «Apri la bocca» ordinò leggermente, senza guardarlo.

Tuthmosis sorrise e non potè fare altro che ubbidire. «Grazie» mormorò vagamente, con la bocca piena.

***

«Lo scriba della tomba è arrabbiato con te» disse Senmut, mentre lui e Teti, partiti quando Ra era unito ad Amon da Per-Maat, camminavano in direzione del tempio funerario di Hastshepsut.

«Si, è vero»

«Mi stupisco sempre del fatto che le persone si arrabbino con te, che non fai mai nulla»

«Le persone odiano gli indifferenti, perchè stanno meglio di loro» Teti fece un leggero sorriso. «Comunque, stavolta qualcosa ho fatto» Senmut sbattè le palpebre, incredulo. «Ho rifiutato di diventare sua moglie»

«Eh?! Perchè?!» Lui fu fin troppo esagerato nella sua reazione, per nascondere la gioia che provava a quella notizia. Significava che nessun altro era riuscito in quello che lui aveva fallito. «Insomma, lo scriba è ricco, di buona famiglia...»

«Oh, andiamo» Lei alzò le spalle. «Se avessi voluto uno qualunque, avrei sposato te» E accelerò il passo per arrivare prima. Senmut la seguì, offeso a morte per quella semplice frase. Uno qualunque? Era solo questo, per lei? E un'improvvisa tristezza si impadronì di lui.

Teti si era fermata davanti alla prima scalinata del tempio, con gli occhi leggermente tremanti e le mani in agitazione. «E' bellissimo...» E lo pensava veramente: si notava dall'incertezza della sua voce, dal leggero sorriso che le labbra creavano di tanto in tanto, e dalla pelle d'oca che le stava venendo sulle braccia.

«E' stato soprannominato Geser Geseru, il Sublime dei Sublimi» le spiegò, soddisfatto di averla impressionata tanto. «E tu non tradirai questo nome, vero?»

«Io?» Teti si ritrovò, suo malgrado, ad essere sorpresa. «Non sarà Hebi a...?»

«Hebi!» sbuffò lui. «Quella, che ha sposato Nehesy solo per interesse, non è nemmeno capace a disegnare il geroglifico di Maat!» Le strinse una mano. «Certo, avrai bisogno di aiuto, ma la caposquadra devi essere tu, e nessun altro. Anche Hat è d'accordo»

«Allora non posso rifiutare» Ma rifiutò di sentire battere più forte il suo cuore al pensiero della sua vecchia amica, che non aveva dimenticato la sua abilità di pittrice. «Che cosa devo dipingere?»

«Una storiella» commentò lui, indicandole il tempio. «Dovrai descrivere Hatshepsut come la prescelta di Amon. Nella prima scena, Amon annuncerà agli dei di voler dare un nuovo re all'Egitto. Thot allora farà il nome di Ahmes, la sposa di Tuthmosis I. Amon si recherà dunque dalla madre di Hat, annunciandole che darà alla luce la sua prescelta, la quale dovrà chiamarsi "colei che Amon abbraccia, la prima delle dame venerabili"» raccontò. «Poi sarà necessaria una scena con Khnum intento a plasmare il corpo e il ka della bambina sotto gli ordini di Amon, un'altro dipinto con le varie presentazioni e poi il racconto preciso dell'incoronazione, ovviamente con la presenza anche di Tuthmosis I»

Teti annuì. «Andiamo a vedere come fare» In un gesto rapido, si levò la veste e il perizoma, rimanendo completamente nuda, e fece per salire le scale.

«Ma... Ma?» Senmut rimase sconvolto, a fissarla. Si sentiva assolutamente strano. Eppure, quando erano ragazzi l'aveva sempre vista nuda, eppure non aveva mai provato sentimenti così forti. Era identica alla sensazione che aveva provato la prima volta che aveva visto senza veli Hatshepsut. Le mani che prudevano, lo stomaco che gli saltellava dentro l'addome, e la voglia irrefrenabile di toccare quel corpo, di baciarlo, di sentirlo suo... Ma prima che potesse fare qualunque cosa, Teti era già entrata, lasciandolo solo.

Riluttante, la seguì. Aveva sentito dire che lei era solita esplorare i luoghi che doveva dipingere nuda, per sentirsi un tutt'uno con la pietra che aveva davanti, ma non si aspettava che gli facesse così tanto effetto. La trovò in una delle stanze, con la mano appoggiata alla parete. «Qui andrebbe disegnato Amon che presenta Hatshepsut al consiglio degli dei...»

Teti non disse nulla, ma chiuse lentamente gli occhi, stringendo le dita. Respirò con la bocca semiaperta e Senmut, dietro di lei, perse totalmente la cognizione del tempo. Non era più umano, si sentiva parte della pietra, una pietra che respirava, vedeva, sentiva, provava dei sentimenti. Lui era la parete, e la parete era un essere umano. Poi Teti staccò la mano, e iniziò a muovere il dito sulla parete, prendendo le misure come se stesse già disegnando. «La senti?»

«Cosa?» sussurrò lui, temendo che non gli uscisse alcun suono.

«La voce di Amon» Teti sospirò. «Sta dicendo agli altri dei: "questa è la mia figlia prediletta, la futura sovrana d'Egitto, che ho posto personalmente sul mio trono"» E Senmut la sentì veramente, con il respiro soffocato in gola.

L'atmosfera fu rotta da un rumore di passi e dal suono di una voce che li chiamava. Lo scriba della tomba, che doveva preparare i documenti per ordinare alle miniere le materie prime per preparare i colori, li stava cercando. Senmut, senza riflettere, afferrò Teti per la vita, trattenendo l'impulso a fare dell'altro, ed entrambi si nascosero dentro un'altra stanza nascosta, finchè l'uomo non se ne fu andato.

Poi, Teti si divincolò, con un'espressione ignara sul viso. «Non volevo che ti vedesse nuda...» si giustificò lui.

«Geloso?»

Si, lo era. Non capiva precisamente il motivo, perchè, in fondo, lui aveva sempre amato solo Hatshepsut. Forse si trattava di orgoglio per essere stato rifiutato e il desiderio di non essere superato da nessun altro. «Non sai quanto» Rendendosi improvvisamente conto di quello che aveva detto, si corresse: «anche con Hat... E' sempre circondata di uomini e sostiene che lo fa per dovere... Ma io vedo come la guardano e... Fra di noi non... Non è...»

«E finiscila!» Teti inarcò leggermente un sopracciglio, con leggero risentimento. «Quanti di quelli che le hanno detto "ti amo" si sono sentiti ricambiare?» Ritornò nell'altra stanza. «Andiamo avanti con il lavoro» E non volle più che l'argomento fosse ripreso.

La sera stessa, Senmut volle sperimentare quello che Teti gli aveva detto. Ma, sentendo Hatshepsut rispondergli: «anch'io ti amo», non provò assolutamente nulla. Anzi, si rammaricò solamente che la pittrice, invece, non gli avesse mai detto una cosa del genere e, probabilmente, non l'avrebbe mai fatto. Si rese conto, in quel momento, che aveva iniziato, non ricordava bene da quanto, a pensare molto di più a Teti che ad Hatshepsut. All'inizio aveva pensato che fosse una cosa normale, in quanto la seconda era praticamente sempre davanti ai suoi occhi, sebbene non parlassero che di lavoro, ed in ogni stante poteva guardarla e toccarla, mentre la prima, sempre chiusa nel suo laboratorio di Per-Maat, era diventata un'entità invisibile e irraggiungibile, quasi una dea. Viste le sensazioni che il semplice gesto di toccare la pietra gli aveva dato, Senmut finì per credere che fosse veramente così. Eppure, amava Hatshepsut, o, almeno, aveva sempre creduto che fosse così. Eppure, il piccolo angolo del suo cuore era attualmente occupato da Teti e dall'immaginazione della sua vita semplice e magica.

Guardò fuori dalla finestra, al cielo stellato, e sognò di essere nel letto di Teti ed avere lei appoggiata al suo petto, invece di Hatshepsut, ed, essendo lei addormentata, non provò il minimo rimorso. Ma Teti, in quel momento, stava dormendo, e non lo sognava affatto.

Review:

Tiger Eyes: Come sempre, grazie delle recensioni ^///^ Non sono mai sicura di riuscire a dare così tanto sentimento alle mie storie, ma spero di si ^^ Per quanto riguarda questo capitolo, so che le donne in Egitto non erano guerriere, però mi piaceva troppo l'idea di uno scontro del genere ^^ Spero che piaccia anche a te ^^ Per il capitolo precedente, anche io pensavo che "papà" fosse un po' troppo poco formale, però "padre" mi sembrava al conbtrario fin troppo formale... Vabbè, appena ritrovo il file con capitolo in HTML modifico tutto ^^ E ancora tantissimi grazie per tutti i consigli che mi dai! ^^ Alla prossima ^^

   
 
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