Anime & Manga > Gundam > Gundam SEED/SEED Destiny
Segui la storia  |       
Autore: Kourin    10/07/2010    3 recensioni
Athrun e Yzak sono impegnati in un'esercitazione su Junius Four, un Plant abbandonato frutto di un progetto di ricerca interrotto.
Genere: Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Athrun Zala, Yzak Joule
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Mandala

 

 

Quando provò a riaprire gli occhi vide solo delle macchie colorate che si dilatavano procurandogli un gran mal di testa. Dove si trovava? A casa? Al Quartier Generale? Lentamente riuscì a capire da che parte stava il soffitto. L'alone delle macchie si restrinse fino a definire le forme di innumerevoli oggetti: suppellettili, scatole, attrezzi e una serpentina di fotografie incollate alla parete che si stava scrostando. Persone sorridenti che indossavano camici bianchi, persone al lavoro in mezzo alle piante, persone in posa ad una serata di gala. Per vedere oltre dovette girare il collo, ma la fitta di dolore causata da quel movimento gli appannò di nuovo la vista e dovette ricominciare daccapo. C'era un'immagine con del blu, del giallo e del rosso che divenne via via più limpida, come una fotografia scattata in una giornata di sole. “Mamma” provò a dire mentre tendeva il braccio verso di lei. Ma dalle labbra intorpidite uscì solo una specie di rantolo e il braccio non si mosse. Provò ancora, e ancora, ma era come trovarsi in un sogno da cui non riusciva a destarsi.

Allora sentì le mani fresche di qualcuno che gli prendevano il viso, costringendolo a spostare lo sguardo da un'altra parte. E quegli occhi gialli furono di nuovo fissi nei suoi. Non poteva fare altro che guardarli, anche il solo pensiero di ribellarsi gli procurava un mal di testa che gli faceva perdere la concentrazione così faticosamente raggiunta. Stava cercando di capire se la sensazione delle dita che gli sfioravano le guance corrispondesse a realtà, quando un urlo entrò violentemente nelle sue orecchie per esplodergli nel cervello in un firmamento di stelle, lasciandolo completamente tramortito.

 

La bocca di Yzak stava iniziando a riempirsi del gusto dolciastro e metallico del sangue: nell'urto doveva essersi morso un labbro. La fronte gli faceva un male incredibile, ma il dolore non era niente in confronto alla soddisfazione di essere riuscito a sorprendere ed atterrare il nemico. Rimase a guardarlo dall'alto del letto su cui aveva adagiato Athrun (ad Yzak era toccata una più scomoda sistemazione sul pavimento in legno) e aspettò che aprisse i suoi schifosi occhi per potergli ridere in faccia.

Stordito dalla violenta testata, l'avversario stava ora tentando di rialzarsi. Era un uomo alto e magro che indossava vecchi abiti consunti dai colori indefinibili. Aveva folti capelli di un biondiccio tendente al verde raccolti in una treccia piuttosto voluminosa e delle vitree, irreali iridi giallastre che spiccavano sulla pelle abbronzata del viso. Doveva avere passato la quarantina, anche se era difficile definirne l'età: la pelle iniziava a raggrinzirsi, ma nell'insieme il fisico e il volto davano l'idea di una persona giovane.

Se avesse provato a toccare di nuovo Athrun gliela avrebbe fatta pagare cara. Non aveva idea di come, dato che aveva ancora braccia e gambe legate, ma era certo che un essere come quello non avrebbe mai potuto avere la meglio su Yzak Joule.

L'uomo si rialzò massaggiandosi la fronte.

“Oh, sei già sveglio,” mugugnò rivolgendosi a colui che lo aveva appena colpito. “Strano, l'anestetico non lascia scampo ai Coordinator. A meno che...” Gli occhi, ora brillanti di curiosità, si assottigliarono. “A meno che tu non lo sia!” concluse puntando con entusiasmo l'indice verso il prigioniero.

“Io sono un Coordinator, cretino!” sibilò Yzak di rimando.

Il nemico lo guardò come se fosse stato sorpreso dall'affermazione, ma si riprese presto, e dopo aver soffocato una risata esclamò: “Sì, sì, certo, tutti noi siamo convinti di essere grandi, geniali e perfetti Coordinator! E dimmi, tesoro” continuò, “cosa sono queste belle reazioni immunitarie tutte Natural che porti su di te?” Nel dire questo avvicinò la mano alla fronte di Yzak, arrivando quasi a sfiorargli la frangia.

“Non toccarmi!” minacciò quest'ultimo allontanando l'uomo con una spallata.

“Giusto, altrimenti mi mordi. Che umanità evoluta!” sospirò l'altro levando lo sguardo verso l'alto. Oltre ad essere irritante, quel tizio era pure stupido. Yzak era già pronto a scattare per atterrarlo di nuovo, quando Athrun interruppe il diverbio.

“Che cosa...vuoi da noi?” rantolò. Era riuscito ad aprire gli occhi e a girarsi su un fianco, ma era chiaro che stava facendo uno sforzo terribile per connettere le parole.

“Stai tranquillo, piccolo Lenore. Sono uno scienziato, e sono molto meno criminale di tanti miei colleghi,” lo rassicurò l'uomo.

Yzak dovette fare un certo sforzo per mantenere il contegno e non strabuzzare gli occhi davanti a quell'inaspettata dichiarazione. Lenore non era il forse il nome della madre di Athrun? Ad Yzak non piaceva il modo in cui quell'individuo continuava a guardare il compagno, né la familiarità con cui si era rivolto a lui.

“Chi sei?” chiese Athrun aggrottando le sopracciglia nel tentativo di mettere a fuoco il nemico.

“Non ha importanza chi sono. Anche se te lo dicessi, non cambierebbe niente.” Colui che si era definito uno scienziato spostò lo sguardo altrove. “Che cosa siete venuti a fare qui? Non voglio soldati dalle mie parti. Spero che non vi abbiano mandato qui per fermarmi. Sappiate che resisterò fino all'ultimo, voi esaltati di Zaft non mi fate paura” minacciò abbassando il tono della voce. “A proposito, da quando in qua mandano in guerra i ragazzini? Immagino che vi avranno fatto il lavaggio del cervello con tante, tante belle parole...”

Aveva parlato al plurale, ma stava fissando solo Athrun. In circostanze normali Yzak avrebbe iniziato a ribollire di rabbia: le parole di disprezzo per gli ideali di Zaft erano pari ad un insulto rivolto alla sua persona. Tuttavia, memore della divisa rossa che gli era stata affidata, si sforzò di lasciar raffreddare la mente. Che quel tizio fosse un pazzo, oppure un terrorista, non aveva importanza. Bisognava trovare al più presto il modo per sfuggirgli. A giudicare da come stava blaterando, e soprattutto da come si era lasciato sorprendere, non sembrava esperto né nelle tecniche militari, né nella lotta. Yzak avrebbe potuto immobilizzarlo per offrire ad Athrun la possibilità di liberarsi, ma non era certo di poter fare affidamento sui riflessi ancora appannati del compagno. Nel frattempo quest'ultimo stava spiegando che si trovavano lì per una semplice esercitazione.

“Hai sentito, no? Non siamo venuti per portarti in manicomio” disse Yzak inserendosi nella conversazione e pentendosi subito delle parole che aveva pronunciato nonostante il proposito di controllarsi. Si sforzò di ammorbidire il tono. “Quindi ti pregherei di slegarci.”

“E vi dovrei credere?” chiese l'uomo portando una mano al mento, come se stesse soppesando le alternative.

“Non abbiamo armi e hai visto le attrezzature che stanno nei nostri zaini,” rispose Athrun. “A parte il coltello non c'è niente di offensivo.”

L'uomo sospirò. “Athrun, non so se è il caso di restituirti a Zaft. Proprio tu a fare il soldato...Avrai spezzato il cuore a tua madre. Lei non era mai stata militarista, ed io non ho ancora capito come abbia fatto a sposare quell'uomo. Non è giusto che tu ti sia unito a loro.”

Nelle pupille appannate di Athrun si mosse qualcosa: forse era stupore, forse era rabbia. L'uomo fece come per avvicinarglisi, ma Yzak si parò nel mezzo. “Per tua informazione, lui si è arruolato dopo che quei vigliacchi dei Natural hanno ucciso sua madre. Non ha potuto materialmente spezzarle il cuore. E adesso, dato che ti piace chiacchierare, spiega veramente chi sei. E lo spieghi a me, che sono Yzak Joule” intimò alzandosi sulle ginocchia per avvicinare il più possibile lo sguardo a quello del suo interlocutore. “Piacere,” aggiunse mellifluo e glaciale in un tono, se possibile, ancor più ostile di quello che riservava all'insopportabile Nicol Amalfi.

“Joule? Non dirmi che sei il figlio del Consigliere!” esclamò l'altro strabuzzando gli occhi.

L'uomo sospirò per l'ennesima volta e si sedette su una sedia di fronte ai suoi prigionieri. Poi, come se avesse avuto un ripensamento, si rialzò, girò la sedia e si mise a sedere incrociando le braccia sullo schienale e appoggiandovi il mento sopra, come avrebbe fatto un ragazzino. “Mi chiamo Decimus Maxwell,” annunciò prima di iniziare il suo racconto.

“Vivo su Junius Four da quando ci crescevano solo erbacce e piccoli arbusti. Ho seguito passo per passo la manipolazione genetica di centinaia di specie di vegetali adattandone la fisiologia ormonale per far sì che potessero crescere su Plant. Che cosa sapete del progetto Junius Four?”

Mentre parlava, quell'individuo strano aveva subito un cambiamento repentino. Non era più un pazzo, ma un nemico indefinibile.

“E' stato chiuso per mancanza di fondi,” rispose Yzak, incuriosito.

“In parte corrisponde a verità. Ma c'è una parte di questa verità che non viene rivelata” sussurrò il ricercatore fissando i due ragazzi con intensità, come stesse per lanciare una sfida. “Perché i politici di Plant sono dei codardi” affermò quindi incrociando le braccia sul petto.

Non più di te”, furono le parole che Yzak dovette ingoiare quando le braccia, mossesi d'istinto, si scontrarono di nuovo con le corde che stringevano i polsi. Si limitò a ricambiare lo sguardo di Maxwell. Nessuno dei due pareva intenzionato a cedere.

“Continua” disse Athrun. Yzak grugnì. Non sapeva se dargli dello stupido per aver dato soddisfazione all'avversario o ringraziarlo per aver mandato avanti una conversazione di cui era ansioso di conoscere il seguito.

Maxwell rivolse al figlio di Zala un largo sorriso e continuò.

“L'insieme dei dati raccolti ha portato a risultati scomodi. Nulla di trascendentale! Uno scienziato li potrebbe trovare comprensibili e logici, ma l'opinione pubblica, i giornali e i politici no. E sapete perché? Perché i Coordinator sotto sotto hanno paura.”

“Paura un corno” sibilò Yzak tra sé, cercando di ignorare un grosso coleottero dalle ali lucenti che stava zampettando nella sua direzione.

La luce che entrava nella stanza si stava facendo sempre più scura. Un vento forte e caldo faceva ondeggiare le tende di lino e le sottili zanzariere, scoprendo a tratti il verde intenso di una vegetazione così rigogliosa che pareva voler approfittare degli spiragli offerti dalla situazione per invadere la stanza.

“La manipolazione genetica su Junius Four si è rivelata un fallimento. Un organismo geneticamente modificato cresciuto in un ambiente protetto può stabilizzare le caratteristiche volute. Ma quando viene lasciato interagire con un ambiente complesso, come un ecosistema tropicale, le probabilità che torni allo stato originario aumentano. Le insegnano ancora queste cose a scuola, oppure vi raccontano qualche fandonia per convincervi che i Coordinator sono divinità onnipotenti?” chiese alzandosi in piedi in modo da costringere i prigionieri a rincorrere il suo sguardo.

Yzak dovette scavare a fondo nella memoria per risalire ai ricordi dello studio degli ecosistemi. Alle elementari veniva insegnata la complessità genetica, ma a partire dalle medie le lezioni erano focalizzate sul lato tecnico e si concentravano sui rapporti causa-effetto di singole modifiche. La genetica applicata all'ecologia era considerata una materia per bambini, ed era infarcita di buoni sentimenti e belle parole che avevano portato Yzak ad odiarla istintivamente fin dalla tenera età.

Maxwell sorrise, consapevole che il suo colpo era giunto a segno. Ma la sfida venne di nuovo interrotta da Athrun, che stava tentando di mettersi seduto. Tuttavia quando ci riuscì non disse nulla, limitandosi a spostare lo sguardo sulla parete. Yzak cercò di identificare che cosa stesse fissando, e si accorse di una foto che ritraeva una donna dal volto stranamente familiare. Aguzzò gli occhi. Era Lenore Zala: anche se non l'aveva frequentata di persona, su Aprilus One anche i sassi erano in grado di riconoscerne il volto.

Il ricercatore, dopo aver atteso invano che Athrun si pronunciasse, continuò il suo monologo.

“Si può dire che a noi botanici il lavoro sia andato bene. I vegetali hanno rigettato molti geni, ma nell'insieme un buon numero delle modifiche sono rimaste parte integrante del genoma. Non è stato così per gli animali.” Maxwell allungò il braccio per afferrare il coleottero che si stava arrampicando sulla testiera del letto. L'insetto agitò le zampe pelose mentre l'uomo lo rigirava nella mano osservandolo con interesse. “Nei controlli eseguiti dopo una decina d'anni i miei colleghi non hanno trovato più nulla del loro esperimento. Nulla, nemmeno la traccia delle piccole sequenze di basi che si usano per l'inserimento dei geni. Era come se gli organismi fossero stati portati qui direttamente dalla Terra.”

Da un momento all'altro esplose l'acquazzone. Le gocce di pioggia si infrangevano violentemente sul tetto della costruzione facendo tremare le pesanti assi di legno che la componevano. Maxwell non sembrò farci caso. Prese un contenitore che stava su uno scaffale e vi mise dentro l'insetto, che ricadde sul fondo richiudendosi su se stesso.

“Nessuno è stato in grado di dare una spiegazione valida su come gli animali si siano adattati così bene alla gravità del Plant. Sono tecnicamente...Natural,” sussurrò. “Eppure funzionano benissimo. Ecco, forse non so dire se sono felici o meno di stare quassù, ma questo non è il mio lavoro. Il sospetto è che le modifiche, da noi ritenute indispensabili, abbiano dato degli svantaggi nel processo di selezione. Altrimenti non si spiegherebbe la loro scomparsa. Se fossero state, diciamo, neutrali, si sarebbero almeno conservate come DNA inattivo. Insomma, per vivere qui nello spazio, i geni Natural sembrano i più adatti. Basta concedere agli organismi il tempo per esprimere ciò che il loro genoma possiede già.

Maxwell fece una pausa e iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza. Il rumore dei passi si perdeva completamente nel suono dell'acqua che stava precipitando sulle loro teste in un chiasso martellante di gocce e rivoli.

 

Uno spiffero d'aria fresca che conduceva con sé minuscole goccioline d'acqua accarezzò la fronte di Athrun, alleviando il mal di testa che lo immobilizzava. Tenendo le palpebre chiuse era riuscito a mantenere la concentrazione necessaria a seguire il filo del discorso. Non erano argomenti del tutto nuovi per lui anche se, a dire il vero, non si era mai sforzato di approfondirli.

Yzak era stranamente taciturno. Probabilmente stava riflettendo sulle conseguenze di una realtà che stava mettendo in discussione le sue convinzioni.

“In tutto questo che c'entra mia madre?” chiese Athrun.

“Dopo la laurea Lenore ha lavorato qui per quasi cinque anni, non te lo aveva mai detto?” rispose Maxwell, stupito.

Athrun, sorpreso a sua volta, si limitò a fissare l'interlocutore in attesa di dettagli.

“Anche lei si occupava di vegetali. Le Brassicacee per la precisione. Non chiedermi perché, ma con quelle è sempre stata una specie di genio. Poi è stata chiamata su Junius Seven ad occuparsi delle specie coltivate, perché con l'aumento esponenziale della popolazione Plant aveva dirottato tutte le risorse per aumentare la resa delle coltivazioni.” “Le Brassicacee sono cavoli, Yzak,” aggiunse ridacchiando mentre si rivolgeva al ragazzo che aveva ben stampata in faccia tutta la sua ignoranza in botanica.

Lui si voltò, offeso.

“Lenore è arrivata quando stavamo già controllando i primi risultati. E' stata la prima a dirmi che le piante ci stavano prendendo in giro. Era giovane, non aveva esperienza sulle statistiche, ma aveva già capito questo ecosistema. Sarà stato intuito femminile, sarà stata intuizione scientifica, non lo so davvero. Ma aveva ragione.”

“Io invece sono rimasto su Junius Four perché lo considero la mia vita, anche se quegli idioti del consiglio lo hanno ceduto a Zaft. Nessuno mi può impedire di continuare il mio lavoro. Andatelo pure a dire ai vostri genitori,” concluse con un tono e un'occhiata che stavano a metà tra la sfida e la minaccia.

 

“Al consiglio hanno meglio da fare che occuparsi di uno come te,” ringhiò Yzak. Maxwell gli si avvicinò e gli scompigliò i capelli, schivandosi prontamente quando il ragazzo tentò di morderlo.

Nel frattempo la pioggia si era fatta via via meno intensa. Maxwell scostò le tende e spalancò la finestra, rivelando l'ormai familiare scenario di colore verde intenso. Quindi mise le mani sui fianchi e disse: “Bene ragazzi, sarà ora che vi sleghi. Mi raccomando, niente scherzi. Sono stato gentile con voi, spero ricambierete.”

Yzak tirò un sospiro di sollievo. La sua mente iniziò subito ad escogitare piani di vendetta su quella specie di terrorista, che aveva preso un coltello e aveva iniziato a tagliare i nodi che stringevano le caviglie e i polsi di Athrun. Quest'ultimo, forse per colpa dell'anestetico, se ne stava con il capo chino. Si accorgeva o no degli sguardi che quel tizio stava rivolgendo alle curve della sua schiena nuda? Ma Yzak non poté fare altro che attendere.

Non appena Athrun ebbe le mani libere, accadde l'inaspettato. Si voltò, colpì il polso di Maxwell facendogli lasciare il coltello, gli diede un pugno nello stomaco, afferrò l'arma e lo spinse sul pavimento puntandogliela alla gola.

“E adesso togli la foto di mia madre dalla tua stanza!” urlò. “Subito, se non vuoi fare una brutta fine!”

“No...non c'è bisogno di minacciarmi così!” si azzardò a dire Maxwell con un filo di voce Si stava trattenendo dal deglutire, gesto che gli avrebbe fatto penetrare il coltello nella giugulare.

Athrun lo rilasciò, alzandosi minaccioso con l'arma in mano. “Muoviti!”

L'avversario, ancora barcollante per lo spavento, si diresse verso la parete e staccò la vecchia foto di Lenore Zala.

“Tieni,” disse porgendola al ragazzo. “Ecco...se aspetti un attimo...cioé...se non mi ammazzi prima...avrei un'altra cosa da darti.”

Aprì una cartella ed estrasse un'altra foto, che accostò a quella che Athrun teneva in mano. Facevano parte della stessa immagine. Il secondo ritaglio ritraeva un bambino sorridente che indossava la maglietta e il cappellino di Junius Four. Dall'ombra della visiera e dai ciuffi di capelli scuri risaltavano degli occhi verde smeraldo leggermente più chiari di quelli della donna che gli era accanto.

“C'eri anche tu, quel giorno. Non ti staccavi mai da lei, e così vi ho fotografati insieme.”

“Ci siamo visti?”

“Certo che ci siamo visti, Athrun. Ero io la guida.”

Il ragazzo lo fissò con aria perplessa.

“Non mi riconosci? E' passato tanto tempo, e io avevo un aspetto diverso. I miei occhi erano color rubino e i miei capelli erano verdi. Ora, con la dieta che faccio qui, mi sono scolorito. Torno Natural, come ogni cosa. Sai, quando lavoravo giorno e notte sulle mie piante, Lenore prendeva sempre in giro il mio impegno dicendo che facevo Mandala. Vi hanno mai raccontato che cos'è un Mandala?” Il suo tono di voce di Maxwell si era ammorbidito, come se si stesse rivolgendo a dei bambini.

Athrun corrugò la fronte, cercando di ricordare, ma nella sua memoria quella parola non era mai stata impressa. Cercò Yzak con la coda dell'occhio, ma sembrava ancora più sperduto di lui su quell'argomento.

“E' un'antica usanza dei Natural. Sono disegni complicati fatti con la sabbia colorata. Rappresentano la visione dell'Universo di chi li crea. Per farne uno si impiegano giorni e giorni di lavoro, ma sapete qual è il loro scopo? Essere lasciati alle intemperie, affinché vengano cancellati dal vento e dalla pioggia. Tanto impegno, e poi non resta nulla.” Sul volto scuro del ricercatore si aprì un largo sorriso. “Però sono incredibilmente belli. Non trovate che il mondo di noi Coordinator sia un'opera meravigliosa?”

“Che intendi dire?” chiese Yzak.

“Quello che ho detto.” Maxwell allora liberò anche lui dalle corde e restituì ai due ragazzi i loro zaini.

Nel salutare quella persona, Athrun provò una strana gelosia. Gelosia di sapere che qualcun altro conservava un intenso ricordo di sua madre. In più, quell'uomo strano conosceva un passato di cui Athrun non era mai stato parte. Passando davanti alla cascata, che ora produceva un suono più cupo e impetuoso, si chiese se quella volta fosse stato troppo piccolo per capire appieno, o semplicemente troppo stupido.

Raggiunto nuovamente il piazzale si distese pesantemente su una panca, abbandonando le gambe ai lati e portando le mani sugli occhi. Che disastro. Lui e Yzak erano in ritardo di mezza giornata e, quel che era peggio, non avevano trasmesso i loro dati. Cercò di pensare ad una giustificazione plausibile, ma quelle che gli venivano in mente gli sembravano una più ridicola dell'altra. Era arrivato alla conclusione che una scenata di Yzak sarebbe stata la sua salvezza: in qualche modo, il rivale l'aveva avuta vinta. Ma non ebbe il tempo per rammaricarsene. Yzak lo aveva già spinto giù facendolo cadere sulle erbacce.

“Dovremo camminare di notte. Non ho intenzione di arrivare ultimo per colpa tua,” disse Yzak appoggiando un piede sulla panca e guardando il compagno dall'alto con la sua migliore espressione di sfida disegnata sul volto.

Athrun si alzò di scatto e lo spinse dalla parte opposta.

“Per quel che mi riguarda, noi arriveremo primi,” annunciò incrociando le braccia sul petto.

“Sicuro di non voler fare a pezzi quei cosi?” sogghignò Yzak indicando gli strumenti per la trasmissione dei dati.

“Ci penseremo insieme,” fu la risposta di Athrun che sorprese perfino lui stesso. Tese istintivamente la mano al compagno. Questi la afferrò, ma non sembrava intenzionato a farsi aiutare per alzarsi. Strinse invece con forza le dita fino a fargli dolere le ossa.

“Non è che ti lascerai suggestionare dalle parole di quel tizio?”

“Perché dovrei, secondo te?” replicò Athrun tirando nella sua direzione.

“Perché ti conosco meglio di quanto tu creda,” replicò Yzak piantandosi bene in terra. Athrun allora rilasciò la tensione dei muscoli, si lasciò cadere e appoggiò i gomiti sull'asse di legno.

“Non permetterò che i Natural ci spazzino via,” affermò sicuro, avvicinando il viso a quello del compagno fino a poter distinguere le venature delle sue iridi di ghiaccio.

Uno stormo di uccelli scuri passò radente sulle loro teste, costringendo i due ragazzi ad alzare gli occhi verso il cielo di Junius che, sgombro dalle nuvole, si stava tingendo di una tonalità intermedia tra l'indaco e il viola. Le sagome degli uccelli si persero tra le chiome degli alberi più alti, lasciando spazio a solitari pipistrelli che disegnavano nell'aria linee irregolari mentre inseguivano sciami di minuscoli insetti che si disperdevano in ogni direzione.

Athrun pose la mano sulla nuca del compagno, appoggiò la sua fronte su quella di lui e chiuse gli occhi. I sensi vennero subito invasi dai suoni caotici di una foresta che pareva ansiosa di inghiottirli di nuovo nella sua lunga notte. Le labbra di Yzak toccarono le sue, sfiorandole appena, e risalirono baciandogli gli zigomi e la fronte.

“Siamo Coordinator. Facciamo in modo che nessuno possa permettersi di dire che questa cosa è migliore di noi.”

Athrun riaprì gli occhi e annuì con un sorriso.

 

 

***

 

Note dell'autrice!

 

Era da un po' che mi frullava in mente l'idea di scrivere qualcosa di fantascientifico. E anche qualcosa di Boys' Love. I due propositi sono stati frullati insieme nella mia testolina di fan e ne è uscita questa storia, fatta di un'umanità alle prese con vari problemi razzial-genetici e di adolescenti un po' cupi dai sentimenti confusi. Spero che il mix sia stato divertente da leggere: di sicuro per me è stato divertente da scrivere.

Grazie sia a chi ha recensito sia a chi, semplicemente leggendo, ha condiviso anche per pochi attimi questa mia personale visione dell'Universo Seed.

 

Atlantislux: non ho mai concepito il rapporto tra Athrun e Yzak come qualcosa di tenero, o come qualcosa che si possa chiamare amore o amicizia. Li ho sempre visti come due adolescenti che riescono ad incontrarsi solo nelle parti più buie delle loro rispettive, difficili, esistenze. Ho pensato al bacio come segno della consapevolezza di questo incontro, nulla di più. Sono contenta sapere che hai apprezzato la scena anche perché, confesso, non è stato semplicissimo scriverla!

 

Lyl_Meyer: è un immenso piacere ricevere uno “Yay” per la prima storia Boys' Love della mia esistenza di fanwriter! Trovo che in Seed il rapporto tra Athrun e Yzak sia descritto magistralmente, con poche scene ma ben curate. E io, che ho sempre avuto un debole per le storie di rivalità adolescenziali, non ho potuto resistere dall'arruolarmi nel loro fandom. Sono contenta che ti sia piaciuta la storia di Ezalia. Per il momento non ho in mente storie incentrate su di lei, ma di certo la farò comparire ancora. Nel caso non si fosse capito, adoro i prequel ^^

 

Un ringraziamento particolare va a Sippu, che mi ha aiutato nella dura lotta contro i tempi dei verbi e che ha scovato un po' orrori a cui ho potuto porre rimedio.

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Gundam > Gundam SEED/SEED Destiny / Vai alla pagina dell'autore: Kourin