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Autore: Shinalia    12/07/2010    12 recensioni
Salve, eccomi qui con una seconda one-shot della serie "Essere genitori"
Questa volta i protagonisti saranno Edward e Bella, alle prese con la piccola Nessie
Dedicata a vale_cullen1992
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Renesmee Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Essere genitori.'
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Salve, eccomi qui con una seconda one-shot della serie "Essere genitori"
Questa volta i protagonisti saranno Edward e Bella, alle prese con la piccola Nessie. Ma vi anticipo che la prossima avrà come protagonisti la coppia Jasper/Alice XD ho già un'ideuccia, che spero di riuscire a delineare come voglio. Chissà.
Voglio dedicare questa one-shot alla mia cognatina, che in quanto a pazzia mi fa degna concorrenza ahahahahah  vale_cullen1992 *_____* T.V.B


Papà docet!




« Amore, che ne dici di un giro al parco? »

Mi chinai dinanzi alla mia piccola Renéesme, scostandole il ciuffo ribelle, che le ricadeva sulla fronte.

Il suo sorriso si illuminò all’istante, alla prospettiva di trascorrere l’intero pomeriggio sulle giostre,  con altri bambini. « Si! » esultò, saltandomi tra le braccia, stringendomi in una morsa, assolutamente sorprendente considerando la sua stazza.

Ridacchiai, scoccandole un bacio sulla testolina. « Muoviamoci, allora. » la esortai.

« Vado a prendere il maglioncino.  » mormorò annuendo, prima di scattare via, pronta ad uscire.

Almeno aveva finalmente compreso che la sua natura non la rendeva invulnerabile e che non le avrei mai permesso di uscire non adeguatamente vestita. Comunemente a molti bambini della sua età, spesso si era ribellata all’idea di indossare cappotto, felpe, guanti e tutti quegli indumenti in grado di limitare i suoi movimenti. Secondo Alice io ero sin troppo apprensiva, sempre a preoccuparmi di inezie inutili.

A parer mio ero sin troppo liberale, costretta a subire le pressioni di una famiglia di vampiri, che da troppo tempo si erano lasciati indietro la loro umanità e la fragilità insita in essa.

Sorrisi divertita notando il corpicino paffuto saltellare giù per le scale, stringendo tra le braccia il maglioncino e l’ennesimo barattolino di bolle di sapone.

« Hai salutato papà? » le domandai avviandomi verso la macchina.

Lei si limitò ad annuire, trotterellando dietro di me, con un’espressione felice ad assolutamente soddisfatta.

La mia bambina.

Sistemandola sul sediolino anteriore, accanto a me, le allacciai la cintura prima di entrare in auto, io stessa.  « Andiamo! » sentenzia allegra, osservandola fremere dall’impazienza.

Deliziata dal suo entusiasmo, trascorremmo il viaggio cantando vecchie canzoni dei cartoni della disney che, sotto la mia influenza, aveva imparato ad amare. Zio Jasper aveva girato innumerevoli negozi per reperire tutti i dvd di quei piccoli capolavori, solo per far felice la sua nipotina.

La stiamo viziando troppo!

L’aria frizzante ed il profumo dei fiori primaverili ci diedero il benvenuto, una ventina di minuti più tardi, nel piccolo parco di periferia. Ci eravamo allontanate da Forks, per non attirare eccessive attenzioni su di noi. Per la cittadina Nessie non esisteva e, l’unico ad essere a conoscenza della sua presenza, così come della sua rapida crescita, era nonno Charlie. Per tale motivo le nostre gite non si limitavano mai ad un unico parco, ma con la massima accuratezza sceglievamo quelli abbastanza distanti e adeguatamente isolati.

In questo Alice era un’ottima risorsa, con il suo strabiliante potere e le sue visioni.

« Mi raccomando, dosa la tua forza. » mi preoccupai di rammentarle, stirandole con le mani il vestitino azzurro che sua zia Rose le aveva regalato.

Lei annuì sovraeccitata, lanciando occhiate veloci alle orde di bambini che si accalcavano sulle giostre, prima di correre verso di loro. Non mi sorprese notare che si stava posizionando accanto alla piccola altalena, era sempre stata la sua preferita.

Sorrisi amaramente. Mi piaceva osservarla giocare in quei luoghi pubblici.

Con mio profondo rammarico erano rari i contatti che le erano concessi con i bambini della sua età, probabilmente per il fatto che per lei l’età era qualcosa di relativo. Sebbene dimostrasse all’incirca cinque anni, nella realtà la sua nascita era avvenuta appena un paio d’anni prima.

Sarebbe stato complesso spiegare alle maestre di un asilo perché quella creatura aveva una tale crescita. Nei suoi primi mesi di vita, appurato che non vi era un reale pericolo per la sua salute, io ed Edward avevamo avuto modo di riflettere sulle implicazioni  delle sua natura, giungendo infine alla spiacevole conclusione che non avrebbe potuto frequentare alcuna struttura scolastica, almeno sino al compimento della sua maturazione psico- fisica.

Un vero dramma, considerando la sua indole socievole ed il suo bisogno di rapportarsi. Nonostante il suo attaccamento per Jacob e per la famiglia tutta, nessuno di noi poteva realmente rispondere a quelle esigenze di bambina, dinanzi a cui lei ci poneva. Era destabilizzante per me comprendere di non  poterle dare ciò che desiderava.

Qualsiasi genitore non può che sperare il meglio per la sua creatura, auspicando di veder realizzato per lei ogni sogno e fantasia, ed invece, essere costretti a chiudere gli occhi dinanzi alla tristezza del suo sguardo e alle sue richieste era straziante.

Non che si lamentasse poi tanto. Talvolta, la sua intelligenza l’aveva spinta a porre domande,  su di lei e sulle restrizioni a cui era costretta, sulle differenze con gli altri bambini. Ero quasi certa avesse pienamente compreso che vi erano dei limiti nei rapporti all’esterno della famiglia e del branco di La Push, ma non per questo non faticava ad adattarsi.

Avrei voluto donarle una passeggiata in strada, con il sole alto nel cielo. Poterla portare al mare o dividere con lei un buon gelato. Mi sarebbe piaciuto accompagnarla all’asilo, al mattino, prepararla di tutto punto, avvolgendola in uno di quei deliziosi grembiulini rosa dal colletto bianco.

Niente di tutto ciò era però possibile.

Il parco era l’unica soluzione soddisfacente a cui eravamo giunti. Lì il via vai di madri e padri, con i loro pargoli, le permetteva di tentare qualche approccio. Cosa tutt’altro che difficile, Nessie aveva un incredibile ascendente su chiunque le si avvicinasse. I genitori erano deliziati dai suoi modi da signorina, educata e costantemente imbellettata in qualche abitino di alta moda, i bambini invece, nella loro ingenua dolcezza, non prestavano attenzioni a simili inezie e accettavano sempre di buon grado un nuovo compagno di giochi, disposto ad assecondare le loro richieste.

Renesmèe desiderava a tal punto poter giocare con loro che si sarebbe costretta anche ad affrontare le ire di zia Rose, sporcando uno dei suoi amati vestiti.

Sospirai sommessamente, osservandola ridere, salendo le scalette dello scivolo, pregustando la discesa. Ne aveva uno anche in giardino, regalo di Emmett, insieme a quello che mi avevano spiegato essere un quad, che naturalmente non le avevo permesso di usare, considerando che lui non si era curato di appurare che fosse adatto ad un bambino.

Santa pazienza… meglio non pensarci. Le lotte con Em erano continue, così come le pericolose idee che la sua mente era in grado di partorire.

Scuotendo il capo, per scacciare inutili pensieri, recuperai il romanzo che avevo portato con me, iniziando a sfogliarne le pagine. Quel clima rilassante e pacifico era perfetto per dedicarsi alla lettura. Oltretutto avevo sempre adorato leggere all’aria aperta. Purtroppo non trascorsero che pochi minuti, prima che qualcuno decidesse di disturbarmi.

Un uomo, di bell’aspetto e dall’aria gentile si avvicinò a me, accennando un sorriso. « Le dispiace se mi siedo accanto a lei? Non ci sono altre panchine libere. » constatò, increspando le labbra in una smorfia.

Annuii, sorridendo a mia volta, attenta a non mostrare le zanne. Percepii distintamente il suo cuore perdere un battito e tentai di distogliere lo sguardo dal suo volto arrossato, onde evitare di creargli ulteriore imbarazzo. « Prego. »

Non mi ero ancora adeguata totalmente a quella nuova natura, tralasciando spesso il dettaglio per nulla trascurabile dell’effetto che avevo attualmente sugli umani.

Troppo poco tempo era trascorso da quando anche io rimpinguavo le loro fila, invidiando l’algida bellezza di Rose, la pelle diafana e perfetta di Alice e gli occhi color oro del mio Edwrard.

Bhe, adesso non ho più nulla da invidiare a qualsiasi vampira.

Un vero toccasana per la mia solitamente scarsa autostima, cruccio di tutta la mia infanzia ed adolescenza.

Mi scostai, ponendomi sull’estremità destra della panchina, per far spazio all’uomo, riprendendo mesta la mia lettura, immergendomi nuovamente nel mondo seducente del diciottesimo secolo.

Abiti stravaganti, atteggiamenti di altri tempi… mi sarebbe piaciuto poter vivere in un simile contesto.

Ma…

Mi sentii osservata ed istintivamente mi volsi verso mia figlia, indugiando perplessa sulla sua espressione.

Lo sguardo di Renesmèe era attento e guardingo e, per qualche istante, non prestò alcuna attenzione alla sua graziosa compagna di giochi, una bambina che probabilmente aveva appena terminato di rotolarsi nel fango, visto lo stato dei suoi vestiti. Non riuscii a reprimere un sorriso, a quella buffa scena, Nessie non era mai altrettanto deliziata da simili giochi, aveva frequentato sin troppo le sue zie e la loro mania per la perfezione si era instillata nella mente della mia piccolina.

Personalmente prediligevo di gran lunga trasmetterle una certa noncuranza per simili dettagli, in virtù di una totale libertà di gioco, senza pensieri di sorta.

Vuole rotolarsi nel fango? Bene.

Vuole correre a piedi scalzi, per l’intero giardino di casa? Ok.

Vuole andare a pesca con nonno Charlie e tornare a casa con i capelli e gli abiti impregnati di un fetore si pesce marcio ? Perfetto, tanto basterà qualche sciampo per rimediare.

« È la sua sorellina? – domandò l’uomo al mio fianco, notando lo sguardo amorevole che stavo rivolgendo alla mia piccola. – è adorabile. »

Su questo non c’è dubbio. Pensai.

Non fui però sorpresa dalla sua ipotesi, io mostravo all’incirca diciotto anni e Nessie ormai cinque, di conseguenza, secondo un’ottica umana, all’oscuro delle bizzarre faccende celate al di là della apparenze, io dovevo averla avuta appena a tredicenne.

Queste considerazioni non mi fermarono però dall’ammettere che quel piccolo miracolo era mio, la mia bambina avuta nonostante le difficoltà e le ripercussioni negative di quel parto, per il quale avevo sfiorato la morte. Se fosse stato necessario non avrei esitato ad affrontare nuovamente tutte quelle sofferenze, compreso il dolore che avevo involontariamente inflitto ad Edward… perché Nessie aveva colorato le nostre vite, colmando quel vuoto che io stessa non avevo mai creduto di avere.

« È mia figlia. » replicai, orgogliosa.

Una volta sarei stata scioccamente titubante dinanzi ad una simile prospettiva eppure, il matrimonio, ma soprattutto la nascita di Nessie mi avevano permesso di comprendere quando inutili e fuorvianti fossero simili paure e, quanto il parere altrui non contasse minimamente rispetto a quella vita perfetta di cui mi accingevo a godere.

Ero felice. Per la prima volta nel posto e nel momento giusto.

Sostenni lo sguardo penetrante curioso dell’uomo che, probabilmente, era perso in un tentativo di stima della mia età. Non lo biasimai e non mi offesi per questo. Lasciai che il silenzio aleggiasse tra noi, mentre un sorriso impertinente si disegnava sulle mie labbra.

« Ho più di vent’anni se è questo che vuole sapere!» esclamai,  ghignando internamente per l’espressione contrita che mi rivolse. Non era mia intenzione imbarazzarlo o rivolgergli alcun commento pungente, semplicemente, in barba alle mie vecchie convinzioni, volevo mostrare quanto poco mi turbasse tutto ciò.

Mi tese la mano. « Piacere sono Sebastian, non volevo essere maleducato. – si scusò imbarazzato. – Ma la curiosità ha avuto la meglio. »

Ridacchiai con lui, scrollando le spalle con noncuranza. « Non preoccuparti. – lo rassicurai. – Comunque io sono Isabella. » mi presentai, stringendo la sua mano, con delicatezza.

Un rumore alle mie spalle mi indusse a distogliere lo sguardo da lui, volgendomi indietro.

Notai Nessie, correre verso di noi a passo di carica e non potei evitare di corrugare la fronte perplessa. La sua espressione adirata, tanto buffa su quel visino paffuto e dai lineamenti dolci, non premetteva nulla di buono.

Che diamine ha in mente?

Prima che potessi anche solo intuire le sue intenzioni, la piccoletta sferrò uno schiaffo ben assestato sulla gamba dell’uomo al mio fianco, facendolo sobbalzare vistosamente.  Oh porca miseria.

Sgranai gli occhi, portando le mani dinanzi alle labbra, per sopprimere l’urlo che incombeva, terrorizzata dall’effetto di quello schiaffo, considerando la forza abilmente celata in quella piccole braccia.

« Questa è la mia mamma. » sbottò, gonfiando le guance, oltremodo furibonda.

Da un momento all’altro mi aspettavo di veder Alice sbucare fuori da un cespuglio, urlando: Ci sei cascata.

Sebbene il caratterino focoso di mia figlia non fosse una novità, un tale atteggiamento maleducato non si era mai verificato, tantomeno con uno sconosciuto in un parco.

« Renesmèe, cosa fai. » mi alzai di scatto, afferrandola prontamente, bloccandola tra le mie braccia, e rivolgendo uno sguardo mortificato a Sebastian. « Non so cosa le sia preso, normalmente è così dolce. »

Lui sorrise cordialmente, lasciando che la tensione accumulata si sciogliesse leggermente. « È solo protettiva, forse pensava che la stavo importunando. » ribatté, scherzosamente, neanche minimamente turbato.

Nessie doveva di certo aver dosato la sua forza, ma ciò non diminuiva l’imbarazzo, per ciò che era accaduto.

Rivolsi una veloce occhiata alla piccoletta, ancora imbronciata. « Adesso andiamo a casa e farai i conti con papà! – la minaccia, ostentando la mia solita espressione da mamma adirata. – Sarà molto deluso dal comportamento della sua principessa. » sbottai, stringendo la sua manina nella mia e rivolgendo le ennesime scuse a Sebastian che ci fissava con un misto di divertimento e perplessità. Forse ancora non riusciva a capacitarsi come quella potesse essere realmente mia figlia, nonostante il teatrino che si era appena svolto dinanzi a lui e le conferme che Renesmée stessa gli aveva dato.

Semplicemente adirata, non proferii parola, trascinandola con me sino all’auto, ignorando il suo sguardo contrito ed amareggiato, compreso il piccolo broncio che sapeva essere in grado di farmi capitolare, in normali condizioni. Purtroppo per lei non avevo alcuna intenzione di cedere.

« Mi dici cosa ti è preso? » sibilai, allacciandole bruscamente la cintura. « Non mi sembra di averti mai insegnato a comportarti in questo modo. In un parco per giunta. »

Il singulto che ebbi in risposta mi costringe ad addolcire la mia espressione, lasciando scemare un pò la rabbia. In fin dei conti talvolta dimenticavo che la mia Nessie non era che una bambina.

Sospirai sommessamente, richiudendo la portiera dal suo lato e mi diressi, con la dovuta calma, verso il lato del guidatore per concedermi il giusto tempo per placare la rabbia. Quando mi fui finalmente accomodata mi voltai verso di lei. « Per favore, rispondi alla mamma, perché hai dato quello schiaffo a Sebastian? » domandai cauta, sperando invano in una risposta. Tutto ciò che ottenni fu il suo nasino arricciato in una smorfia nell’udire il nome dell’uomo.

Tacque risoluta.

Antipatia a pelle?

Una cosa piuttosto bizzarra, ma sinceramente non sapevo proprio cosa pensare.

Sbuffando contrariata, mi arresi, conscia che Edward avrebbe ottenuto velocemente le risposte necessarie. Di norma detestavo il suo potere e la sua capacità di addentrarsi nella mente della nostra piccola, considerandola una scomoda violazione della privacy, eppure, in casi come quello, ero più che lieta del suo dono. Nessie mi somigliava anche in questo, sapeva essere assolutamente caparbia e, se aveva deciso di non parlare, non avrebbe emesso sillaba.

Il viaggio trascorse così nel silenzio ed io non potei esimermi dall’osservarla sottecchi, tentando di interpretare le espressioni che passavano man mano sul suo volto. Irritata, offesa, risoluta…

« Vorrei tanto sapere cosa ti passa per quella buffa testolina. » sospirai, parcheggiando finalmente sul vialetto di casa. Uscii dall’auto, scuotendo il capo, conducendola all’interno dell’ampio salone di casa Cullen, dove sapevo che mio marito ci avrebbe atteso.

Edward, percependo la nostra presenza, abbassò il giornale, osservandoci con un’espressione incredula. « Ma… »

« Tua figlia è impazzita. » sbottai adirata, puntando gli occhi nei suoi ed incrociando le braccia al petto.

Notai lo sguardo della mia bambina velarsi di lacrime ma, per una volta, riuscii a non cedere alla tentazione di consolarla in un abbraccio. Ciò che maggiormente mi indispettiva era il non ricevere adeguate spiegazioni riguardo quel gesto inconsueto, considerando la docile remissività che abitualmente mostrava verso gli sconosciuti, soprattutto se adulti.

Anche in questo mi somigliava molto.

« Quando combina qualcosa è sempre mia figlia. » mi rimbeccò lui divertito. Come al solito non era mai in grado di prendere seriamente simili questioni ed io mi riducevo ad avere sempre e comunque il ruolo di genitore cattivo.

Gli scoccai un’occhiataccia, intimandolo ad ammonirla.« Io non vado certo in giro a picchiare sconosciuti. »

Lo vidi arcuare un sopracciglio e fissare intensamente la sua bambina, con un certo compiacimento che non mi piacque affatto. Un sorriso distese, man mano, le sue labbra, fino a che una fragorosa risata non scoppiò riecheggiando nell’intero salone.

« Edward. – lo rimproverai, scioccata. - Vuoi smetterla, per favore? Nessie non può comportarsi in questo modo. »

Mi ignorò, prendendo un profondo respiro per placare l’attacco di risa, che lo aveva colto. Con una mano fece cenno alla sua bambina di raggiungerlo e lei, sebbene con una certa titubanza, a passo di marcia, pronta al patibolo, eseguì il suo ordine.

Delle volte sa essere decisamente teatrale, mi ricorda Alice.

L’afferrò portandola a sedere sulle sue gambe e rivolgendole un sorriso dolce, che mi indispettì ulteriormente, le asciugò una lacrimuccia che scorreva sulla guancia arrossata.

« Tesoro, questo genere di cose non si fanno. – la rimproverò, bonariamente. – Anche se avevi i tuoi buoni motivi, a queste cose ci deve pensare papà e non tu! Quindi, se capiterà di nuovo, sappi che io e la mamma saremo costretti a punirti e non potrai vedere Jake per le successive due settimane. »

Il sobbalzo della mia piccolina fece eco al mio. Come poteva solo pensare di tenere quel lupo lontano dal suo imprinting per quattordici giorni? Dopo il secondo avrebbe dovuto sopportare una palla di pelo isterica, girare per il giardino ululando, e suppliche tutt’altro che decorose, per un uomo della sua età.

Una parte di me sospettava che ad Edward una simile scena non sarebbe dispiaciuta, del tutto. Benché affermasse di essersi abituato all’idea che la sua bambina era destinata a quel coso – sue testuali parole. – ero quasi totalmente certa che, una volta giunta la pubertà di Nessie, saremmo stati tutti costretti a fare i conti con un padre visceralmente geloso.

Che Dio ce la scampi!

La piccolina chinò il capo, annuendo vigorosamente, tirando su poco delicatamente con il nasino.

« Potreste rendermi partecipe? » mugugnai incrociando le braccia al petto. « Ho la sensazione che ci sia qualcosa che non vi siete premurati di comunicarmi. » sentenzia, accomodandomi sul bracciolo della poltrona.

Un gesto fin troppo umano, retaggio di quella vita ormai passata.

Edward  non mi parve affatto propenso a fornirmi spiegazioni ma, il mio sguardo visibilmente alterato, sommato alla velata minaccia che gli rivolsi attraverso i pensieri, lo costrinsero a capitolare.

« Ricordi l’altro giorno, al centro commerciale, quando quel ragazzo si è avvicinato a te con intenti tutt’altro che dignitosi?  »

Corrugai la fronte perplessa ma annuì senza proferir parola.

« Bene, e immagino ricorderai anche che io non ero stato particolarmente contento della cosa. »

Sospettosa, annuii nuovamente. Rammentavo perfettamente quello che era accaduto. Quella mattina, a causa di alcuni acquisti e per il desiderio di una giornata in famiglia, noi tre ci eravamo recati al centro commerciale di Seattle, abbastanza grande per soddisfare le nostre esigenze. Purtroppo, dopo pranzo, mentre acquistavo un cono gelato a Nessie un ragazzo, rozzo quanto un bue in calore, aveva tentato un approccio, ignorando la presenza del mio geloso marito, a poca distanza.

Non osavo immaginare cosa Edward avesse letto nella mente di lui, fatto sta che aveva momentaneamente abbandonato la nostra bambina ad un tavolo del bar, dirigendosi verso di noi a passo felpato. Aveva afferrato il povero malcapitato per il colletto della camicia, trattenendo a stento un ringhio, ma rivolgendogli ugualmente uno sguardo, con i suoi occhi color onice per la rabbia, che avrebbe potuto terrorizzare qualsiasi essere umano dotato di un minimo istinto di sopravvivenza.

In quell’istante era un predatore e il povero ragazzo la sua preda.

Come previsto, quest’ultimo, si era allontanato trafelato, incurante delle persone contro cui si scontrava, nella sua fuga.  Decisamente poco dignitoso!

« E allora? » mormorai, agitandomi sul posto, iniziando ad intuire il reale problema.

Il suo sguardo si fece imbarazzato.  « Dopo sono stato costretto a spiegare a Nessie il perché della mia reazione. – ammise, lisciando i boccoli della sua bambina. – E forse non sono stato… »

Esitò, alla ricerca delle parole adatte, acuendo il mio nervosismo.

« Cosa le hai detto? » sibilai, affilando lo sguardo.

« Che quel tizio ti voleva portare via da me! » esclamò contrito, sospirando amaramente. « Ho un tantino esagerato, probabilmente. » mormorò, arricciando il naso, in quella smorfia tanto simile a quella che ostentava sua figlia, quando si sentiva a disagio.

« Stai scherzando? »

Scosse il capo in senso di diniego mentre sul suo viso si dipingeva un’espressione vagamente dispiaciuta. Vagamente perché il sorriso che stava in tutti i modi cercando di reprimere era ben visibile a causa delle due fossette agli angoli della bocca.

Sbuffai, scuotendo il capo, non sapendo più neanche cosa obiettare. Ora finalmente comprendevo il perché della reazione di Nessie, aveva di certo temuto che Sebastian avesse verso di me chissà quali mire, intenzionato ad allontanarmi da lei e da suo padre. « Quindi… »

« Voleva solo difenderti, credeva che quell’uomo del parco fosse come il ragazzo al centro commerciale. » continuò lui, intuendo i miei pensieri.

Sospirai sommessamente, lasciando scorrere le mani tra i capelli, mentre un sorriso rabbonito si dipingeva sulle mie labbra. Forse ho esagerato… anzi, precisamente avevo rivolto la mia rabbia verso la persona sbagliata.

I miei occhi fiammeggiarono per un istante, incontrando quelli di mio marito con promesse di atroci torture. Lo vidi deglutire a vuoto, timoroso delle conseguenze, ma non fiatò.

« Tesoro. – mormorai avvicinandomi alla mia piccola, ed accarezzandole dolcemente il visino bagnato di lacrime. – La mamma sa difendersi, non c’è bisogno che intervenga tu. »

« Ma papà… »

Rivolsi ad Edward l’ennesimo sguardo truce.

« Papà è solo molto apprensivo e tanto geloso. – ribattei, esalando un sospiro esasperato. – Nessuno mi porterà mai via da voi, non lo permetterei mai. Nessuno potrebbe mai separarmi da te. »

Anche se da un certo vampiro dai capelli rossi potrei allontanarmi ben volentieri se continua ad istigare la mia bambina. Pensai con un certo disappunto, abbassando prontamente il mio scudo, per permettere al diretto interessato di percepire il messaggio.

Un ringhio si levò dal suo petto, ma lo ignorai, tendendo le braccia alla mia bambina, invitandola a raggiungermi. Il sorriso raggiante che mi rivolse ebbe il potere di scaldarmi il cuore ed accolsi il suo corpicino caldo, quando si gettò su di me, con un po’ troppa enfasi. Non indugiai più su rimproveri inutili, conscia che una tale situazione non si sarebbe di certo ripetuta, godendomi invece quel dolce abbraccio.

Restammo così qualche minuto, sino a quando non le schioccai un bacio su quella testolina ramata, tanto morbida e profumata, ridacchiando sommessamente.  « Hai trovato una perfetta alleata nella tua lotta contro gli uomini che mi importunano. » mormorai, rivolgendomi ad Edward che ci osservava tranquillo.

Lui soffocò una risata, grattandosi il capo quasi imbarazzato. « Giuro che non era mia intenzione addestrarla, ma ammetto anche se mi sento decisamente più tranquillo sapendo che ci sarà lei a fare le mie veci. »

« Tu sei matto. » sentenziai ridendo.

« Che ne direbbero le mie due donne di andare al chioschetto dei gelati vicino La Push? Ho promesso una gara di corsa a Seth e mi piacerebbe avere un po’ di tifo. »

« Si! » esultò Nessie, staccandosi velocemente da me. « Verrà anche Jake? » domandò innocentemente, provocando involontariamente una smorfia addolorata sul volto del suo papà.

« Certo. – sospirò quasi depresso. – Chiama anche il botolo. »

E mentre la sua bambina saltellava per casa, alla ricerca del telefono perduto, non potei fare a meno di notare l’espressione malinconica del mio adorato marito. « Sei stato rimpiazzato. » lo provocai e per un istante  giunsi a temere che sarebbe scoppiato in lacrime.

Invece recuperò mesto il suo contegno, schiarendosi la gola.

« Andiamo. – sentenziò, impettito. – Nessie, comunica a Jake che voglio sfidarlo ad una gara di velocità. » urlò, raggiungendo la sua bambina, strappandole il telefono dalle mani.

Lo osservai, stralunata, bofonchiare contro il mio povero amico che avrebbe dovuto subire le mire di un padre geloso e non potei fare a meno di ridere.

Questa è la mia famiglia. Pensai, pervasa da un senso di serenità crescente. Nel posto giusto con le persone giuste.

   
 
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