Questa volta i protagonisti saranno Edward e Bella, alle prese con la piccola Nessie. Ma vi anticipo che la prossima avrà come protagonisti la coppia Jasper/Alice XD ho già un'ideuccia, che spero di riuscire a delineare come voglio. Chissà.
Voglio dedicare questa one-shot alla mia cognatina, che in quanto a pazzia mi fa degna concorrenza ahahahahah vale_cullen1992 *_____* T.V.B
«
Amore, che ne
dici di un giro al parco? »
Mi
chinai
dinanzi alla mia piccola Renéesme, scostandole il ciuffo ribelle, che
le
ricadeva sulla fronte.
Il
suo sorriso
si illuminò all’istante, alla prospettiva di trascorrere l’intero
pomeriggio
sulle giostre, con altri bambini. « Si!
» esultò, saltandomi tra le braccia, stringendomi in una morsa,
assolutamente
sorprendente considerando la sua stazza.
Ridacchiai,
scoccandole un bacio sulla testolina. « Muoviamoci, allora. » la
esortai.
«
Vado a
prendere il maglioncino. » mormorò
annuendo, prima di scattare via, pronta ad uscire.
Almeno
aveva
finalmente compreso che la sua natura non la rendeva invulnerabile e
che non le
avrei mai permesso di uscire non adeguatamente vestita. Comunemente a
molti
bambini della sua età, spesso si era ribellata all’idea di indossare
cappotto,
felpe, guanti e tutti quegli indumenti in grado di limitare i suoi
movimenti.
Secondo Alice io ero sin troppo apprensiva, sempre a preoccuparmi di
inezie
inutili.
A
parer mio ero
sin troppo liberale, costretta a subire le pressioni di una famiglia di
vampiri, che da troppo tempo si erano lasciati indietro la loro umanità
e la
fragilità insita in essa.
Sorrisi
divertita
notando il corpicino paffuto saltellare giù per le scale, stringendo
tra le
braccia il maglioncino e l’ennesimo barattolino di bolle di sapone.
«
Hai salutato
papà? » le domandai avviandomi verso la macchina.
Lei
si limitò ad
annuire, trotterellando dietro di me, con un’espressione felice ad
assolutamente soddisfatta.
La mia bambina.
Sistemandola
sul
sediolino anteriore, accanto a me, le allacciai la cintura prima di
entrare in
auto, io stessa. « Andiamo! » sentenzia
allegra, osservandola fremere dall’impazienza.
Deliziata
dal
suo entusiasmo, trascorremmo il viaggio cantando vecchie canzoni dei
cartoni
della disney che, sotto la mia influenza, aveva imparato ad amare. Zio
Jasper
aveva girato innumerevoli negozi per reperire tutti i dvd di quei
piccoli
capolavori, solo per far felice la sua nipotina.
La stiamo viziando troppo!
L’aria
frizzante
ed il profumo dei fiori primaverili ci diedero il benvenuto, una
ventina di
minuti più tardi, nel piccolo parco di periferia. Ci eravamo
allontanate da
Forks, per non attirare eccessive attenzioni su di noi. Per la
cittadina Nessie
non esisteva e, l’unico ad essere a conoscenza della sua presenza, così
come
della sua rapida crescita, era nonno Charlie. Per tale motivo le nostre
gite
non si limitavano mai ad un unico parco, ma con la massima accuratezza
sceglievamo quelli abbastanza distanti e adeguatamente isolati.
In
questo Alice
era un’ottima risorsa, con il suo strabiliante potere e le sue visioni.
« Mi
raccomando,
dosa la tua forza. » mi preoccupai di rammentarle, stirandole con le
mani il
vestitino azzurro che sua zia Rose le aveva regalato.
Lei
annuì
sovraeccitata, lanciando occhiate veloci alle orde di bambini che si
accalcavano sulle giostre, prima di correre verso di loro. Non mi
sorprese
notare che si stava posizionando accanto alla piccola altalena, era
sempre
stata la sua preferita.
Sorrisi
amaramente. Mi piaceva osservarla giocare in quei luoghi pubblici.
Con
mio profondo
rammarico erano rari i contatti che le erano concessi con i bambini
della sua
età, probabilmente per il fatto che per lei l’età
era qualcosa di relativo. Sebbene dimostrasse all’incirca cinque anni,
nella
realtà la sua nascita era avvenuta appena un paio d’anni prima.
Sarebbe
stato
complesso spiegare alle maestre di un asilo perché quella creatura
aveva una
tale crescita. Nei suoi primi mesi di vita, appurato che non vi era un
reale
pericolo per la sua salute, io ed Edward avevamo avuto modo di
riflettere sulle
implicazioni delle sua natura, giungendo
infine alla spiacevole conclusione che non avrebbe potuto frequentare
alcuna
struttura scolastica, almeno sino al compimento della sua maturazione
psico-
fisica.
Un
vero dramma,
considerando la sua indole socievole ed il suo bisogno di rapportarsi.
Nonostante il suo attaccamento per Jacob e per la famiglia tutta,
nessuno di
noi poteva realmente rispondere a quelle esigenze di bambina, dinanzi a
cui lei
ci poneva. Era destabilizzante per me comprendere di non
poterle dare ciò che desiderava.
Qualsiasi
genitore non può che sperare il meglio per la sua creatura, auspicando
di veder
realizzato per lei ogni sogno e fantasia, ed invece, essere costretti a
chiudere gli occhi dinanzi alla tristezza del suo sguardo e alle sue
richieste
era straziante.
Non
che si
lamentasse poi tanto. Talvolta, la sua intelligenza l’aveva spinta a
porre
domande, su di lei e sulle restrizioni a
cui era costretta, sulle differenze con gli altri bambini. Ero quasi
certa
avesse pienamente compreso che vi erano dei limiti nei rapporti
all’esterno
della famiglia e del branco di La Push, ma non per questo non faticava
ad
adattarsi.
Avrei
voluto
donarle una passeggiata in strada, con il sole alto nel cielo. Poterla
portare
al mare o dividere con lei un buon gelato. Mi sarebbe piaciuto
accompagnarla
all’asilo, al mattino, prepararla di tutto punto, avvolgendola in uno
di quei
deliziosi grembiulini rosa dal colletto bianco.
Niente
di tutto
ciò era però possibile.
Il
parco era
l’unica soluzione soddisfacente a cui eravamo giunti. Lì il via vai di
madri e
padri, con i loro pargoli, le permetteva di tentare qualche approccio.
Cosa
tutt’altro che difficile, Nessie aveva un incredibile ascendente su
chiunque le
si avvicinasse. I genitori erano deliziati dai suoi modi da signorina,
educata
e costantemente imbellettata in qualche abitino di alta moda, i bambini
invece,
nella loro ingenua dolcezza, non prestavano attenzioni a simili inezie
e
accettavano sempre di buon grado un nuovo compagno di giochi, disposto
ad
assecondare le loro richieste.
Renesmèe
desiderava a tal punto poter giocare con loro che si sarebbe costretta
anche ad
affrontare le ire di zia Rose, sporcando uno dei suoi amati vestiti.
Sospirai
sommessamente, osservandola ridere, salendo le scalette dello scivolo,
pregustando la discesa. Ne aveva uno anche in giardino, regalo di
Emmett, insieme
a quello che mi avevano spiegato essere un quad,
che naturalmente non le avevo permesso di usare, considerando che lui
non si
era curato di appurare che fosse adatto ad un bambino.
Santa pazienza… meglio non
pensarci. Le
lotte con Em erano continue, così come
le pericolose idee che la sua mente era in grado di partorire.
Scuotendo
il
capo, per scacciare inutili pensieri, recuperai il romanzo che avevo
portato
con me, iniziando a sfogliarne le pagine. Quel clima rilassante e
pacifico era
perfetto per dedicarsi alla lettura. Oltretutto avevo sempre adorato
leggere
all’aria aperta. Purtroppo non trascorsero che pochi minuti, prima che
qualcuno
decidesse di disturbarmi.
Un
uomo, di
bell’aspetto e dall’aria gentile si avvicinò a me, accennando un
sorriso. « Le
dispiace se mi siedo accanto a lei? Non ci sono altre panchine libere.
» constatò,
increspando le labbra in una smorfia.
Annuii,
sorridendo a mia volta, attenta a non mostrare le zanne. Percepii
distintamente
il suo cuore perdere un battito e tentai di distogliere lo sguardo dal
suo
volto arrossato, onde evitare di creargli ulteriore imbarazzo. « Prego.
»
Non
mi ero
ancora adeguata totalmente a quella nuova natura, tralasciando spesso
il
dettaglio per nulla trascurabile dell’effetto che avevo attualmente
sugli
umani.
Troppo
poco
tempo era trascorso da quando anche io rimpinguavo le loro fila,
invidiando
l’algida bellezza di Rose, la pelle diafana e perfetta di Alice e gli
occhi
color oro del mio Edwrard.
Bhe, adesso non ho più nulla
da invidiare
a qualsiasi vampira.
Un
vero
toccasana per la mia solitamente scarsa autostima, cruccio di tutta la
mia
infanzia ed adolescenza.
Mi
scostai,
ponendomi sull’estremità destra della panchina, per far spazio
all’uomo,
riprendendo mesta la mia lettura, immergendomi nuovamente nel mondo
seducente
del diciottesimo secolo.
Abiti stravaganti,
atteggiamenti di altri
tempi… mi sarebbe piaciuto poter vivere in un simile contesto.
Ma…
Mi
sentii
osservata ed istintivamente mi volsi verso mia figlia, indugiando
perplessa
sulla sua espressione.
Lo
sguardo di
Renesmèe era attento e guardingo e, per qualche istante, non prestò
alcuna
attenzione alla sua graziosa compagna di giochi, una bambina che
probabilmente
aveva appena terminato di rotolarsi nel fango, visto lo stato dei suoi
vestiti.
Non riuscii a reprimere un sorriso, a quella buffa scena, Nessie non
era mai
altrettanto deliziata da simili giochi, aveva frequentato sin troppo le
sue zie
e la loro mania per la perfezione si era instillata nella mente della
mia
piccolina.
Personalmente
prediligevo di gran lunga trasmetterle una certa noncuranza per simili
dettagli, in virtù di una totale libertà di gioco, senza pensieri di
sorta.
Vuole rotolarsi nel fango?
Bene.
Vuole correre a piedi scalzi,
per
l’intero giardino di casa? Ok.
Vuole andare a pesca con nonno
Charlie e
tornare a casa con i capelli e gli abiti impregnati di un fetore si
pesce
marcio ? Perfetto, tanto basterà qualche sciampo per rimediare.
« È
la sua
sorellina? – domandò l’uomo al mio fianco, notando lo sguardo amorevole
che
stavo rivolgendo alla mia piccola. – è adorabile. »
Su questo non c’è dubbio. Pensai.
Non
fui però
sorpresa dalla sua ipotesi, io mostravo all’incirca diciotto anni e
Nessie
ormai cinque, di conseguenza, secondo un’ottica umana, all’oscuro delle
bizzarre faccende celate al di là della apparenze, io dovevo averla
avuta
appena a tredicenne.
Queste
considerazioni non mi fermarono però dall’ammettere che quel piccolo
miracolo
era mio, la mia bambina avuta nonostante le difficoltà e le
ripercussioni
negative di quel parto, per il quale avevo sfiorato la morte. Se fosse
stato
necessario non avrei esitato ad affrontare nuovamente tutte quelle
sofferenze,
compreso il dolore che avevo involontariamente inflitto ad Edward…
perché Nessie
aveva colorato le nostre vite, colmando quel vuoto che io stessa non
avevo mai
creduto di avere.
« È
mia figlia.
» replicai, orgogliosa.
Una
volta sarei
stata scioccamente titubante dinanzi ad una simile prospettiva eppure,
il
matrimonio, ma soprattutto la nascita di Nessie mi avevano permesso di
comprendere quando inutili e fuorvianti fossero simili paure e, quanto
il
parere altrui non contasse minimamente rispetto a quella vita perfetta
di cui
mi accingevo a godere.
Ero
felice. Per la prima volta nel posto e nel momento
giusto.
Sostenni
lo
sguardo penetrante curioso dell’uomo che, probabilmente, era perso in
un
tentativo di stima della mia età. Non lo biasimai e non mi offesi per
questo.
Lasciai che il silenzio aleggiasse tra noi, mentre un sorriso
impertinente si
disegnava sulle mie labbra.
« Ho
più di
vent’anni se è questo che vuole sapere!» esclamai,
ghignando internamente per l’espressione
contrita che mi rivolse. Non era mia intenzione imbarazzarlo o
rivolgergli
alcun commento pungente, semplicemente, in barba alle mie vecchie
convinzioni,
volevo mostrare quanto poco mi turbasse tutto ciò.
Mi
tese la mano.
« Piacere sono Sebastian, non volevo essere maleducato. – si scusò
imbarazzato.
– Ma la curiosità ha avuto la meglio. »
Ridacchiai
con
lui, scrollando le spalle con noncuranza. « Non preoccuparti. – lo
rassicurai.
– Comunque io sono Isabella. » mi presentai, stringendo la sua mano,
con
delicatezza.
Un
rumore alle
mie spalle mi indusse a distogliere lo sguardo da lui, volgendomi
indietro.
Notai
Nessie,
correre verso di noi a passo di carica e non potei evitare di corrugare
la
fronte perplessa. La sua espressione adirata, tanto buffa su quel
visino
paffuto e dai lineamenti dolci, non premetteva nulla di buono.
Che diamine ha in mente?
Prima
che
potessi anche solo intuire le sue intenzioni, la piccoletta sferrò uno
schiaffo
ben assestato sulla gamba dell’uomo al mio fianco, facendolo sobbalzare
vistosamente. Oh porca miseria.
Sgranai
gli
occhi, portando le mani dinanzi alle labbra, per sopprimere l’urlo che
incombeva, terrorizzata dall’effetto di quello schiaffo, considerando
la forza abilmente
celata in quella piccole braccia.
«
Questa è la
mia mamma. » sbottò, gonfiando le guance, oltremodo furibonda.
Da
un momento
all’altro mi aspettavo di veder Alice sbucare fuori da un cespuglio,
urlando: Ci sei cascata.
Sebbene
il caratterino
focoso di mia figlia non fosse una novità, un tale atteggiamento
maleducato non
si era mai verificato, tantomeno con uno sconosciuto in un parco.
«
Renesmèe, cosa
fai. » mi alzai di scatto, afferrandola prontamente, bloccandola tra le
mie
braccia, e rivolgendo uno sguardo mortificato a Sebastian. « Non so
cosa le sia
preso, normalmente è così dolce. »
Lui
sorrise
cordialmente, lasciando che la tensione accumulata si sciogliesse
leggermente.
« È solo protettiva, forse pensava che la stavo importunando. »
ribatté,
scherzosamente, neanche minimamente turbato.
Nessie
doveva di
certo aver dosato la sua forza, ma ciò non diminuiva l’imbarazzo, per
ciò che
era accaduto.
Rivolsi
una
veloce occhiata alla piccoletta, ancora imbronciata. « Adesso andiamo a
casa e
farai i conti con papà! – la minaccia, ostentando la mia solita
espressione da
mamma adirata. – Sarà molto deluso dal comportamento della sua
principessa. »
sbottai, stringendo la sua manina nella mia e rivolgendo le ennesime
scuse a
Sebastian che ci fissava con un misto di divertimento e perplessità.
Forse
ancora non riusciva a capacitarsi come quella potesse essere realmente
mia
figlia, nonostante il teatrino che si era appena svolto dinanzi a lui e
le
conferme che Renesmée stessa gli aveva dato.
Semplicemente
adirata, non proferii parola, trascinandola con me sino all’auto,
ignorando il
suo sguardo contrito ed amareggiato, compreso il piccolo broncio che
sapeva
essere in grado di farmi capitolare, in normali condizioni. Purtroppo
per lei
non avevo alcuna intenzione di cedere.
« Mi
dici cosa
ti è preso? » sibilai, allacciandole bruscamente la cintura. « Non mi
sembra di
averti mai insegnato a comportarti in questo modo. In un parco per
giunta. »
Il
singulto che
ebbi in risposta mi costringe ad addolcire la mia espressione,
lasciando
scemare un pò la rabbia. In fin dei conti talvolta dimenticavo che la
mia
Nessie non era che una bambina.
Sospirai
sommessamente, richiudendo la portiera dal suo lato e mi diressi, con
la dovuta
calma, verso il lato del guidatore per concedermi il giusto tempo per
placare
la rabbia. Quando mi fui finalmente accomodata mi voltai verso di lei.
« Per
favore, rispondi alla mamma, perché hai dato quello schiaffo a
Sebastian? »
domandai cauta, sperando invano in una risposta. Tutto ciò che ottenni
fu il
suo nasino arricciato in una smorfia nell’udire il nome dell’uomo.
Tacque
risoluta.
Antipatia a pelle?
Una cosa piuttosto bizzarra, ma sinceramente non sapevo
proprio cosa
pensare.
Sbuffando
contrariata, mi arresi, conscia che Edward avrebbe ottenuto velocemente
le
risposte necessarie. Di norma detestavo il suo potere e la sua capacità
di addentrarsi
nella mente della nostra piccola, considerandola una scomoda violazione
della
privacy, eppure, in casi come quello, ero più che lieta del suo dono.
Nessie mi
somigliava anche in questo, sapeva essere assolutamente caparbia e, se
aveva
deciso di non parlare, non avrebbe emesso sillaba.
Il
viaggio
trascorse così nel silenzio ed io non potei esimermi dall’osservarla
sottecchi,
tentando di interpretare le espressioni che passavano man mano sul suo
volto.
Irritata, offesa, risoluta…
«
Vorrei tanto
sapere cosa ti passa per quella buffa testolina. » sospirai,
parcheggiando
finalmente sul vialetto di casa. Uscii dall’auto, scuotendo il capo,
conducendola all’interno dell’ampio salone di casa Cullen, dove sapevo
che mio
marito ci avrebbe atteso.
Edward,
percependo la nostra presenza, abbassò il giornale, osservandoci con
un’espressione incredula. « Ma… »
«
Tua figlia è
impazzita. » sbottai adirata, puntando gli occhi nei suoi ed
incrociando le
braccia al petto.
Notai
lo sguardo
della mia bambina velarsi di lacrime ma, per una volta, riuscii a non
cedere
alla tentazione di consolarla in un abbraccio. Ciò che maggiormente mi
indispettiva era il non ricevere adeguate spiegazioni riguardo quel
gesto
inconsueto, considerando la docile remissività che abitualmente
mostrava verso
gli sconosciuti, soprattutto se adulti.
Anche
in questo
mi somigliava molto.
«
Quando combina
qualcosa è sempre mia figlia. » mi rimbeccò lui divertito. Come al
solito non
era mai in grado di prendere seriamente simili questioni ed io mi
riducevo ad
avere sempre e comunque il ruolo di genitore cattivo.
Gli
scoccai
un’occhiataccia, intimandolo ad ammonirla.« Io non vado certo in giro a
picchiare sconosciuti. »
Lo
vidi arcuare
un sopracciglio e fissare intensamente la sua bambina, con un certo
compiacimento che non mi piacque affatto. Un sorriso distese, man mano,
le sue
labbra, fino a che una fragorosa risata non scoppiò riecheggiando
nell’intero
salone.
«
Edward. – lo
rimproverai, scioccata. - Vuoi smetterla, per favore? Nessie non può
comportarsi in questo modo. »
Mi
ignorò,
prendendo un profondo respiro per placare l’attacco di risa, che lo
aveva
colto. Con una mano fece cenno alla sua bambina di raggiungerlo e lei,
sebbene
con una certa titubanza, a passo di marcia, pronta al patibolo, eseguì
il suo
ordine.
Delle volte sa essere
decisamente
teatrale, mi ricorda Alice.
L’afferrò
portandola a sedere sulle sue gambe e rivolgendole un sorriso dolce,
che mi
indispettì ulteriormente, le asciugò una lacrimuccia che scorreva sulla
guancia
arrossata.
«
Tesoro, questo
genere di cose non si fanno. – la rimproverò, bonariamente. – Anche se
avevi i
tuoi buoni motivi, a queste cose ci deve pensare papà e non tu! Quindi,
se
capiterà di nuovo, sappi che io e la mamma saremo costretti a punirti e
non
potrai vedere Jake per le successive due settimane. »
Il
sobbalzo
della mia piccolina fece eco al mio. Come poteva solo pensare di tenere
quel
lupo lontano dal suo imprinting per quattordici giorni? Dopo il secondo
avrebbe
dovuto sopportare una palla di pelo isterica, girare per il giardino
ululando,
e suppliche tutt’altro che decorose, per un uomo della sua età.
Una
parte di me
sospettava che ad Edward una simile scena non sarebbe dispiaciuta, del
tutto.
Benché affermasse di essersi abituato all’idea che la sua bambina era
destinata
a quel coso – sue testuali parole. –
ero quasi totalmente certa che, una volta giunta la pubertà di Nessie,
saremmo
stati tutti costretti a fare i conti con un padre visceralmente geloso.
Che Dio ce la scampi!
La
piccolina
chinò il capo, annuendo vigorosamente, tirando su poco delicatamente
con il
nasino.
«
Potreste
rendermi partecipe? » mugugnai incrociando le braccia al petto. « Ho la
sensazione che ci sia qualcosa che non vi siete premurati di
comunicarmi. »
sentenzia, accomodandomi sul bracciolo della poltrona.
Un
gesto fin
troppo umano, retaggio di quella vita ormai passata.
Edward non mi parve affatto propenso a fornirmi
spiegazioni ma, il mio sguardo visibilmente alterato, sommato alla
velata
minaccia che gli rivolsi attraverso i pensieri, lo costrinsero a
capitolare.
«
Ricordi
l’altro giorno, al centro commerciale, quando quel ragazzo si è
avvicinato a te
con intenti tutt’altro che dignitosi? »
Corrugai
la
fronte perplessa ma annuì senza proferir parola.
«
Bene, e
immagino ricorderai anche che io non ero stato particolarmente contento
della
cosa. »
Sospettosa,
annuii nuovamente. Rammentavo perfettamente quello che era accaduto.
Quella
mattina, a causa di alcuni acquisti e per il desiderio di una giornata
in famiglia,
noi tre ci eravamo recati al centro commerciale di Seattle, abbastanza
grande
per soddisfare le nostre esigenze. Purtroppo, dopo pranzo, mentre
acquistavo un
cono gelato a Nessie un ragazzo, rozzo quanto un bue in calore, aveva
tentato
un approccio, ignorando la presenza del mio geloso marito, a poca
distanza.
Non
osavo
immaginare cosa Edward avesse letto nella mente di lui, fatto sta che
aveva
momentaneamente abbandonato la nostra bambina ad un tavolo del bar,
dirigendosi
verso di noi a passo felpato. Aveva afferrato il povero malcapitato per
il
colletto della camicia, trattenendo a stento un ringhio, ma
rivolgendogli
ugualmente uno sguardo, con i suoi occhi color onice per la rabbia, che
avrebbe
potuto terrorizzare qualsiasi essere umano dotato di un minimo istinto
di
sopravvivenza.
In
quell’istante
era un predatore e il povero ragazzo la sua preda.
Come
previsto,
quest’ultimo, si era allontanato trafelato, incurante delle persone
contro cui
si scontrava, nella sua fuga. Decisamente
poco dignitoso!
« E
allora? »
mormorai, agitandomi sul posto, iniziando ad intuire il reale problema.
Il
suo sguardo
si fece imbarazzato. « Dopo sono stato
costretto a spiegare a Nessie il perché della mia reazione. – ammise,
lisciando
i boccoli della sua bambina. – E forse non sono stato… »
Esitò,
alla
ricerca delle parole adatte, acuendo il mio nervosismo.
«
Cosa le hai
detto? » sibilai, affilando lo sguardo.
«
Che quel tizio
ti voleva portare via da me! » esclamò contrito, sospirando amaramente.
« Ho un
tantino esagerato, probabilmente. » mormorò, arricciando il naso, in
quella
smorfia tanto simile a quella che ostentava sua figlia, quando si
sentiva a
disagio.
«
Stai
scherzando? »
Scosse
il capo
in senso di diniego mentre sul suo viso si dipingeva un’espressione
vagamente
dispiaciuta. Vagamente perché il sorriso che stava in tutti i modi
cercando di
reprimere era ben visibile a causa delle due fossette agli angoli della
bocca.
Sbuffai,
scuotendo il capo, non sapendo più neanche cosa obiettare. Ora
finalmente
comprendevo il perché della reazione di Nessie, aveva di certo temuto
che Sebastian
avesse verso di me chissà quali mire, intenzionato ad allontanarmi da
lei e da
suo padre. « Quindi… »
«
Voleva solo
difenderti, credeva che quell’uomo del parco fosse come il ragazzo al
centro
commerciale. » continuò lui, intuendo i miei pensieri.
Sospirai
sommessamente, lasciando scorrere le mani tra i capelli, mentre un
sorriso
rabbonito si dipingeva sulle mie labbra. Forse
ho esagerato… anzi, precisamente avevo rivolto la mia rabbia verso
la
persona sbagliata.
I
miei occhi
fiammeggiarono per un istante, incontrando quelli di mio marito con
promesse di
atroci torture. Lo vidi deglutire a vuoto, timoroso delle conseguenze,
ma non
fiatò.
«
Tesoro. –
mormorai avvicinandomi alla mia piccola, ed accarezzandole dolcemente
il visino
bagnato di lacrime. – La mamma sa difendersi, non c’è bisogno che
intervenga
tu. »
« Ma
papà… »
Rivolsi
ad
Edward l’ennesimo sguardo truce.
«
Papà è solo
molto apprensivo e tanto geloso. – ribattei, esalando un sospiro
esasperato. –
Nessuno mi porterà mai via da voi, non lo permetterei mai. Nessuno
potrebbe mai
separarmi da te. »
Anche se da un certo vampiro
dai capelli
rossi potrei allontanarmi ben volentieri se continua ad istigare la mia
bambina.
Pensai con un
certo disappunto, abbassando prontamente il mio scudo, per permettere
al
diretto interessato di percepire il messaggio.
Un
ringhio si
levò dal suo petto, ma lo ignorai, tendendo le braccia alla mia
bambina,
invitandola a raggiungermi. Il sorriso raggiante che mi rivolse ebbe il
potere
di scaldarmi il cuore ed accolsi il suo corpicino caldo, quando si
gettò su di
me, con un po’ troppa enfasi. Non indugiai più su rimproveri inutili,
conscia
che una tale situazione non si sarebbe di certo ripetuta, godendomi
invece quel
dolce abbraccio.
Restammo
così
qualche minuto, sino a quando non le schioccai un bacio su quella
testolina
ramata, tanto morbida e profumata, ridacchiando sommessamente. « Hai trovato una perfetta alleata nella tua
lotta contro gli uomini che mi importunano. » mormorai, rivolgendomi ad
Edward
che ci osservava tranquillo.
Lui
soffocò una
risata, grattandosi il capo quasi imbarazzato. « Giuro che non era mia
intenzione addestrarla, ma ammetto anche se mi sento decisamente più
tranquillo
sapendo che ci sarà lei a fare le mie veci. »
« Tu
sei matto.
» sentenziai ridendo.
«
Che ne
direbbero le mie due donne di andare al chioschetto dei gelati vicino
La Push?
Ho promesso una gara di corsa a Seth e mi piacerebbe avere un po’ di
tifo. »
«
Si! » esultò
Nessie, staccandosi velocemente da me. « Verrà anche Jake? » domandò
innocentemente,
provocando involontariamente una smorfia addolorata sul volto del suo
papà.
«
Certo. –
sospirò quasi depresso. – Chiama anche il botolo. »
E
mentre la sua
bambina saltellava per casa, alla ricerca del telefono perduto, non
potei fare
a meno di notare l’espressione malinconica del mio adorato marito. «
Sei stato
rimpiazzato. » lo provocai e per un istante
giunsi a temere che sarebbe scoppiato in lacrime.
Invece
recuperò
mesto il suo contegno, schiarendosi la gola.
«
Andiamo. –
sentenziò, impettito. – Nessie, comunica a Jake che voglio sfidarlo ad
una gara
di velocità. » urlò, raggiungendo la sua bambina, strappandole il
telefono
dalle mani.
Lo
osservai,
stralunata, bofonchiare contro il mio povero amico che avrebbe dovuto
subire le
mire di un padre geloso e non potei fare a meno di ridere.
Questa è la mia famiglia. Pensai, pervasa da un senso di
serenità
crescente. Nel posto giusto con le
persone giuste.