Carta Bruciata. Capitolo
Due.
«Io
vivo. Ogni volta che vengo qua è come se entrassi nel mondo
vero,
allontanandomi dall'insieme di menzogne. Entro in quell'unico posto
che considero casa mia ovvero questo casale e prendo un pennello in
mano. Su ogni tela bianca ce una storia che poi noi dipiangiamo.
I
colori sono la cosa più bella del mondo. Immaginati un
quadro bianco
e nero o un viso. Immaginati un mondo non dipinto, come vedere il
Golden Gate nero, senza quell'eccentricità dell'arancio che
brilla
su tutta San Francisco. Forse non sarebbe nemmeno così bello
e probabilmente non avrebbe neanche un senso.»
Quella stanza assomigliava ad una galleria d'arte, colma di bellezze straordinarie che parlavano di Eleein. Passavo per quel corridoio meravigliandomi di chi avessi a volte davanti, altre accanto, altre ancora insieme a me. Ogni tela dipinta era come una storia scritta e raccontata nei minimi dettagli da quella ragazza, piena di amore, gratitudine e allo stesso tempo di tensione, lesioni interne e flebili, sbucciature e fermezza. Erano allo stesso tempo pieni delicatezza e decisione,come se il tempo non potesse cambiare nulla di quel racconto imperfetto.Improvvisamente mi fermaì, notando un quadro diverso da ogni altro, sia per la pennellata, sia per ogni altra caratteristica.
«..Questo è diverso.»
Elley
mi guardò, sgranando gli occhi, sorpresa dal mio
accorgimento. Riguardai quel quadro e ne rimasi in qualche modo
colpito, osservando ogni curvatura, ogni pennellata, ogni spigolo
demercato, ogni fiamma di quel fuoco dipinto sulla tela bianca.
Quel fuoco era un segno di vita, ne ero totalmente certo, come un
marchio inciso sulla sulle costole o un tatuaggio sulla pelle, come lo
scosso dei polmoni colmi di catrame ad un attacco di tosse, come un
ultimo grido che dice: «Voglio
vita.»
Lei mi mise una mano sulla spalla, accarezzandomela leggermente. «Raccontami la storia di questo
dipinto, Elley.»
Eleein si sedette sulla poltrona posizionata al centro della sala,
togliendosi i tacchi e rannicchiando le gambe sulla stoffa.
Guardò il soffitto per qualche minuto poi abbassò
lo sguardo e mi guardò negli occhi.
«Da
piccola mio padre mi aveva regalato una stanza per il mio ottavo
compleanno. Era enorme, con dei grossi scaffali rossi, gialli e neri.
Su di essi c'era carta, un infinità di carta. Lui mi
regalò tutta quella carta perchè sapeva che amavo
disegnare. Nessuna tela, colori ad olio e nemmeno pennarelli o una
matita, no. Solamente carta. Fogli di tutti i tipi, di tutti i colori,
di ogni tipo di forma o dimensione. In quella stanza poi c'era un
enorme camino. Io ogni giorno dipingevo ma non ho nessun disegno fino
ai miei diciassette anni perchè ogni pezzo di carta subito
dopo averci disegnato lo buttavo nel fuoco e rimanevo seduta a guardare
la carta.. bruciare.»
Non le dissi nulla ma rimasi
solo ad ascoltare un altra storia della sua vita.
Lentamente mi avvicinai a lei, inginocchiandomi davanti alla poltrona.
Conoscevo Eleein da poco tempo eppure per me quella ragazza
rappresentava un grido di vita.
Prima d'allora avevo conosciuto donne complicate, depresse, prive di
forza con un passato ed una vita difficile ma mai avevo incontrato
qualcuno che per tutta la sua vita aveva combattuto per vivere, per
sorridere e crescere nel migliore modo possibile.
«Io
non riesco a spiegarmi tutto questo.
Riesco a sentirti, ad ascoltarmi. Capisci che ti sento?»
Mi avvicinai sempre di più a lei, sentendo quel suo odore,
quella sua sensazione di insicurezza che invadeva anche me. Tremavo
come tremava lei. Chiuse gli occhi, come se non volesse vedere il
futuro ma solamente sentirlo dentro di se.
Le baciai le labbra, senza fretta e senza esitazione. Le sfiorai e poi
le accarezzai piu forte, leccandole, assaporandole, rendendole mie.
Elley subentrò sulle mie, addolcendole con il loro tocco e
loro passione.
La presi in braccio senza lasciarla andare, mi sedetti sul divano e
l'appoggiaì sulle mie gambe, continuando quell'insieme
inseparabile costituiti dai nostri baci.
Un suo bacio costituiva l'unione più indelebile a cui avevo
mai partecipato. Mi attraeva, mi catturava con le sue storie di vita e
lei, per me, era come droga. Intensa, cattiva, che porta
felicità e dolore, che è dipendenza. Lei era la
mia.
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Dannazione.
Non
sta prendendo proprio la piega che desideravo però spero di
esserci riuscita a scrivere qualcosa di decente.
Sciona: Sono davvero contenta che ti piaccia. Grazie mille per i
complimenti. Cosa hai letto di mio?
Fede: Sai, non sono una che si ferma molto alla grammatica. è importantissima ma essa si può correggere mentre l'emozione non si detta e non si coregge. Si lo so che c'erano molti luoghi comuni ma da questa storia pretendo solo che sia parte di me e che lasci qualcosa, anche nella leggera banalità. Grazie per i complimenti e non ti preoccupare per Jake e Nessie.