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Autore: Ely79    17/07/2010    7 recensioni
Harry è Auror e vive a Grimmauld Place con la sua famiglia, ma il palazzo cade a pezzi e le memorie dei Black ingombrano ancora le stanze. Ginny, preoccupata per James e Albus e per la figlioletta in arrivo, decide di rivolgersi a chi può dar loro una mano.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Sirius Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Tavola 10 - As buildt
Hermione era al settimo cielo. Quella sarebbe stata la sua conquista più grande, ne era certa. Guardò Hugo che dormiva nonostante il brusio di sottofondo della festa e pensò quanto fosse bello non vedere Kreacher aggirarsi portando vassoi e bicchieri, come era stato al matrimonio di Harry e Ginny. Pochi giorni dopo il furto, l’elfo aveva chiesto al padrone d’essere liberato per poter andare a salvare la signora Black. La richiesta aveva parecchio stupito Harry, che immaginava il domestico molto più attaccato al medaglione ed alle poche cose di Regulus piuttosto che al quadro della megera ululante.
«La padrona ha solo Kreacher e Kreacher non può lasciare sola la padrona!» era stata la sua spiegazione.
Commosso, Harry l’aveva accontentato, facendogli presente che sarebbe stato sempre il benvenuto, qualora avesse deciso di tornare una volta conclusa la missione di salvataggio.
«Certo, il motivo della liberazione non è l’emancipazione sociale, ma è un inizio. Aspetterò che la voce si diffonda e sono sicura che dovrò fare gli straordinari per regolarizzare la posizione di tantissimi elfi!» esclamò entusiasta, sorseggiando del succo di zucca.
Ginny era scettica a riguardo, ma non disse nulla.
Era il giorno dell’inaugurazione del rinnovato numero dodici di Grimmauld Place ed il compleanno di Harry: avrebbe accuratamente evitato qualsiasi forma di malumore, anche se le notti di sonno mancate la rendevano piuttosto irascibile. Lily e Albus si volevano talmente bene da avere le colichette contemporaneamente. E Jamie, per non essere da meno, si svegliava appena i fratellini si acquietavano, con la pretesa di giocare. Harry le aveva dato una mano quando aveva potuto: in quei mesi era stato spesso fuori per dar la caccia a Miles. Era diventata una questione personale, da sanare in tempi brevi. Quell’uomo aveva passato il segno introducendosi in casa loro.
«Vorrei sapere chi mi darà una mano, ora che Kreacher se n’è andato. Non posso chiedere a mia madre di fare avanti e indietro ogni giorno» sbuffò, guardando supplichevole la donna al suo fianco.
«Spiacente, anch’io ho il mio bel daffare. Due figli ed un marito che potrebbe essere il terzo troppo cresciuto…» sospirò Hermione, gettando uno sguardo tenero e preoccupato all’ennesima rappresentazione della guerra.
Il ruolo del cattivo toccava a Ron ed era quasi sicura che sarebbe tornato a casa con almeno un paio di bei lividi: Fred e Teddy spesso si lasciavano trasportare come se avessero il vero Voldemort davanti. A Natale Harry si era preso un morso su ciascun polpaccio dai due improvvisati paladini. Hermione sperava che l’uniforme del marito reggesse l’assalto. Ron ci teneva moltissimo, diventava pazzo se scopriva una macchia o un filo pendente. Era cresciuto negli abiti smessi dai fratelli o comprati al mercatino dell’usato, vergognandosene, ed ora che poteva permettersi di acquistarli li teneva con tutta la cura possibile. In particolar modo l’alta uniforme e non solo perché emblema di una fulgida carriera: l’aveva indossata per la prima volta il giorno del loro matrimonio, tre anni prima. Quel giorno Hermione aveva scoperto quanto il grigio donasse al suo uomo.
«Potresti chiedere consiglio a Fleur, anche lei ha tre figli» propose, ma Ginny dissentì.
«Madame Weasley-Delacour ha smesso di lavorare alla prima gravidanza, è ovvio che riesce a star dietro alla famiglia. Fa la casalinga mentre io lavoro per il Quidditch Week! "Sci tonevo propriò a quel postò ala Gringòtt, però i bombini sono trés piccolì…" Pantofolaia d’un Veela» ribatté piccata, imitando la cognata.
Lily sbadigliò pigra accanto al cugino di pochi giorni più grande. Li si sarebbero potuti scambiare per gemellini, con quei buffi ciuffi rossi e la pelle di un rosa appena accennato. Molti ospiti passavano a salutare e a congratularsi, scambiando ogni volta il maschietto per la femminuccia e viceversa.
«Non è stata una bella mossa quella i vestirli con la stessa tutina bianca» osservò Kingsley prendendoli in braccio entrambi.
Contro la sua pelle scura e la veste blu notte, i neonati sembravano due minuscoli dolcetti alla panna.
«Per favore, non mettertici pure tu! Questa cosa del rosa-femminuccia e azzurro-maschietto non la sopporto. È ridicola! Io ho sempre detestato il rosa eppure sono una donna!» sibilò Ginny, ripulendo il mento di Albus.
Riusciva sempre a svitare un po’ il tappo del biberon, facendo colare il latte dappertutto. Nella lavanderia una pila di vestitini aveva urgente bisogno di un lavaggio, le scorte di indumenti puliti si assottigliavano drasticamente. E Al non faceva nulla per aiutarla.
«Mi spiace che Annie non sia potuta venire» fece Hermione.
«Purtroppo Zoe ha la varicella e detesta stare con mia madre quando è malata. Non avete idea di cosa significhi avere a che fare con una bambina di cinque anni!» disse il Ministro, accomodandosi.
Solo quando fu seduto si rese conto degli sguardi irati che lo trafiggevano da ambo i lati. Di certo i due cuginetti non l’avrebbero aiutato a trarsi d’impaccio.

***

Francis si aggirava nella cucina come una belva in una gabbia troppo stretta. La luce entrava dalle finestre rasenti il marciapiede. Aveva abbandonato il bicchiere sul piano di maioliche rosse e oro, per evitare di rovesciarselo addosso o di farlo a pezzi.
Non riusciva a fingersi felice. Per otto settimane era stato il ritratto della cortesia e dell’amicizia, mantenendo la promessa fatta al San Mungo, comportandosi da autentico amico. Non aveva mai superato il limite che si era autoimposto. Camille apprezzava, arrivando persino a sorridergli. Si sentiva un verme per averle mentito, eppure al tempo stesso stava benissimo.
Aver visto la sua Cam al fianco del borioso Macmillan aveva però ridotto ai minimi termini la sua capacità di reggere la situazione. Lui le teneva una mano sulla schiena, la faceva ridere, le porgeva pasticcini con la scusa che le opere l’avessero provata oltre misura, le presentava gente influente che l’avrebbe contattata in seguito per affidarle incarichi prestigiosi. La sua galanteria era rivoltante, ma lei sembrava compiacersene. E vederla così, gli faceva male.
Udì passi frettolosi sulla scala. Si nascose accanto al camino, per avere il tempo di riordinare l’uniforme di gala. Quel grigio fumo li faceva somigliare agli Avieri di Sua Maestà, ed aveva la pessima abitudine di riempirsi di pieghe al minimo movimento. Per portarlo senza problemi bisognava essere delle statue.
Chi entrò corse al lavandino singhiozzando e lì rimase, sporgendosi sulla vasca. Gli ansiti riecheggiavano debolmente sulla ceramica.
Era Camille. Perché era tanto sconvolta? Il primo pensiero fu che quel dannato cascamorto l’avesse in qualche modo umiliata. Il secondo fu d’imboccare le scale e andare a spaccargli la faccia. Non poteva bistrattare la fidanzata il giorno della sua consacrazione nel mondo dell’Archimagia.
«Che c’è Cam? Cos’è successo?»
La donna sobbalzò spaventata.
«F-Francis… c-cosa fai qui?» singhiozzò, cercando a sua volta di ricomporsi.
Il trucco le colava dagli occhi che sembrarono più limpidi, di vetro brunito.
«Beh… volevo un po’ di pace. Troppo chiasso» e indicò il soffitto.
Da sopra arrivava il baccano delle cucciolate Potter-Weasley al completo.
«Perché piangi?»
«Io… non credo di farcela»
«A fare cosa?»
«Ho… rilasciato… un’intervista»
Strana conseguenza per delle banali domande.
«Per… A… A…» balbettò.
«Aaa?» la invitò.
«Archimagical Digest» disse tutto d’un fiato.
«Archima… aspetta. Non è quel mensile dove pubblicano i lavori solo agli Archimaghi più affermati?»
Lei annuì. Francis rimase a bocca aperta.
«Camille, sai cosa vuol dire?»
Annuì ancora, un poco più sollevata.
«Ce l’hai fatta!» esclamò andandole incontro.
«Archimagical Digest! Archimagical Digest!» esultò l’Archimaga.
In un attimo era fra le sue braccia, ridendo e piangendo allo stesso tempo.
«Ce l’hai fatta! Ce l’hai fatta!» continuò a ripetere l’uomo.
Era uno dei traguardi a cui puntava fin da ragazzina. Avere una copertina della rivista significava trovarsi nel gota del settore, avere voce in capitolo. L’incidente non aveva intaccato la sua credibilità professionale come aveva temeva. Ora poteva solo continuare a salire, l’avrebbero trattata col rispetto che meritava dopo anni di sacrifici e delusioni. Elder avrebbe dovuto tacere e farsi da parte: il nome Goldstein era intoccabile.
A Camille sfuggì l’improvviso irrigidirsi di Francis, allo stesso modo in cui dimenticò di star abbracciando l’ex-fidanzato. Presa dall’euforia aveva cercato la sua bocca, baciandolo con trasporto. Il mago, che avrebbe voluto respingerla, si lasciò sopraffare dal desiderio di prolungare all’infinito quell’incontro. Per troppi anni aveva sentito la sua mancanza. Se avesse saputo a chi rivolgersi, avrebbe pregato perché il mondo si fermasse in quel preciso istante.
Invece, tutto cessò un attimo dopo, quando l’Archiamaga si rese conto di quel che stava facendo. Impossibile ignorare che fosse lei a manifestare maggior partecipazione.
«N-non c-credere che s-significhi qualcosa» ansimò, allontanandosi con lo sguardo sul pavimento.
L’uomo si sarebbe morso le labbra, se ciò non avesse cancellato quel bacio.
«Ero troppo felice e… non avrei dovuto» proseguì timidamente la strega.
«No, non avresti dovuto» confermò stringendo i pugni. «Tranquilla, non dirò nulla. Siamo amici, no? Macmillan non verrà a saperlo»
Quel gesto ora sapeva di addio. Bruciava dentro, amaro come fiele.
«È una cosa che non lo riguarda» rispose Camille, sistemando il maquillage con un paio d’incantesimi.
«Tu dici?»
«La mia vita privata è affar mio, non suo»
«Che rapporto aperto avete! Ma sì, perché dare un dolore al tuo fidanzato ad un mese dalle nozze?» ringhiò.
«Fidanzato?»
«Macmillan»
Camille lo fissò interrogativa.
«Vuoi dire che…tu e quello…»
«Certo che no. Come ti salta in mente? Ernest sposerà la figlia dell’Ambasciatore danese, è scritto su… oh, Agrippa santissimo!» strepitò impallidendo.
A quelle parole, Francis ebbe la sensazione che della sabbia gli scivolasse nel corpo. Ad ogni sillaba pronunciata, una minuscola mano l’aveva sollevato, trasportandolo in cielo. Camille non avrebbe sposato quel cicisbeo. Era libera. Poteva essere ancora sua.
Una gioia radiosa gli distese il viso, gioia che fece scattare una reazione indispettita nella strega.
«Smetti di ridere»
«Non sto ridendo. Sorrido, le feste mi mettono di buon umore» si schermì, ammutolendo subito dopo.
«Brutto bugiardo traditore che non sei altro» l’accusò, gelida.
Pessimo inizio. Francis provò l’irrefrenabile desiderio di schizzare fuori e nascondersi da qualche parte. Decise fosse saggio mettere le mani avanti.
«Posso spiegarti»
«Taci. Voi Grifondoro non eccellete nell’oratoria» lo redarguì. «Quando Harry mi ha affidato i lavori…»
«Non era il signor Potter?»
Lo fulminò sul posto. Mai interrompere una Corvonero arrabbiata mentre esterna. L’aveva dimenticato.
«Quando Harry mi ha affidato i lavori» riprese acida, «hai cominciato a pedinarmi. Non so come, ma ho percepito la tua presenza. Sentivo qualcuno al mio fianco. Mi stavi troppo vicino, arrivavi a sfiorarmi e anche se non ti riconoscevo, sapevo che eri lì»
Avrebbe giurato fosse arrossita nel dirlo, quasi la lusingasse. Probabilmente era il contrario: era furiosa e tentava di dominarsi, ma la gioia d’avere ancora delle chance con lei minava il giudizio di Francis. E illudersi era dolce.
«Poi sei venuto a cena. Ginevra mi ha raccontato che avevi fatto il difficile, prima di lasciarti convincere. Ed eccoti, un damerino dell’alta società. Quello che saresti diventato se non mi avessi incontrata. Avevi deciso di voler combattere per riavermi. Sfortunatamente per te sei partito col piede sbagliato»
Riusciva ad essere drasticamente realista. Una fredda analisi dell’accaduto.
«Hai continuato a seguirmi, nonostante ti avessi detto di smettere. Sei stato persino sul tetto del palazzo di fronte a casa mia, ti ho visto! Una prestazione scadente per un Auror. Eri là anche durante il temporale, razza d’incosciente. Potevi prenderti un malanno»
La sua voce aveva un’incrinatura impercettibile. Lievissima, simile al velo di lucidalabbra che portava.
«Stavi mettendo nelle grane Harry, te n’eri accorto?» lo rimproverò.
«No» e nell’ammetterlo si sentì molto stupido.
Era un pensiero che non l’aveva mai sfiorato. Le sue distrazioni, l’eccessiva allegria, le frequenti assenze nelle trasferte, la stanchezza per i pedinamenti fuori servizio, una possibile denuncia per stalking… Potter doveva aver fatto i salti mortali per giustificarlo.
«Quando perdi la testa non ti guardi intorno e fai soffrire chi hai vicino»
«Anche a Dublino?»
Domanda dura, ma doverosa. Voleva capire se era stato così o c’era dell’altro.
«Sì, mi hai ferita anche se entrambi abbiamo avuto una parte allora. Ma non stavamo parlando di questo»
La pausa che seguì la contraddiceva. Desideravano chiarire, spiegare quell’insensata sceneggiata che li aveva divisi.
«Mi hai fatto paura!» sbraitò, assestandogli un pugno sulla spalla per ribadire quanto fosse adirata. «E mi hai soccorsa comunque quando ne ho avuto bisogno, incurante del mio divieto, salvo fingerti un amico in seguito! Traditore!»
«Cam, io…»
«Non t’azzardare a negare! Bugiardo!» urlò. «“Non mi vuoi, starò al mio posto, c’è un altro nella tua vita”! Credevo parlassi di James Sirius! Del fatto che lo adoro e farei di tutto per un figlio come lui!» singhiozzò, riprendendo l’invettiva prima di svelare altro sul desiderio di maternità che aveva preso a tormentarla. «“Tienimi come amico”… Che razza d’amico vorresti essere, se fai una proposta del genere solo perché credi che abbia un uomo? Cos’avevi in testa? Diventare il mio amante? Mandare a monte una relazione creata dal cervello bacato della Skeeter?!?»
Francis sgranò gli occhi.
«Q-quindi… sai…?»
«Dell’articolo? Eccome se lo so! Ed anche lei, fidati. Il mio legale sta facendo pagare cara ogni singola goccia d’inchiostro a lei ed al redattore della Gazzetta! Per non parlare dell’avvocato dei Macmillan! La farà radiare dall’ordine dei giornalisti. Lavoro con Ernest da anni e solo perché ha voluto che l’accompagnassi dai fornitori che ho selezionato per l’allestimento, non significa che…»
La strega si zittì di fronte a quegli spicchi azzurri brillanti di sorpresa. Sentì le ginocchia tremare. Agrippa, quanto le mancava la luce di quegli occhi?
Si ricompose e proseguì.
«Non sposerei mai uno come lui. Buono e caro quanto vuoi, ma significherebbe lavorare ventiquattrore su ventiquattro! Ernest non sa scindere gli affari dal privato, che razza di vita avrei fatto?» spiegò, rendendosi conto in quel momento d’averlo fatto esattamente per sei anni. «Se ci tenevi così tanto a me, come hai potuto credere a quelle frottole, Francis? Come? Tu mi conosci!» e conosceva la piega delle sue labbra, il loro tremito leggero.
Quello del Ballo del Ceppo. Era amareggiata e delusa.
Basta fare il clown, doveva dirle la verità.
«Quando sono tornato a cercarti, non avevi lasciato nulla. Pensavo volessi cancellarmi definitivamente. Mi odiavi ancora così tanto quando eravamo là, nell’ingresso. E quando ho letto… credevo ti fossi rifatta una vita, che fossi felice. Avevo perso le speranze. Mi sarei accontentato di essere un’ombra, nell’attesa di superare la cosa»
«Da quando uno come te perde le speranze?» domandò, sistemando la camicetta con noncuranza. «Sei sempre stato tu ad infonderle agli altri. Ne so qualcosa»
L’uomo cercò il calice. Doveva essere lì vicino. Aveva bisogno di tenersi in piedi. Mentre le dita arrancavano sulla maiolica, le parole di Camille lo lasciarono spiazzato, incapace di procedere nella ricerca.
«Sei il più grande idiota del mondo. Un adorabile, bugiardo, ostinato idiota, Francis»
A rincarare la dose, c’erano le guance arrossate a coronare il timido sorriso che gli rivolgeva.
«Milly? Sei qui?» chiamarono dalla scala.
Macmillan la cercava.
«Arrivo»
«Milly» ridacchiò Francis.
Era talmente melenso quel diminutivo. Il genere di cose che lei detestava.
«Attento a quel che stai per dire, Grifondoro» l’avvertì, ma l’Auror si limitò a guardarla pieno d’emozione.
Camille raggiunse la scala con lo stomaco in subbuglio per la contentezza. Aveva l’impressione che milioni di fiori le germogliassero nel petto. Possibile bastasse così poco per ripianare sei anni di vuoto? Sei anni di  rancore e lacrime? Sì, era possibile, anche se per una Corvonero il ragionamento non avrebbe dovuto aver senso. Ma lei non era una Corvonero qualunque. Era un’Archimaga, e nell’Archimagia c’erano sentieri che con la logica avevano ben poco a che vedere, fatti di sentimento e follia. Era abbastanza temeraria da percorrerli? L’aveva fatto una volta, sbagliando. Ora conosceva il trucco, poteva evitare che la voragine si aprisse sotto i loro piedi. Era la tecnica del trilite: un architrave retto da due spalle. E ad entrambi mancava una spalla per poter reggere la propria vita.
Si fermò al pianerottolo e lo chiamò.
«Francis, sono molto stanca. Avrei bisogno che un buon amico mi riaccompagnasse a casa»

***

Verso sera, gli ospiti cominciarono ad abbandonare la festa. Le strade erano punteggiate di Auror in uniforme e figure ammantate che sparivano pian piano. Chi aveva portato i figli con sé rientrava via camino, complimentandosi per le comode dimensioni del focolare riservato a quel genere di viaggi. Data la numerosa schiera di parenti dei Potter, la Goldstein aveva provveduto ad installarne uno grande abbastanza da ospitare contemporaneamente due adulti e due o tre bambini.
Quando l’Archimaga giunse sulla porta con in braccio James, restavano pochi invitati. Abbandonati i giochi con i cugini, il bambino era tornato da lei. Voleva fare altre magie, cambiare colore e forma a tutto quello che gli veniva in mente. Camille scrollava il capo divertita: i paroloni che le sarebbero occorsi per spiegare perché non potevano Trasfigurare un muro portante in biscotto al cioccolato non avevano traduzione nel linguaggio del Capomastro.
Francis la raggiunse mentre prendeva congedo. James si agitava contro la spalla della maga, piagnucolando.
«No ciabae!» protestò, facendo scudo con le braccia.
Come tutti i bimbi della sua età, detestava farsi toccare la faccia da altri che non fossero i genitori. E poi i baci erano cose da femmine, gliel’aveva insegnato Fred che lo sapeva perché era grande: aveva sette anni!
«Niente bacio? Che Capomastro sei, se non ti fai salutare dalla tua Archimaga?» lo punzecchiò Harry.
Il bambino ci pensò su, aspettando risposte dalla madre che s’indicava il viso. Poco convinto, porse la guancia a Camille, che la sfiorò appena. Si ripulì prontamente con la manica, suscitando un coro di risate. Harry lo prese in braccio senza accorgersi che il piccolo stava macchinando una delle sue trovate. Non visto, aveva afferrato la lunga collana della strega, trascinandosela dietro.
«James Sirius!» chiamò mezza strangolata.
«Lasciala subito!» lo sgridò Ginny, colpendolo leggermente sul dorso della mano, ma lui strinse più forte, tirandosi vicina l’Archimaga.
Lo sguardo vispo mise tutti in allarme: di solito preludeva un guaio. James puntò Lawson, la tipica espressione di astuta ingenuità dipinta sul faccino. Tese la manina, offrendo la collana. Camille lo fissava incerta, non capiva cosa volesse fare.
«Io ti eggalo» disse.
«Jamie, non si regalano le persone!» scherzò il padre, ma lui aveva tutta l’intenzione di farsi dar retta.
«Io ti eggalo a ttega, peò tuu faiibbavo e noafaipiaggee» spiegò, agitando il ditino all’indirizzo dell’Auror.
Ginny era ammirata dalla faccia tosta e dalla sensibilità del pargolo. Disarmante e dolcissima. Jamie era un mago, non c’era dubbio, e quello voleva essere il suo primo incantesimo. Sorrise complice, incrociando le dita di nascosto e premendole sulla schiena di Harry, per fargli sapere in cosa sperasse.
Francis prese il monile, scambiando sguardi straniti con la donna. Non poteva dispiacere il figlio del suo capo, non dopo che aveva difeso Camille dimostrandosi un osso duro per i suoi due anni. Negli Auror sarebbe stato perfetto. In un’altra squadra però. Avrebbe fatto volentieri a meno dei suoi calci.
«Va bene. Promesso» disse, sforzandosi di apparire colpito dal gesto.
«Pometto!» lo ammonì il piccolo, soddisfatto.

***

La luce entrava dal bow-window, tersa e vibrante, riflettendosi negli occhi di Francis sopra di lei. Era interessante notare come il blu del soffitto facesse risaltare il contorno scarmigliato dei suoi capelli.
«Buon giorno, cornacchia pigrona» sorrise.
«Buon giorno, sciocco Grifondoro» sbadigliò languida. «Temo d’avere un serio problema di memoria. Non avevamo stabilito d’essere solo amici?»
«Sì, l’avevamo stabilito» assentì.
«E… perché mi ritrovo nuda e a letto con te, che dovresti essere al lavoro?» domandò, facendo scorrere le gambe sotto le lenzuola fino ad intrecciarle con quelle dell’Auror.
«Perché oggi sono di riposo e, da buon amico, ti ho fatto compagnia, cercando di colmare una terribile mancanza che sentivi da anni» rispose, nascondendo il viso contro la sua spalla.
«Mancanza?» fece Camille sorniona, accarezzandogli le spalle. «Credi che in sei anni non abbia avuto altre relazioni?»
Lui si risollevò, serio in volto.
«Sono abbastanza adulto da ammettere che se ne ho avute io, devi averle avute tu. Anche se non mi piace quest’idea. La detesto. Ma non siamo Golem, te l’ho detto. Però non hai fatto l’amore con quelli come l’hai fatto con me» sottolineò, giocherellando col lembo di lenzuolo che le copriva il petto.
«E come l’avrei fatto?» s’informò curiosa.
Il mago prese a darle piccoli baci sulle labbra.
«Con passione, dolcezza, desiderio, abbandonandoti a… è normale?»
Camille seguì il suo sguardo interrogativo, scoprendo accanto al letto una figuretta rosa e minacciosa.
«Lappie! Che fai? Metti giù quel mattarello!»
L’elfa agitò rabbiosa l’attrezzo da cucina all’indirizzo di Francis.
«Padrona, l’uomo cattivo ha fatto piangere la padrona e poi l’ha fatta gemere e ansimare! Ha fatto male alla padrona e ora Lappie lo punisce!»
Quella dimostrazione di lealtà era impagabile e buffa.
«Calmati Lappie, va tutto bene» disse l’Archimaga, intenerita da tanto attaccamento.
Era troppo giovane per avere una vaga idea di cosa accadesse nella camera da letto di due esseri umani che si amavano. Ed era così affezionata alla padrona che difficilmente avrebbe desistito dall’intento se non le avesse fatto capire per filo e per segno che non correva alcun pericolo tra le braccia di quell’uomo. Le spiegò che la sera precedente aveva pianto tra le braccia di quell’uomo, ma per il bisogno di sfogare tutte le paure che si era tenuta dentro in quegli anni.  Il resto era stato il modo di Francis di farle tornare il sorriso e di riunire le loro vite.
«Allora la padrona è felice?» chiese dubbiosa.
Camille sbirciò l’Auror, steso al suo fianco.
«Sì, Lappie, sono felice» sorrise sincera.
Sulle prime l’elfa non parve convinta, continuando a rivolgere occhiatacce indignate all’intruso che attendeva l’evolversi della situazione.
«Francis potrebbe diventare il tuo padrone, insieme a me. Ti va, Lappie?» propose.
La creaturina lasciò cadere il mattarello sul pavimento, la faccia nascosta dietro le grandi orecchie. Servire due padroni era per lei una sorta di traguardo, un premio per aver fatto bene il suo dovere. Cominciò ad esultare, battendo gli enormi piedi per terra. Si fermò, gli occhi traboccanti di gioia e chiese:
«Padroni, quando Lappie può avere anche dei padroncini?»


Devo scrivere: “E vissero tutti felici e contenti”? Che dite? O, come promesso anche per Draconarius, vogliamo dare una sbirciatina al futuro di questa coppia? Dopo tutto, Lappie ha fatto una richiesta precisa…
Grazie a LiTtLe_MissGiuly_, Finleyna 4 Ever, ika90 e a tutti coloro che hanno letto e recensito.
Visto che questo è l’ultimo capitolo, ribadisco ancora una volta che attendo i vostri commenti e, dato che non potrò rispondere dal capitolo, per ogni eventualità ci sentiremo via mail! Vi invito ancora a dare un’occhiata alla mia storia originale, un po’ ispirata a questa: Archimagia.
Alla prossima fic!
Per Circe: felice di aver chiarito ogni cosa. James è piccolo, vede il mondo da un punto di vista forse ancora più magico di quello dei maghi adulti. Ed ora che sai come va a finire la storia (?) che mi dici?
   
 
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