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Autore: SunS H I N E    17/07/2010    1 recensioni
Un passato nascosto può nascondere il proprio presente.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Morning Sun.

Capitolo primo.

Prendere una scatola di cereali, quella mattina, appariva difficoltoso. Tutto appariva difficoltoso. Apparecchiare la tavola di solito le piaceva, le dava una parvenza di normalità. Il solo gesto di prendere una tazza sbeccata dal mobiletto la faceva sentire più forte, più viva. Più utile. Era difficile accettare una sconfitta, non era da lei. Quel 2 giugno era iniziato male. Ed era agitata,troppo agitata, innaturalmente agitata. C'era qualcosa di strano in quella convocazione, ma rifiutare era da pazzi. Tutto sommato la sua vita, ultimamente, era una pazzia continua. Andarsene da casa era stato un gesto sconsiderato, ma non aveva potuto resistere. La situazione era diventata ingestibile, le sue lacrime troppo frequenti le avevano lasciato le guance livide. Lividi diversi da quelli violacei, dispersi sulla pelle sotto i vestiti scomodi, ma altrettanto dolorosi...non ci poteva pensare. Scosse la testa ed i lunghi ricci ondeggiarono. Dispose maniacalmente il cucchiaio ed il coltello sulla tovaglietta a scacchiera, stando attenta a mantenere un ordine apparentemente illogico. Il fischio della caffettiera troncò i suoi pensieri, come il risveglio tronca i sogni a metà. Nel versare il liquido annacquato nella tazza, gettò un'occhiata sconsolata al libro di diritto, aperto malamente e gettato sul divano. Era lì da due giorni, ed ancora non lo aveva degnato di uno sguardo. All'università, ultimamente, non era andata molto. Spesso si svegliava tardi, dopo una serata a lavorare in qualche bar sporco. Ripensò alle giustificazioni false, al libretto riempito per metà, per paura di un misero voto in condotta, alle corse la mattina per non perdere il pullman, quando la mamma si svegliava tardi. I tempi del liceo erano finiti, e non avrebbe mai pensato di poter sentire la loro mancanza. L'università con lei era crudele. Timida e riservata, non era mai riuscita a stringere un rapporto solido con nessuno dei suoi compagni di corso. Gli appunti che passavano di mano in mano, a lei non arrivavano mai. Da un po' la fiducia e la speranza sembravano mancare. Forse sommersi dall'angoscia, dalla paura e dalle pastiglie di uno psicologo qualsiasi, stavano buoni buoni in un angolo, attenti a non toccare il suo esile corpo. Perciò quella chiamata l'aveva terrorizzata. Si era accorta di non provare piacere, o ansia, o sorpresa. Semplicemente paura, e sospetto. Innanzitutto, era giunta la sera tardi. Era da poco passata la mezzanotte, se lo ricordava bene. Se ne stava lì, sul divanetto scomodo, un evidenziatore giallo fosforescente in una mano, ed il libro dall'altra parte della stanza. Pensava, o forse no. La sua mente era un luogo oscuro persino per lei. Ricordò la luce della luna, ricordò di averne calcolato la direzione, i raggi spenti che delineavano i contorni bui della stanza. E poi, come una lama affilata, lo squillo insistente del suo cellulare era penetrato nel suo cervello, monotono e fastidioso. Al quinto squillo si convinse che non doveva essere uno degli stupidi scherzi di qualcuno dei suoi compagni di corso, e si decise a rispondere. "Pronto?" La voce era risuonata meccanica ed apatica nel vuoto della stanza buia. "Parlo con Alice?". Una voce calda, morbida. Rassicurante. "Si,sono io" "Vorrei proporti un colloquio. Un colloquio di lavoro. Sei disponibile mercoledì mattina?" "Certo",si era affrettata a rispondere. Certo. Come le era venuto in mente? "Ok,ci vediamo al bar Nero, alle 8. Ne discutiamo davanti ad un caffè.". La voce si era spenta. Non si era chiesta che lavoro voleva proporle. Non si era chiesta il perchè di un incontro proprio lì, nel suo quartiere. Eppure Roma era così grande, così grande, e lei non aveva mai creduto alle coincidenze. Aveva bisogno di quel lavoro, di quello o di un altro, per potersi permettere quella catapecchia, e le tasse universitarie, ed un panino a mezzogiorno. Ma ora ne era pentita. Un miliardo di "se" e di "ma" le vorticavano in testa, come le farfalle che dispiegano le loro ali in una mattina di primavera. Si alzò, scostando la sedia dal tavolo senza far rumore, un'abitudine presa da piccola, quando camminava in punta dei piedi per non svegliare la mamma. "Shh,fai silenzio. La mamma riposa." La mamma riposa. Gettò un'occhiata verso il letto disfatto e sentì le lacrime pungere, spingere frenetiche contro la palpebra umida. E, con un salto, gettarsi, lanciarsi da un'altezza spropositata per finire accantonate nell'incavo del collo. Salate, come quella vita che, di dolce, sembrava non avere più nulla.
  
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