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Autore: SunS H I N E    31/07/2010    0 recensioni
Un passato nascosto può nascondere il proprio presente.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 Il tempo scorre. A tratti illogico, impaziale, spento. A tratti corre via come il sospiro di un neonato. Se Alice avesse dovuto dare un nome a quell'emozione, sarebbe stato lontano da "impazienza". Controllata da un cervello distante, aveva riposto le stoviglie nel lavello ed aperto il rubinetto. Aveva osservato l'acqua gelida schizzare ai bordi di ottone, formare candide gocce di condensa ed adagiarsi a ricoprire il mucchio di piatti e bicchieri. La sera prima si era rifiutata di lavarli ed in una sola notte sembravano raddoppiati. L'acqua non smacchia,pensò. L'acqua sciaqua, nient'altro. Si era infiliata un completo modesto ed anonimo, beige. Il trucco leggero stonava. Non aveva dormito molto, e le guance avevano perso il loro rossore. Chiudersi la porta alle spalle non era stato semplice. Era come aprire una porta verso l'ignoto più buio ed illudersi di non aver paura. Come un flash,nella mente era apparsa l'immagine sbiadita della porta rosso scuro di casa sua che sbatteva teatralmente, quell'ultima volta. Poi l'immagine era scomparsa dietro una coltre di umidità e calore. Il cielo avrebbe dovuto essere terso. Non una nuvola che fosse degna di essere chiamata tale opprimeva quella distesa infinita sopra di lei. Eppure l'aria mattutina era densa di una patina sottile e fastidiosa, come un apatico strato di fumo.I ventotto gradi stonavano, a quell'ora. Il bar non era distante. Non ci andava spesso. Giusto qualche caffè, ogni tanto, per spezzare lo studio. La città era sveglia da un pezzo. Gente indaffarata, gente vestita di stracci, gente di corsa, gente che ride. Gente. Intorno a lei i volti sfilavano, monotoni. Nel suo paese, tutti conoscevano tutti. La mattina uscire di casa era come entrare in un luogo affollato di amici e conoscenti. Era bello. Era il suo passato. Il presente le sfrecciava accanto, frenetico. I passi di Alice si confondevano con quelli di una Anna, una Silvia, un Mauro, un Matteo qualunque. Provò a contare i passi, cercando di distrarsi. I colloqui le mettevano una certa apprensione, un misto di paura ed eccitazione. Questo, poi, così assurdo ed irreale, le lasciava un sapore amaro in bocca. Alla sola vista, in lontananza, della vetrata lucida del bar Nero, il cuore prese a batterle forte. Stupida. Che stupida che sono. Stiamo in un bar affollato, in piena Roma. E questo è solo un incontro di lavoro., si disse. Che andrà sicuramente male. Le otto meno dieci, ed era già seduta nel tavolo più adombrato. Quei dieci minuti erano vuoti. Spenti. Frugò nella testa, alla ricerca di un argomento da affrontare, un pretesto per smettere di guardare le lancette dell'orologio che camminavano lente su di un quadrante troppo lucente. Come a cercare un punto di incontro con un interlocutore invisibile, scoprì di non avere niente da dire a sé stessa. Il corso innaturale dei suoi pensieri sfociò in un vicolo illogico di argomenti mai affrontati, un caos al quale Alice era abituata a non dare spago. Incontrò uno stop, dopo qualche minuto, quando un'ombra le si parò davanti. Alzò lo sguardo, e per un attimo, rimase senza fiato. Nel tempo, si chiese spesso cosa di quell'uomo la colpì tanto. Forse è destino che certe cose accadono. Forse,"certe cose", è il nome buono che diamo agli errori, quando non ci va di chiamarli tali. Ripensare agli errori, troppo spesso è inutile. Ripensare a lui era inutile. "Alice?" La voce, la sua voce! Era come conoscerla da sempre, una ninna nanna sentita tante volte, della quale si conoscono tutte le piccole inflessioni, tutti i toni con cui cantarla. "Alice.",rispose. E si rilassò. L'uomo sorrise. Il suo sorriso era abbagliante, o forse era lei a giudicarlo tale. Si sporse per porgerle la mano, e lei copiò minuziosamente il suo movimento. Era come un polo gravitazionale. Una calamita. Non capì che avrebbe dovuto esserne spaventata. A diciannove anni non si pretende di conoscere che forma abbia l'amore. "Sono Marco. Marco Parisi. E' un piacere conoscerla." Il divario di espressione le sembrò strano. Sentirsi dare del "lei", dopo essere stata chiamata per nome le ricordava i tempi del liceo. I professori che cercavano di fare gli amici. Scacciò il pensiero che scivolò via portando con se' quel briciolo di buon senso che ancora rimaneva ad Alice. "Siediti!" le aveva detto. Ed ancora una volta si era stupita di quanto quella voce, quella magnifica voce, potesse attirarla e coinvolgerla, ed avvolgere il suo corpo in un calore freddo, tanto da farla rabbrividire. Ubbidì, plagiata. Si ricordò di aver letto qualcosa a proposito del canto delle sirene, una volta. Un passaggio le era rimasto piuttosto impresso, tra i tanti: "Esse attiravano, i marinai con il loro canto facendoli naufragare sugli scogli delle loro isole rocciose, pronte a rapirli e a divorarli". Sorrise di quel pensiero, cercando di collegarlo in qualche modo a quell'uomo sulla trentina che le sedeva davanti. Se si fosse soffermata qualche secondo in più, avrebbe capito che qualcosa, in quel pensiero, avrebbe dovuto farle venire i brividi. Ma i suoi respiri di nuovo la distrassero. "E' davvero un piacere conoscerla" esordì. "Suo padre mi aveva detto che era sbocciata come un fiore." Suo padre. Il sangue le si gelò nelle vene.
  
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