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Autore: Roberta87    18/07/2010    5 recensioni
Bella è una ragazza difficile , con problemi….è una cattiva ragazza. Si droga , ha cattive compagnie, beve, fa sesso con chiunque…..insomma è una ragazza sbandata e sola al mondo. Quando , all’improvviso , nella sua vita si insinuerà la presenza di un ragazzo sconosciuto. Lo stesso ragazzo che le salverà la vita , una notte , per non lasciarla più….un Edward anche lui completamente avulso dal suo ruolo in Twilight. Bella non capirà l’intromissione di Edward nella sua squallida vita e così , tra liti , incomprensioni e confessioni…inizierà il loro rapporto unico e complicato….che li porterà verso una sconvolgente e dolorosa rivelazione.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno e buona domenica a tutte !!! Comincio con il chiedervi scusa per l'enorme ritardo !!! scusatemi davvero, spero di rimediare con questo nuovo capitolo, che è venuto fuori talmente lungo (ben 9 pagine word) che ve lo posterò in due parti !! Poi....RAGAZZE GRAZIE !! Io e la mia socia siamo sempre più felici di vedere che la vostra partecipazione cresce!! E' bellissimo poter ricevere i vostri commenti!! Continuate così !! Ora passo a rispondere proprio a voi!!

@kandy_angel : Ti ringraziamo tantissimo per i complimenti!! la mia socia è stata davvero FENOMENALE in quel capitolo! e ha stupito molto anche me l'incontro con Rosalie!! Siamo felicissime che la nostra Bella ti piaccia...perchè noi l'adoriamo! A presto!!
@_Miss_ : Che splendido commento il tuo! Ti ringraziamo davvero TANTO! anche noi amiamo i vostri commenti!! in effetti scrivere della vita vera è molto più difficile..specialmente se la vita è quella di una senzatetto che non ha nessuno al mondo. Hehehehe , siamo entusiaste che qualcuno abbia notato il riferimento a Twilight! E poi...l'episodio del bimbo ha fatto sciogliere anche me!! la mia socia si è superata!! per quanto riguarda Rosalie...beh, la rincontrerete! ;-) Grazie ancora per il tuo commento! spero possa piacerti anche questo!
@thangelsee69 : Ebbene si, Edward cercherà di aiutarla....vedremo cosa ne verrà fuori! ;-) Grazie per aver commentato!
@Nicosia : Siii era tutto dolce nel precedente capitolo!! *-* speriamo possa piacerti anche questo!!
@ M Pesca : Grazie mille del complimento!!!! eccoti accontentata....questo aggiornamento arriva con un pò di ritardo ma...spero possa piacerti!
@ fede4e : Grazie di tutto !!! la coppia Bella/Edward mancava in entrambe le nostre FF quindi....qui diamo libero sfogo a loro due XD . Un bacio!

Ok....credo di aver finito....ancora GRAZIE ragazze !!! E' bellissimo scambiare pareri con voi!!! Ora....bando alle ciancie..vi lascio alla prima parte del settimo capitolo.....Spero vi piaccia.....Un bacio a tutte!!


copertina


CAPITOLO 7 – “Doni” parte prima ‘La vita’


Faceva caldo, tremendamente caldo!
Fissavo la finestra chiusa da una decina di minuti ormai. Mi trattenevo ancora in quel letto senza correre ad aprirla solo perché quella schizzoide di infermiera mi aveva detto che tra non molto sarebbe passato il dottore per la visita.
A quanto pare si era molto stupito di vedermi già in piedi il giorno precedente. Nel pomeriggio mi aveva anche “concesso” di camminare per la mia stanza con un infermiere a sorreggermi. Precauzione inutile se appena qualche ora prima me ne andavo girando per i corridoi da sola….valli a capire questi pignoli!
In compenso, quell’attività, dopo giorni di immobilità mi aveva scatenato una fame infernale. Avrei benissimo trangugiato qualsiasi schifezza ospedaliera mi avessero appioppato, invece Edward era tornato in serata con due pizze fumanti ed un sorriso soddisfatto. Quel ragazzo non lo capivo…. Dopo lo sfogo che avevo avuto davanti a lui se n’era andato, lasciandomi qualche ora da sola.
Forse voleva concedermi un po’ di tempo tutto per me, e dovetti ammettere che era proprio ciò di cui avevo bisogno. Erano passati 3 giorni dal mio brusco risveglio dal coma farmacologico, e quelle ore trascorse in solitudine mi erano servite a fare un po’ il punto della situazione.
Odiavo essere ancora viva e aver fallito nel mio intento, ma per il momento era così, dovevo accettarlo e aspettare che mi lasciassero di nuovo libera di marcire nella mia lurida esistenza, per provare ancora a sparire da questo sporco mondo.
Fino ad allora però, forse potevo concedermi uno strappo alle regole acide che mi imponevo per non farmi travolgere e violentare ancora dalla vita che avevo. Forse, fino a quando mi avrebbero dimessa, avrei potuto approfittare dei pochi benefici che tutti gli altri non apprezzavano nelle loro vite patinate : un letto morbido e pulito, dei pasti sicuri e caldi, e perché no….anche di qualcuno che si preoccupasse della mia incolumità per qualche ora, per qualche giorno, sollevandomi dalle spalle un peso tanto gravoso come il dovermi sempre proteggere da tutto e tutti senza nessun appiglio.
Avevo divorato la mia pizza come un animale selvatico, ingorda e rapida, come se qualcuno fosse pronto a strapparmela dalle mani. Per tutto il tempo Edward non aveva detto una sola parola, e non ne proferì nemmeno quando finimmo di cenare, continuava solo a fissarmi, come se mi volesse studiare. C’era voluta tutta la mia tenacia per non sputargli fuori qualche cosa di sgradevole per farlo smettere, mentre fingevo di guardare la tv, e mi ero impegnata tanto solo come ringraziamento per avermi portato la pizza. Non ne avevo mai mangiata una, quella era stata la prima volta. Dopo qualche ora gli avevo detto che era meglio che andasse a casa, di sicuro non mi sarebbe successo nulla durante la notte, rinchiusa in quelle quattro mura asettiche e circondata da dottori ed infermieri.
A proposito di infermieri….era passata almeno una mezz’ora da quando la schizzoide mi aveva detto di restare a letto. Forse oltre al cervello aveva anche qualcosa nel resto del corpo che era difettoso: non aveva sentito il caldo asfissiante di quella mattina, prima di lasciarmi tappata in una stanza con porta e finestra chiuse?
Fanculo alla schizzoide!
Mi alzai di scatto dal letto e raggiunsi l’enorme finestra senza alcun problema, non risentivo più di giramenti di testa o debolezza…ero tornata sana. Spalancai i grandi vetri, e nonostante dall’esterno entrasse soltanto aria afosa, era sempre meglio di quella stantia della mia camera, la stessa di tutta una notte.
Mi chiesi da dove arrivassero tutte quelle pretese, se appena qualche giorno prima ero in un lurido garage che mi ostinavo a chiamare casa, dove l’aria stantia era la normalità.

«Proprio non riusciamo a tenerti a letto! Ti risulta forse scomodo?» la voce del dottor Cullen mi fece sussultare ed istintivamente mi voltai verso di lui, spalle alla finestra, mentre cercavo di chiudermi con le mani il retro del camice.
«Oh tranquilla, Isabella. Se vuoi tra poco potrai farne anche a meno.» mi sorrise benevolo.
Mi indicò il letto con un cenno del capo, bello come il sole, risplendeva anche lui di una bellezza come quella di Edward : genuina, di quelle che solo madre natura può donare, e che mai si sarebbe mescolata con quella finta ed ingannevole ricreata dai chirurghi di Beverly Hills.
Assecondai la sua richiesta e andai a sedermi sulla sponda del letto, dove mi visitò per l’ennesima volta. Quando ebbe finito, recuperò un completo da ospedale della stessa stoffa e colore di quello che già indossavo, con la differenza che quest’ultimo, anziché essere un lungo e largo camicione senza bottoni sul retro, era composto da un pantalone e una casacca.

«Finalmente!» sospirai «non ne potevo più di andarmene in giro con il culo al vento!» sputai fuori senza ritegno, come avrei fatto se fossi stata in strada nella mia quotidianità, quasi ridendo.
Il dottor Cullen mi ammonì sollevando appena lo sguardo dalla mia enorme cartella clinica sulla quale stava scrivendo. Come a ricordarmi che in quel posto non c’era bisogno di essere volgari o scontrosi, perché non c’era nulla da cui difendersi.
In quel momento mi sentii tremendamente in imbarazzo, e avvertii il sapore amarognolo della mia collera che tornava a trovarmi. Infondo chi credeva di essere questo dottore dai capelli impomatati? Credeva forse di avere qualche diritto sulla mia persona solo perché mi aveva tenuta in vita? Al massimo, proprio per questo gesto, avrei potuto solamente odiarlo! In quei pochi pensieri, quel briciolo di latente riconoscenza che nutrivo nei suoi confronti, andò completamente a farsi fottere!

«Pensavo di dimetterti domani» disse ritrovando il sorriso «così potrai uscire e bearti anche tu di questo magnifico mese di Luglio..» Spalancai la bocca e gli occhi incredula, mi stava forse prendendo in giro?
Come se non avesse detto nulla di assurdo, continuò in quella frase sconcertante, aggiungendo anche di peggio «…sai, Isabella, stavi per perderti tutta la sua bellezza….» sollevò lo sguardo dalla cartellina per incontrare il mio in un brevissimo istante «…hai rischiato grosso».

In quelle ultime parole la sua voce era cambiata, era divenuta quasi un rimprovero addolorato. Dal canto mio ero ancora troppo impegnata a capire se mi stesse prendendo per il culo o se fosse del tutto matto per rispondergli come avrei voluto, così mi limitai.
«Sai che perdita!» risposi acida.
«Preferisci l’inverno forse?» ribattè sempre sorridente mentre scriveva ancora.
Cristo santo! Non potevo pensare che fosse così idiota! Non un medico! Quindi la risposta era un’altra….mi stava prendendo in giro!
«Ma cosa siete qui dentro, un covo di schizzoidi ??» ero spiazzata!
E a quanto pare lo fu anche il dottorino, che smise di scrivere e chiuse la cartella con un gesto rapido.
«Cercavo solo di fare conversazione con te, Isabella. E quella era la domanda migliore che potessi porti, perché non voglio e non posso credere che dopo quello che ti è successo tu ti riferissi alla tua morte come ad una perdita insignificante.»
Non riuscivo a credere alle mie orecchie….quel dottorino figlio di papà stava tentando davvero di farmi una specie di paternale??
«Certo che mi riferivo alla mia morte! Me ne sbatto del mese di Luglio! E non ci provi minimamente a farmi una paternale….perchè non sa nemmeno di cosa sta parlando» la fine della frase quasi la sibilai tra i denti.
Il dottor Cullen serrò la mascella in reazione alla mia risposta, quasi l’avessi ferito, quasi fosse offeso dal ritrovarsi di nuovo faccia a faccia con la ragazza di strada di appena qualche giorno prima. Tentò di replicare, ma lo precedetti, non potevo permettermi di ritrovarmi con le spalle al muro, dovevo attaccare per prima, se volevo evitare di essere ferita…
«Cosa c’è dottore? Ha forse paura della barbona violenta? Oppure credeva davvero che potessero bastare 3 schifosi giorni in un ospedale per redimermi?? Per rendermi una brava ragazza ?» mi alzai dal letto e mi misi a pochi passi da lui, sfacciata «Non nasciamo tutti figli di papà come lei, sa? Alcuni nemmeno sanno da quale puttana sono stati sbattuti al mondo!» tenevo il mento alto, come a gridargli in faccia la mia sfida….se pensava di potersi permettere un discorso sulla vita con me, aveva sbagliato persona! 
Ma fu proprio in quel momento, quando pensavo di aver sferrato io per prima un colpo, che mi giunse la sua domanda come un gancio destro…dritto allo stomaco.
«E’ questa la tua storia? Non sai chi sia tua madre?» me lo chiese in una maniera tanto innocente che non dubitai nemmeno per un attimo che stesse tentando di abbindolarmi.
Però quella parola, quella semplicissima parola di poche lettere, ebbe il potere di farmi mancare l’aria, come ogni volta che la sentivo. E come ogni volta le mie ginocchia tremarono, quasi stessi per avere un mancamento….ed infondo era così. Ogni volta che quel suono giungeva alle mie orecchie, un pezzo di me andava perso per sempre.
«Mia….» stavo per rispondergli, quando mi resi conto che se avessi affrontato quell’argomento sarei stata troppo vulnerabile, la legge della strada parlava chiaro «…cosa cazzo c’entra mia madre? Cosa diavolo le importa di chi mi ha messa al mondo? Che differenza può farle, sapere se l’ho mai conosciuta!» feci per indietreggiare, proprio come fa una bestia selvatica quando capisce che ha bisogno di difendersi, di trovare un riparo, di rifugiarsi in un nascondiglio per non farsi fare del male ancora una volta….
«Isabella, vorrei sapere se almeno per una volta nella tua vita hai avuto qualcuno che ti amasse» allungò una mano verso il mio braccio, ma lo scansai prima che potesse toccarmi
«Provi a toccarmi anche solo con un dito e giuro che glielo stacco a morsi»
«Non voglio farti del male..»
«Cazzo ma è davvero possibile che non se ne renda conto?? LO STA GIA’ FACENDO!» in meno di un secondo mi ritrovai a gridargli contro, con le lacrime agli occhi, « Cosa vuole da me?? Cosa volete tutti quanti da me?? Lasciatemi in pace! Fatemi tornare alla mia schifosa vita e lasciatemi libera di morire!!» ormai gridavo a pieni polmoni, e le lacrime mi rigavano le guance inarrestabili.
Ma da quando era così facile aprire delle crepe nella mia maschera? Da quando permettevo al mio dolore di tornare fuori? Di farlo uscire dalla prigione in cui lo tenevo incatenato, in un angolo sperduto della mia mente, del mio cuore, della mia anima, imbavagliato e bendato, affinchè non venisse risvegliato da niente e nessuno??
Indietreggiai ancora, sconvolta dalla mia stessa esplosione di sentimenti contrastanti e andai a sedermi di nuovo sulla sponda del letto. Alzai per un momento lo sguardo, incrociando quello del dottore…era sconvolto almeno quanto me. Riabbassai gli occhi in fretta, per la prima volta in tutta la mia vita avevo paura.
Paura che le mie difese stessero crollando. Paura di vacillare di fronte al nemico….ma allo stesso tempo….paura di volermi abbandonare ad un amico.
Con passi lenti il dottor Cullen si avvicinò e si sedette altrettanto lentamente alla mia destra, quasi avesse capito che la battaglia che imperversava dentro di me avesse bisogno di lentezza, di accortezza, per non farla esplodere in una tempesta incontrollabile.

«Perdonami se ti sto facendo del male, ma vorrei solo aiutarti a capire.»
«A capire cosa, dottore? Glielo ripeto, lei non sa di cosa sta parlando» stavolta risposi più tranquilla, da quel poco che avevo capito, era inutile sbraitare contro quell’uomo, non sarebbe servito di certo a spaventarlo….anzi, pareva insistere. Forse per farlo smettere di torturarmi avrei dovuto semplicemente lasciarlo parlare.
«Chiamami pure Carlisle, cara. E contrariamente a quanto pensi…so di cosa parlo. Pensi forse di essere l’unica senzatetto che hanno portato qui in fin di vita?» sospirò appena, come se il ricordo di tutti gli altri ragazzi come me gli facesse del male.
In effetti non avevo considerato questa possibilità, come al solito avevo pensato solo al MIO di dolore, e non a quello degli altri sfortunati nelle mie stesse condizioni. Carlisle continuò
«Purtroppo ne ho visti davvero tanti. Alcuni arrivavano qui già morti, altri esattamente come te, e non tutti avevano la tua stessa forza….» ancora una pausa, come a contemplare ogni singola perdita «…e sai cosa ho notato? Che non fa alcuna differenza se rischiano la morte per caso o per scelta. Tutti coloro che sopravvivono, è come se si resettassero, dopo l’incontro con la fine. Come se riconsiderassero la loro breve esistenza, come se soppesassero davvero ciò che potevano perdere con ciò che potevano ancora sperare di conquistare. E alcuni ci provano, Isabella. Alcuni scelgono di vivere, scelgono di tentare ancora.»
Alzai gli occhi al cielo a quell’affermazione. Ne avevo visti troppi perfino io, di ragazzi che cercavano di rifarsi una vita e invece crollavano di nuovo. Come in risposta ai miei pensieri aggiunse in fretta
«Certo, non tutti ce la fanno, e purtroppo li rivediamo senza vita. Ma alcuni….alcuni di loro, mia cara, vanno oltre il semplice tentare. Alcuni ci riescono. Alcuni iniziano a vivere sul serio.»
«Sveglia dottore! Noi viviamo sul serio…non voi
«Non sai quanto ti sbagli, piccola. Nessuno di voi vive davvero. Voi purtroppo sopravvivete. Vi aggirate per questo mondo trascinandovi, impedendo a tutto e a tutti di toccarvi. Posso capire che questa sia un ottima strategia per non essere feriti ma…..è anche l’errore più grande che possiate fare. In questo modo vi isolate…isolate il vostro cuore. Non vi concedete di amare o apprezzare nulla. E so che pensi che nella tua vita non ci sia nulla da apprezzare. Ma non è così. La vita stessa va apprezzata. Il tuo respirare, il tuo muoverti…il tuo pensare, soprattutto, vanno amati.»
Quelle parole mi giunsero stranamente ragionevoli, e Carlisle approfittò del mio silenzio per prendermi le mani tra le sue, cercando il mio sguardo.
« So che odi la vita perché non ti ha dato nulla. Ma cerca di capire, Isabella….tu sei il tuo dono. Tu sei il miracolo più grande che la vita possa donarti. Perfino le tue sofferenze dovresti amare….perchè ti ricordano che tu ci sei. Dovresti amare il tuo vivere anche quando ti sembra che questo non abbia un senso….perchè il senso della tua esistenza, sei proprio tu. »

Per un lungo momento rimasi senza parole. Tentavo di capire come fosse possibile che quell’uomo avesse quasi ragione. Mi sforzavo con tutta me stessa di capire perché mai non mi sembrassero discorsi vanesi, ma piuttosto, quasi ragionevoli.
«E’ facile parlare così quando si ha una casa, una famiglia. Ma quando non si ha nulla, questa resta solo una bella chiacchierata, dottore.» alzai gli occhi per concedergli finalmente quel contatto che stava cercando «Quando domani sarò per strada…senza nessuno al mondo, senza un posto sicuro dove andare, esposta a qualsiasi tipo di cattiveria umana…allora tutto questo sarà talmente ridicolo che ne riderò.» e un sorriso amaro nacque proprio sulle mie labbra.
«E allora tu impegnati, Isabella!» pronunciò quella frase con fervore, abbandonando il tono docile usato poco prima «Impegnati per concedere alla vita di riscattarsi con te. Impegnati, per concederle di crearti delle opportunità da cogliere; di crearti dei sogni che potrai far diventare realtà; di donarti un amore di cui potrai godere; di metterti in circostanze in cui dovrai fare delle promesse e lavorare per adempierle; …. Impegnati soprattutto per concederle di donarti una felicità che dimostrerai di meritare.»
Ero completamente immersa in quegli occhi azzurri. Non avevo mai visto tanta bontà in un solo sguardo. Fu quello, più che le sue parole, a spingermi a considerare sul serio la possibilità di dare altre opportunità alla mia vita…a me stessa. Forse avrei potuto provarci davvero, una volta uscita da lì…..ma i miei buoni propositi durarono giusto un istante. Un istante nel quale mi ero concessa di sognare ad occhi aperti.
In realtà sapevo benissimo quale fosse la realtà dei fatti, quale fosse il mondo che mi attendeva il giorno dopo, una volta varcata la soglia dell’ospedale. Però quell’uomo non meritava di essere deluso. Non dopo che era riuscito dove nessun’altro al mondo si era mai nemmeno arrischiato : mi aveva regalato un istante nel quale avevo visto un’altra vita, una vita normale, una vita bella, una vita degna di essere chiamata così anche per me.

«Grazie, Carlisle» mi stupii io stessa di averlo detto.
Il dottore strinse più forte le mie mani nelle sue, e mi sorrise.
«Non ringraziarmi, Isabella. Cerca solo di impegnarti, e sarà il regalo più grande che potrai farmi.»
Mi diede una carezza alla testa, prima di alzarsi. Poi indicò il completo in cotone ancora sul letto
«Ora puoi infilarti quello se vuoi…..e smettere di andare in giro con il culo al vento!» mi disse sorridendo.
Non potei fare a meno di ridere, risultava così strana quella mia espressione , detta da lui!
«Già, sarebbe il caso» risposi raccogliendo il completo, mentre Carlisle si avviava alla porta.
«Quando ti sarai cambiata potrai anche fare un giro per l’ospedale, mi sembra inutile tenerti confinata in questa stanza se domani dovrò dimetterti»
«Era ora che ci arrivassi anche tu!»
«Beh si, meglio tardi che mai»
Ridemmo insieme di quel rapido scambio prima che, quello che ormai consideravo l’uomo più buono del mondo, uscisse dalla stanza concedendomi la mia privacy.
Durante tutto il tempo che impiegai nel lavarmi e vestirmi il mio cervello non fece altro che combattere contro se stesso, un attimo prendeva sul serio in considerazione l’ipotesi di seguire il consiglio di Carlisle e l’attimo dopo si ricordava che erano tutte soltanto belle parole, irrealizzabili e diametralmente opposte alla realtà.
Quando ebbi finito di infilarmi anche il pantalone di quell’orrendo completo da malati , imprecai al vento, non ne potevo più di quella tortura mentale che mi stavo auto infliggendo! Uscii dalla stanza con la ferma intenzione di non pensare più a nulla, o almeno di non pensare più a quel discorso.

Fine prima parte
   
 
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