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Autore: Yoshiko    19/07/2010    4 recensioni
Come può, una semplice partita di calcio, un incontro amichevole fra la nazionale giapponese e i migliori giocatori provenienti da tutte le squadre del mondo, trasformarsi in una questione di vita o di morte? Con un capitano infortunato e la minaccia di un folle, la nazionale nipponica sarà in grado di uscire vittoriosa anche questa volta?
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Leaves Time
7. Verso la fine
 

A forza di tirare, il nodo alla corda si allentò e Patty riuscì a liberare le mani. Stranamente l’idea di tentare la fuga non le passò neanche per la testa. Era così contenta di aver riacquistato l’uso degli arti superiori e di potersi finalmente massaggiare i polsi doloranti, che non pensò ad altro se non a sciogliere rapidamente anche la corda che le bloccava le caviglie.
L’uomo era sparito chissà dove mentre lei aspettava che ricominciasse il secondo tempo, ma le aveva lasciato la bottiglietta dell’acqua. Patty si alzò barcollante, la raggiunse vicino al montacarichi e vi si attaccò come se non bevesse da una settimana. La finì troppo presto senza riuscire a calmarle la sete. Riavvitando il tappo tornò verso la balaustra, chiedendosi quanto mancasse al rientro delle squadre in campo. Alzò gli occhi sul tabellone: 2 a 1 per l’All Star. Certo, poteva anche andare peggio, pensò con una punta di ironia. Il tizio poteva spingerla di sotto senza aspettare il risultato finale che, se il sorteggio questa volta non fosse stato più fortunato, non sarebbe cambiato di molto. Poggiò i gomiti sulla balaustra e fissò gli occhi sulla miriade di spettatori che occupava le tribune: un’improvvisa folata di vento fece ondeggiare l’impalcatura e Patty strinse le dita attorno all’asta di ferro, reprimendo un improvviso senso di vertigine. L’altezza non le dava fastidio ma l’oscillazione causata dal vento le dava una sensazione di malessere, dovuta probabilmente anche al fatto che cominciava ad avere fame. Del resto, pensò ironica, se lo strettissimo pianerottolo sui cui si trovava avesse ceduto sotto le folate di vento, quell’uomo si sarebbe addirittura evitato di sporcarsi le mani e averla sulla coscienza. Le sue labbra si schiusero in un sorrisetto forzato, poi tornò a guardare in basso. Possibile che nonostante tutto quello che era successo nelle ultime ore, non avesse paura? Da quando si era risvegliata in quel magazzino aveva provato freddo, disagio, curiosità, dolore, sconcerto, confusione, sorpresa, timore, incredulità, rabbia, odio, pena… Ma mai ancora il terrore di venir uccisa. Le si era rivoltato lo stomaco quando aveva saputo il motivo per cui l’uomo l’aveva portata fin lassù, si era spaventata quando l’aveva spinta contro la balaustra e l’aveva minacciata. Ma il terrore? Quello che fa perdere la ragione? Quello che spinge a fare follie, quel famoso istinto di sopravvivenza che, se si fosse manifestato come avrebbe dovuto, ora forse l’avrebbe portata ad arrampicarsi sulle impalcature per cercare di scendere da lì pur di salvarsi la vita… No, quell’istinto non lo aveva, o era sopito o ne era completamente priva. Non avrebbe compiuto grandi imprese per salvarsi, non con una nuova vita appena sbocciata dentro di lei…
Sospirò. Povero Holly, chissà come doveva sentirsi. Sicuramente molto peggio di lei… e con la caviglia in quelle condizioni! Scosse la testa. Se solo avesse saputo che la giornata sarebbe andata così, quella mattina non avrebbe sprecato tutto il tempo che avevano passato insieme a convincerlo a non giocare…
Abbassò il viso sugli spalti, gettando un’occhiata incuriosita al pubblico. Un bambino frignante che voleva essere tirato su dal padre e teneva le braccia sollevate sopra la testa la vide, smise di piangere e la salutò con la manina. Patty sorrise (ma forse era troppo lontana perché il bimbetto riuscisse ad accorgersene) e rispose al saluto. Appoggiò il viso sulle mani serrate sulla sbarra, restando a guardare i giocatori che pian piano rientravano in campo e raggiungevano le rispettive panchine. Se avesse avuto una penna… se avesse avuto un pezzo di carta e una penna avrebbe potuto scrivere un biglietto e gettarlo di sotto. Forse qualcuno l’avrebbe letto.

Holly non si sentiva meglio. Anzi, più il tempo passava e più stava male. La preoccupazione per Patty cresceva ad ogni istante e a volte la paura era così sconvolgente che dimenticava persino le pulsazioni dolorose della caviglia. Arginava sempre più difficilmente il desidero di mollare tutti lì e scappare lontano, da qualche parte dove nessuna brutta notizia sulla sorte di Patty avrebbe potuto raggiungerlo. La tensione lo snervava, stava per crollare… Quasi non sentiva più gli sguardi che gli amici, ogni tanto, continuavano a lanciargli preoccupati.
Holly era terribilmente pallido e aveva le spalle curve, accasciato, come se non riuscisse più a tenersi su. I compagni non sapevano cosa fare. Nel corridoio che immetteva al campo gli camminavano accanto parlando sottovoce, bisbigliando istintivamente. Temevano di turbarlo ma in fondo sapevano bene che i loro discorsi lui neanche li sentiva.
Quando la curiosità fu talmente forte da non riuscire più a contenerla, Schneider si avvicinò a Benji.
-Si può sapere che succede? Va bene che state perdendo, ma avete certe facce!-
Fu una delle poche volte in cui il portiere non seppe cosa rispondere.
-Siamo preoccupati per Holly.-
-Se sta così male, perché gioca?-
-Testardaggine.- lo liquidò Price, scostandosi da lui e lasciandolo indietro.
I giocatori riemersero sul campo e la luce dei riflettori li abbagliò. Raggiunsero le rispettive panchine e rimasero ad aspettare impazienti il risultato del sorteggio che avrebbe deciso le formazioni per il secondo tempo. Quando la voce femminile parlò, tutti trattennero il fiato.
«Signore e signori, ci scusiamo per l’attesa. I giocatori dell’All Star che scenderanno in campo per il secondo tempo sono: tra i pali l’italiano Dario Belli, in difesa Mark Owailan dall’Arabia Saudita, Franz Schester dalla Germania e di nuovo Salvatore Gentile; al centrocampo Brian Kriford dall’Olanda, di nuovo Pierre Le Blanc e Ramon Victorino dall’Uruguay. In attacco Ryoma Hino dall’Uruguay, Alan Pascal dall’Argentina, Louis Napoleon dalla Francia e il capitano Karl Heinz Schneider.
Per il Giappone in porta questa volta ci sarà Benjamin Price. In difesa Julian Ross, Clifford Yuma e Ralph Peterson. A centrocampo Paul Diamond, Philip Callaghan, Rob Aoi, Tom Becker e infine il capitano, Oliver Hutton. In attacco Mark Landers e Patrick Everett!»
Holly sospirò.
-Tom, fammi il favore.- cercò di scuotersi di dosso la preoccupazione e pensare una buona volta alla partita -Ripetimi le formazioni, non ho sentito nulla.- e quando Tom lo ebbe fatto, Holly mosse piano il piede. Il dolore stava passando -Forse una piccola speranza c’è…-
Mentre rientravano in campo si avvicinò a Mark.
-Vai in attacco. Io resterò dietro e cercherò di passarti la palla ogni volta che potrò…-
Landers fece per dirgli qualcosa ma il capitano lo precedette.
-Il mix di Benji sta facendo effetto ma non so quanto durerà. Spero tutti e 45 i minuti. Se sarà così verrò in attacco alla fine, altrimenti lascerò tutto nelle tue mani… piedi.-
Mark annuì e Holly ricambiò con un sorriso che al resto della squadra non passò inosservato. Il pessimismo abbandonò i ragazzi. Il capitano non era importante soltanto per gli schemi di gioco, i passaggi e i goal. Holly era importante perché con il suo entusiasmo senza fine riusciva a dare coraggio alla squadra, perché sapeva in ogni istante chi doveva stare in un certo posto e cosa doveva fare. Le sue istruzioni e le sue intuizioni erano basilari. Era un po’ come un direttore d’orchestra che con gesti, cenni e sguardi riusciva a far suonare tanti strumenti diversi creando una melodia. Quella melodia, per la nazionale giapponese, equivaleva alla vittoria.
Philip osservò Benji che si sistemava i guanti.
-Questa volta il sorteggio non è andato tanto male.-
-Certo che non è andato male. Ci sono io in porta e Holly sembra stare meglio…-
Julian fece gli scongiuri, sperando che il portiere con quella ventata d’ottimismo non tirasse la sfiga addosso a tutti.

Holly non correva dietro la palla ma cercava di dirigere il gioco da dov’era. Risparmiava le forze e interveniva solo quando il pallone si avvicinava. Riusciva sempre a toglierlo agli avversari e a passarlo a qualche compagno che correva in attacco e l’allungava a Mark. A Patty sembrava di aver già visto quella scena e a forza di pensarci su, all’improvviso capì. Alle elementari, durante la partita contro la New Team Julian, che ancora soffriva di cuore, si era comportato nello stesso modo. Non poteva correre a lungo e allora aveva diretto i compagni, restando appoggiato ad un palo della propria porta.
Patty pensò che fosse una buona idea. Holly era favorito dal fatto che nessuno dell’All Star capiva il giapponese. Nessuno degli avversari avrebbe potuto anticipare i suoi ordini. Fissò il fidanzato. Correva poco ma quando lo faceva non zoppicava più come prima. Il dolore alla gamba si era attenuato?
L’uomo che l’aveva portata lassù non era ancora tornato. Per un attimo si augurò che non lo facesse, poi ci ripensò. Soltanto il suo rapitore avrebbe potuto riportarla giù e se nel frattempo gli fosse preso un colpo, sarebbe morta lì. Rabbrividì e si toccò la pancia.
-Piccolino mio…- sussurrò -Non aver paura. Ti riporterò a casa, te lo prometto.-
Il suo bambino era così minuscolo che nell’ecografia lei e Holly erano riusciti a scorgerlo a malapena. Ma nessuno gli avrebbe fatto del male, lei non lo avrebbe permesso. Era intenzionata a proteggerlo a tutti i costi, per lui sarebbe stata forte. Quel pazzo avrebbe potuto continuare a strattonarla anche per una settimana, sbatacchiarla in un altro furgone o in uno schifoso capannone. Lei sarebbe sopravvissuta a tutto per Holly e per il loro bambino. Non l’avrebbe uccisa come aveva minacciato di fare. Il Giappone avrebbe vinto e lei e il suo piccolo puntino sarebbero tornati a casa sani e salvi.
Respirò a fondo un paio di volte e si passò la lingua sulle labbra asciutte. Avrebbe voluto altra acqua. Afferrò la bottiglietta ormai vuota e la scosse fino a far cadere l’unica goccia rimasta, che servì soltanto ad aumentarle la sete. Frustrata la gettò via, mandandola ad urtare contro il montacarichi. Si alzò per sgranchirsi le gambe e soffocò un gemito. Le faceva male tutto, doveva essere ricoperta di lividi. Sollevò le maniche della maglietta e ne trovò qualcuno sulle braccia, ma ce n’erano di sicuro anche sulla schiena e sulle gambe. Ricordò il viaggio nel furgoncino e soffocò un lamento toccandosi un ginocchio. In fin dei conti stava meglio seduta, così tornò ad accoccolarsi sulla passerella.

Giocavano da una buona mezz’ora e nonostante l’estrazione fosse andata bene, non riuscivano ad avanzare di un passo. La palla circolava da loro agli avversari e dagli avversari a loro senza mai lasciare il centrocampo. L’All Star si era trincerato nella propria metà campo e i tentativi d’attacco erano diventati piuttosto svogliati. Puntavano tutto sulla difesa, lasciando i giapponesi correre a vuoto, sforzandosi di portare la palla un po’ più su, senza però riuscire ad arrivare mai in posizione di tiro.
Holly alzò gli occhi sul tabellone per controllare il tempo. Il risultato era rimasto invariato nonostante i suoi sforzi. Si lasciò sfuggire un sospiro. La gamba andava meglio, il dolore si era attenuato. In compenso gli era scoppiato un gran mal di testa, forse uno degli effetti collaterali del mix di medicinali. Vide Everett correre in avanti e farsi rubare la palla da Owailan. L’All Start riprese l’attacco e i giapponesi ripiegarono in difesa.
«Attenzione! L’All Star ci riprova!» l’esclamazione degli altoparlanti gli trapanò il cervello.
Strinse i pugni e si concentrò sul gioco. In un attimo Schneider risalì fino alla loro porta. Holly lasciò il centrocampo, pregando dentro di sé che la caviglia resistesse ancora un po’.
«La palla si avvicina di nuovo alla porta giapponese ma Price effettua un’altra splendida parata! Hutton, arretrato in difesa, anticipa superbamente Schneider e aggancia la rimessa del portiere.»
Holly si fermò fuori dell’area di rigore in cerca di Mark e si ritrovò circondato da avversari. L’All Star aveva cambiato di nuovo tattica e adesso erano partiti tutti in attacco. Passò a Rob ma il tiro non fu preciso. Lo intercettò Schneider che ripartì verso la porta. Holly gli si mise alle costole, quello di accorse di lui e fece un lungo lancio verso Hino.
«Hino carica il tiro, i difensori giapponesi tentano di fermarlo ma Hino passa indietro. Il pallone viene raggiunto da Brian Kriford che calcia subito al volo. Il tiro potentissimo s’incanala verso la porta giapponese ma Benjamin Price riesce a fermare anche questo.»
Holly e Benji si scambiarono un’occhiata e il capitano scosse piano la testa. Mark li aveva raggiunti, era pronto a ripartire in attacco ma lui era troppo arretrato per riuscire a fargli un buon passaggio.
«I giapponesi stanno per lanciarsi al contrattacco. Price sembra passare verso Hutton ma poi rimette in gioco verso Aoi! Rob Aoi, lo ricordiamo, gioca in Italia nell’Inter. Eccolo che corre velocissimo verso la sfera e dopo aver saltato Margas tocca al volo per Landers!»
Holly trattenne il fiato, i due correvano come lepri, forse avrebbero potuto farcela. Anzi, sicuramente ce l’avrebbero fatta. La maggior parte dei giocatori dell’All Star arrancavano dietro di loro ma non erano abbastanza veloci da raggiungerli. Rob continuò a correre accanto a Landers tenendosi la palla finché quello non fu in posizione di tiro. Poi gliela lasciò.
Landers calciò una bomba tale che le dita dell’italiano non ressero la presa.
«Goal! Dario Belli non riesce a trattenere il pallone che si insacca in rete. Ecco il secondo goal del Giappone! Il cannoniere Mark Landers ha portato la sua squadra al pareggio!»

-Jenny…- Amy le si aggrappò al braccio e continuò con un sussurro -Pensi che Patty tornerà da noi sana e salva?-
Il gioco era fermo per una rimessa laterale. Gli occhi di Jenny si posarono su Holly che fissava imbambolato il tabellone. Mancavano cinque minuti alla fine e non riuscivano a passare in vantaggio. Prima di dare una risposta, lei sospirò. Non voleva neanche pensare che a causa di un’assurda partita Patty perdesse la vita. Era una cosa talmente illogica che la sua mente non riusciva ad accettarlo.
-Amy… è talmente sconcertante. Mi sembra di vivere un incubo.- cercò Philip sulla distesa verde e si chiese come avrebbe reagito il ragazzo se invece di Patty avessero rapito lei. E lei come avrebbe reagito se si fosse trovata tra le mani di un pazzo assassino? Chi diavolo poteva aver escogitato un piano simile? Perché il Giappone doveva vincere a tutti i costi?
-Jenny…- Amy le strinse leggermente il braccio -Credi che se vinceremo Patty tornerà?-
L’amica continuò a seguire il gioco e fece un verso che l’altra non riuscì ad interpretare. Né sì, né no.
-Perché io penso…- continuò Amy sempre a voce bassissima -Che forse chi l’ha rapita non la lascerà libera in nessun caso per paura che lei possa denunciarlo… E se fosse la yakuza?- aggiunse alla fine, rabbrividendo.
Jenny continuò a tacere. Il pessimismo di Amy stava cominciando a snervarla. A tutte quelle cose lei cercava di non pensare e confidava nella promessa scritta nel foglio che Holly aveva trovato nell’armadietto. Ma ci sarebbe stata questa vittoria? Mancavano tre minuti e la palla era tra i piedi di Schneider. Neanche Tom era riuscito a togliergliela. Si volse e si accorse che Philip la guardava preoccupato. Allora alzò sguardo al tabellone e chiuse per un istante gli occhi quasi a scongiurare che arrivasse il miracolo.

-Il tempo sta per scadere.-
Patty sobbalzò e si volse indietro. L’uomo era in piedi davanti alle porte del montacarichi che si stavano richiudendo. Intravide la sua ombra attraverso la luce abbagliante dei riflettori. Lo seguì con lo sguardo mentre si avvicinava, percepì il fruscio dei vestiti, poi scorse qualcosa che le gelò il sangue. Era una sagoma troppo familiare perché potesse sbagliarsi. Balzò in piedi con uno scatto improvviso, sorprendendo l’uomo che non riuscì bloccarla. Si slanciò oltre di lui verso le porte del montacarichi e pigiò insistente il pulsante per richiamarlo.
-Apriti, apriti…- supplicò terrorizzata.
L’uomo la raggiunse, le afferrò bruscamente il polso e le torse il braccio dietro la schiena. Il dolore fu talmente forte che Patty cessò all’istante di agitarsi. Gridò di sofferenza e di disperazione. Se almeno qualcuno l’avesse sentita!
Mentre lui la trascinava verso la balaustra, la stretta al braccio divenne così dolorosa che le gambe le cedettero e si accasciò a terra.  Quando riaprì gli occhi si ritrovò riversa al suolo, voltata verso il vuoto. Si puntellò su un gomito e cercò di allontanarsi da lui, strisciando su una gamba. L’altro braccio non riusciva neppure a muoverlo.
-Mi dispiace, il Giappone non ha vinto.- l’uomo l’afferrò per i capelli e la tirò su in ginocchio.
Patty gridò di sofferenza.
-Mancano ancora alcuni minuti…- le lacrime le annebbiarono la vista e non riuscì a scorgere il tabellone. La partita non era ancora finita, l’arbitro non aveva fischiato, eppure l’uomo puntava la pistola contro di lei, già carica e pronta a sparare.
-Non saranno sufficienti a salvarti.-
Patty indietreggiò verso il vuoto, gli occhi fissi sull’arma. Non riusciva a credere che la sua vita sarebbe finita così. E Holly? E il loro bambino?
-Non può farlo…- urtò con la schiena i sostegni della balaustra e si volse. L’orologio sul tabellone indicava che il tempo era scaduto ma i giocatori, sotto di loro, continuavano a correre dietro alla palla. L’arbitro aveva sicuramente concesso qualche minuto di recupero.
Si aggrappò alle transenne e cercò di tirarsi in piedi ma si bloccò di colpo quando la canna fredda della pistola le gelò la nuca, insinuandosi tra i capelli. Un brivido di terrore le salì su per la schiena. Cercò di voltarsi, di togliersi di lì. Non riuscì a muoversi, era impietrita. Il cuore le batteva veloce, se lo sentiva in gola, amplificato nelle orecchie a scandire i suoi ultimi secondi di vita. L’uomo tese il braccio e sotto la sua pressione Patty fu costretta a chinare il capo in avanti. I capelli si agitarono nel vuoto, mossi dal vento. Pensò che non era giusto, non era assolutamente giusto che finisse così, che lei fosse costretta a morire per una partita. Le lacrime le rigarono le guance e quando scivolarono via, trasportate dal vento, fissò il tabellone. Il risultato era sempre il pareggio. Sarebbe morta davvero? Spostò gli occhi sul campo e cercò Holly per guardarlo per l’ultima volta. La canna premuta contro la sua pelle le faceva male ma non poteva scostarsi, solo aspettare che tutto finisse. Udì l’inconfondibile click della carica e serrò gli occhi.
Poi qualcosa accadde.
   
 
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