Voglio tornare a casa
Ila POV
Non sapevo esattamente da quanto stessi dormendo, sapevo solo che mi sentivo in paradiso. Ero calda, mi sentivo protetta e al sicuro.
Mi svegliai leggermente e guardai la sveglia sul comodino.
8.45. Potevo dormire ancora tranquilla. Mi riaddormentai immediatamente.
Feci uno dei miei soliti sogni strani e sconnessi, a cui non riuscivo mai a dare un significo e soprattutto che non ricordavo mai al mio risveglio.
Ero in quel dormiveglia prima di svegliarti completamente.
Non mi sentivo più protetta e al sicuro e quel caldino che mi scaldava prima, era scomparso.
Toccai con il braccio destro il letto dietro di me, in pochi secondi incontrai una gamba di Simo.
-Buongiorno.- mi disse sorridendo.
Alzai lo sguardo e mi ritrovai due pozzi neri che mi guardavano.
-‘Giorno.- dissi girandomi e andando ad abbracciarlo per accoccolarmi contro di lui.
Mi cinse le spalle.
-Che ore sono?- chiesi cercando di non sbadigliare, ma era difficilissimo.
-Più o meno l’una del pomeriggio.
-Cosa?- mi alzai di colpo – stai scherzando?
Mi girai verso la sveglia sul comodino ed effettivamente erano l’una del pomeriggio.
Mi ripresi dal leggero shock e tornai sotto le coperte ad abbracciare Simo.
Rise. Cominciai a tremare.
-Senti, potresti smetterla di ridere? Vorrei dormire.
-E io avrei leggermente fame. – mi disse ridendo.
Il mio stomaco rispose al richiamo brontolando.
-E a quanto pare anche tu.- aggiunse.
Immaginavo che la Bea non fosse riuscita preparare da mangiare, chissà se fosse tornata a casa, chissà cosa avesse combinato quella notte.
Ad un certo punto, sentì urlare.
Mi alzai di colpo e mi fiondai fuori dalla porta finestra.
La scena che mi trovai davanti era a dir poco carinissima.
C’erano la Bea ed Alessandro che ridevano e scherzavano come due adolescenti in piscina.
Sorrisi e mi beai di questa visione.
-Buongiorno Ila.- mi dissero in coro.
-Buongiorno.
-Non ti abbiamo svegliato, vero?
-No, era da qualche minuto che ero in piedi, ma mi sono preoccupata nel sentire urlare.
-Scusa, non volevo preoccuparti.- mi disse la Bea con fare colpevole.
Risi. – Tranquilla. Vi lascio soli.
-Ila?- questo era Alessandro.
-Grazie.
-E di cosa?
-Se non fosse stato per te avrei lavorato anche stanotte. Sono davvero felice che mio figlio ti abbia incontrato, hai cambiato la vita a tutta la famiglia.
Rientrai in camera con un sorriso compiaciuto sulle labbra.
-Cos’è successo?
-Erano solo i tuoi genitori.- risi.
-Come mai hai quel sorriso sulle labbra?
-Perché tuo papà mi ha detto che è contento che tu mi abbia incontrato e che ho cambiato la vita a tutta la famiglia.
-La mia è certo.
Mi prese per un braccio e io mi misi a cavalcioni su di lui.
-Cosa avresti intenzione di fare adesso?- volevo provocarlo. Amavo provocare, lo avevo sempre amato.
-Cosa pensi che voglia fare?- mi guardava dritto negli occhi. Il mio autocontrollo stava andando a quel paese e tutto per colpa sua.
-Mhmh non so. Forse…
-Questo. – mi mise una mano sulla nuca e mi baciò. Ci avevo quasi fatto l’abitudine all’effetto che mi facevano i suoi baci. Sottolineo il quasi, perché era quel quasi che mi mandava in subbuglio tutte le volte.
Volevo capire come faceva tutte le volte a farmi quell’ effetto e poi a prendermi impreparata. Aveva un gesso ad un braccio, santo cielo e pure ad una gamba, ma questi “impedimenti” non sembravano fermarlo.
Ci staccammo solo quando il mio stomaco brontolò.
-Vado a vedere se c’è qualcosa da mangiare.
Scesi dalle sue gambe e me ne andai.
Arrivai in cucina dove i due piccioncini si erano spostati.
-Scusate il disturbo.- dissi entrando in cucina.
-Oh niente. Nel frigo c’è qualcosa da mangiare.
Aprii il frigo e…..
-Sushiiiiiiiiiiiiiiii- adoravo il sushi, lo adoravo immensamente.
-Si, ce né un sacco.
Be, si in effetti, un po’ ce n’era.
Presi i due piatti con su una quantità infinita di sushi, presi le bacchettine e una forchetta, in caso che quello stordito al piano superiore non sapesse maneggiare delle bacchette.
Salii facendo attenzione a non inciampare in qualcosa e fare una rovinosa caduta che avrebbe sparso per terra tutto il sushi e rotto i piatti.
Arrivai in camera.
-Buongiolno, sono la sua cameliela pel oggi. Il piatto di oggi è sushi. La vollei infolmale che è gladito l’utilizzo delle bacchette, in caso non ce la faccia le ho poltato una folchetta. Glazie e buon appetito.
Aveva cominciato a ridere non appena cominciai a parlare.
Continuava a ridere. Appoggiai un piatto sul letto e gli tirai un cuscino.
-Piantala.-Fece segno di ritirarmelo.-Eh no. Ho in mano un piatto.
Mi sedetti in parte a lui, gli appoggiai un piatto sulle gambe e l’altro sulle mie.
Mangiammo guardando la televisione e ogni tanto facendo qualche risate perché eravamo imbranati con le bacchette. Per fortuna non stavamo mangiando gli spaghetti o il riso, saremmo morti dalle risate.
-Signole le polto via i piatti.
-Poi torna e mi fa un massaggio?
-Ne avrei bisogno io né? Siccome sei invalido e non hai l’utilizzo di tutte e due le braccia, te lo faccio, ma solo per stavolta sia chiaro.
Portai i piatti in cucina.
Il papà di Simo era tornato al lavoro.
-Finita la pacchia?- gli chiesi mettendo i piatti nella lavastoviglie.
-Si, finita. Il lavoro mi chiamava.
-Potevi farla durare di più la pacchia però.
-Avrei tanto voluto, ma non potevo. Mi sono ripromesso che il sabato dopo mezzogiorno non lavorerò più e neanche la domenica mattina.- mi disse sorridendo. Perché doveva assomigliare così tanto al figlio? Mi sembrava davvero di vedere suo figlio da vecchio.
Mi trovai a fantasticare su come potrebbe essere stata la vita con lui, cioè non come era in quel momento, ma come sarebbe stata se io e lui fossimo stati sposati. Scossi la testa leggermente per togliermi quel pensiero dalla testa.
Che cosa stavo pensando? Ad avere una famiglia e magari dei figli con Simo? Ok, il sushi mi aveva fatto male, non potevo aver immaginato davvero il mio futuro.
Salutai Ale e me ne tornai in camera.
Di nuovo il mio cervellino cominciò a fantasticare su una possibile vita in quella casa, con dei figli che giravano per casa e dormivano in quelle camere. Io sommersa di vestiti, di scarpe, di macchina, di qualsiasi cosa desiderassi.
No, Ila. Basta. Non puoi pensare a queste cose. Forse, se tra un paio d’anni foste ancora insieme, allora potresti pensarci, ma non adesso. Ti ricordo che devi ancora compiere 17 anni e non mi sembrerebbe il caso che per il tuo compleanno tornassi a casa incinta ed annunciando le nozze a tua mamma.
Infatti, stavo proprio vaneggiando.
Stavo pensando a delle cose assurde.
Anzi non era colpa del sushi, era colpa del fatto che non avessi ancora fumato una sigaretta. Svelato il mistero.
Entrai in camera, presi la mia tracolla, imprecai perché non riuscivo a trovare, come sempre, il pacchetto e l’accendino e uscii dalla porta finestra.
-Non avresti intenzione di smettere di fumare?- mi chiese guardandomi dal letto.
-E tu non avresti intenzione di non rompere?
Mi guardava dal letto mentre fumavo fuori sul balcone.
Ci guardammo. Mi sentivo tanto sicura di me stessa in quel momento.
Dopo aver acceso la sigaretta mi sentii subito meglio, quei pensieri idioti non erano tornati ed io ero tranquilla.
Lui continuava a guardarmi. Io come risposta lo guardavo.
-Mi spieghi perché hai iniziato a fumare?
-Sinceramente non mi ricordo.
Lo vidi aprire le labbra per ribattere e lo bloccai.
-Non dire che ho cominciato a fumare per farmi vedere perché se no ti rompo l’altro braccio e l’altra gamba, chiaro?
-Raccontami come hai fatto il primo tiro ed arriva fino ad oggi.
-13 anni. Il ragazzo di una mia amica buttò le sigarette perché lei non voleva che fumasse. Ne aveva una accesa e ne feci un tiro. Non ho più fumato fino…..Mmmm. In prima superiore. Ho cominciato a comprare le sigarette con una mia amica, facevamo a metà. Le compravamo tipo ogni 2 o 3 mesi. Quando ci veniva voglia lo compravamo. In seconda stessa cosa. Fumavo un pacchetto o due e poi smettevo. Be, adesso. Ho cominciato a ricomprarmi le sigarette verso ottobre, novembre, mi sono detta sarà l’unico pacchetto come al solito. Non ho più smesso.
-Ma ci hai provato da quanto mi ricordo.
-Si. seriamente l’ho detto una volta, per scherzare ho perso il conto.
-E se smettessi adesso?- mi chiese guardandomi ancora più intensamente negli occhi.
-E perché dovrei smettere?
-Per me.
Mi bloccai a mezz’aria con la mano.
Avrei dovuto smettere di fumare per lui?
-E cosa ci guadagni tu nel farmi smettere.
-Ci guadagni tutto tu: i soldi e la salute, specialmente.
-Be, certo, la salute. Sto parlando con un futuro medico, è vero.
-Non prendermi in giro.
-Non ti sto prendendo in giro, ma se non lo avessi ancora capito, non me ne frega della salute. Pensi che tutti i fumatori non lo sappiano che fa male? Eppure fumano lo stesso, a quanto pare non gli interessa.
-Dovrebbe interessare a tutti invece.
-A me non interessa di smettere di fumare, non voglio.
-E perché non vuoi?- stava alzando la voce.
-Perché…perché…- bella domanda. Perché non volevo smettere? Era come la domanda “perché fumi” non sai dare risposta, fumi e basta, non c’è risposta. Se vuoi far stare zitto un fumatore chiedigli “perché fuma” e “perché non vuole smettere”, otterrai un silenzio di tomba.
-Allora? Sto aspettando la tua risposta.- la sua voce era dura e ferma.
-Non lo so, va bene? Non lo so perché fumo, non lo so perché non voglio smettere. Non ne ho la più pallida idea va bene?- lo mezzo urlai.
-Ormai sei dipendete. Sei dipendente dalla nicotina, dal fumo, dal dover aspirare da un maledetto filtro.
Ecco, aveva toccato il tasto che non doveva toccare. Ero sempre stata convinta di poter smettere quando volevo, bastava che lo volessi davvero e avrei smesso. Non dovevi dirmi che ero dipendente se no mi sarei incazzata.
Non mi ero mai messa in testa davvero di smettere di fumare, era per quello che non smettevo, non perché fossi dipendente. Figuriamo io dipendente? Ma quando mai.
-Non sono dipendente. Posso smettere quando voglio.
-Ah, si? Puoi smettere quando vuoi? Benissimo smetti da adesso.
-Ok, va bene. Ti dimostrerò che non sono dipendente.
Buttai la sigaretta e non appena la buttai, ne volevo un’altra.
No. Dovevo resistere.
-E se smetti vinci tu, se non smetti vinco io.- mi disse Simo.
Ero in parte a lui in piedi.
-E se vinco cosa succede? – gli chiesi sfidandolo.
-Ti chiedo scusa e basta.- mi disse lui serio.
-Nono. Sbagliato su tutto. Se vinco io, tu….Mmmmm…ti dovrai guardare un mio spogliarello…
-Mi piace- gli venne un sorrisino da scemo in faccia.
-Non ho finito.- dissi fermandolo – tu sarai legato, non potrai toccarmi, dovrai solo guardarmi, mentre mi tocca un altro.
Lo vidi sgranare gli occhi.
-Non se ne parla nemmeno.- sembrava contrario. Chissà come mai.
-Si che se ne parla.
-Benissimo, e se vinco io, cosa che avverrà, ti dovrai sorbire due ore di programmi con la Fico, mentre io faccio commentino, non dovrai lamentarti, non dovrai dire niente. Se volessi dire qualcosa, devi dire solo complimenti.- bastardo. Era ufficialmente un bastardo.
-Questa si chiama guerra, lo sai vero?- gli dissi assottigliando lo sguardo.
-Ne sono consapevole.
Ci stringemmo la mano.
-Affare fatto.- dicemmo in coro.
Mi sedetti sul letto lontano da lui.
Ero in un certo senso arrabbiata. Perché dovevo smettere di fumare? Perché lui doveva decidere della mia vita?
Mi toccò un braccio. Lo spostai.
-Non dirmi che sei arrabbiata?- mi chiese sorridendo.
-Io? Arrabbiata? E cosa te lo fa credere?- gli dissi sarcastica.
-Il fatto che hai gli occhi azzurri scusi, misti verdi.
Come aveva fatto a notare che avevo gli occhi cerulei e che cambiavano anche con l’umore e non solo col tempo?
-Non sono arrabbiata.- continuai a mentire.
-Si, ok va bene se lo dici tu.
Restammo qualche minuti di silenzio.
-Si, ok. Sono arrabbiata, va bene?- dissi alzandomi dal letto – non riesco a capire perché tu debba decidere della mia vita, non lo fanno nemmeno i miei genitori, figurati se devi farlo tu. Non mi spiego perché devo fare qualcosa che non voglio fare. Se volessi davvero smettere di fumare l’avrei fatto, ma non voglio.
-Benissimo, allora ammetti di avere perso.
-MAI- urlai.
-Non sei un po’ orgogliosa pure tu?- mi domandò lui con un sorrisino beffardo.
-Io non sono orgogliosa, non mi piace darla vinta agli altri così facilmente, almeno ci provo.
Con lui facevo la dura, ma sapevo già di avere perso.
Stavo già pensando alla sigaretta che mi sarei fumata quando avessi lasciato quella casa. Lo sapevo benissimo che avrei perso e che avrei dovuto vedere 2 ore di programmi della Fico. Lo sapevo, ne ero consapevole, ma non potevo farglielo capire così, almeno non così presto.
E mi dispiace dirlo, ma….avevo bisogno di una sigaretta.
Guardai nervosamente la tracolla, mentre cercavo di non farmi vedere da Simo e prendere il pacchetto.
-Lo so cosa vuoi fare.- disse continuando a guardare la televisione.
-E cosa voglio fare?- cercai di non far trasparire nessun tipo di emozione.
-Vuoi prendere una sigaretta.
-No.- forse mi uscì la voce un po’ troppo inclinata e stridula.
-Sì, invece.
-Vado a trovare tua mamma. – dissi aprendo la porta, sapendo che lei sarebbe stata la mia salvezza.
-è uscita prima, ho sentito la macchina uscire dal garage.
Merda, la mia unica via di fuga, era uscito. Fanculo.
Mi sedetti sul letto.
-E quando torna?- gli chiesi.
-Non so perché?- mi chiese continuando a guardare la televisione.
-Voglio tornare a casa.
Lo vidi girarsi di colpo e guardarmi con occhi vuoti.
-Cosa?!?!- lo urlò.
-Dai, Simo. non ti ho detto che sto per morire o che sto per andare in guerra, ho solo detto che voglio tornare a casa. È da giovedì mattina alle 6.30 che non torno a casa e sinceramente vorrei tornarci.
Mi guardava spaesato, come se gli avessi detto davvero che stavo morendo o che stavo per partire per la guerra.
-è normale che voglia tornare a casa, lo sai, vero? Ho voglia di vedere mia mamma, di vedere il mio cane, di stare un po’ da sola. ho voglia di dormire nel mio letto, tranquilla. Ho voglia di tornarmene a casa.
Vidi che prese il cellulare in mano, non so chi chiamò.
-Mamma, dove sei?........verresti a prendere la Ila che vuole tornare a casa?......ok, glielo dico.
Chiuse il telefono
-Arriva tra 10 minuti.- freddo, distaccato e mi sentii male per quello.
-La stai prendendo male.- ero seria. La stava prendendo troppo male. Era normale che volessi tornare a casa, non che non volessi passare del tempo con lui, ma volevo tornare a casa mia. Non riuscivo a stare troppo lontana da casa, dovevo tornaci dopo un po’ di giorni.
-Non la sto prendendo male.- guardai fuori dalla finestra con gli occhi persi.
Andai davanti a lui, spostò lo sguardo.
-Guardami.- non voleva guardarmi. Gli presi il viso tra le mani – Non voglio tornare a casa perché non voglio passare del tempo con te, è solo che casa è casa, Simo, prima o poi ci vuoi tornare, anche se stai bene, stando fuori.
Mi stava guardando, ma sembrava che non mi guardasse davvero.
La Bea aprì la porta.
-Pronta?
-Si, arrivo.- dissi lasciando il viso a Simo.
Mi allontanai da Simo, presi la mia roba e uscii senza voltarmi.
Sentii la Bea chiudere la porta dietro di me.
-Cos’è successo?- mi chiese.
-Niente.
Salimmo in macchina e partimmo.
Ero sola, ero con la Bea.
Presi una sigaretta e la accesi.
Al diavolo lui e la sua scommessa di merda. Avevo perso, ma non mi importava.
-Vuoi parlarne?- mi chiese dolcemente la Bea.
-Ma è una cagata, è lui che ha messo il muso, per una cagata.
-Era successa prima che mi chiamasse, vero?- annuii.
-è cominciato tutto per una scommessa di merda, ti stavo cercando per venire a fumare una sigaretta, quando lui mi dice che non c’eri, io gli chiedo quando torni, lui risponde che non lo sa e poi io gli dico che voglio tornare a casa. Ci è rimasto male, mi guardava come se gli avessi detto che avevo un tumore o cose simili. Ti ha chiamato e basta, ci è rimasto male.- ero arrabbiata, triste. Dieci mila emozioni tutte insieme.
-Su cos’era questa scommessa?- chiese lei guardando la strada.
-Dovevo smettere di fumare.
Si girò e guardò la sigaretta nella mia mano.
Sorrise.
-Hai perso.- mi disse divertita.
-Avevo già perso in partenza, ma non gliel’ho detto.- ammisi io.
-Vedrai che capirà che l’ha presa troppo male.
Cinque minuti dopo, seduta sul divano di casa mia a raccontargli di Simo, di Mattia e di tutto quello che era successo negli ultimi due mesi di cui lei non era al corrente. La maggior parte delle volte parlavo di Simo.
-Quindi, adesso sei insieme a questo Simo.- mi chiese per la centesima volta.
-Si, mamma.- ammisi sbuffando.
-E quando lo conoscerò?- mi chiese con un sorriso.
-Non lo so. Vedremo. Adesso è impossibilitato.- non volevo nemmeno pensare al giorno che lo avrebbe conosciuto. Non volevo sapere che cosa avrebbe pensato di lui.
-Giusto.
Lasciammo cadere il discorso.
Mi feci una doccia di quasi un’ora.
La doccia mi faceva da calmante, serviva sempre a farmi ritrovare la lucidità.
Mi misi il pigiama ed andai a dormire nel mio letto.
Ero lì nel letto che mi giravo e mi pirlavo, ma non riuscivo a trovare una posizione comoda. Capii solo nel pieno della notte che non riuscivo a dormire perché non avevo in parte a me Simo.
Gli mandai un messaggio, non mi importava se lo avessi svegliato.
Dovevo farglielo sapere.
“Non riesco a dormire. =D è dalle 10 che continuo a girarmi nel letto, ma non riesco a trovare una posizione comoda, mi sono resa conto solo ora che non riesco a dormire perché non ci sei tu. Avrei dovuto dormire con te, ma prima o poi sarei dovuta tornare a casa comunque. Ah, si dimenticavo HAI VINTO”
Tornai nel letto sicura di non ricevere risposta.
Cinque minuti dopo, non riuscendo ancora a prendere sonno, mi arrivò un messaggio.
“Non riesco a dormire nemmeno io =D ma lo sapevo già che non sarei riuscito a dormire, non l’ho capito adesso. Lo sapevo che avevo già vinto.”
“Non vorrai tenermi compagnia tutta notte vero? Tu tra 4 ore potrai ancora dormire, io invece dovrò svegliarmi.”
“Allora, usa la fantasia. Immaginati nel letto insieme a me, abbracciata a me, mentre ti accarezzo i capelli. Pensa al mio cuore che batte troppo veloce a causa della tua vicinanza.”
Feci come mi aveva detto lui.
E…mi addormentai pensando di essere ancora nella sua stanza abbracciata a lui.