Capitolo XVI
Ore 22.30 –
San Pietroburgo
Xander fissò la mano del
russo che a pochi metri da lui stava per dare inizio alla gara, e con la coda
dell’occhio si accorse che Nina lo stava guardando, appoggiata alla sua TT
bianca. Per un attimo gli venne voglia di ricambiare lo sguardo, e darsi
quell’aria da pilota navigato che gli veniva così bene, più che altro per farle
capire con chi aveva a che fare. C’era un tono di lieve e maliziosa
strafottenza nella voce della ragazza, quando parlava con lui, che gli dava
l’idea che lo considerasse quasi un ragazzino: sensazione nuova per lui.
Alla fine si
trattenne, ma si accorse che Nina stava correndo verso di lui, facendo un cenno
al russo per dirgli di attendere un momento. Come se avesse le ali ai piedi, la
vide raggiungere leggiadra la sua auto. Xander
abbassò il vetro del finestrino, pronto a un altro commento dei suoi.
Il volto perfetto
di Nina si abbassò fino a raggiungere il suo, e Xander
si scostò impercettibilmente, stupito da quella vicinanza. Gli arrivò una
zaffata di profumo provocante alle narici.
<< Tieni
d’occhio Nil, il tipo della Jaguar grigia >>
sussurrò Nina, facendo un cenno verso sinistra, << Ti ha preso di mira
>>.
Xander guardò
dove aveva indicato: la Jaguar XK modificata sembrava uno strano
miscuglio di stili, un po’ punk e un po’ elegante, decisamente di scarso gusto.
Intravide la testa ricciola di Nil,
e annuì, cercando di capire quanto potesse essere pericoloso.
<< Ok, grazie
>>.
Nina sorrise,
sfiorandogli un braccio con la mano, cosa che incredibilmente gli fece scorrere
un brivido lungo la schiena.
<< Non c’è di
che, americano >> sussurrò lei, poi ritornò verso la sua macchina e fece
cenno che la gara poteva iniziare.
Xander seguì con gli
occhi il movimento sinuoso di Nina, che ondeggiava elegantemente sui tacchi
alti. Fare due più due non era difficile: quella ragazza sembrava
particolarmente interessata alla sua sorte, e non poteva che essere un
vantaggio.
Però c’erano diversi
problemi, e a Xander montò l’ansia addosso.
Prima di tutto,
aveva capito che genere di ragazza era Nina: definirla una di “facili costumi”
era quasi un complimento. Amava giocare con il suo corpo, ed era consapevole di
essere bellissima e molto attraente: forse si comportava in quel modo
protettivo con tutti i nuovi arrivati, per illuderli di avere qualche speranza
con lei. Ma qualcosa nella sua testa gli disse che non
era così.
Secondo, se davvero
Nina provava un certo interesse per lui, avrebbe dovuto sfruttare
quell’occasione per farsi strada tra i russi, e ciò
apriva una molteplicità di scenari, ai suoi occhi. E gli asciugò la gola,
perché sapeva benissimo cosa significava.
Negli ultimi due
anni, aveva avuto la fortuna di non incontrare mai nessuna ragazza nelle
proprie missioni, e di conseguenza non si era mai trovato in situazioni
“scomode” e tutto quello che evidentemente comportavano. Niente
finte love-spy-story, niente tentativi di seduzione
per ottenere informazioni, niente di niente, da quel punto di vista.
D’un tratto, la
catenella al suo collo si fece pesante, quasi fosse fatta di piombo. Prima di
Irina, le cose erano state molto diverse: se doveva andare a letto con qualche
ragazza, non c’erano problemi; se doveva far finta di avere un debole per
qualcuna, non c’erano problemi; se doveva lasciarsi sedurre dalla gallinella di
turno, non c’era nessun problema. Ma adesso, adesso la situazione era cambiata…
Decisamente cambiata.
Adesso c’era Irina
a far parte della sua movimentata vita.
Non ci stava a tradirla, anche se era per lavoro. Non ci stava a passare la notte con un’altra che non fosse lei, anche se
era necessario per far andare avanti la missione. A dir
la verità, non sentiva nemmeno la tentazione. E poi come l’avrebbe presa lui,
se lei fosse stata al suo posto?
Improvvisamente,
sentì gli pneumatici fischiare sull’asfalto, il rumore dei motori invadere
l’aria gelida della notte…
Erano partiti, e
lui era fermo.
<< Cazzo!
>>.
Affondò il piede sull’acceleratore,
facendo schizzare avanti la Cayman come un proiettile,
appena in tempo per accodarsi all’ultima della gara, una Mazda verde. La seguì
lungo la curva, vedendo gli altri che iniziavano a guadagnare terreno, la
Jaguar davanti a tutti.
Quell’attimo di
distrazione gli era costato molto caro, ma poteva ancora recuperare. Superò
rapidamente la Mazda, lo sguardo incollato a quelli davanti a lui.
Fece mente locale,
cercando di ricordare il tracciato. Si era informato, prima di presentarsi alla
gara, e aveva studiato il percorso che avrebbe dovuto seguire: era abbastanza lungo, ma pieno di rettilinei che
permettevano di guadagnare terreno, soprattutto a chi aveva una macchina più
potente.
“Ok, devo solo essere più rapido di loro”.
Accelerò, gli
alberi del parco alla sua sinistra che formavano una macchia indistinta
nell’oscurità, scorgendo i fari della macchina che lo precedeva in lontananza
sparire dietro una curva.
Sperò non ci fosse
del ghiaccio, quando imboccò la curva a tutta velocità, tenendosi stretto e senza
quasi frenare. La fortuna fu dalla sua, ma la Cayman
sbandò comunque un po’ per via della velocità troppo elevata.
Non poteva perdere
quella maledetta gara, soprattutto perché era di vitale importanza per entrare
nel giro di Nina, e anche perché non poteva fare la figura dell’idiota dopo
essersi fatto dare un’altra auto proprio per essere
competitivo…
Infilò la curva
seguente così veloce che le ruote fischiarono sul terreno, ma poi fu costretto
a inchiodare per non andare a sbattere contro la Ford Focus rossa che chiudeva
la fila dei primi quattro. Almeno li aveva raggiunti.
La Jaguar era
ancora in testa, i neon sotto il paraurti accesi,
cercando di non farsi superare da una Lotus Elise gialla. Xander
sorrise e strinse il volante, sicuro di poter rimettere le cose a posto.
Accelerò ancora,
mentre tutti gli altri frenavano per affrontare la curva successiva. Arrivò
come un razzo alla coda della Focus rossa, le luci posteriori che lo
abbagliarono per un momento…
Scartò di lato,
superando la Ford con uno stridore di gomme, mentre un sottilissimo strato di
ghiaccio lo faceva sbandare appena. Strinse il volante, lasciandosi dietro la
Focus e accodandosi alla Lotus.
Vide la Elise sbandare di colpo, forse per colpa di qualcosa di
viscido sull’asfalto, e cercò di evitarla. Ci riuscì a malapena, ma sentì la
fiancata inarcarsi contro quella della Lotus…
Digrignò i denti e
spinse di lato la Elise, per togliersela dai piedi,
tanto ormai il danno era fatto. La vide finire contro il marciapiede, i cerchi
in lega che produssero una scia di scintille tanto andavano forte… Puntò la
Jaguar, fiondandosi avanti con il motore che ruggiva quasi impazzito…
Il lungo rettilineo,
costeggiato da un filare di alberi che sfrecciavano ai suoi lati scuri e
indistinti, gli consentì di avvicinarsi abbastanza da riuscire a vedere gli
occhi di Nik riflessi nello specchietto centrale.
Gli rimase
incollato, mentre svoltavano alla curva successiva, poi cercò di superarlo. La
Jaguar si spostò rapidamente di lato, chiudendogli la strada, e lui fu
costretto a mettere il piede sul freno.
Un’altra curva, e
un altro tentativo. Questa volta Nik fece cozzare
violentemente la fiancata della sua auto contro la
Cayman, sollevando una nuvola di scintille che illuminarono la notte. Xander si spostò e lo lasciò rimanere in testa.
Il russo ci andava
pesante. Non aveva paura di finire fuori strada o danneggiare l’auto…
“Ok, a mali estremi…”.
La gara andava
vinta, anche se significava distruggere completamente l’auto che aveva fatto
tanto per avere. Affondò il pedale dell’acceleratore e si preparò a superarlo.
Come si era
aspettato, la Jaguar gli andò addosso, spaccandogli i fanali anteriori e
gettando nell’oscurità una parte della strada. Questa volta però non
indietreggiò.
Con un gesto secco
del volante, spinse la Jaguar a sinistra, sentendo la fiancata piegarsi
ulteriormente. Vide la curva più avanti, deciso a chiudergli ogni via di fuga e
a ripagare con la stessa moneta…
Inesorabilmente, la
Jaguar finì a bordo strada, sempre più a sinistra, troppo per
poter affrontare la curva. Lo costrinse a rallentare, poi lo superò
lasciandoselo dietro.
Tirò un sospiro di sollievo quando vide il traguardo, aspettandoselo
più lontano: aveva il brutto presentimento che il suo paraurti si potesse staccare
da un momento all’altro, finendo sotto le ruote anteriori. Si fermò oltre il
traguardo e si guardò intorno, i russi che lo fissavano con diffidenza.
Scese rapidamente
dall’auto, per controllare i danni.
“Forse dovrò riprendermi la Scirocco…” si ritrovò a
pensare, con una smorfia, ignorando il brusio che cresceva intorno a lui.
Il muso della
Porsche era sfregiato da profonde righe che lasciavano intravedere la lamiera
sottostante, mentre i fari erano andati completamente in pezzi. Le fiancate si
erano incavate, anch’esse solcate da sfregi larghi due dita… La porta del
passeggero non si apriva nemmeno più.
Xander imprecò,
innervosito. Per una stupida distrazione aveva quasi rischiato di perdere la
gara e aveva pure distrutto la macchina… Come aveva fatto
a essere così sciocco?
<< Bé, se
volevi stupirmi ci sei riuscito… >>.
Nina si era
avvicinata, ondeggiando sui suoi tacchi e avvolta nella pelliccia bianca, e lo
guardava con un’espressione mista tra il divertito e il sorpreso. Però non sembrava scherzare, e qualcosa nei suoi occhi
azzurri gli disse che era riuscito nel suo intento di farle capire chi era
veramente.
<< Avanti, seguimi >> aggiunse lei, risalendo sulla TT bianca e
partendo a tutta velocità.
Ore 23.30 –
Mosca, Black Diamond
<< Bene, se
vi volete sedere… >> disse Nikodim con voce
piuttosto affettata, prendendo posto al lungo tavolo
di vetro nero al centro della piccola saletta che era stata loro riservata
all’interno del casinò. Irina si accomodò a un angolo, abbastanza lontana dal
russo. Tutti gli altri, cioè i cugini di Dimitri, Boris e Dan, si disposero qua
e là, parlottando tranquilli.
<< Aspettiamo
che arrivino tutti gli altri >> aggiunse Nikodim,
rivolgendole una rapida occhiata.
Irina si sarebbe
lasciata scappare una smorfia, se non fosse stata decisa a mostrarsi
impassibile, ma comprese bene quello che Nikodim
voleva farle intendere: nella sala non c’era nessuna faccia nuova. Ciò significava
semplicemente che i Referenti avevano di meglio da fare che incontrare una
ragazzina il cui intento era quello di liberare un
americano rinchiuso in una cella a migliaia di chilometri da lì, e Nikodim non gli avrebbe sicuramente messo fretta. Erano
ancora tutti sparsi per le varie sale a giocare d’azzardo e a bersi i loro
drink, molto probabilmente.
Dimitri era rimasto
in piedi vicino alla finestra, con le braccia incrociate e immobile come una
statua, lo sguardo di ghiaccio. Era chiaramente furioso per l’episodio di poco
prima, e non si erano ancora parlati, a parte la discussione all’interno nello
spogliatoio. Nonostante questo, Irina lo scrutava in cerca di una qualche sua
emozione che non fosse rabbia.
Come poteva notare,
si era arrangiato da solo per quanto riguardava la sua ferita, perché sotto la
camicia azzurrina non si vedeva niente che lasciasse pensare che avesse appena
preso parte a un incontro di kick-boxing, e nemmeno il volto portava alcun
segno, nonostante avesse perso sangue dal naso. Anzi, sembrava appena uscito da
una doccia rilassante, che però non aveva avuto alcun effetto sul suo
caratteraccio.
Irina si lasciò
scappare un sospiro, pensando di aver di nuovo sbagliato approccio con Dimitri.
Gli avevano detto tutti che non bisognava mai immischiarsi nei suoi affari, e
meno che mai dirgli cosa doveva o cosa non doveva
fare. Poi era di nuovo piombata nel suo spogliatoio senza bussare, e lo aveva
aggredito arrabbiata come una iena, cosa che a lei avrebbe dato immensamente
fastidio. In poche parole, nel giro di pochi istanti aveva infranto tutte le
regole che bisognava seguire per sperare in una
“pacifica convivenza” con l’ex Mastino. Si stupì che non l’avesse buttata fuori
a calci.
<< Quanto ci
vorrà? >> domandò all’improvviso Dimitri, fissando qualcosa fuori dalla
vetrata, di sotto.
<< Non lo so,
sono tutti ai tavoli >> rispose Nikodim con
noncuranza, accendendosi un sigaro, << Valli a chiamare tu, magari si
danno una mossa >> aggiunse, strafottente.
Dimitri gli gettò
un’occhiata e arricciò il labbro, segno che non voleva essere provocato, in
quel momento. Ordinò una vodka al cameriere che era fermo sull’uscio e poi si
avvicinò al tavolo, ignorando completamente Nikodim.
Sembrò soppesare un momento i presenti, poi si sedette di fianco a Irina,
nonostante ci fossero diversi posti liberi. Lei si scostò leggermente per
fargli spazio e non fece alcun commento, aspettandosi
qualche sua frecciata.
<< Sono
venuti tutti? >> chiese invece Dimitri, rivolto a Nikodim.
<< Certo che
no >> fu la risposta.
Era evidente che
tra i due corresse dell’astio, in quel periodo. Dal tono in cui si parlavano,
sembrava che tollerassero l’uno la presenza dell’altro
per necessità, ma avrebbero fatto volentieri a meno di sedere allo stesso
tavolo. Irina si ritrovò a condividere lo stesso sentimento di Dimitri.
Il primo ad
arrivare fu un ometto piccolo, addirittura più basso di lei, con due baffetti
scuri e quasi pelato, vestito in giacca e cravatta e
con una valigetta ventiquattro ore in mano. Salutò tutti con un cenno,
soffermando per più tempo lo sguardo su di lei. Si trattava di Stanislav Varagurg, uno dei
Referenti meno famosi e meno influenti. Si sedette di fianco a Boris e si mise
a parlottare con lui a bassa voce.
Il secondo
Referente che arrivò fu un ragazzone altissimo, biondo e dalla mascella
squadrata, che non sembrava dimostrare più di venticinque anni. Sembrava un
giocatore di rugby, a giudicare dalla stazza, e dall’aria strizzata che in quel
momento aveva la sua camicia bianca con le sue iniziali sul taschino. Le
ricordava uno di quei bulletti dei licei americani, con il papà ricco e una
schiera di ragazzine adoranti come fan.
<< Konstantin Worobova >> si
presentò lui, tronfio.
Prima di
accomodarsi al tavolo, con l’aria di uno che si crede importante, gettò
un’occhiata a Irina, e lei ebbe l’impressione che fosse venuto
solo per vederla e capire che faccia avesse l’americana che voleva salvare Challagher.
“Sono spiacente di non essere bionda, alta e sensuale
come ti aspettavi, ragazzino” pensò Irina irritata. Gli sembrò una
versione stupida e infantile di William.
L’ultimo Referente
che si fece vedere fu un russo dall’aria equivoca con una incolta
barba scura e gli occhi infossati, e un brillante orecchino d’oro al lobo
sinistro. Ringhiò un saluto rapido e prese posto. Era Karim Gulaf.
<< Possiamo
cominciare >> disse Nikodim, mentre un
cameriere serviva da bere.
<< Non viene nessun’altro? >> chiese Yulian,
facendo raschiare fastidiosamente la sedia per terra.
<< No, siamo
solo noi >> rispose Boris, << Ma gli altri sono al
corrente della faccenda… Konstantin, fai le
veci di tuo padre? >>.
<< Sì, sta di
nuovo male >> rispose il ragazzo. Non sembrava dispiaciuto, però.
Si guardarono per
un momento l’un l’altro, i Referenti a guardare Irina per studiarla e capire
con chi avessero a che fare. Lei rimase immobile come
una statua, senza mai abbassare lo sguardo, come avrebbe fatto Fenice.
<< Irina ha
svolto il suo primo incarico senza problemi >> iniziò Boris, sorseggiando
la sua vodka, << Vuole incontrare la Lince di persona, e la prassi dice
che dobbiamo darle un altro incarico… >>.
<< Abbiamo
già parlato di questo, in effetti >> si intromise
Nikodim, l’aria divertita, attirando su di se
l’attenzione, << Pensavamo… >>.
<<
“Pensavamo” chi? >> ringhiò secco Dimitri.
Nikodim lo guardò.
<< Castor e Valentin mi hanno dato la loro delega >> rispose
tronfio lui, << Li rappresento io, stasera >>.
Nessuno sollevò
alcuna obiezione o fece commenti, segno che era consentito. Dimitri fece una
smorfia e lo lasciò continuare, ma Irina era dell’idea che volesse tirargli un
pugno in faccia, in quel momento.
<< Pensavamo
di farle fare una visitina dalle parti di Lyubertsy >> disse Nikodim,
<< Se è veramente affidabile, non dovrebbe essere un problema per lei,
no? >>.
Se Irina non avesse
notato la faccia di Dimitri, diventata praticamente di
pietra, e l’espressione preoccupata degli altri, non si sarebbe allarmata, ma
capì che la cosa doveva essere piuttosto seria, qualsiasi significato avesse
quella frase. Solo Konstantin assunse un’aria
leggermente divertita.
<< E’ stata
un’idea tua, immagino >> ringhiò Dimitri, rompendo quell’attimo di
silenzio abbastanza teso.
Irina lo guardò con
la coda dell’occhio, notando che sembrava ancora più furioso di prima. Non fu
l’unica ad accorgersene, perché Emilian, il cugino
sfregiato, aveva lo sguardo puntato su Dimitri, come se fosse pronto a fermarlo
se avesse aggredito Nikodim.
<< Bé, mi
sembra un po’ eccessivo… >> disse Varagurg a
bassa voce, perplesso, << Cioè, di solito non ci va nessun’altro,
a parte Zac… >>.
<< Sei uno
stronzo >> fu il commento di Dimitri, guardando Nikodim
dritto in faccia, << Lo sai che quella non è zona… nostra >>. Per un
momento era sembrato indeciso su quale parola usare, ma non aveva esitato a
insultarlo. Nikodim rimase impassibile, e sembrò
quasi pentirsi della sua idea. Irina rimase immobile, sicura che rimanere in silenzio fosse l’idea migliore.
<< E allora?
>> fece Nikodim, ma ci fu una leggera
inflessione nella sua voce, << Se porta a termine questo, sappiamo che
possiamo fidarci di lei >>. Il suo ghigno era palesemente forzato.
Dimitri si alzò e
appoggiò le mani sul ripiano del tavolo, gli occhi di ghiaccio. Emilian si tese come una corda, e Irina sentì salire
l’ansia.
<< Cambiate
missione >> ringhiò lui.
<< Però, in effetti… >> iniziò Varagurg,
forse con l’intenzione di trovare una nota positiva nella vicenda.
<< Sta zitto
>> abbaiò Dimitri, rivolgendogli un’occhiataccia, << Cambiate
missione. Questa non ha alcun senso… Nessuno a parte i Referenti è tenuto a immischiarsi in quella storia, chiaro? >>.
A giudicare dalla
sua faccia, Dimitri sembrava pronto di nuovo a fare a botte. Irina ebbe quasi
paura, di fronte a quegli occhi di ghiaccio che dardeggiavano da una parte
all’altra, e si chiese perché fosse così arrabbiato: di sicuro, c’era qualcosa
che non andava.
Nikodim rimase zitto,
mentre tutti gli altri, tranne Emilian, sembravano
vagamente preoccupati. Boris bevve lentamente l’ultimo sorso della sua vodka,
guardando il nipote di sottecchi, e poi si decise a parlare.
<< Dipende da
cosa deve fare >> disse lentamente, << Se si tratta fare solo una
consegna non ci dovrebbero essere problemi… Nikodim, qual’era la vostra idea? >>.
Dimitri non parlò,
ma fissò il russo trapassandolo da parte a parte.
<< Non si
tratta di una consegna… >> rispose, evasivo, << Deve trattare per
noi… >>.
<< Questo
conferma che hai una fottuta paura di rivederti Challagher
da queste parti >> lo interruppe Dimitri, quasi divertito, << Sei
patetico. Sai bene che non si può entrare nel loro territorio senza correre dei
rischi, e sai anche che non può portare a termine la missione, perché lei viene
da fuori… >>.
La stanza piombò
nel silenzio, ma nessuno sembrava dare ragione né a Dimitri né a Nikodim: si limitavano tutti a osservare lo svolgimento
della questione con distacco, come se non osassero intromettersi.
Irina deglutì, a
disagio. La tensione era palpabile, e si rendeva conto di dover dire qualcosa:
in fondo, stavano parlando di lei e della sua missione. Solo che capiva la metà
delle cose, con tutti quei riferimenti a territori e persone senza nome di cui
non conosceva nulla; in più, era sicura che Dimitri non avrebbe gradito il suo
intervento, in quella situazione.
<< Quanti
anni hai? >> domandò all’improvviso Konstantin,
rivolto a lei. Tutta l’attenzione si catalizzò su di lui, sulla sua espressione
strafottente.
<< Ventidue
>> rispose Irina, chiedendosi cosa centrasse in quel momento. Konstantin sembrò soddisfatto dalla sua risposta, come se
avesse azzeccato la previsione sulla sua età.
<< Un
momento. Potremmo sentire Castor e Valentin e discutere la cosa >> disse
Boris, in tono conciliante, << Se però Irina
vuole incontrare la Lince… >>.
Irina notò che Konstantin si era sporto verso Gulaf,
rimasto in silenzio fino a quel momento, e gli aveva sussurrato qualcosa
nell’orecchio ed entrambi erano scoppiati a ridere.
<< Bé,
potremmo trovare un accordo… >> disse Konstantin,
ancora palesemente divertito, << Magari Irina potrebbe… >>.
<< Sta zitto
e tieniti per te i tuoi accordi >> abbaiò Dimitri, fulminandolo con gli
occhi, << Limitati a rappresentare tuo padre e a non sparare stronzate
>>.
Konstantin non osò
rispondere, ma sembrò notevolmente irritato per essere stato trattato come un
ragazzino. Nessuno aggiunse niente, e all’improvviso Dimitri afferrò Irina per
un braccio, facendola sobbalzare.
<< Alzati e seguimi >> disse, secco.
Irina non se lo fece ripetere due volte, visto che il russo sembrava davvero
fuori di sé, e lo seguì fuori dalla stanza, lasciandosi condurre in un angolo
appartato del lungo corridoio che portava alla sala da poker. Rimasero in
piedi, una di fronte all’altro, Dimitri che sembrava aver voglia di rompere
qualcosa.
<< Cosa succede? >> domandò lei, sperando si calmasse.
Dimitri le rivolse
un’occhiata. << Vogliono mandarti nella zona di Vladimir >>
rispose, la voce che vibrava di indignazione, <<
E non ci va mai nessuno di noi, se non è necessario. Vogliono che tu finisca
ammazzata da uno dei suoi amici >>.
“Non poteva essere più esplicito di così…”.
Irina lo guardò,
perplessa. Si capiva da lontano che Nikodim la voleva
morta, e non c’era da stupirsi che avesse proposto quel tipo di
incarico – perché di sicuro era stata sua l’idea – ma non comprendeva la
reazione di Dimitri: perché prendersela così tanto? Non si era aspettato che i
russi cercassero di ostacolarla in ogni modo?
<< Avevo
messo in conto che ci sarebbe stato da fare qualcosa di pericoloso… >>
mormorò Irina, guardandolo di sottecchi, << Possiamo farci appoggiare dall’F.B.I… >>.
Dimitri sbuffò,
quasi esasperato. << Non è quello il problema >> ribatté, <<
Non pensavo mettessero in mezzo anche Vladimir… Posso cercare di fargli
cambiare missione, ma ho un’idea… >>. Le rivolse un’occhiata come a dire:
“E non mi interessa se a loro piace o meno: la devono
accettare e basta”.
<< Cosa vuoi dire? >>.
<< Voglio
dire che dobbiamo aumentare la posta in gioco, visto che
vogliono fare i furbi con noi >> rispose Dimitri, << Accettiamo la
missione se una volta portata a termine ci faranno partecipare alla Mosca-Cherepovest >>.
Irina lo guardò
senza capire, il sopracciglio inarcato.
<< E’ la gara
a cui partecipano tutti i potenziali Referenti
>> continuò Dimitri, vedendo la sua faccia, << Se partecipiamo a
quella, saremo tra le braccia della Lince >>.
Irina tacque per un
momento, valutando la cosa: sembrava una buona idea. Il gioco valeva la
candela, in conclusione.
<< Ok, ma…
Perché lo stai dicendo a me? E’ a Nikodim che…
>>mormorò, cercando di capire perché l’avesse portata lì fuori, lasciando
i Referenti e tutti gli altri a pensare chissà cosa.
<< Accetti?
>> fu la domanda di Dimitri, guardandola dritta negli occhi e prendendola alla sprovvista.
Irina comprese in
un attimo: lo aveva appena accusato di fare sempre di testa sua, e questa volta
la stava rendendo partecipe per prima al piano che aveva in mente.
“Arrabbiarmi è servito a qualcosa…”.
<< Sì,
accetto >>.
Dimitri non aggiunse
altro e tornarono al tavolo, sedendosi di nuovo ai loro posti. Li guardarono
con delle strane espressioni, Konstantin con gli
occhi ridotti a fessure, Nikodim con un mezzo ghigno.
<< Accettiamo
la missione, ma ci fate partecipare alla prossima Mosca-Cherepovest
>> ringhiò Dimitri, guardandoli uno a uno e poi soffermandosi su Nikodim, << O così, o niente >>.
Emilian si lasciò sfuggire
un sorriso e il suo volto sfregiato si contorse per un momento, come se fosse profondamente
divertito dalla piega che suo cugino era riuscito a far prendere agli eventi. Nikodim non se lo era aspettato, e arricciò il labbro,
infastidito.
<< Non ha
detto di voler diventare una Referente… >> sibilò, << E poi non
sono io che decido chi partecipa a quella gara >>.
<< Non ha
importanza >> ribatté Dimitri, << Lei vuole arrivare alla Lince, e
anche diventando Referente. In quanto al resto, votate: tu rappresenti Castor e
Valentin, gli altri voteranno con la loro testa >>. L’ex Mastino guardò
Boris, Varagurg, Gulaf e Konstantin, come a sfidarli a votare contro.
Irina non potè fare a meno di sorridere, dentro se stessa: Dimitri
alla fine l’aveva sempre vinta, un po’ con tutti. In quel caso, non poteva che
esserne felice.
Nikodim tacque per qualche
istante, poi disse, con la voce tirata: << Chi è d’accordo, alzi la mano
>>.
Irina incrociò le
dita, sperando tutto andasse per il meglio.
Boris e Konstantin furono i primi ad alzare la mano, poi toccò a Varagurg, e infine Gulaf. Nikodim, che rappresentava Castor e Valentin, non si mosse.
Chiaramente, il risultato era quattro a due.
Dimitri fece una
smorfia soddisfatta, e si sedette.
Nikodim si accomodò meglio
sulla sedia, e Irina si lasciò andare a un respiro di sollievo mentale: il
problema più grosso era andato. Ora le restava da capire cosa doveva fare di
preciso.
< Qual è la
missione? >> chiese, senza lasciare il tempo a Nikodim
di sbollire la rabbia.
<< Ti daremo un
navigatore, e tu dovrai seguire la strada indicata >> rispose il russo,
irritato, << Una volta arrivata, dovrai parlare con la persona che
troverai ad attenderti, e tratterai in nostro nome un affare che abbiamo in
sospeso da un po’… Dovrai rispettare le condizioni che ti verranno
poste, altrimenti l’affare non va in porto. Anche questa volta sarà Dan a
illustrarti il piano e a fornirti il necessario… Ora devo andarmene >>. Si
alzò rapidamente in piedi e uscì dalla stanza, con lo sguardo di Dimitri
incollato alla sua schiena e forse la consapevolezza di non essere molto
gradito.
Irina inarcò un
sopracciglio, senza sapere cosa dire. Tutti gli altri Referenti si guardarono l’un
l’altro, come a dirsi “finalmente se né è andato”. Dimitri si lasciò andare a
una smorfia che sembrava un mezzo sorriso.
<< Riferite
al vostro capo quali sono le condizioni >> disse Dimitri, rivolto ai
Referenti ma soprattutto a Boris, << Fategli sapere chi siamo, cosa
vogliamo e cosa faremo. Questa è l’ultima prova a cui
ci sottoponete, sia chiaro >>.
C’era un tono di
velata minaccia nella voce del Mastino, ma a Irina stupì di più il fatto che
parlò utilizzando il “noi”: sembrava stesse prendendo la cosa molto sul
personale, e se prima voleva essere nettamente distinto da Irina e dal suo
piano, ora non sembrava più così.
<< Ora
possiamo andarcene anche noi >> aggiunse lui, alzandosi in piedi, senza
che nessuno dicesse nulla.
Irina lo seguì,
rivolgendo un cenno di saluto a tutti; Dan le fece il gesto di telefonare, per
dire che si sarebbero sentiti presto per chiarire la missione. Senza parlare
raggiunsero il parcheggio, attraversando il casinò ancora affollatissimo, e
Dimitri si avviò a testa bassa verso la sua Audi R8, parcheggiata non troppo
lontano dalla Punto.
Irina gli rivolse
un’occhiata di sottecchi, camminando verso la sua auto. Ancora una volta,
Dimitri si rivelava una sorpresa, con i suoi comportamenti strani e l’aura di
mistero che lo avvolgeva. Persino i Referenti lo temevano, in qualche modo, perché
gli parlavano come se fosse uno di loro, o addirittura più in alto.
Salì sulla Punto, e
accese il motore. Dallo specchietto retrovisore vide passare l’Audi R8 e appena
sparì lungo la strada, diretta a casa, tirò fuori il cellulare.
Aveva un’idea, e
poco importava se avrebbe fatto la figura dell’impicciona. Da agente dell’F.B.I. qual’era, le era permesso anche quello.
Attese qualche
minuto, e dall’altra parte della linea, con la voce un po’ distante, rispose Jess.
<< Pronto?
>>.
<< Ciao Jess, sono io >> disse Irina, << Scusa se ti
chiamo ora, ma credo di aver bisogno di un favore… >>.
<< Vediamo se
posso fare qualcosa >> disse Jess, divertito,
<< Di cosa si tratta? >>.
<< Prima di
tutto, devo chiederti di non far sapere a nessuno, nemmeno a McDonall, quello che sto per chiederti >> esordì
Irina, seria, << Nemmeno Xander. Non voglio allarmare nessuno, non è niente di particolarmente
importante, ma preferisco prima venire a conoscenza di tutta la storia e poi
parlarne con gli altri, se sarà necessario >>.
<< Ok
>> fece Jess, ma sembrava dubbioso, << Ma
di cosa di tratta? >>.
<< Devi fare
una ricerca su Dimitri >> rispose Irina, controllando intorno come se
avesse paura di essere sentita, << Tutto quello che riesci a trovare su
di lui, soprattutto per quanto riguarda il periodo che ha passato in Russia. Voglio
che faccende ha in sospeso e come mai ha lasciato
Mosca per venire a Los Angeles >>.
<< D’accordo
>> disse Jess, << Si può fare… Forse
esiste già un fascicolo su di lui: McDonall avrà
sicuramente fatto controllare, prima di mandarlo in missione. In ogni caso,
riparto da zero e vedo cosa riesco a trovare. Ti telefono quando ho qualcosa…
>>.
<< Non puoi
mandarmi una mail? >> propose Irina, << Non so potrò rispondere
quando mi chiamerai, e non credo sia molto sicuro… >>.
<< Ok, ti
mando una mail crittata, così sappiamo che nessuno potrà scoprire cosa c’è
scritto >> disse Jess, << Dobbiamo
preoccuparci? Intendo: cosa stai combinando? Sai vero che se Xander scopre che ti copro mi ammazza? >>.
Irina sorrise.
<< Lo so… No, non c’è niente di cui preoccuparsi. Domani farò rapporto a McDonall, così starete tutti quanti più tranquilli. E a Xander ci penso io, se ci scopre
>>.
<< Ok,
agente, allora ci sentiamo il più presto possibile. Mi raccomando, occhi aperti
e sempre all’erta >> fece Jess,
divertito.
Irina chiuse la
telefonata e guardò dritta davanti a sé. Forse finalmente stava entrando
davvero nella parte. Forse finalmente aveva capito come andavano le cose, ma
soprattutto a farle andare come voleva lei.
Ore 23.30 –
San Pietroburgo
Xander guardò la villa
illuminata a giorno dalle luci al neon che erano state installate sui lampioni bassi
e in elaborato ferro battuto, mentre intorno a lui decine di auto di lusso si
muovevano in direzione dell’ampio parcheggio esterno del cortile.
Come gli aveva
detto, Nina lo stava aspettando a un lato del parcheggio, ancora dentro la TT
bianca per evitare di rimanere al freddo. Vicino a lei c’era un posto vuoto, dove
Xander parcheggiò la Porsche semidistrutta.
Scese dall’auto e
la ragazza fece altrettanto, rivolgendogli un’occhiata divertita.
<< Ok
>> disse lei, << Mi hai colpito. Come ti
avevo promesso, ti faccio conoscere un po’ di gente >>.
Xander sorrise e la seguì
all’interno della villa, scoprendo che si trattava niente meno che di casa Kraracova. Nina lo stava portando proprio dentro la sua
tana.
Tutta la gente che
era arrivata si stava assiepando nell’enorme soggiorno, parlando ad alta voce e
con l’aria eccitata. Un ragazzo stava servendo da bere a un gruppo di uomini
che dovevano avere da cinquant’anni in su, tutti
vestiti elegantemente.
Nina puntò il
gruppetto con sicurezza, e raggiunse uno degli uomini vestiti in giacca e cravatta, quello con una folta barba scura,
appena appena striata di grigio. Gli scoccò un bacio
sulla guancia, scambiò qualche parola e poi tornò indietro, trascinandosi gli
sguardi dei cinquantenni impomatati.
<< Mio padre
>> spiegò Nina, conducendolo verso il tavolo dei drink, << Più
tardi vi farò conoscere. Intanto prendiamoci da bere >>.
Sgomento, Xander rivolse una rapida occhiata all’uomo, rendendosi
conto che quello non era nientemeno che il Primo Ministro della Russia… Ed era
invischiato in tutta quella storia, insieme con il resto della sua famiglia. La
situazione era davvero più grave del previsto, se erano arrivati fino a quel
punto.
<< Allora,
Mark, dimmi qualcosa di te >> lo distrasse Nina, mettendogli in mano un
bicchiere di vodka, << Raccontami cosa fai, da dove arrivi. Sono curiosa
di sapere dove ti sei fatto tutta questa esperienza >>.
<< Negli
Stati Uniti le gare clandestine sono molto comuni >> disse Xander, con noncuranza, << Non è difficile farsi un
po’ di esperienza… >>.
<< Conoscevi William Challagher? >> domandò Nina. Stava guardando da
un’altra parte, come se la risposta non le interessasse, e rigirava il contenuto il suo bicchiere facendo vorticare la ciliegina
nel liquido trasparente.
Xander esitò un momento
prima di rispondere: la ragazza era furba, stava cercando di sondare il terreno
e lo faceva dimostrandosi disinteressata.
<< No, non di
persona >> rispose, << Ma di fama lo conoscevano tutti. Un ottimo
pilota >>.
Nina ridacchiò.
<< Un peccato che sia finito dietro le sbarre, non credi? >>.
<< Vi
conoscevate? >> chiese a sua volta Xander.
<< Sì, è venuto da queste parti alcune volte >> rispose Nina,
ma la cosa sembrò lasciarla indifferente, << Il suo braccio destro è di
Mosca… E tu? Hai mollato tutto per venire qui…
>>. Si sedette su un divano di pelle blu, accavallando le lunghe gambe e
sistemandosi i capelli.
<< Tutto… Non
avevo molto da lasciare >> rispose Xander, e
qualcosa stridette nella sua testa, al pensiero di Irina.
<< No?
>> Nina lo guardò, divertita, << E’ quella cos’è? >>. Fece un
cenno verso la catenina appesa al collo, quella di Irina.
<< Un
portafortuna… >> rispose Xander, evasivo.
Nina rise. <<
Un portafortuna… >> ripeté lei, divertita, << E la fedina lo è anche? O è il monito di qualcuna? >>. Ammiccò,
appoggiando il braccio sottile alla spalliera del divano. Diversi occhi erano
puntati su di lei, e sicuramente se ne era resa conto.
“Quanto è furba, questa qui…”.
<< E’ un
vecchio ricordo… >> rispose Xander, senza
aggiungere altro. Nina però sembrava aver capito, e allargò il suo sorriso
perfetto.
<< Spero sia
un bel ricordo >> disse, con l’aria di chi la sa lunga, << Però ci
sono sempre ricordi migliori, da aggiungere alla nostra collezione… >>.
Xander le gettò un’occhiata,
indeciso se stare al gioco che aveva in mente quella
ragazza, oppure se scoppiare a ridere. Si limitò a un sorrisetto e a finire il
suo drink.
<< Come mai
sei partito in ritardo? >> domandò lei, forse per riempire quel silenzio
che la infastidiva.
<< Mi sono
distratto un attimo >> rispose Xander, e seppe
di averle appena dato la risposta che voleva. Nina infatti
ridacchiò.
<< Capisco… E
dove guardavi? >>.
<<
Sicuramente non la strada >> rispose Xander,
sorridendo. Nina era convinta che si fosse distratto guardando lei, ma in
realtà stava pensando a Irina: forse era meglio lasciarle la sua convinzione e
non rischiare di offenderla.
Nina posò il
bicchiere vuoto sul vassoio di un cameriere che passava da quella parte e
sorrise.
<< Se ne
vedono pochi come te, in giro >> disse, << Vieni, ti presento un po’
di gente >>.
Ore 24.00 –
Mosca, Casa di Dimitri
Una volta nel
soggiorno di casa, Irina scrutò Dimitri per capire se fosse ancora arrabbiato o
se poteva arrischiarsi a fargli qualche domanda. Era ancora nervoso, ma la vena
sul collo non pulsava più, e la vittoria contro Nikodim
doveva averlo almeno reso un po’ meno intrattabile.
<< Possiamo
parlare un attimo? >> chiese lei, titubante.
Dimitri inchiodò
davanti al corridoio e la guardò.
<< Volevo
solo chiederti che cos’è di preciso quella gara di cui
mi hai parlato… >> aggiunse Irina, per fargli capire che non voleva farsi
gli affari suoi. Cosa che stava già facendo in altro modo, tanto.
<< E’ una
gara di resistenza che si svolge da Mosca alla città di Cherepovest
>> spiegò Dimitri, << Tremila chilometri in diversi tratti di
strada, dalle autostrade agli sterrati ghiacciati, da percorrere nel più breve
tempo possibile e nel migliore dei modi. Si svolge una sola volta l’anno, e
possono parteciparvi solo i Referenti e quelli che lo vogliono diventare
>>.
<< Tremila
chilometri?! >> fece Irina, stupita.
<< Non sono
niente in confronto a quello che dobbiamo fare per parteciparvi >>
commentò Dimitri.
<< Perché hai
chiesto di cambiare missione? >>.
<< Perché
quella non è una missione, è una provocazione >> ribatté Dimitri,
<< Ne parliamo domani, in ogni caso. Ora ho da
fare >>.
Sparì in camera
sua, e Irina rimase a fissare il corridoio vuoto. Cosa avesse
da fare a quell’ora, era un mistero, ma ormai era abituata ai suoi
comportamenti. Sbuffò e si preparò per andare a dormire.
Ore 05.00 –
Città del Messico
William fermò la
BMW M6 davanti a un’anonima villetta in mezzo alla campagna, circondata da
campi di grano e filari di alberi da frutta, immersi nel silenzio della notte.
Tutto era avvolto nella più completa oscurità, comprese le finestre della
casetta e il cortile lì intorno. Sul vialetto di strada sterrata e polverosa
era parcheggiata una vecchia auto con il paraurti cadente.
Il nascondiglio di Garcìa il Camaleonte era perfetto per non farsi trovare
dalla polizia: sembrava una comunissima fattoria, ma in realtà era da lì che
partivano e arrivavano gli ordini delle partite di droga di
tutti gli Stati Uniti. William lo sapeva bene, perché ci era già stato in quel
posto… Quando aveva ancora un sacco di affari da portare avanti.
Spense il motore
dell’auto e diede una scrollata a Daniel, che si era addormentato sul sedile di
fianco, i capelli appiccicati alla fronte.
<< Siamo
arrivati. Svegliati >>.
Il ragazzo si guardò
intorno, assonnato, sbattendo più volte le palpebre. Gettò un’occhiata alla
casa e al cortile, come a chiedersi se non si fossero sbagliati.
<< Di già? >> borbottò, allungando le braccia.
<< Con chi
credi di avere a che fare? >> sussurrò William, << Sono stato messo
dentro perché faccio il pilota clandestino… >>.
Scese dall’auto,
stiracchiandosi, e la pungente aria della notte gli diede una svegliata. Aveva
guidato per sei ore di fila, e nonostante la BMW fosse un’auto confortevole, si
sentiva un po’ indolenzito. Scrocchiò le ossa del
collo, desiderando ardentemente un caffè forte.
Silenziosamente,
aprì il baule della macchina e tirò fuori quattro pistole, accertandosi che
fossero tutte cariche. Due le diede a Daniel, le altre
due le tenne per lui, poi guardò la casa.
Iniziava a sentire
l’adrenalina scorrere nelle vene. La fuga era andata bene, non avevano
incontrato ostacoli, ma quello che lo eccitava era quel senso di libertà e di
potere che provava in quel momento. Aveva fatto tutta
quella strada solo per dimostrare a sé stesso che era di nuovo quello di una
volta, e Garcìa lo avrebbe scoperto per primo.
<< Cosa facciamo? >> domandò Daniel, rigirandosi la
pistola in mano. Sembrava molto rilassato, come se si trovasse in gita
scolastica.
<< Tu niente
>> rispose William, << Aspetta qui fuori, mentre io mi occupo del
mio caro amico messicano. Coprimi le spalle, e se arriva qualcuno fallo secco,
chiaro? >>.
Daniel sembrò
svegliarsi all’improvviso. << Ok… >> fece, dubbioso.
William tolse la
sicura dalla pistola e si diresse verso la porta sul retro, sperando di
trovarla aperta. Garcìa era stato previdente, questa
volta, e l’aveva chiusa a chiave.
Gli bastò un colpo
ben assestato con il calcio della pistola per aprirla, e si infilò
dentro senza fare rumore. Era già stato una volta in quella casa, ma non
ricordava perfettamente come fosse fatta. Nel buio appoggiò la mano sul muro e
si fece strada fino alle scale, cercando di non
inciampare da nessuna parte.
Nel silenzio della
villetta riusciva a sentire battere il suo cuore, non di tensione ma di
eccitazione; sulle labbra gli affiorò un sorriso, con un solo pensiero che gli
rimbombava nella testa: “Libero… Di nuovo
libero, e di nuovo Scorpione”.
Risalì le scale
senza nemmeno vedere dove andava, ma dalla poca luce che filtrava dall’esterno riuscì a intravedere la porta aperta della camera da
letto. Entrò dentro e accese la luce, un ghigno sul
volto.
Garcìa era sdraiato a
pancia in su nel letto, la bocca aperta e una vecchia
camicia a quadrettoni che gli copriva la pancia
flaccida e gonfia per via di tutte le birre che si beveva. Quei due anni erano
stati particolarmente impietosi sul più feroce e potente trafficante di droga
del Messico: la faccia era più segnata che mai, e aveva perso un’ingente quantità
di capelli, che cercava di compensare con le lunghe basette ai lati del volto.
Disgustato da
quella visione, William gli gettò un’occhiata e poi afferrò una sedia
sgangherata abbandonata in un angolo. Si sedette al contrario, appoggiando le braccia
sul poggiaschiena, e si guardò intorno: la stanza era
nel più completo disordine, e non sembrava proprio che il conto in banca del
Messicano avesse tanti zeri quanto il suo. Però era il suo nascondiglio di emergenza, dove si rifugiava
quando la polizia era in allerta o sulle sue tracce, e doveva essere il più
anonimo possibile per evitare di attirare l’attenzione.
<< Sveglia,
Camaleonte… >> disse William, ad alta voce, in tono deridente, <<
Sveglia, hai visite… >>.
L’uomo borbottò
qualcosa nel sonno, e si rigirò tra le lenzuola che sapevano di sudore. William
si innervosì, perché gli ricordava un bambino grasso e
brutto.
<< Quando
venivo a trovarti, mi riservavi un’accoglienza migliore di questa, ricordo
>> disse, secco.
A quel punto, Garcìa spalancò gli occhi. In una frazione di secondo gettò
il lenzuolo di lato, cercando di mettersi a sedere il più velocemente
possibile, le mani che frugavano sotto il cuscino…
<< Fermo dove
sei o ti faccio secco all’istante >> ringhiò William, puntando la pistola
verso di lui.
Il messicano rimase
paralizzato, guardandolo infuriato e sorpreso. La zaffata del suo alito pesante
arrivò al naso di William, che lo trovò ancora più disgustoso dell’ultima volta
in cui si erano incontrati.
<< Cosa ci
fai qui? >> esalò Garcìa, e il suo sguardo
guizzò per un istante verso la porta.
William sorrise.
<< Sono venuto a ricambiare il tuo favore… >> rispose, soave.
Abbassò leggermente la pistola ma non la guardia, perché sapeva com’era fatto
quel messicano traditore.
Garcìa rimase in
silenzio.
<< Non te lo
aspettavi, vero? >> domandò William, ridacchiando, << Non ti aspettavi che sarei riuscito ad arrivare qui, soprattutto
così in fretta >>.
<< Challagher, sei un dannato figlio di puttana >> disse
Garcìa, gli occhi che correvano da una parte
all’altra della stanza, << Puoi anche uccidermi, ma oltre alla polizia
avrai alle costole anche i miei uomini >>.
<< Non credo
>> ribatté William, sempre divertito, << Ho intenzione di prendere
il primo aereo per Londra e rifugiarmi da quelle parti per un po’… Ho già tutto
pronto, e non avrò alcun tipo di problema, ne sono sicuro >>.
Garcìa sembrò rimanere
impassibile, le mani appoggiate sul materasso, gli occhi scuri su di lui, ma
era chiaro che stava iniziando ad avere paura. Lo Scorpione sapeva
riconoscerla.
<< Dovresti
sentirti onorato >> continuò William, muovendo impercettibilmente la
pistola, << Mi sono spinto fino a qui solo per te, rischiando di farmi
ritracciare dalla polizia… Non credevo che ti rifiutassi di aiutarmi >>.
<< Porti solo
guai, Challagher >> ribatté Garcìa,
<< Nessuno ti vorrà più tra i piedi, ora che sei un evaso… >>.
<< Silenzio
>> ringhiò William, irritato per come era stato
definito, << Ti stai sbagliando. Non ho più bisogno di nessuno… Ho
imparato a farne a meno, dopo quello che è successo. Ma non credevo che tu, e tutti gli altri, mi abbandonaste
così, dopo tutti i soldi che vi ho fatto fare… >>.
Garcìa aprì la bocca per
ribattere, ma William lo zittì di nuovo.
<< Non ti ho
detto che puoi rispondere >> sussurrò, << Anche perché ciò che hai
da dire non mi interessa. Ti ho svegliato solo perché
volevo vedere la tua faccia, prima di ucciderti >>.
Era così, era
quella la verità. Avrebbe potuto benissimo ucciderlo nel sonno, senza
lasciargli il tempo di capire che non si sarebbe mai più svegliato, ma non
aveva voluto farlo. Sarebbe stato troppo facile, sia per lui sia per Garcìa. Ciò che voleva, era sentire di nuovo addosso quella sensazione di potere che era sempre stato
abituato ad avere, voleva godere della paura che sapeva instillare nelle
persone… Voleva riappropriarsi della nomea di Scorpione, spietato, gelido,
senza paura.
<< Aspetta un
attimo, Challagher >> disse Garcìa,
e una goccia di sudore gli colò sulla fronte, << Possiamo raggiungere un
accordo… Forse possiamo trovare un modo per… >>.
William rise:
davanti a una pistola gli uomini era tutti uguali. Potenti, ricchi, poveri o
sconosciuti, diventavano tutti codardi, tutti pronti a umiliarsi per ottenere
in cambio salva la vita. Con orgoglio ricordò il momento in cui lui stesso si
era visto puntare un’arma addosso da Went, e aveva
chiesto la morte. Lui era diverso, non era un coniglio.
<< Ah, adesso
vuoi farmi di nuovo amico? >> disse, facendogli il verso, << Ora ti
sei deciso a darmi una mano? Eh no, sono io che non voglio più il tuo aiuto,
adesso… O magari vuoi supplicarmi? >>.
Garcìa si tappò la bocca,
e William guardò la pistola come se si trattasse di un oggetto estremamente affascinante.
<< La verità
è questa: siamo tutti uguali >> continuò lo Scorpione, soave, << Ci
circondiamo di “amici”, di collaboratori, di scagnozzi; facciamo alleanze,
accordi, ma in realtà pensiamo sempre e solo a noi stessi. Nemmeno i soldi sono
in grado di creare tra di noi un legame… Una volta lo credevo possibile, ma ora
so che non è così >>. Si mise comodo sulla sedia. << So che esiste
una sola parola, per quelli che vogliono davvero il potere: spietatezza
>>.
Puntò la pistola
verso il messicano, e quello indietreggiò sul letto come se potesse sperare di
scappare. Balbettò qualcosa che William non ebbe il minimo interesse ad
afferrare, e un’altra goccia di sudore gli colò sulla fronte.
<< Mi
dispiace molto, ma non sono più disposto ad accettare tradimenti >> concluse lo Scorpione, e poi sparò.
Un boato seguì il
movimento sul grilletto, e il proiettile si andò a conficcare perfettamente
nella fronte di Garcìa, facendolo cadere
all’indietro, scomposto. Un solo rivolo di sangue scuro gli si dipanò sulla
faccia, andando a macchiare il lenzuolo candido e la camicia mezza aperta. Il
riverbero dello sparo si affievolì fino a far tornare la stanza nel più
completo silenzio, rotto solo dall’unico respiro
rimasto.
William fissò il
cadavere per qualche istante, poi si rialzò dalla sedia e mise la pistola in
tasca.
Non avrebbe sentito
rimorso, né ora né mai. Non sapeva nemmeno cosa significasse,
quella parola. Quello che percepiva era solo l’enorme ed eccitante
senso di potere che aveva in quel momento. Aveva portato a termine una delle
sue innumerevoli vendette, e ciò significava che non stava sognando, che era
libero davvero e che tutto stava tornando come prima.
Scese le scale,
chiedendosi quanto tempo ci avrebbe impiegato la polizia a capire che era stato
lui. Non lo preoccupava il fatto che lo ricercassero
anche per quell’omicidio: sapere che lo Scorpione era di nuovo fuori ed era
pronto a uccidere contribuiva a consolidare la sua immagine, ma sapeva di dover
fare in fretta prima che gli sbirri collegassero a lui la catena di uccisioni
che aveva appena cominciato.
Trovò Daniel ancora
lì dove lo aveva lasciato, e gli fece un cenno
silenzio per dirgli di risalire in auto. Non era sconvolto e spaventato, quindi
non doveva aver mentito riguardo alla sua condanna: era davvero finito dietro
le sbarre per aver ammazzato qualcuno. Annotò mentalmente di indagare su quella
storia in modo da conoscere meglio il suo nuovo compagno di avventure.
Accese il motore
della BMW e calcolò quanto avrebbe impiegato al prossimo obiettivo e quanto
tempo aveva a disposizione. Quella sera stessa voleva lasciare il Messico,
diretto a Londra.
<< Ora cosa
si fa? >> domandò Daniel, guardando fuori dal finestrino verso la casa,
dove la luce della stanza da letto era rimasta ancora accesa.
William sorrise.
<< Adesso andiamo a trovare ancora un paio di persone… E poi spariamo
dagli Stati Uniti >>.
Spazio
Autrice
Ok, ho pochi minuti.
Uno: chiedetevi perché né Xander né Irina sanno che William è fuori.
Due: chiedetevi chi è veramente Dimitri, e
soprattutto se Irina riuscirà mai a capire qualcosa del suo passato.
Tre: chiedetevi cosa farà William.
Non aggiungo altro, se
non che vi ringrazio perché continuate a seguirmi.
Dust_and_Diesel: te lo dirò solo una volta: io adoro le tue
recensioni.
E non mi interessa se sono lunghe, particolareggiate o
super-profonde. Quando vedo che mi hai lasciato un commento, mi
illumino come un albero di Natale. E basta farmi complimenti, perché se
no poi mi monto la testa e inizio a fare la preziosa… No, scherzo,
ma grazie sempre e comunque per le tue parole. Mi dilungherei, ma non ho
tempo. Un bacione enorme!
Annalisa70: naturalmente
ringrazio anche te, e forse sì, la mia sfiga sta
passando. Il passato di Dimitri verrà fuori, vedrai, e stupirà tutti quanti. Un
bacione!