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Autore: Demdem    27/07/2010    1 recensioni
L'aquila ha spiegato le ali... Una terrificante discesa nell'oblio che trae origine da un'era dannata e ormai lontana. Al tempo in cui ogni fenomeno inspiegabile era attribuito a divinità onnipotenti. Dei giusti e buoni, e altri crudeli e spietati. Dopo 5000 anni due semplici adolescenti vedranno scomparire la propria vita da giovani, essi saranno costretti dal destino ad irrompere in una battaglia tra gli esseri umani e le loro stesse colpe. Inimicizia dettata dalle circostanze sarà eliminata, per lasciare spazio ad un' alleanza forzata che permetterà la sopravvivenza e la salvezza di ogni essere vivente dell'universo. La lotta sembra persa in partenza, ma è uno sbaglio riporre la propria fiducia nella forza, quando si possiede un forte cuore...
Genere: Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Yep! A tempo record per i miei standard ecco qui il secondo capitolo u.u Generalmente non mi emoziono così tanto quando scrivo una fic, si vede che questa mi piace parecchio :3 Beh oggi non vi rompo più di tanto xD *prende pop corn e legge*

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CAPITOLO 2: L’Occhio del Dio

 

Un rumore secco, e Leo chiuse la sua valigia.

Non era decisamente il tipo capace di infilarci tutto l’armadio.Si era limitato a portare il minimo indispensabile.

Però stranamente la sua valigia faticava a chiudersi.

Grattandosi la testa il biondo provò a pensare come mai…

Si rese conto che la sua attrezzatura da archeologo era decisamente troppo ingombrante, ma di quello non voleva togliere nulla! A costo di riutilizzare la stessa maglia per due giorni.

Leo era sempre stato appassionato di archeologia. La storia, e la mitologia in particolare lo affascinavano da quando era bambino, e da grande aveva continuato a sviluppare questa sua passione, diventando un discreto esperto in mitologia Egizia, Greca e Celtica.

Il pensiero dell’Egitto gli fece ritornare in mente i lampi dell’occhio di Horus… e dei sogni che non aveva certo smesso di fare.

Con un po’ d’impegno, alla fine il suo bagaglio si chiuse.

«Forza Leo! Siamo in ritardo!»

La voce di suo padre lo fece sobbalzare leggermente. Allarmato, guardò l’orologio. Il loro volo partiva tra 2 ore e 15 minuti. E l’aeroporto era distante 40 Km.

Tipico di suo padre… quando si tratta di qualcosa che amava fare erano sempre in “ritardo”.

«Arrivo!»

Esclamò Leo da piano di sopra.

Scese le scale due a due, emozionato. E saltando gli ultimi 4 gradini con un salto, atterrò in soggiorno, dirigendosi all’uscita della casa.

Appena dopo il giardino, un modello recente di Mercedes era parcheggiato di fronte al vialetto, dove suo padre stava sistemando le valigie della consorte, che sembravano non finire mai.

Caricata anche la valigia del figlio, partirono. Si sarebbero incontrati con la famiglia di Dust direttamente all’aeroporto, sarebbe stato decisamente più comodo.

In viaggio, Leo fu soprappensiero. Questa volta però pensava a Nancy, e al fatto che non l’avrebbe rivista per due settimane.

Proprio in quel momento, il telefono del biondo squillò leggermente.

“Hai 1 nuovo messaggio”

Un messaggio proprio di Nancy, che recitava “Divertiti in Egitto! Un bacione! :)”

Leo rimase un momento a guardare il telefono, poi cominciò a scrivere: “Ciao anche a te! Mi mancherai tantissimo. Prometto che ti penserò ogni giorno.”

Un momento di conflitto interiore, e il ragazzo cancellò tutto quanto, limitandosi a scrivere un “Grazie!”

Infilando il telefono in tasca, ritornò a guardare il finestrino,

Poche ore dopo erano finalmente arrivati all’aeroporto.

Parcheggiarono la macchina con non poca facilità: partendo di sabato c’era moltissima gente che partiva.

Entrati nelle sale biglietterie, Leo intravide Dust tra la folla, che alzava la mano verso di lui, il biondo lo raggiunse trascinando il suo pesante trolley.

«Sei in anticipo anche tu!» esclamò Leo all’amico.

Dust rispose con tono seccato «Si, mia madre era più eccitata di me».

«Anche mio padre, so cosa vuol dire»

«Beh, adesso ci toccherà aspettare per quasi due ore stravaccati a non fare niente…» si lamentò il bruno.

Leo ridacchiò «Almeno non sentirai nostalgia di casa!»

«Ah. Ah. Ah. Sei uno spasso, Leo…»

Trascorsero l’attesa discutendo dei tragitti che avrebbero dovuto fare in viaggio, dato che c’erano innumerevoli cose da visitare, tanto che il tempo sembrava non bastare. Una cosa che Leo voleva visitare, era l’intera Necropoli di Giza. Dust ribatteva che era inutile perdere tempo con tutta la necropoli e visitare solo le tre piramidi. Così iniziò una discussione che durò per un po’. Fino a che…

«Il Volo “A-21” diretto per il Cairo e in partenza presso la pista di decollo N°12, tutti i passeggeri sono pregati d’imbarcarsi».

La voce gentile della signorina alla radio fece sobbalzare i due ragazzi, che in uno scatto furono subito in piedi, con le valige in mano.

Seguì una lunga fila per l’imbarco, un uomo che faticava a parlare inglese ebbe una discussione con Dust sul fatto che portasse la cintura che avrebbe fatto suonare il Metal Detector, il proprietario rifiutava di togliersela dicendo che avrebbe fatto cadere i Jeans. Però alla fine cedette e fu costretto a far passare la sua adorata cinta sotto il tappetino perquisitorio, sotto le grida di rimprovero della madre.

Una volta imbarcati, i ragazzi si andarono a sedere ai posti assegnati, parecchio lontani da quelli dei loro genitori. Leo aveva preso il posto vicino al finestrino, ricordando a Dust chi è che gli doveva 5 dollari.

Una volta seduti, l’aereo non impiegò molto tempo a partire.

Superata la fase di decollo che costrinse tutti a deglutire affannosamente più di una volta, Leo ritornò esattamente come si trovava in macchina.

Il viaggio fu abbastanza noioso: Mentre il biondo leggeva un romanzo d’avventura, Dust era praticamente in un altro universo: Cuffie nelle orecchie collegate alla PSP, e il videogioco “Dante’s Inferno” lo occuparono per l’intero tragitto.

Avendo le cuffie non si accorgeva di alzare la voce, perciò ogni tanto imprecava pesantemente dicendo cose tipo: “stramaledetto demone del cavolo!” o “Dopo essermi rotto il sedere in 4, questa se ne và con quell’idiota!? Ma vaff…”. E perciò toccava sempre a Leo giustificarsi con le persone che si voltavano indignate.

A parte questi avvenimenti di tipica quotidianità, ce ne fu uno che decisamente non rientrava nella definizione di “Normale”.

Erano circa a metà del viaggio, ed entrambi i ragazzi avevano interrotto le loro attività per pranzare una leggera insalatina fornita dalle Hostess.

Guardando fuori dal finestrino, Leo vide qualcosa di strano.

Era solo un semplice falco.

Un FALCO?!

Pensò il biondo, esterrefatto.

Come era possibile?! Gli aerei di quel tipo superavano abbondantemente i 500 Km orari, erano al centro del mar Atlantico, a quell’altitudine l’aria era abbondantemente rarefatta… e un Falco viaggiava vicino a loro?!

Un dolore acuto alle tempie, un bruciore alla palpebra sinistra e Leo lo rivide di nuovo: l’occhio di Horus sanguinante…

«L’hai visto anche tu, eh?»

Leo alzò gli occhi.

Dust lo fissava con un’espressione incredibilmente seria, sembrava un’altra persona.

«Cosa?» rispose il biondo, massaggiandosi l’occhio.

«Non fare finta di non aver capito. Parlo di quell’occhio, l’occhio di Horus»

«L…Lo vedi anche tu?»

«Si, abbastanza spesso. Ha cominciato a farsi vedere circa una settimana fa, e scommetto che anche tu, come me fai dei sogni un po’ strani».

Leo si era del tutto ripreso dal mal di testa.«Si, quasi ogni notte, ormai. Più che sogni direi Incubi».

Dust smarrì il suo sguardo nel vuoto, come se stesse ricordando qualcosa di brutto.

«Anche tu ti trasformi in una specie di cane mostruoso?»

«No, io in un falco»

«Credi che questi sogni abbiano qualche significato?»

«Non lo so, Dust, sinceramente non lo so, ma il fatto di non essere il solo a cui accadono questo genere di cose mi consola, vuol dire che non sto impazzendo»

«…oppure che lo stiamo facendo entrambi»

Leo non rispose, non voleva neanche pensarci.

Cercò di voltarsi di nuovo verso il falco che l’inseguiva. Era scomparso…


*


Il grande Sole del Cairo brillava sulla grande metropoli.

Il traffico famoso in tutto il mondo creava scompiglio negli automobilisti accaldati, che come un enorme scià di olio s’infiltravano nei vicoli al fianco dei grattacieli altissimi.

Era una calda mattinata. Alle 8:30 circa… Leo aprì le tende della sua stanza con irruenza, immediatamente un forte mugolio si fece spazio nel silenzio della stanza.

«Uhhhmmm… Maledetto sole del cavolo… Leo, lasciami dormire altri 10 minuti…» si lamentò Dust.

Il biondo si voltò verso la camera.

Era una piccola stanza con due letti la cui spalliera anteriore era poggiata al muro, in mezzo ad essi c’era un semplice comodino di legno, e dalla parte opposta della stanza c’erano una scrivania e un grande armadio.

Nonostante fossero arrivati solo la sera prima, la camera era già un caos: Pantaloni per terra, valige spalancate e semivuote, caricabatteria attaccati a qualsiasi presa esistente, bottiglie d’acqua sul comodino.

«Ci saremmo dovuti svegliare 30 minuti fa, Dust… è solo perché so che non ce l’avresti fatta che ti ho lasciato dormire»

«Non è colpa mia!» replicò il moro con la faccia sul cuscino «Se non ci fosse quella luce del cavolo mi alzerei anche un’ora prima!»

Leo rise «Accidenti Dust! Ti vesti con abiti scuri, hai i canini più lunghi del normale, non ti piace il sole… Stai attento, o potrebbero scambiarti per un vampiro!»

«Magari… almeno avrei una scusa per stare sempre al buio…» mormorò lui, alzandosi dal letto e dirigendosi in bagno come un’anima in pena.

Visto che in bagno c’era Dust, Leo decise di approfittarsene e di riposare un secondo gli occhi.

Quasi non fece in tempo a chiuderli che bussarono alla porta. Chi poteva essere? Nell’albergo non c’era nessuno che conoscessero. Si infilò un paio di pantaloni e si diresse alla porta, aprendola. Una folta chioma di capelli ricci castani gli occupo tutta la visuale, sentendo il forte abbraccio di una ragazza.

«N-Nancy?!» Esclamò Leo esterrefatto.

«Ciao, Leo! Non ci crederai ma ho convinto i miei genitori a raggiungerti! Non è fantastico!?» esclamò La ragazza, con un sorriso smagliante.

Il biondo ringraziò il cielo che avesse deciso di mettersi i pantaloni prima di aprire.

«Certo che è fantastico! Su, accomodati… scusa il disordine ma siamo arrivati ieri sera e…»

Leo si bloccò.

Un dolore acuto all’occhio sinistro, e riebbe nuovamente il flash dell’immagine che ormai lo tormentava da settimane.

Il dolore si estese pian piano dall’occhio fino a tutta la testa, il collo, le braccia, il busto, le gambe.

Sentì come se tutti i pori del suo corpo si stessero allargando per far spazio a degli oggetti appuntiti e pelosi…

Delle piume.

Pian piano metà della bocca cominciò ad indurirsi come un osso, la maglietta andò in brandelli, strappata da una specie di ala storpia che gli stava spuntando dalla scapola, degli artigli marroncini orrendi gli stavano spuntando dalle braccia, in un urlo di dolore si rese contò che la sua voce era diventato un terrificante strillo acuto.

Nancy urlò di terrore…

«LEO! Che fai!?»

Leo Aprì gli occhi, era ancora disteso sul materasso, non si era mosso di un millimetro.

Un altro di quelli stramaledetti sogni.

Fuori dal bagno c’era Dust, con soltanto un asciugamano intorno alla vita, che lo guardava trovo.

«Ah bene, mi mandi in bagno così ti puoi fare un pisolino. Bravo, bravo…»

Leo fece finta di non avere alcun pensiero.

«Cosa credi? Che io non abbia bisogno di dormire? Tzè!» terminò tirando un cuscino in faccia al suo amico.

Dopo un’abbondante colazione, e dopo aver bruciato due cialde, il duo si diresse fuori dall’hotel.

Con una cartina presa all’agenzia di viaggi, Leo cercava di orientarsi nel quartiere. Dovevano raggiungere la più vicina stazione metropolitane per arrivare alla periferia della città. Dust insisteva per fermarsi all’”Hard Rock” del Cairo, ma Leo gli rispose dicendo: «Abbiamo quasi 50 Locali dell’”Hard Rock” in America, di cui uno proprio a Los Angeles! Che cosa te ne fai di vedere quello del Cairo?!».

Dust tenne comunque il broncio per una decina di minuti buoni.

Raggiunta la metropolitana con un po’ di difficoltà per colpa delle indicazioni sbagliate di un ragazzino del posto, i due ragazzi furono costretti a restare in piedi per la troppo folla. Mentre Leo teneva d’occhio le fermate sul cartellone, il moro ebbe la forza di appisolarsi sulla spalla di un omone egiziano che si rivelò parecchio scorbutico.

Raggiunsero dopo mezzora di metro, e 10 di litigio, la periferia del Cairo, e dopo una camminata arrivarono al noleggio di Jeep.

In America sia Dust che Leo avevano la patente di guida, ma solo il primo di questo poteva guidare in Egitto, la cui età per guidare era appunto 18 anni.

Una volta presa la Jeep, Dust si diresse alla guida di essa, ancora di più verso il deserto, fino a che non raggiunsero una zona dove si noleggiavano dromedari, i ragazzi ne presero 2 e dopo aver caricato tutto l’occorrente, partirono verso le piramidi di Gizia…

 

*

 

«Io non li sopporto i cammelli!» esclamò Dust, irritato. L

eo lo corresse: «Sono Dromedari, e poi perché non li sopporti? »

«E me lo chiedi?! Sono pelosi! Puzzano! Sputano! E hanno un alito da farti sboccare!»

«Anche mio Zio Ronnie. Però stranamente i miei lo fanno entrare comunque in casa…» disse il biondo, con un sorrisino «E comunque io li trovo simpaticissimi!»

A bordo dei loro dromedari, il duo era totalmente immerso nel caldo deserto sahariano, entrambi erano vestiti con pantaloncini corti, magliette bianche e degli elmetti da esploratore sulla testa.

Il viaggio doveva durare ancora un po’, avrebbero potuto tranquillamente potuto prendere i mezzi pubblici per arrivare alle piramidi, ma entrambi si erano messi d’accordo dicendo che sarebbe stato bello provare l’esperienza di cavalcare dei dromedari.

Il caldo era davvero soffocante, Leo aveva più volte pensato di togliersi la maglietta, ma sapeva che se l’avesse fatto probabilmente le scottature non l’avrebbero fatto dormire.

E Dust, nonostante le sue lamentele sembrava divertirsi un mondo in groppa all’animale, probabilmente però non voleva darlo a vedere per non rimangiarsi le affermazioni precedenti.

Anche se più tardi ebbe di nuovo di che lamentarsi.

Leo sentì un grosso tonfo alle sue spalle, si voltò e vide sia il suo amico che la sua cavalcatura a terra, Dust aveva la testa infilata nella sabbia.

«Stramaledetto…! Ptù, ptù! …Animale del cavolo!» esclamò il moro, sputacchiando sabbia da tutte le parti.

Leo scese dal suo dromedario e si avvicinò all’amico, sarebbe stato veramente preoccupato, se non si stesse piegando in due dalle risate.

«Che diavolo è successo?»

«Quel dromedario decerebrato… ptù!... è inciampato!»

«Come ha fatto ad inciampare?! In mezzo al deserto! Dove ci sono solo chilometri di sabbia!» esclamò Leo, fallendo miseramente nel suo tentativo di trattenere le risate.

«Tranne lì!» sbottò Dust, indicando dietro di lui «C’era quel masso bastardo!»

Il biondo guardò dove aveva indicato il suo amico, terminando la sua risata.

C’era davvero un masso.

Si avvicinò incuriosito, e inginocchiandosi sulla sabbia per guardarlo meglio. Aveva una forma quasi rettangolare, era quasi impossibile che fosse naturale. Eppure sapeva bene che in quella zona non c’era alcun reperto archeologico.

Emozionato, Leo cominciò a togliere la sabbia intorno alla roccia, e ne scoprì altre 4 poste sotto la prima. Sembravano proprio…

«Presto Dust! Prendi Le pale!» esclamò il biondo, continuando a scavare con le mani nella sabbia rovente.

Dust non disse nulla. Si limitò a accontentare la richiesta dell’amico, portando due pale di ferro.

Leo ne prese una. «Forza! Scava intorno alle pietre!»

Il bruno eseguì.

Rimasero in silenzio assoluto per un oretta circa, che passarono a scavare attorno alle pietre, che cominciavano a rivelarsi essere davvero tantissime, poste quasi in modo da formare una costruzione a forma piramidale.

Si fermarono quando ormai avevano disseppellito quasi due metri della costruzione.

«E’ un tempio» disse Dust, piano.

«Già» rispose Leo con lo stesso tono, osservando attentamente la costruzione.

Avvicinandosi, notò che circa quattro pietre tutte vicine non sembravano fissate insieme. Il biondo chiamò di nuovo il suo amico, chiedendogli di aiutalo a spostarle.

Erano molto pesanti, ma alla fine riuscirono a smuoverle e a farle cadere sulla sabbia, rivelando un passaggio buio che scendeva verso il basso.

I due ragazzi prima si guardarono, e poi fissarono il vuoto.

«Che figata!» esclamò Dust «Proprio come il tizio che ha scoperto Tutankamion!»

«…Khamon…»

«E che ho detto io?»

Leo rimase pensieroso per un momento. «Che vogliamo fare? Starcene qui a cincischiare o andare a dare un’occhiata?»

«Finalmente ci si diverte!» esclamò il moro, infilandosi nel passaggio senza indugio.

Leo, mordendosi le labbra eccitato, lo seguì.

Dopo una ripida scalinata, arrivarono in un lungo corridoio avvolto nell’oscurità, i loro occhi si erano ormai abituati al buio, perciò Dust riuscì a vedere le torce spente agganciate su dei piedistalli appesi al muro.

«Hai un accendino?» chiese il moro.

Il suo amico alzò un sopracciglio «Per fare che?»

Dust indicò le torce spente.

Leo, guardando l’amico con aria tra la compassione e l’esasperazione, tirò fuori dalla tasca una torcia elettrica, illuminando perfettamente il corridoio.

Il moro sbuffò «Certo che tu non hai proprio la voglia d’avventura alla “Indiana Jones”»

Il duo s’incamminò lungo il corridoio ora perfettamente illuminato, che pian piano si faceva più largo. Leo iniziò a sentire un forte fastidio all’occhio sinistro, ma non rivide nessuna immagine. Raggiunsero nel più cupo silenzio una larga scalinata che dava verso il basso.

I ragazzi scesero senza timore.

Dopo pochi gradini, la torcia illuminò due porte di pietra dall’aria importante, dove vi erano centinaia di geroglifici, e simboli arcaici.

Un silenzio quasi assordante li avvolgeva, i due ragazzi avevano persino paura di respirare troppo rumorosamente per mantenere la tensione.

«Cosa c’è scritto?» chiese Dust.

«Cosa vuoi che ne sappia? Io sono uno che s’interessa di mitologia egizia, non un laureato!»

Il moro fece delle spallucce, e si avvicinò alla porta di sinistra, mente Leo a quella di destra.

Aprendo a fatica le porte di pietra, entrarono ognuno in una stanza. Leo si ritrovò in un’ampia sala. Era piena di gioielli, reliquie, oggetti antichi, e al centro della stanza vi era un grande sarcofago.

Era totalmente d’oro, il volto della scultura rappresentava l’effige di un falco. Sul petto della figura scolpita nel coperchio, c’era posato delicatamente un oggetto, il biondo lo prese in mano. Era una rappresentazione scultorea dell’occhio di Horus.

Leo lo fissò per dei momenti che sembravano durare un’eternità, quando improvvisamente…

Un lampo di luce proveniente dalla reliquia, quasi accecante. E l’oggetto, come una cavalletta, schizzò verso il volto di Leo, attaccandosi con forza all’occhio sinistro.

Il cuore cominciò a battergli forte per il terrore, la reliquia gli stava bruciando il volto come se fosse rovente. Cercò con forza di staccarselo dalla faccia, con entrambe le mani, mentre l’oggetto continuava ad illuminarsi sempre di più e a fare sempre più male. Ma non riusciva a staccarlo, era come se fosse una parte stessa del volto.

Il dolore acuto si estese dall’occhio a tutta la testa, sembrava che la luce emessa dall’oggetto rimbombasse con forza nel suo cranio. Divenne insopportabile. L’occhio libero di Leo s’illumino emettendo un fascio di luce, così come stava facendo la sua bocca spalancata in un lungo urlo di dolore. La luce proveniente dal biondo illuminava con forza gli oggetti dorati sparsi nella stanza rendendola luminosa quanto il sole stesso.

La pupilla dell’occhio destro, resa più piccola dal dolore e la paura, divenne verticale come quella di un gatto.

E con la velocità con cui tutto era cominciato, tutto finì.

La reliquia dell’occhio di Horus si staccò dal volto del ragazzo, che ormai senza forze, si mise a gattoni sul freddo terreno di pietra. L’oggetto che aveva ora lasciato libero il ragazzo si trasformò inspiegabilmente in un mucchietto di sabbia.

Leo cominciò a sentire delle voci nella sua testa. 

 Non ti permettere neanche di nominarlo! Tu, che lo hai pugnalato alle spalle come un vile sicario!

Non credere che io abbia paura di te… potrai uccidermi… ma resterai sempre un codardo.

Padre, ora sei in pace…

Non capiva cosa significassero quelle frasi che nella sua testa si presentavano in maniera fosca e confusa. In realtà sentiva interi discorsi, ma quelle furono le frasi che riuscì a cogliere. Lo sforzo fisico precedente, unito allo sforzo mentale di riuscire a percepire brandelli di frase, e il suo organismo non resse più.

Diventò improvvisamente tutto offuscato, la testa cominciò a dolergli ancora una volta, ma in maniera quasi dolce, finché per Leo, tutto divenne buio…

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Terminato anche il secondo capitolo! Mi auguro che vi sia piaciuto ^^

  
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