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Autore: Fiamma Drakon    27/07/2010    2 recensioni
Erika cercò di districarsi dalle lamiere contorte del mezzo, senza riuscirci.
Della piramide che aveva gelosamente custodito, nessuna traccia.
Le lacrime le pungevano gli occhi e il fumo le impediva di respirare. Gli occhiali erano volati chissà dove a seguito dell’impatto e tutto il mondo circostante le appariva come una sfocata chiazza di colori.
Tossì, lacrimando.
«Papà! Papà!» chiamò, piangendo e imprecando tra sé.
Ma io, come diavolo ci sono finita in questo inferno...?!

[Linguaggio colorito; possibile cambio di rating]
Genere: Azione, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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3_Come un redivivo sopravvive nel mondo dei vivi Raggiunsero la macchina di Penelope in pochi minuti: era parcheggiata all’imboccatura dello stretto vicolo che divideva l’edificio del negozio da quello adiacente. Non fu neppure difficile riconoscerla, dato che era l’unica lasciata in un posto tanto particolare.
Alan fece il giro e si mise al posto di guida, mentre Erika si sedeva al posto del passeggero, allacciandosi la cintura di sicurezza.
«Dove andiamo?» chiese la ragazza, mentre suo padre accendeva il motore.
«Non lo so...»
«Non a casa, vero...?».
Silenzio.
«No, non a casa» rispose infine l’uomo, partendo.
Fu in quel momento che il cellulare che lei teneva in borsa squillò. Tiratolo fuori, controllò il numero.
«È la mamma. Che cosa le dico?» chiese, preoccupata: non poteva certo raccontarle la verità.
“Ehi, mamma non preoccuparti, sono stata solo minacciata da un brutto ceffo e quasi rapita, ma sai cosa? Papà mi ha salvato. Ah, quasi dimenticavo, è un redivivo fresco di rito e probabilmente il mio quasi aguzzino tornerà alla carica, per cui... non aspettarmi per cena per i prossimi mesi!”. No, le avrebbe ordinato categoricamente di rientrare e, se si fosse rifiutata, avrebbe chiamato le autorità.
Era già successo, per cui sapeva che ne era capace.
«Dille che passerai la notte da una tua amica» esclamò Alan, sbrigativo.
«Okay... - replicò lei, quindi avviò la conversazione - Pronto?»
«Tesoro, sai che ore sono? Devi rientrare!»
«Ehm, già... mamma?»
«Sì, cara?»
«Mi sono dimenticata di dirti che stasera dormo da una mia amica. Avevo già programmato tutto e già portato le mie cose ieri l’altro... mi dispiace»
«Ah, da Katrina?».
«No... non da Katrina» la contraddisse Erika: troppo facile. Aveva il numero di telefono, l’avrebbe scoperta subito.
Frugò nella memoria alla ricerca di una sua amica di cui sua madre non conoscesse il numero telefonico, ma era un’impresa, dato che non era esattamente la più popolare della scuola.
«Sono da... Angela» rispose infine. Non ricordava bene se avesse anche il suo numero, ma le sembrava di no.
«Ah, perfetto! Allora ci si vede domani per pranzo, amore... okay?».
La giovane Reagh soffocò a stento un singulto: sua madre era ignara di tutto, per cui non poteva sapere quanto, in quel momento, avrebbe desiderato essere a casa con lei, a cenare come ogni sera.
Avrebbe voluto raccontarle tutto, sciogliersi in un ennesimo pianto, ma non poteva: si era ripromessa di aiutare suo padre.
Con uno sforzo immenso, riuscì a risponderle senza lasciare che il suo bisogno impellente di piangere le alterasse la voce: «Okay, a domani».
Chiuse la telefonata e mandò un mezzo sospiro e singhiozzo, buttandosi contro il sedile, chiudendo gli occhi per non mostrarsi ancora più debole e fragile di quel che aveva già fatto.
«So che vuoi tornare a casa, non importa che fai finta di niente» commentò suo padre in tono di rimprovero.
Lei non osò aprire gli occhi: si limitò ad abbassare il viso.
«No, non è vero»
«Sei stata catapultata in una questione che sfugge alla tua comprensione. È naturale che tu voglia tornare a casa. Inoltre, se sei qui la colpa è mia: avevo bisogno di stabilire un Contatto per tornare qui».
«Un Contatto?» domandò la ragazza.
«Sì, ma questo non è il posto più adatto ad una lunga chiacchierata. Sappi però che mi dispiace di averti trascinata in questo casino».
A quel punto Erika perse la pazienza e, riaperti all’improvviso gli occhi, si volse verso suo padre e lo picchiò sul braccio a lei più vicino.
«Smettila di scusarti! Ormai sono qui, per cui ti aiuterò, qualsiasi cosa tu debba fare e in qualsiasi casino tu sia, capito? Non ti permetterò di uscire di nuovo dalla mia vita per sempre!» esclamò, in tono duro e indignato.
Alan non riuscì a non sorridere: l’espressione imbronciata e al tempo stesso decisa che le si era dipinta in faccia gli ricordava sua moglie.
Di fuori somiglierà anche a me, ma dentro è uguale a te, Arianna: coraggiosa, ferma nelle sue decisioni... e fragile.
Il motivo principale per cui mi sono innamorato di te.
«Hai trovato una destinazione?» chiese la figlia, incrociando le braccia sul petto e sbirciando al di fuori del finestrino: il crepuscolo stava rapidamente lasciando il posto alla notte vera e propria, quella dove sicari come quelli da cui erano appena fuggiti potevano benissimo nascondersi e tendere loro un agguato.
Non aveva mai osato aggirarsi per le strade dopo il crepuscolo e il solo pensiero di poter essere nuovamente minacciata con un’arma da fuoco le bastò per farle desiderare che suo padre avesse già una meta in mente che fosse sicura.
«Sì, solo che... be’, potrebbe non piacerti granché» asserì l’uomo.
«Mi basta che sia sicura...» esclamò Erika.
«Non posso garantirtelo in modo assoluto, ma penso che sarà difficile localizzare la mia presenza laggiù...».
Confortante...
«Okay... quanto manca?».
Stavano attraversando la strada che costeggiava il cimitero e a lei tutta quella cupa spettralità dava fastidio. Oltretutto, iniziava a sentire i primi, per adesso ancora deboli morsi della fame.
«Ci siamo» esclamò Alan, parcheggiando proprio davanti all’entrata del cimitero.
«C-cosa? Qui?» domandò lei, scettica.
«Sì, perché? In mezzo ad altri morti sarà più difficile trovare me, ovvero un morto».
Ragionamento che non faceva una grinza, purtroppo per lei.
Sospirando, scese dalla macchina e si accostò al cancello. Cercò di aprirlo ma, sorpresa delle sorprese, era chiuso.
«Come facciamo ad entrare? È chiuso».
Suo padre si avvicinò all’inferriata e afferrò due sbarre di ferro, tirandole. Con somma sorpresa della ragazza, riuscì a piegarle come fossero di burro.
«Fatto» esclamò.
L’avambraccio destro rimase ancorato alla sbarra che la mano ancora stringeva.
Erika soffocò un grido grazie al cenno di suo padre, che riuscì a tranquillizzarla, anche se di pochissimo.
«Non preoccuparti, succede. Sono un cadavere, ricordi?» disse lui, strappando l’arto dal cancello e riattaccandoselo all’articolazione, che annunciò la risaldatura con uno sgradevole scrocchio d’ossa.
Già, è un cadavere... di che mi devo preoccupare se inizia a smembrarsi? Vorrei sapere dove ho la testa, certe volte...!
Varcò il passaggio da lui creato, seguito a ruota dalla figlia, che si tenne doverosamente attaccata a lui per tutto il tragitto fino alla chiesetta diroccata che si ergeva al centro.
«Mi sembri... spaventata» osservò suo padre, esitante, entrando nell’edificio, aggirando un pezzo di soffitto crollato.
«Non ho grande simpatia per i cimiteri...» commentò Erika, osservando l’ambiente circostante: la chiesa era vecchia e le parti rimaste integre parevano essere ancora in piedi per puro miracolo. Probabilmente era stata costruita qualche secolo prima, perché il collante usato per tenere insieme le mura non era dei migliori.
Il tetto era quasi del tutto crollato: solo la parte che ricopriva il piccolo altare dall’altra parte dell’entrata era rimasta al suo posto. Il resto era accumulato e sparso per la sala, assieme ai detriti delle pareti.
«Dovremo rimanere qui...? Non ci sono ripari... né letti» commentò la ragazza, osservando con un certo disgusto lo sporco incrostato sull’altare.
«Dietro l’altare c’è una piccola porta. Penso che conduca alla casa del prete» la informò Alan, che si era premurato di precederla nell’esplorazione del posto. Infatti, aveva già aggirato l’ara e stava cercando di forzare la porta appena menzionata.
Sua figlia scansò a sua volta l’ostacolo e lo raggiunse, appena in tempo per vederlo strappare dai cardini la porta, che gli rimase in mano.
«Cazzo. Devo riuscire a dosare le mie nuove energie da redivivo»
«Già...» convenne lei, dandogli qualche lieve pacca sulla spalla.
«Se non altro ti ho trovato un letto» fece notare Alan, come se ciò compensasse la porta scardinata.
Erika si affacciò all’interno: una piccola stanza, due letti, un micro-tavolo e una vecchia lampada ad olio, vuota e rotta, abbandonata sul pavimento. Una suite di lusso, non c’era che dire.
Sospirò.
«Sempre meglio che niente...» commentò, entrando.
Suo padre la seguì e fece per sedersi sul letto di fronte a quello di lei, quando il rumore del suo stomaco si fece chiaramente sentire nel silenzio.
Erika non poté fare a meno di ridere, dandogli le spalle.
«Non credevo che i morti potessero avere fame...»
«Infatti...».
La voce strozzata con cui suo padre le rispose la costrinsero a girarsi.
«Papà!» esclamò, avvicinandosi a lui: era piegato in due a terra e la guardava con occhi vacui e sgranati, le pupille bianchissime.
«Erika... devo...»
«Cosa? Devi cosa?!»
«Il tuo sangue. Devo... bere il tuo sangue...».
La ragazza lo guardò come se avesse appena detto qualcosa di inconcepibile. Dalla sua espressione sofferente ma disgustata trapelava chiaramente il suo totale disprezzo per quello che doveva fare.
«Come...?»
«Sto morendo... di nuovo?» chiese, ma la domanda non era rivolta né a lei né a se stesso.
La notizia la fece risvegliare da quella sorta di trance in cui era caduta.
Iniziò a frugare nella sua tracolla, cercando qualcosa di affilato, purtroppo senza riuscirci.
Si guardò intorno, vagliando con lo sguardo l’intera stanza, in cerca di qualcosa che potesse esserle utile. Infine, i suoi occhi caddero sulla lanterna rotta a terra: schegge di vetro erano sparse attorno all’oggetto, e parevano ancora affilate e certamente utili allo scopo.
Si precipitò, ne raccolse una particolarmente grande e tornò vicino a suo padre, il quale osservò il pezzo di vetro con un misto di orrore e bramosia.
Quando la ragazza lo poggiò sul dito, si sporse di scatto verso di lei, gridando: «No!». Poi si ritrasse, tremante, gli occhi sbarrati, dibattuto tra il disperato bisogno e il desiderio di proteggere sua figlia.
Non voleva che si ferisse per lui, ma la sua parte prettamente morta desiderava vedere scorrere il suo sangue e assaporarlo.
Si rannicchiò contro il fondo del letto, spingendosi contro di esso sempre di più, quasi volesse fuggire e nascondersi.
Erika lo fissò, non riuscendo a non mostrarsi compassionevole: sembrava dilaniato e scosso.
«Papà, non è niente. È solo un taglietto...» esclamò in tono rassicurante.
Pulì per bene il pezzo di vetro sulla maglietta, ricordandosi quanti batteri patogeni avrebbero potuto essersi accumulati sulla sua superficie negli anni, quindi lo pose sul dito e lo affondò nella carne, graffiando il polpastrello, dal quale iniziò a sgorgare un piccolo fiotto di linfa scarlatta.
All’inizio, la ferita le faceva un po’ male, ma non era intenzionata a lasciar trapelare il dolore nella sua espressione, che rimase seria e concentrata, mentre porgeva il dito ad Alan. Senza farsi vedere, poi, fece scivolare la scheggia di vetro all’interno della sua tracolla.
Quella vista sembrò alimentare il desiderio e l’orrore di suo padre, tuttavia il primo riuscì, in qualche modo, a prevalere sul secondo: come una bestia privata del cibo per lungo tempo, si chinò sul polpastrello e dapprima lo leccò, poi iniziò a succhiarne il sangue.
Non era doloroso, anzi, era piuttosto piacevole: nonostante la foga iniziale con cui si era avventato sul sangue, non era rude, ma piuttosto accorto.
La parte bestiale, a quanto sembrava, non aveva avuto totalmente la meglio su quella razionale. Suo padre non si era lasciato controllare completamente dal suo istinto di... morto vivente?
Il suo sguardo era addolorato ma pieno di desiderio, un misto che le sciolse il cuore.
Spinta da un naturale affetto, Erika si inginocchiò vicino a lui e appoggiò il capo sulla sua spalla, chiudendo gli occhi, desiderando che suo padre non fosse un redivivo, ma fosse solo vivo. Che potesse tornare a casa con lui e vederlo finalmente insieme a sua madre: la famiglia che aveva sempre sognato e che non aveva mai potuto avere.
Represse le lacrime: non voleva angustiarlo inutilmente, anche perché, se si fosse messa a piangere in quel momento, lui avrebbe potuto pensare che lo facesse per il dolore.
Infine, le labbra di suo padre si ritrassero, tremanti.
«Basta... così».
Si allontanò, sottraendosi al contatto con Erika, lo sguardo basso.
La ragazza parve notare un rossore piuttosto vivido sulle sue guance prima ceree e uno strano scintillio negli occhi.
Non pareva molto in sé.
«Papà...?» lo chiamò.
«Mi... dispiace» biascicò, cercando di mettersi in piedi.
«Smettila di dire “mi dispiace” per tutto! Te l’ho già spiegato» replicò lei, indignata.
Lui traballò e fu solo grazie al pronto intervento della figlia che non cadde.
Sembrava ubriaco.
«Tutto okay?» chiese la ragazza.
Alan sbatté le palpebre, confuso.
«Sì...» mentì: in realtà, non stava realmente bene.
Tutto il sangue che aveva appena assunto gli aveva dato alla testa.
Incredibile! Non credevo che sarei arrivato ad essere sbronzo addirittura di sangue... ora le ho passate davvero tutte.
Si scostò dalla figlia e si lasciò cadere sul letto, massaggiandosi le tempie.
«Non mi sembri molto in forma» osservò Erika.
«Questo perché ha appena assunto una ingente quantità di sangue...».
La ragazza si bloccò, allibita: una voce incorporea aveva seriamente appena risposto alla sua osservazione?
Alan mandò un sospiro carico d’esasperazione.
«Circe, non è il momento per le tue frecciatine idiote...» esclamò in tono stanco.
Erika sbatté più volte le palpebre: Circe...?
Lei conosceva - solo di fama, ovviamente - solo una Circe...
«La maga greca?» chiese, improvvisamente illuminata.
«Mmh...?» fece suo padre, perplesso.
«Sì, proprio lei. Tu devi essere il Contatto così lungamente cercato da Alan... Erika, se non sbaglio».
E così mi ha cercato... per un sacco di tempo?
Erika gettò un’occhiata di sbieco al padre che, accortosene, si affrettò a distogliere lo sguardo, cercando di mascherare meglio che poté un certo imbarazzo.
«Sono capace di sbrigarmela anche da solo, adesso» esclamò lui, per distrarsi dalle attenzioni della figlia.
«Non ne dubito, uomo dalle mirabili facoltà mentali... ma se non riuscivi nemmeno a ricordare il nome di tua figlia!!!»
«Non l’ho vista nascere, okay? Come potevo sapere che mia moglie le avrebbe dato sul serio il nome che mi aveva detto quand’eravamo fidanzati?!»
«Potevi comunque ricordartelo...».
Alan fece per interromperla, ma Circe proseguì: «Non mi sono comunque messa in contatto con te per parlare di questo, ma per spiegarti come funziona la tua particolare alimentazione in questo momento».
Fece una breve pausa, quindi continuò: «Ogni volta che ti alimenti, sei fuori combattimento per non meno di un’ora...».
«Cosa?!» esclamò lui, quasi urlando, esterrefatto e arrabbiato, tuttavia pareva che quello che Circe stava dicendo avesse un senso, perché si lasciò cadere steso sul letto, le palpebre socchiuse.
«I tuoi organi interni non sono più funzionali, per cui non stai digerendo il sangue di tua figlia. I tuoi tessuti lo stanno assimilando».
Circe sottolineò con particolare enfasi quell’ultima parola, come se avesse un qualche potere persuasivo nei confronti dei suoi ascoltatori.
In effetti, riuscì a schifare abbastanza Alan, che si puntellò fiaccamente sui gomiti, guardando il soffitto, come se la voce di Circe venisse da lì.
«Come sarebbe a dire “assimilando”?!» sbottò, arrabbiato.
«Stanno assorbendo il sangue appena preso. In parole povere, in questo mondo il tuo corpo deve essere impregnato di sangue per poter funzionare».
La spiegazione della maga fu stringata, ma decisamente chiara.
Questo spiega perché fosse sorpreso del suo improvviso attacco di “fame”... commentò tra sé e sé Erika.
«Che cosa?! Non mi hai affatto menzionato questa cosa, prima di spedirmi qui!!!»
«Contavo sulla pratica perché lo capissi sul serio»
«Vaffan...».
Alan si interruppe e, esausto, si abbandonò definitivamente sul letto.
«Papà...?» lo chiamò la ragazza.
«Non sta dormendo. Quello non può più farlo - esclamò Circe, e alla giovane Reagh parve di sentire una risatina aleggiare nell’aria e carezzarle dolcemente la pelle - Dolcezza, mi sembri davvero una ragazza speciale, per cui voglio dirti una cosa, prima che lui inizi a raccontarti tutto: le nozioni alchemiche e magiche che sento tu hai appreso non sono inutili in questa situazione. L’Alchimia e la magia esistono, Erika. Non sono solo favole».
Il suo cuore mancò un battito a quella rivelazione: tutto quello che aveva studiato non era mera fantasia? Non era pura e semplice stregoneria?
Sono davvero un’idiota... non ho appena assistito ad un combattimento magico...?
«Però, per voi umani, la pratica è ormai preclusa, salvo poche eccezioni, che hanno dovuto fare enormi sacrifici per recuperare l’antica capacità di praticare queste scienze. Per questo, voglio farti un dono...».
Circe s’interruppe ed Erika non riuscì a fare a meno di trattenere il fiato quando la sentì sussurrare: «Entfernung».
Attorno a sé, la fanciulla sentì alzarsi un improvviso turbinio d’aria, fresca e frizzante, carica di qualcosa di astratto e mistico che lei non riuscì a comprendere appieno. Quando cessò, si sentiva diversa, pur constatando che non c’era niente di differente nel suo corpo.
È una differenza interiore, anche se non riesco a capire in cosa.
«Ora ti lascio a tuo padre: immagino che avrete molte cose di cui discutere...».
La voce di Circe aveva un tono dolce, quasi materno. In esso, comunque, la ragazza percepì una nuova nota ilare.
«Grazie, Circe»
«Di niente, Erika».
Riuscì a percepire quando il contatto con la maga terminò: fu come se il tepore dell’aria attorno a lei fosse stato bruscamente risucchiato nel nulla.
Una strana, singolare sensazione, ma che certamente non le impedì di rivolgere tutte le sue attenzioni a suo padre: dopo tanto tempo, avrebbero potuto finalmente parlare.





Angolino autrice
Eccomi finalmente con il terzo - forse atteso - capitolo!
Qui ancora non si vede un piffero di trama, ma dal prossimo assicuro che sarà tutto chiaro.
Ringrazio infinitamente Sachi Mitsuki e xXxNekoChanxXx per le preziose recensioni che mi lasciano ad ogni capitolo e che mi riempiono di gioia e voglia di continuare a postare questa fic ^^ non so come farei se non ci foste voi due...!
Grazie anche a quanti hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Spero a presto! ^^''
F.D.
   
 
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