Storie originali > Azione
Segui la storia  |       
Autore: Blustar    28/07/2010    1 recensioni
New York 2289.
Gli Stati Uniti hanno scoperto il segreto del viaggio nel tempo, usandolo per creare il mondo perfetto, libero da ogni male. Perché qualcuno allora dovrebbe cercare delle risposte?
"C’erano centinaia di persone che, come mio fratello, credevano ciecamente nel sistema, abbandonandosi ad esso. C’erano alcuni che, come mio padre, si opponevano fermamente ad esso pur non potendo fare nulla. E c’era chi, come me, era nel mezzo e tentava di capire cosa era verità e cosa era bugia, senza avere risposte"
*Storia in fase di rinnovamento*
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




Quattro



Un trillo e la radio squillò.
“Buongiorno, amici ascoltatori! Meno quattro giorni al Natale! Non trovate che sia…”
“Maledettamente fastidioso?” dissi, la bocca ancora intorpidita dal sonno.
Mi ributtai con violenza sotto le coperte, cercando di riprendere il sogno che stavo facendo, anche se ormai non lo ricordavo già più. Tutta colpa di quella sveglia che mi disturbava ogni giorno…
Avrei tanto voluto liberarmene, ma non mi sarei mai alzato dal letto spontaneamente. Sarei senza dubbio rimasto lì a poltrire per ore e ore, mandando all’aria anche il lavoro.
Mi sentivo stanco come se avessi passato la notte in bianco, e in più la spalla destra mi faceva male.
Dovevo essermi addormentato in qualche stupida posizione scomoda.
Poi, improvvisamente, ricordai.
Mi alzai di scatto, con l’unico risultato di far apparire uno sciame di luci psichedeliche davanti ai miei occhi, e andai a sbattere il piede destro contro il comodino, mentre quasi perdetti l’equilibrio.
Ripresomi, cercai in fretta la botola al di sotto del letto e ne tirai fuori un piccolo sacchettino nero.
Non appena sentii la forma della bottiglietta intatta, tirai un sospiro di sollievo.
Era ancora lì, per fortuna.
“Jamie… sei sveglio?” mi chiese la voce di Raymond da dietro la porta.
“Sì, sì…” balbettai, richiudendo immediatamente tutto e nascondendo la boccetta sotto il cuscino, proprio mentre mio fratello entrava in camera mia.
“Scusa, ho sentito dei rumori strani, pensavo che fossi caduto…”
“Qualcosa di simile: ho sbattuto il piede sul comodino, con mia grande gioia” ribattei, sarcastico.
“Ahia… ok dai, mettiti un po’ di pomata, Lola sta preparando le ciambelle”
“Arrivo” dissi, passandomi le mani sulla faccia, sperando che così un po’ del mio sonno se ne andasse.
Il viaggio nel futuro doveva avermi scombussolato parecchio, per aver dormito otto ore di fila ed essere ancora in quello stato pietoso. Mi infilai le prime due cose che vidi nell’armadio, fregandomene per una volta di stare lì a controllare di essere a posto.
Dopo aver nuovamente preso il flacone ed essermelo infilato in tasca, corsi giù e uscii poco dopo aver mangiato di fretta.
Il freddo pungente era ancora più fastidioso del solito. La notte inoltre doveva aver piovuto, perché qua e là sull’asfalto c’erano ancora pozze d’acqua e l’aria era impregnata d’umidità.
Al market erano arrivate le nuove scorte di prodotti, e per tutto l’orario di pre apertura fui impegnato a sistemare scatole e pacchetti sugli scaffali. Inoltre, quel sabato dovevamo anche inaugurare l’angolo per i regali, e addobbarlo come si deve. Erano le solite cianfrusaglie che si sarebbero rotte nel giro di una settimana o poco più: portachiavi con false pietre preziose, peluche per i bambini, portafoto, portafogli e portamonete, alcuni anche con disegnato Tinky, un orsetto colorato protagonista dei cartoni della mattina.
Come facesse a piacere a tutti quei bimbetti, rimaneva un mistero. Era così… zuccheroso. Proprio perché trasudava simpatia e amore da tutti i pori mi era decisamente antipatico. Sapeva di falso, ecco.
In pratica, era il genere di cosa che forse Verity avrebbe potuto trovare carina.
Verity.
Con una fitta allo stomaco, il suo nome mi piombò di nuovo in testa, con tutto quello che questo comportava.
Mi ero ripromesso di non pensarci, ma ovviamente non ne ero stato capace.
Mi sentii depresso. Tutto sembrava fastidiosamente normale: la sveglia, mio fratello, le pozze d’acqua sul marciapiede. Tutto era così anonimo che quasi mi sentivo soffocare.
Non avrei mai dovuto andare nel futuro né parlare con Verity.
Un sorriso amaro comparve improvvisamente sul mio volto: non avrei dovuto fare tante cose, ma invece eccomi qui, a combattere contro i sensi di colpa.
Se quella sera me l’ero praticamente trovata davanti, cosa ci potevo fare? Dovevo prendere quel farmaco, altrimenti mi sarei ammalato sul serio, di una “futurite” acuta.
E non volevo diventare come mio padre, a cercare di rimediare pezzi senza valore al mercato nero o inseguire un sogno che non si sarebbe mai potuto avverare.
Dovevo restare con i piedi per terra.
Cercai quindi di concentrarmi sul mio respiro. Inspira. Espira. Inspira. Espira.
Respiri calmi, lenti, misurati.
Che cosa sarebbe successo se io fossi ritornato nel futuro? Mi avrebbe chiuso la porta in faccia? Avrebbe fatto finta di non conoscermi? Invidiavo mio fratello. Lui avrebbe potuto incontrarla per caso, tutti i giorni, magari mentre guardava le vetrine o tornava a casa con qualche cartone di pizza, forse per festeggiare il compleanno di un’amica.
Di vero, in tutto quello, c’era che mi sentivo diverso. Ma in pochi giorni, può davvero cambiare una persona?
Ero soltanto uno stupido egoista. Avevo visto che c’era qualcosa di meglio lì fuori, di un lavoro al supermarket, di guardare programmi visti e rivisti o ascoltare musica ripetitiva, e così mi veniva voglia di buttare tutto all’aria? Ma per cosa? Per chi?
Quella posizione era dannatamente pericolosa. Verity aveva ragione: solo l’immunità garantita dal grado di Raymond aveva potuto salvarmi da un’indagine della memoria, e io ora osavo sentirmi triste perché facevo una vita onesta, dignitosa! Dovevo stare impazzendo.
Non potevo mettere a rischio tutta la mia famiglia solo per le mie fantasie. Fantasie insensate e completamente fuori luogo, tra l’altro.
La verità era che non volevo prendere quel liquido. Non volevo dimenticare quello che mi era successo, perché per la prima volta nella mia vita mi sentivo… reale.
Era come accorgersi di essere una marionetta, e cercare di tagliare i fili che il tuo creatore ti aveva imposto.
Com’è che si chiamava quella favola? Quella del burattino che voleva diventare un bambino vero?
Mio padre me la doveva aver letta quand’ero ancora molto piccolo, perché non ricordavo affatto il titolo.
Una storia triste, quella di un piccolo pezzo di legno, una marionetta che sognava di diventare una persona in carne ed ossa. Con un nuovo sorriso, mentre passavo il caffè ad una signora troppo anziana per arrivare all’ultimo scaffale, ricordai la fata turchina, protettrice dello sfortunato protagonista.
Improvvisamente immaginai Verity con un lungo vestito azzurro e una bacchetta magica in mano, che mi faceva l’occhiolino. Sì, ero pazzo.
Se quelli erano i primi sintomi della “futurite”, non osavo immaginare il resto!
Io però continuavo a sentirmi proprio come quel piccolo legnetto che desiderava a tutti i costi essere umano.
Nel mio caso, la differenza era che diventare umano significava andare contro ogni regola, ogni buon senso e precauzione. C’era una cosa però che non avrei mai potuto perdonarmi: perdere la mia famiglia.
Era vero che non avevo amici, perché non mi era mai interessato averne, o forse perché tutti si erano dimostrati più attaccati al loro grado di classificazione piuttosto che a coltivare un rapporto serio e disinteressato, e quindi tutto ciò che mi rimaneva erano mio padre, mia madre e mio fratello.
Questo pensiero mi riscaldò, e per un po’ riuscii a non pensare più a nulla.
D’altronde, sarebbe stato sciocco cercare di scambiare la mia vita con quella di una persona morta.
Incredibile pensare che nel futuro io non esistevo più. Mi domandavo anche com’era possibile che vivessi ancora nel mio tempo, che riuscissi a muovere le mani, anche solo per grattarmi la punta del naso.
Se immaginavo di non poter più fare gesti semplici come quello, mi sembrava decisamente impossibile, quasi irreale, anche se prima o poi quel momento sarebbe venuto per tutti.
Lei quindi aveva sofferto per la mia scomparsa? Ero un suo caro amico… e mi aveva spinto a venire nel suo tempo per darmi la boccetta, per tentare di proteggermi… no, non me. Il suo amico. Anche se, come aveva detto, eravamo simili, non potevamo essere la stessa persona. Era un Jamie diverso quello che aveva conosciuto, che certamente non faceva il cassiere in un market e magari usciva tardi la sera, o fumava.
Anche se era un’altra persona però, mi faceva sentire bene che lei avesse pensato a me, che si fosse preoccupata.
In un attimo però, un pensiero attraversò la mia mente.
Con il mio aiuto, gli agenti della Crusade avrebbero potuto facilmente identificarla e forse era per questo che mi aveva aiutato. In fondo poteva anche avermi mentito, io di certo non lo potevo sapere. Chi mi garantiva che io non fossi ancora lì da qualche parte nel futuro? O meglio, l’altro me.
D’altronde tutti avevano un altro sé, ovunque fossero.
Se doveva pararsi le spalle, e insieme anche quelle della sua organizzazione, avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di non essere rintracciata. Ma allora perché mi avrebbe scritto quella lettera? No, sapeva il mio nome e il mio indirizzo… doveva per forza avermi conosciuto in qualche modo.
Però il sospetto rimaneva. Può darsi che effettivamente mi conoscesse ma non le importasse nulla di me, e mi avesse ugualmente usato per non farsi scoprire.
Pensieri su pensieri turbinavano nella mia testa, uno dopo l’altro, come una catena infinita di sogni ad occhi aperti: da varie teorie sul suo comportamento, a ipotesi su come potrebbe essere stata la mia vita nel futuro.
E ad ogni minuto che passava, le mie fantasie diventavano così assurde e fantasiose che subito cercavo di rimuoverle. Però, ripensando seriamente a quella sera, non avrei saputo dire cosa fosse stato, se gli odori della strada, la rosticceria o il nostro dialogo riguardo l’ascensore rotto, oppure le luci di natale, avevo avvertito un’affinità tra me e lei, un po’ come se ci fossimo tenuti per mano senza saperlo… ma non avrei saputo spiegarlo. Come un legame nascosto, un filo sottile che univa i nostri pensieri, eppure non era esattamente così. Era una sensazione così strana e nuova per me che non riuscivo a smettere di pensarci, di elaborare ipotesi, e ripensarci ancora, come se fosse qualche complicato enigma da risolvere.
Quella sera a casa mio padre mi accolse con il solito entusiasmo: aveva quasi finito di riparare la 500, gli mancavano solo due cavi e un alimentatore, e poi avrebbe provato a farla partire.
Aveva messo in conto però di dover installare altri dispositivi antisuono per non farsi sentire di sopra e dai vicini, che sicuramente sarebbero stati messi in allarme dai rumori poco rassicuranti del nostro vecchio garage. Io rimasi indifferente a quelle novità, che commentai con qualche pigra esclamazione di gioia.
Pur di togliermi dalla testa il pensiero di Verity, ascoltai anche mia madre raccontarmi della sua giornata, passata tra shampoo e clienti un po’ troppo affezionate, che avevano addirittura eletto la sua bottega “Miglior acconciatrice del quartiere”.
Spesso non mi curavo del suo lavoro, quasi come se lei non lavorasse. Mi rendevo conto che non mi comportavo esattamente come un figlio dovrebbe fare per la propria madre, e così a volte cercavo di migliorarmi, portandole a casa qualche regalo o dandole più attenzioni e affetto, ma proprio non riuscivo a cambiare. A volte io e mia madre eravamo divisi da un velo di silenzio pesante come piombo, che ci impediva realmente di conoscerci per quello che eravamo.
“Un bel taglio di capelli è proprio quello che ti ci vuole, caro, non credi? I tuoi capelli si stanno pericolosamente allungando, e credimi, i ragazzi con i capelli lunghi sono sciatti ed assolutamente non eleganti. Tuo padre per fortuna ha sempre saputo come vestirsi e acconciarsi, da giovane era un perfetto gentiluomo. Oh, non che adesso non lo sia, però credo che il suo charme si sia sbiadito con gli anni”
“Forse li accorcerò un po’ per Natale”
“Ma Jamie, mancano soltanto quattro giorni! Quando hai intenzione di darti una sistemata?”
“Non so… credo che andrò la sera del 24: uscirò prima da lavoro, così riuscirò a fare un salto al barbiere di Sheldon Avenue”
“Oppure potresti farti fare qualche ritocco da me e risparmiare”
“Mamma, credimi, è meglio che vada dal barbiere. Mi ricordo ancora quando mi hai tagliato i capelli a tredici anni: sembravo un porcospino!” dissi, cercando di esprimere con forza il mio disappunto.
“Ma se è il miglior taglio che hai mai avuto!” ribatté lei sfogliando le pagine di Today Women.
Lasciai perdere, e continuai a mangiare la mia bistecca, che ormai era diventata fredda.
“Ray è partito per lavoro?” chiesi, avendo notato l’assenza di mio fratello.
“Sì, ha detto comunque che non sarebbe stato via per molto. Una questione di due giorni al massimo, o così sperava. Non vorrei che andasse a infettarsi, con tutte quelle malattie che girano nel futuro. La Crusade dovrebbe darsi da fare anche lì per ripulire quell’immondezzaio”
Una nuova fitta allo stomaco mi colpì, ma scelsi di ignorarla.
“Lo sai, hanno l’attrezzatura migliore di tutti gli Stati Uniti. Non credo ci sia effettivamente pericolo, in quel senso”
Mia madre sospirò. “Speriamo che tu abbia ragione, anche se non ne sarei così sicura”
“Io ho finito, vado di là. Grazie per la cena”
Lei mi sorrise, e io cercai di distrarmi accendendo lo schermo in salotto.
Un concorso di giovani talenti promosso dallo stato, un film romantico, un film catastrofico, un talk show, un documentario sulle nuove scoperte spaziali e il commento dell’ultima partita di football.
In altre occasioni, avrei ascoltato volentieri il programma sullo spazio, ma questa volta non ero in vena.
Solo una cosa poteva salvarmi, e quella era la doccia.
In momenti di crisi come questo, non si smentiva mai: aveva il magico potere di sciogliermi i nervi e farmi dimenticare qualsiasi preoccupazione. D’altronde, dopo aver trascorso una giornata all’insegna dell’umidità, valeva proprio la pena di premiarmi con un po’ di sano relax, no?
Dopo essermi asciugato e aver indossato un pigiama pulito, andai di corsa a letto: non vedevo l’ora di ributtarmi a capofitto nella dolce trance del sonno.
Silenzio: ecco tutto quello che mi ci voleva. Bastava restare lì, cullati dalla calma della notte, per affogare i miei pensieri tormentati nel mare dell’oscurità.
Neanche cinque minuti dopo, sentii uno spiffero sul viso.
Alzai la testa: la finestra era aperta? Sì, la tenda si muoveva, anche se di poco.
Chi era venuto in camera mia?
Non appena girai lo sguardo verso la scrivania, trasalii.
Lei era lì appoggiata al tavolo, vestita di un abito nero di paillettes lungo fino al ginocchio, le braccia incrociate, e sorrideva.
I suoi occhi grigi parevano brillare nella stanza, improvvisamente chiara come se fosse stato giorno.
“Mio Dio… Verity? Non dovresti essere qui, lo sai che non…”
Lei si avvicinò e mi premette una mano sulla bocca, per farmi poi cenno di non parlare.
Prese dalla tasca un piccolo orecchino e lo lasciò vicino alla sveglia, prima di sedersi accanto a me.
Fu un attimo e mi baciò. Sentii un fuoco esplodermi dentro, mentre ricambiavo, ancora troppo sorpreso di quello strano momento così perfetto, così eterno. Quando ci staccammo la guardai negli occhi, meravigliato.
“Sai perché siamo qui?” mi chiese lei.
Non capivo. Distesi sul mio letto, guardavamo il soffitto e mi sembrò che si riempisse di nuvole, nuvole che vorticavano, danzavano di fronte a noi, e poi le stelle.
“No” risposi. “Perché?”
“Perché stiamo sognando, Jamie. Cosa farai quando ti sveglierai? Te ne andrai lontano da me”
“No, io non…”
Non riuscii a finire la frase, perché mi sentii sprofondare.
Verity mi afferrò la mano, spaventata, ma una forza invisibile mi trascinava giù, lontano da lei, e non riuscivo più a respirare.
Scivolai nel vuoto.
In quel momento aprii gli occhi, balzando a sedere sul letto, madido di sudore e il cuore che batteva a mille.
Nell’oscurità della mia camera, nulla si muoveva. Il silenzio era rimasto al suo posto, indisturbato.
Era stato un sogno. Mi stesi, mentre iniziavo di nuovo a prendere coscienza della realtà.
Mi passai una mano sulla fronte, cercando di riacquistare la calma.
Ripensandoci, tutto era stato folle, a cominciare da quel bacio; per non parlare del resto, che era ovviamente irrealtà allo stato puro.
Tesi l’orecchio: nessuno spiffero. La finestra sembrava ancora chiusa. Allungai una mano sul comodino, vicino alla sveglia, ma anche lì non trovai nulla.
Che sciocco… credevo ancora ai sogni!
Però, quanto avrei voluto tornare indietro, lasciare che lei si sedesse di nuovo qui, a fianco a me… anche se non c’era mai stata. No, non dovevo pensare. Non dovevo, non dovevo, non dovevo.
Nonostante cercassi di calmarmi, non riuscii più a chiudere occhio. Continuavo a pensare a quello stupido sogno, non mi si staccava di dosso l’immagine di quel vestito nero di paillettes, dei suoi capelli e del suo sorriso.
Non andò meglio il giorno seguente. La “futurite” era peggiorata: ormai non ascoltavo più nessuno, ero distratto. Mi sentivo ancora più stanco del giorno precedente, le gambe indolenzite e la testa come piena d’acqua. A colazione combinai un disastro in cucina, rovesciando la caraffa del caffè sul pavimento. A lavoro mi sorbii un sacco di critiche dai miei compagni, perché avevo urtato e rovesciato parte di una delle ultime torri di doni di Natale che avevamo appena finito di preparare, per non parlare di aver dato più di una volta il resto sbagliato ai clienti, che mi rimproveravano o si limitavano a lanciarmi occhiate stranite.
Per fortuna quel giorno era domenica e lavoravamo soltanto mezza giornata, il che di fatto mi aveva risparmiato altre brutte figure. Non tornai però a casa: non avevo voglia di vedere nessuno.
Non sapevo esattamente dove andare, e così mi lasciai trascinare dalle mie gambe, finché non mi trovai di fronte a Flower Park: lì cercai un piccolo angolo riparato dove far finta di osservare una famiglia di anatre che sfidava il freddo invernale, sguazzando tranquilla in uno stagno protetto.
Che cosa mi stava succedendo? Da molto tempo non mi capitava di avere una giornata così storta, la mente annebbiata e confusa. Invece, era la prima volta che i miei pensieri sembravano tutti voler andare verso un’unica persona. Sempre lei. Non importava che cosa stessi facendo: se mi sforzavo di non pensarla, mi tornava in mente anche per un motivo insignificante.
Allora iniziavo nuovamente a fantasticare: com’era stata la mia altra vita nel futuro? E se davvero la conoscevo, perché lì sì e nel mio tempo no? In fondo era così diversa la gente rispetto a qui?
Era possibile essere ossessionati da una persona dopo così poco tempo da che ci eravamo conosciuti?
Le domande vorticavano nella mia testa sommergendomi, fino a farmi male.
Dovevo prendere una decisione: non potevo continuare ad essere masochista, non se dovevo stare così male.
Che fare? Non volevo dimenticarmi di Verity né del futuro, ma nemmeno volevo essere così distante dalle persone a cui tenevo, non volevo farle soffrire.
Alla fine, sapevo bene che non avevo scelta: quella boccetta era la mia unica via d’uscita. La tirai fuori dalla tasca, ancora perfettamente intatta. Feci per aprire il tappo, ma ancora una volta esitai.
C’era troppa gente lì intorno. Famiglie, bambini e anziani perfettamente tranquilli e sereni. Che cosa avrebbero pensato se da un momento all’altro mi fossi buttato a terra e poi svegliato in stato confusionario? La polizia avrebbe indagato, forse avrebbero potuto farmi ricordare con qualche strano aggeggio quello che io volevo rimanesse sepolto negli strati profondi della mia memoria. O magari io avrei trovato la boccetta accanto a me, e non mi sarei dato pace finché non avessi scoperto che cosa ci facevo con quella in mano a Flower Park. Anche se non sarei mai riuscito a capire cosa fosse e chi me l’avesse data, sapevo che la curiosità mi avrebbe divorato per molto tempo. No. Dovevo fare in modo che tutto andasse per il meglio.
L’avrei svuotata in un bicchiere prima di cena, stando ben attento che qualcuno non mi vedesse, e avrei gettato la bottiglietta vuota nella pattumiera. Sarei stato libero, e una perdita della memoria avrebbe potuto essere stata facilmente classificata come stress. Sì, avrei fatto così.
Avrei protetto tutti: la mia famiglia e anche Verity, che già rischiava molto a venire nel nostro tempo. Lei sarebbe stata al sicuro, o comunque più tranquilla sapendomi all’oscuro di tutto, senza dover stare all’erta anche per me.
Mi alzai, sicuro della mia decisione, e tornai soddisfatto verso casa.
Anzi, più che soddisfatto direi che mi ero rassegnato. Per quanto avessi voluto vederla ancora, non desideravo affatto metterla in pericolo. Gli agenti l’avrebbero rintracciata e uccisa, e io questo non potevo sopportarlo.
Il vecchio proverbio in questo caso calzava alla perfezione: occhio non vede, cuore non duole!
O almeno, avrei sofferto meno che non vedendola.
Erano da poco passate le quattro del pomeriggio quando entrai nel garage di casa con cupa determinazione.
Quello che mi sorprese però fu mio padre, che mi aspettava immobile seduto su una vecchia poltrona accanto alla 500.
Quando mi vide mi sorrise e mi venne incontro per abbracciarmi, lasciandomi basito.
“Papà, ma che…?”
“Aspetta prima di andare di sopra, siediti un attimo qui con me”
“D’accordo. C’è qualcosa che non va?”
Non era da lui questo comportamento insolito. Si limitò a guardarmi sempre sorridendo.
“Verity” mi disse soltanto.
Mi sentii sprofondare dentro. Cosa c’era adesso? Era possibile che avesse scoperto tutto? Dall’espressione di muta comprensione di mio padre, capii che dovevo essere sbiancato.
“Sei innamorato di lei. Innamorato perso, oserei dire”
“Cosa?” dissi, spiazzato.
Possibile? Io, innamorato?
“E’ evidente. Sono giorni che hai la testa da un’altra parte. Sei distratto, mangi poco, resti sempre da solo, sei depresso e parli a monosillabi. Questi sono tutti segnali che nemmeno io posso ignorare! Tu sei proprio cotto a puntino, figliolo”
Il suo sorriso a trentadue denti mi imbarazzò tanto che distolsi lo sguardo, puntandolo dritto a terra.
“Ma… ci vediamo talmente poco… è impossibile che…” cercai di rispondere, sulla difensiva.
“Oh, direi che questo non è importante. Potrei scommettere tutte le mie casse di brandy stravecchio che in questo periodo non hai fatto altro che pensare a lei, a chiederti cosa pensa di te, a immaginare di rivederla di nuovo, e via dicendo”
Arrossii, perché era assolutamente vero. Ero quindi stato così cieco da non accorgermi nemmeno dei miei stessi sentimenti? Ormai era troppo tardi per tornare indietro.
Tutto era successo così improvvisamente, così spontaneamente da non farmi nemmeno rendere conto di quello mi stava capitando.
Come se mi stesse leggendo dentro, mio padre parlò di nuovo:
“E’ naturale, credimi. Tutto succede come per caso, ma in realtà niente lo è. Non conta se vi siete visti una, due o cento volte: due persone che non sono destinate a stare insieme non lo saranno mai, nemmeno se si incontrano tutti i giorni allo stesso bar. Tu cosa provi per lei?”
Presi un bel respiro profondo. Non volevo spiattellargli i miei sentimenti in faccia, però era anche vero che non avevo nessuno con cui parlarne.
“Penso sia ancora presto per parlare di amore, ma… sento che senza di lei la mia vita sarebbe come vuota”
Era vero. Avevo appena preso la decisione di cancellarla dalla mia esistenza, e mi sentivo allo stremo delle forze, privato di ogni volontà, come se sapessi di dover morire il giorno dopo. Purtroppo però, quella era la cosa giusta da fare, e dovevo andare avanti.
“Non credo però che io e lei ci vedremo più” dissi, annullando istantaneamente la sua felicità.
“Perché dici così?”
Esitai, cercando di trovare una via di fuga.
“Lei si… sta per trasferire in un altro stato e so che c’è un altro ragazzo a cui tiene molto, che non può dimenticare”
Mio padre era a bocca aperta.
“E tu hai intenzione di arrenderti per colpa di qualche chilometro e un tizio qualsiasi?” ribatté, la voce indignata.
“Sono un bel po’ di chilometri, e poi il tizio qualsiasi non è detto che sia tanto qualsiasi per lei!”
“Beh, secondo me sbagli. Se sei veramente innamorato di lei, niente dovrebbe fermarti!! Ricorda, quando ancora mi stavo conoscendo con tua madre, ho attraversato tutti gli Stati Uniti in due giorni per andare a trovarla!”
“Sì, mi ricordo… ma erano altri tempi papà, non puoi paragonare la mia storia a…”
“Resto della mia opinione. Se la pensi così sei soltanto un debole” mi disse, duro.
“Tu non capisci!” esclamai, alzandomi in piedi. “Non lo farei se non fosse per il suo bene! Non sai come stanno le cose! Credi che mi faccia piacere non vederla, allontanarmi da lei?? Ma è intelligente, e deve trasferirsi perché… perché ha delle buone possibilità di lavoro, molto buone, e non sono così egoista da chiederle di restare qui solo per me! E poi credo che mi consideri soltanto un amico, andrei a rovinare tutto per perderla definitivamente! Comunque, fammi un favore: non mi parlare più di lei, d’accordo? Non voglio più sentire il suo nome! Mi fa solo stare male. E adesso lasciami in pace” conclusi, andando di corsa di sopra e chiudendomi in camera mia.
Mi aveva fatto veramente arrabbiare. Anche se non potevo dirgli la verità, mi feriva il fatto che lui mi incoraggiasse a non lasciare perdere quando invece dovevo prendere la decisione opposta.
Speravo che ascoltasse il mio consiglio e non me ne parlasse più. Come avrei fatto altrimenti a dimenticarla, anche dopo aver preso il farmaco?
Non potevo più rimandare. Quella sera avrei messo fine alle mie paure come al mio amore.





Salve a tutti!
Grazie a voi che avete letto anche questo capitolo, anche se è più corto del solito... in verità avrebbe dovuto essere molto più lungo, ed è proprio per questo che ho deciso di tagliarlo in due parti... spero che la cosa non vi dispiaccia anche se qui mi sono concentrata di più sui pensieri di Jamie.
Un ringraziamento speciale a chi ha inserito la storia tra i preferiti, cioè sophia90 e a Naotokun92 per la sua lunghissima recensione. Non saprei davvero come ringraziarti! :)
Detto questo, vi aspetto tutti nel prossimo capitolo, recensori e non :)
Ciao!

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: Blustar