13 – La luce in fondo al tunnel.
Voci attorno a me.
Voci concitate che
in realtà, non sento.
Presto. Bisogna fare
presto… dice qualcuno.
Non sanno che è
tardi per qualsiasi cosa.
Perché Esme?
Perché l’hai fatto,
amore mio?
Cosa è successo nella
tua vita che ti ha spinto a questo gesto insano e disperato?
Dov’è tuo marito? È
causa sua questo atto contro natura?
Dov’è la donna
entusiasta, piena di affascinante vitalità che avevo lasciato?
La donna che non
voleva arrendersi, non accettava compromessi e non si lasciava condizionare dal
pensiero comune di uomini meschini, ma voleva diventare madre e dare la vita?
Come hai potuto, tu,
così piena di energia, così coraggiosa dal voler sfidare l’ignoto, concepire e
abbracciare l’idea orribile e seducente della morte?
Oh, Esme… io l’ho
vissuta ogni giorno attraverso i secoli, mi ha rubato il cuore e forse l’anima,
l’ho vista portarsi via giovani e vecchi, la vedo anche ora offuscare i tuoi
occhi con la sua ombra scura, e ti posso giurare che ha davvero poco di
seducente…
Oh, Esme… perché?
Perché io devo stare
qui a guardarti moribonda su questo lettino, mentre attorno, febbrili, tutti si
affaccendano per tentare di trattenerti quel tanto che basta per rianimare una
briciola di speranza, quando vorrei solo rapirti in fretta, sottrarti a lei e
portarti via?
Portarti lontano da
questo cielo grigio e livido che pesa su noi, e andare dove il sole fa brillare
la mia pelle diafana, bianca come gesso, e mostrarti chi sono e cosa sono.
Soprattutto cosa
sono.
Perché io so che
tutto quello che stiamo tentando di fare è inutile; non c’è speranza e le
azioni umane sono vane.
Invece devo stare
qui, perdere tempo e fingere di fare il possibile, che non esiste.
Resta solo
l’impossibile, l’impensabile e l’assurdo di un’ esistenza che non sarà più la
stessa.
Si aggiunge al mio
inferno personale, un ulteriore girone dantesco in cui cadrò se non fermo la
tua corsa mortale; sento già che la realtà attorno si sta sgretolando troppo in
fretta, ma io devo fermarla e intrappolare la tua vita nella mia eternità. In
realtà sto già cadendo, ma ho deciso di trascinarti nella mia caduta. Lo faccio
consapevolmente: l’ho capito nel preciso istante in cui ho riconosciuto il tuo
volto su quel lettino.
Da dove vengo io, il
suicidio è un atto contro Dio.
Mio padre, nella sua
assurda severità, non concedeva neppure le esequie a chi si macchiava di un
simile crimine.
Ma Dio come può
condannare un’ anima sofferente e disperata?
Come può non
comprendere?
Che coraggio ci vuole
per andare contro ogni istinto. Quello della comune sopravvivenza che negli
umani è più forte che in noi.
Quante volte io
stesso avrei voluto concepirlo e attuarlo all’inizio di questa amara esistenza,
ma gli esseri come me non hanno neppure la libertà di svegliarsi dall’incubo
orrendo in cui sono caduti.
Che angoscia si deve
provare per sentire di avere il nulla che ti divora dentro?
Un buco profondo che
assorbe ogni cosa, sogni e desideri, e non restituisce niente.
Una voragine oscura
e infinita che respinge ogni luce di speranza…
Io so perfettamente
cosa significa…
Oh Esme, forse non
siamo mai stati tanto vicini come ora, più simili di così, più disperati di
così.
Ma come posso io,
ora, lasciarti andare? Non vuoi concedermi la speranza di ritrovarti? Hai detto
che mi amavi… allora dimostramelo e combatti per me… per noi, se posso ancora
dirlo. Come posso mettere tra i nostri cuori l’abisso di una tale distanza
incolmabile?
Ci sarebbe
l’eternità a dividerci e la crudele consapevolezza che non potremmo ritrovarci
mai, neppure altrove.
La morte separa gli
uomini, ma non per sempre; a loro resta la speranza di ritrovare chi hanno
amato in un’ altra vita.
E la morte diventa
pietosa, quando riunisce le anime. Ma per i vampiri non esiste pietà, forse perché
nemmeno la provano.
Ora, mentre guardo
questi tuoi occhi vitrei, che già sembrano spenti, e faccio tutto quanto è
umanamente possibile per concederti poche ore sufficienti a darmi il tempo di
agire come voglio, e ti somministro farmaci attraverso una flebo…
Ora in questo
preciso istante, realizzo quale sarebbe il mio inferno peggiore in assoluto;
questa mia vita immortale, che tante volte ho disprezzato per la sua assenza di
significato, diventerebbe un peso insostenibile, sapendo che tu amore mio, potresti
essere da qualche parte, nell’unico posto che io non potrò mai raggiungere, un
posto meraviglioso fatto di luce e di vita che mi sarà precluso in eterno.
Per i suicidi il
paradiso non è previsto, ma io so che tu saresti lì, mentre io sarei condannato
alla più spietata solitudine, separato da te dalla distanza abissale dei nostri
universi siderali, diversi se non opposti.
L’eternità senza di
te; il solo pensiero mi spaventa in modo indicibile.
Non ce la faccio…
Non posso
concepirlo…
Non riesco ad accettarlo.
E non è la pietà che
mi muove, ma l’egoismo che esiste in questo sentimento che indegnamente, oso
chiamare amore e non mi fa rinunciare.
Perdona questo amore
malato che si nutre di egoismo; ti ho lasciata andare una volta, facendo
violenza su me stesso, ma non posso farlo di nuovo.
Perché non voglio
lasciarti a Dio… non posso lasciarti andare.
Oh… Perdonami Esme…
perdonami amore mio…
Perdona quello che
voglio fare e che farò…
Perdona, se puoi,
quello che sono.
Perdonami se ti
voglio con me.
Perdonami se ti
condannerò ad una vita disperata che di vita non ha niente, che io non ho
cercato né voluto.
Perdonami se puoi…
perché ti amo Esme e quest’amore oscuro che non conosce pietà è la sola cosa
che mi muove…
*****
Mi sembra di rivivere ogni istante come se fosse adesso… È adesso…
*****
“Bisogna aspettare
la notte. Vedere come reagisce e sperare nel miracolo...” dico ai colleghi.
Miracolo che non ci
sarà, almeno nel significato comune del termine.
Perché non è un
miracolo, ma una tragedia fatale quella che sta per compiersi e io non ho
controllo su questo destino che ha intrecciato i fili delle nostre vite, la
prima volta che ci siamo incontrati.
Io dovrei attendere
le ore notturne per portarla via e il tempo non l’ho mai avvertito scorrere
così lentamente. Forse è la prima volta che avverto di non averne, come se la
sabbia all’interno di una clessidra stesse scivolando via.
Le condizioni
fisiche di Esme sono stabili, per ora, ma non è fuori pericolo.
È perennemente
attaccata a una flebo, imbottita di farmaci e sedativi per il dolore. Ma credo
che già quando l’hanno portata qui, solo poche ore fa, non sentisse più nulla.
Il vero dolore, quello più crudele verrà dopo. So che ogni ora, ogni secondo è
prezioso; potrebbe spegnersi da un momento all’altro, il suo cuore potrebbe
cedere in qualsiasi istante. Batto il tempo col piede sul pavimento, nervoso e
impaziente. Non posso attendere ancora in questo ufficio di reparto, fare finta
di niente e intanto, compilare stupide pratiche. Devo portarla via, adesso.
Portarla a casa mia. Come faccio a far sparire il suo corpo senza destare
sospetti?
Decido in fretta.
Mi alzo da questa
scrivania muovendomi come un’ombra; vado nella sua stanza senza farmi sentire
né vedere e stacco la flebo. Per fortuna le sue funzioni vitali sono così
deboli che potrebbe sembrare davvero morta. Solo allora chiamo l’infermiera.
“Ero venuto a
controllare la paziente… purtroppo non ce l’ha fatta…bisogna firmare l’ora del
decesso.”
Uso la mia voce più suadente
per convincere l’infermiera e non far sorgere in lei alcun dubbio che stia
bluffando.
“Certo dottore…
povera donna…era in condizioni davvero disperate. Bisognerebbe chiamare i
parenti della signora, il problema è che non sappiamo chi fosse...”
“Di questo e tutto
il resto, mi occupo io, non si preoccupi… facciamola portare subito in
obitorio…”
Più tardi provvederò
a falsificare tutti i documenti del caso.
Poco dopo arriva un
altro infermiere con una lettiga, vi depone il corpo prezioso di Esme.
Con la scusa che
devo parlare con un collega patologo, mi offro di portarla io e l’infermiere
non fa alcuna obbiezione. Naturalmente all’obitorio non ci arrivo mai.
Attraverso l’ascensore, scendo nel sotterraneo per raggiungere il parcheggio
delle auto; il corpo di Esme è avvolto in un lenzuolo bianco, la carico sul
sedile posteriore e parto in fretta e furia. Posso sentire il suo cuore che
pulsa lieve, ma oramai è molto debole.
La sabbia della
clessidra continua a scendere inesorabile.
Il cielo della sera
si sta oscurando e la luce crepuscolare riveste tutto.
Guido mentre il
paesaggio urbano corre dietro i finestrini dell’auto; c’è un po’ di traffico
lungo le strade di questa piccola cittadina e la gente sta tornando alle
proprie case; la vita umana scorre come sempre col suo flusso, una corrente in
cui io non posso entrare; una madre tiene per mano la sua bambina mentre
camminano sul marciapiede, più indietro, due ragazze sorridono e parlano fra
loro dell’appuntamento che le attende per la serata. L’eccitazione della vita
che nasce, si muove, si dilata e assorbe tutto nel suo grembo: la normalità che
non mi appartiene più e che sto per togliere a qualcun altro.
Io osservo ogni cosa
a distanza da estraneo, uno spettatore che non può restare coinvolto e mi perdo
nei miei pensieri; alle mie spalle restano orizzonti perduti nelle nebbie dei
ricordi. Allora mi rendo conto che non sarà facile fare quello che voglio fare,
anzi sarà ancora più difficile di quando l’ho fatto con Edward.
“Io so che si può
essere soli anche vicino agli altri… Soffri mai la solitudine, Carlisle?”
“Sì, a volte…”
“Mai nessuno
accanto… passi da una città all’altra senza mai raccogliere niente, senza mai
legarti davvero a un luogo, a qualcuno. Non lo trovi triste?”
“Molto spesso Esme. Più
di quanto tu creda…”
“E allora perché
insisti nel condurre questa vita?”
“Perché… è l’unica
che conosco…”
“Ti fermerai un
giorno?”
“Non posso fermarmi
Esme… è qualcosa più forte di me…”
“Mi dispiace
Carlisle, davvero… mi dispiace…”
Edward non lo conoscevo.
Non sapevo nulla della sua vita, di quello che era prima di ammalarsi. Che
sogni avesse, a cosa aspirasse. Lui per me era l’ignoto, un ragazzo senza
passato che mi aveva catapultato indietro nel mio.
Edward è un seme
caduto per caso sul ciglio del mio cammino, ma ancora non so in che genere di
pianta possa trasformarsi.
Esme, invece, era un
fiore meraviglioso a cui sono stati strappati i petali setosi che formavano la
sua corolla, lasciandola spoglia di tutto.
Di Esme, ho
conosciuto la vita, i desideri e le speranze.
Ho incontrato la sua
anima e la donna viva che è stata.
E io adesso ho
deciso di distruggere tutto questo e non sono neppure sicuro di quello che
troverò dopo; Edward e la sua ossessione per il sangue…
Esme… o quello che
resterà di lei dopo che il mio veleno avrà bruciato e fatto scempio di ogni
cellula e tessuto umano del suo corpo…
“Allora, ti è
piaciuta la mostra, Esme?”
“Sì, molto direi.
L’artista ha raccolto le influenze degli impressionisti… però per fare un vero
confronto, dovrei vedere le opere autentiche di Manet, Monet e gli altri
pittori francesi.”
“Hai ragione. Per
quelle bisognerebbe andare a Parigi…”
“Un giorno,
Carlisle… non so quando… ma un giorno ci andrò…”
“Quando sarà, vorrò
saperlo per primo…”
“Tu mi hai detto che
sei già stato a Parigi. Devi averle già
viste…”
“No… al tempo non…
ne ebbi l’occasione…” [1]
I ricordi del nostro
piccolo passato continuano ad affiorare mentre guido per raggiungere la zona
esterna della città dove sorge la mia casa. È immersa nel verde un po’ in
fuori, abbastanza isolata rispetto al centro abitato vero e proprio. È una
piccola villetta con una veranda. Accosto sul retro e spengo il motore.
Prendo delicatamente
il corpo di Esme tra le braccia e la trasporto dentro l’abitazione. Mi aspetto
di trovare Edward ad attendermi e
infatti è lì che mi accoglie sulla soglia. Deve aver sentito ogni mio confuso
pensiero, già mentre attraversavo il vialetto d’ingresso. Sembra solo vagamente
sorpreso.
“Che succede,
Carlisle?”
Lo guardo solo un
istante, ed è sufficiente a rivelargli tutta la mia angoscia. Ma non ha bisogno
di attendere alcuna spiegazione, perché vede ogni cosa nella mia mente, e sa
già cosa voglio fare. Depongo Esme sul letto. Edward mi segue dentro la stanza.
“Esme… è lei… la
vuoi trasformare? Cosa le è accaduto?”
Io non parlo, ma
continuo a immaginare ogni dettaglio dei gesti che Esme deve avere compiuto per
arrivare lì. La vedo lanciarsi dalla rupe e volare nel vuoto. Un pensiero che
mi fa stare male. Ma non basta: a tutto si aggiungono le parole aspre di mio
figlio, che bruciano come alcool puro su una ferita aperta.
“Ha tentato il
suicidio… Tu vuoi trasformare una suicida?”
Il tono accusatorio
con cui Edward pronuncia la domanda mi blocca immediatamente. So perfettamente
da dove parte il suo risentimento.
“Non dovrei farlo
secondo te, Edward? Dovrei lasciarla morire? Ti sembra una cosa giusta?”
Sono spazientito e
non riesco a nasconderlo. Ma non posso non tener conto delle giuste obbiezioni
di Edward.
“Lo ha scelto lei
per qualche motivo… neppure tu sai quale.”
E mi rendo conto che
ha ragione, e non sapere mi esaspera ancora di più.
“Ma forse tu puoi
scoprirlo… Tu la senti Edward? Riesci a sentire la sua mente? Dov’è ora?”
“È così lontana
adesso, che non riesco a sentirla… Forse è già in un posto che per noi è
irraggiungibile. Carlisle, se non era più attaccata alla sua vita, pensi che
possa accettare facilmente un’ esistenza come la nostra? Hai scelto per me… non
puoi scegliere per lei…”
“Io non posso
perderla Edward…” Insisto e vorrei che lui capisse, ma so che non posso
aspettarmi tanta comprensione, adesso.
“Lei non voleva
continuare a vivere… - la voce di Edward è un sibilo trattenuto di rabbia -
…pensi che voglia farlo per tutta l’eternità, in una forma mostruosa come
quella di un vampiro? Pensaci Carlisle: l’hai conosciuta davvero, hai detto che
la ami, e vuoi condannarla a questo? Lo sai anche tu, che è mille volte meglio
la morte!!”
“Edward, capisco il
tuo punto di vista e forse anche le tue ragioni, ma io non posso
lasciarla morire, mi capisci? Non la lascerò morire…- parlo e scuoto
energicamente la testa - Ti sembrerà ingiusto, egoistico il mio comportamento e
forse lo è anche un po’… ma ho già fatto i conti con me stesso… ho già deciso,
e sarà così…”
Il mio tono è
perentorio e mi sento teso come una corda di violino.
Edward alza le mani
in segno di resa, ma se possibile, reagisce ancora peggio, e mi scarica addosso
parole sarcastiche, amare e cariche di biasimo.
“Certo, sei tu il
dottore… tu decidi per tutti ciò che è meglio… hai deciso per me, ora
decidi per lei… e non ti chiedi mai cosa vogliono gli altri…”
“Non si può volere
la morte… “
Il mio tono non può
nascondere l’angoscia che mi attanaglia e si rivela nel mio ultimo pensiero… sarebbe
un delitto.
“Neppure diventare
un vampiro!” L’urlo di Edward è quasi rabbioso.
Allora vacillo
mentre tremo combattuto, perché non so più che cosa è giusto, mentre mio figlio
prosegue implacabile e infierisce.
“Forse con me potevi
giustificarti, ma con lei no…”
“Edward, ti prego…”
Ho abbassato la
testa e mi sono accasciato al bordo del letto, dove Esme giace abbandonata, ma
quando rialzo lo sguardo e trovo il suo viso pallido, qualcosa dentro di me si
incrina.
“È così ingiusto che
debba finire così…”
C’è una tale amarezza nel mio tono che anche Edward la può sentire, e ancor di più sente il mio ultimo pensiero disperato, mentre accarezzo la guancia livida di Esme.
Perdonami… perdonatemi tutti e due…
Solo allora, avverto provenire da Edward un
sospiro di rassegnazione.
“D’accordo Carlisle, fai quello che ritieni
giusto. Forse hai ragione tu… forse doveva andare così perchè lei è il tuo
destino…” e dopo aver pronunciato quelle parole, lascia la stanza.
*****
Non so se davanti ad Edward, sarei riuscito a farlo.
Lui lo ha capito e ha preferito lasciarmi solo.
Sono rimasto fermo e immobile davanti a Esme per alcuni minuti prima di decidermi: l’ho guardata a lungo, come si fa con le persone che stanno partendo per un lungo viaggio e sai che non rivedrai più.
In effetti sarebbe stato esattamente così, perché la Esme che io conoscevo non sarebbe più tornata, e al suo posto ci sarebbe stata un'altra identità, un altro essere in parte sconosciuto e mortalmente pericoloso. Mi sarei trovato a gestire una nuova vampira neonata, che magari non avrebbe ricordato nulla di me e della sua vita umana. Dovevo essere pronto anche a questo.
Oppure Edward avrebbe potuto avere ragione, e Esme si sarebbe trovata imprigionata in una vita disgustosa che non aveva chiesto e che avrebbe disprezzato con tutte le sue forze. E forse mi avrebbe odiato per questo.
L’idea di essere odiato da lei mi atterriva e scavava dentro di me una voragine senza fondo che mi avrebbe portato al centro del mio inferno.
Ma io speravo di poter ritrovare il suo amore intatto e incorrotto; volevo credere che il veleno non sarebbe riuscito a cancellare quel sentimento in lei, che esso fosse, in fondo, la cosa più forte.
Quella era la mia più grande speranza. La sola che avessi. La più remota.
Lentamente, mi sono avvicinato all’incavo del suo collo e come avrebbe fatto un amante innamorato, ho deposto un bacio sulla pelle delicata della gola, aspirandone la fragranza del suo profumo prima di affondare in essa i miei canini letali.
Dopo aver morso Esme e sentito per la seconda volta il sapore troppo seducente del sangue umano, sono rimasto al suo capezzale, senza mai abbandonarla per tre giorni.
Tre giorni che ho vissuto con disperazione e tormento, come era già accaduto per Edward, ed è stato sempre così tutte le volte che mi sono trovato a dover trasformare un nuovo membro della mia famiglia.
È una pena costante che si rinnova, assistere impotente a quello strazio e aspettare rassegnati che finisca. Non c’è abitudine né assuefazione.
Perché un altro modo meno traumatico non esiste per varcare questa soglia infernale che separa il mondo umano da quello dei vampiri.
Dopo aver seguito la trasformazione di Edward, avrei dovuto già essere preparato a tutto, ma in realtà, ogni volta che ho vissuto questa esperienza, i sentimenti che mi dominavano erano sempre gli stessi: angoscia, dolore, impotenza.
Ci vollero circa quindici minuti a Esme per tornare dal suo mondo di oblio e riprendere conoscenza, tormentata dal bruciore lancinante del veleno entrato in circolo. Quando iniziarono le urla la seguii in quel suo calvario che diventò anche il mio. E da quel momento, ogni cosa venuta dopo l’ho divisa con lei.
Edward si allontanava nei boschi anche senza la necessità di cacciare; andava e veniva per controllare la situazione, per vedere se io avevo bisogno, ma non restava mai a lungo. Credo che fosse difficile assistere anche per lui.
Qualche volta faceva delle domande.
“È stato così anche per me… mi chiedo se non ci sia un modo meno terrificante… indolore…”
“Non lo so, Edward, ma se ci fosse lo adotterei immediatamente…” rispondevo mentre mi lasciavo torturare dalle grida che Esme non sempre riusciva a trattenere; se smetteva, era solo per sfinimento fino a quando una nuova ondata di quel fuoco devastante non l’assaliva.
“Lo sai, ho quasi dimenticato ogni dettaglio della mia vita umana, ho solo ricordi confusi: i volti dei miei genitori, il posto in cui vivevo… quello che facevo, le cose che amavo o quelle che detestavo… ma il momento della trasformazione non lo scorderò mai…”
“Lo so Edward, non si può dimenticare…”
“Cosa farai se Esme non si ricordasse di te? Se dimenticasse di averti amato?”
Eccola la domanda a cui non avrei voluto, né sapevo rispondere. Restavo a guardare il paesaggio fuori dalla finestra; il vento investiva e piegava le chiome degli alberi, nello stesso modo in cui l’inquietudine strapazzava il mio animo. Intanto Esme a pochi passi da me, si contorceva in preda agli spasmi. Potevo sperare solo che non accadesse davvero.
“Edward, ricordi di aver sentito la mia voce durante quei tre giorni?”
“Ricordo tutto dei quei tre giorni…” sentivo ancora amarezza nella sua voce.
“Cosa pensavi?”
“Pensavo che volevo morire per essere liberato da tutto quel tormento… ma c’era la tua voce a trattenermi. Mi pareva la sola cosa bella e mi aggrappavo ad essa…”
“Spero che lo faccia anche Esme; le starò accanto fino alla fine… poi deciderà lei cosa fare…”
E dopo molte ore, quando Esme riuscì a vedermi in mezzo alle nebbie dense di quella terribile agonia, mi colpì con l’inaspettato di ciò che mi sembrava essere solo un delirio.
“Carlisle… sei proprio tu…”
Con la mano le accarezzai i capelli e accostai il mio viso al suo. Stava diventando bellissima sotto l’azione violenta e implacabile del veleno che correva nel suo corpo, che attraversava ogni anfratto e ogni cellula, che distruggeva e ricostruiva, che cambiava e perfezionava i suoi lineamenti.
“Sì, Esme… sono io. Scusami amore mio… scusa tutto questo male che stai penando. Purtroppo non ho il potere d’impedirlo…”
“Sembri un angelo… oh, ma questo… non… non può essere il paradiso…”
Disse in un rantolo stentato. Seguirono altre parole che non capii.
“Carlisle, devi salvarlo… solo tu puoi farlo…” lo aveva detto contorcendosi in una smorfia penosa. Mentre la sfumatura azzurrognola dei suoi occhi stava mutando colore, nel suo sguardo potevo ancora leggere la sua disperazione. Edward era lì presente; come me, aveva ascoltato tutto.
Facemmo congetture, mentre Esme continuava a urlare graffiandomi l’anima, come se l’artiglio di una belva feroce e famelica l’avesse ghermita, e intanto il suo corpo diventava più duro e resistente. I segni bluastri sulla pelle velocemente scomparivano sotto gli assalti del veleno che si propagava inesorabile in ogni fibra del suo essere e faceva diventare il suo incarnato del classico pallore che ci contraddistingue. Alle sue urla angoscianti, si frapponevano parole apparentemente deliranti, che nella realtà avevano un significato che ancora ignoravo.
“Non deve morire… Derek…”
Di chi parlava? Cosa era accaduto nella sua vita?
Possibile che stesse delirando?
Sapevo che si diveniva perfettamente coscienti di tutto durante la trasformazione, non solo della sofferenza fisica, ma anche della mutazione del corpo, della sensibilità eccezionale dei propri sensi che si sviluppavano.
I pensieri di Esme erano avviluppati insieme al dolore e mio figlio poteva sentirli in modo frammentario; sotto l’assalto di quel martirio, la sua mente sembrava essere tornata vigile solo a sprazzi. Ma Edward riuscì a venirne a capo.
“Sta soffrendo in maniera indicibile, ma nei suoi ricordi continua a tornare l’immagine di un bambino di pochi mesi…”
“Quale bambino? Non c’era nessun bambino quando l’hanno portata in ospedale…” Chiesi senza nascondere la palese sorpresa.
“Suo figlio…- Rispose Edward, ma c’era una verità ben più triste e dolorosa. - In realtà è morto, ma pare che non voglia accettarlo. Credo sia la spiegazione del suo gesto… anche se non lo vedo chiaramente… come se avesse rimosso una parte della verità…”
Era riuscita ad avere un figlio… Quel figlio che aveva cercato disperatamente, in cui magari aveva riposto le sue speranze ormai infrante… quel figlio che avrebbe dovuto salvare un matrimonio già naufragato.
“Il mio bambino… il mio bambino non deve morire…”
Esme continuava a urlare, ma alla sofferenza della trasformazione se ne aggiungeva un’altra. Supplicava disperata per qualcosa che era già accaduto e non saprei dire perché stesse rivivendo tutto. Quella rivelazione poteva spiegare molte cose, anche la follia compiuta da Esme. Quale madre non resterebbe devastata dal dolore di una simile perdita? Era questo, che era successo a lei?
Quando per l’ennesima volta Esme mi implorò di aiutarla, di far cessare quella pena disumana, cercai di spiegarle quella verità terribile che io avevo affrontato molto prima di lei.
“Esme, ascoltami… lo so che fa male, ma non durerà ancora per molto…”
“Cosa succede Carlisle? Sto tanto male… voglio solo morire, fammi morire, ti prego…”
“Non posso. Ti stai trasformando Esme, in ciò che sono anch’io… io sono un vampiro… Non potevo dirtelo, non volevo coinvolgerti nella mia esistenza nefasta e triste… me ne sono andato per questo…”
“Carlisle…”
“Oh, perdonami Esme, ma ti amo troppo… ho dovuto farlo…”gemetti.
“Carlisle, io…”
Voleva parlare benché le costasse uno sforzo enorme, ma io forse avevo più paura di lei.
“Perdonami Esme, ti supplico. Ti ho amato fin dal primo momento che ti ho visto… Ti prego, cerca di ricordarlo… nonostante il dolore…cerca di ricordare le mie parole… solo le mie parole… senti la mia voce…”
Volevo che le restassero dentro come la luce di un faro che l’avrebbe guidata in una notte di tenebra. La luce dell’amore che l’avrebbe attesa alla fine del tunnel buio che stava attraversando per venire da me.
“Carlisle, io lo sapevo… lo avevo capito che eri qualcosa di diverso… non sapevo cosa… ma per me, sei sempre stato solo un angelo…” mi disse e pensai che anch’io avevo percorso il mio tunnel, e lei era la luce che avevo trovato alla fine di quella lunga notte durata secoli.
Alla fine del terzo giorno, in una notte di luna piena con la luce pallida dell’astro notturno che entrava nella stanza, mentre l’alito dell’aria sollevava le tende bianche delle finestre come fantasmi, Esme si ridestò nella sua nuova vita nella forma splendida, ma letale, di una bellissima vampira dal corpo armonioso, il volto lunare dai lineamenti delicati e gentili, in contrasto palese con gli occhi rossi color rubino che lampeggiavano fiammanti e terribili nel buio. La sua prima reazione appena mi vide, non fu molto diversa da quella che aveva avuto Edward, forse perché un neonato avverte subito la minaccia rappresentata da un suo simile.
Anche Edward era presente e come me, restò a distanza di sicurezza, immobile, per non spaventarla. Lasciò che fossi io a rompere il silenzio, mentre Esme ci osservava guardinga.
“Esme, sono io, Carlisle… non aver paura, nessuno ti farà del male… sei un vampiro ora, come me ed Edward…” dissi indicando mio figlio fermo a poca distanza. Esme che fino a quel momento era rimasta seminascosta nell’ombra, acquattata come un animale spaventato, emerse lentamente sotto un raggio lunare che le colpì il viso. Mi guardò a lungo come a sincerarsi che fossi io; dovevo apparirle assai diverso rispetto alla memoria che poteva avere di me.
Sapevo che Edward stava scandagliando la sua mente; mi avrebbe avvertito se ci fosse stato qualche pericolo, ma lui non si mosse né proferì parola.
La chiamai ancora con il tono di voce più suadente e allora lei parlò, rivelando la voce più musicale che avessi mai sentito.
“Carlisle…”
Si bloccò stupita dal suono del mio nome sulle sue labbra e si portò una mano alla gola. La rincuorai subito.
“Sei cambiata; i tuoi sensi si sono fortemente sviluppati e anche la tua voce non è più la stessa… Ti abituerai…Ti aiuteremo…”
Mi avvicinai un po’ di più a lei che non fece mostra di volersi allontanare. Lentamente avvicinai una mano al suo volto pallido e le sfiorai una guancia.
Poi parlò di nuovo rivolgendosi a me.
“Tu sei Carlisle… la creatura più bella che abbia mai visto… io ricordo le tue parole, ricordo la tua voce; tu puoi amare una come me? Non so esattamente perché, ma io sento di amarti da prima di questo istante…” mi chiese. Non avevo bisogno d’altro.
Era lei.
Era la figura centrale dell’arazzo che raffigurava il mio destino.
Era l’altra metà del mio cielo, quel lembo di celeste che mi era stato negato.
La mia parte di eternità più preziosa e bella, quella che dava un senso nuovo e diverso, forse più giusto a un’ esistenza senza scopo.
La compagna, la sposa immortale che avevo scelto, mi aveva accettato senza riserve, senza scendere a patti; era colei che avrebbe allontanato per sempre la mia solitudine, che avrebbe scaldato il mio cuore spento e reso il mio corpo di roccia un po’ meno freddo.
La madre dei figli che non avrei mai potuto avere e di quelli che ho raccolto per strada e protetto insieme a lei.
Era solo lei; la donna sensibile, vivace e intelligente che avevo amato contro tutte le leggi, superando il confine tra l’umano e il sovrannaturale, e la vampira passionale, energica, ma amorevole che avrei amato per sempre.
Lei.
La signora Cullen: la mia Esme.
Continua…
|
Non ve lo
aspettavate così presto eh? Non fateci l’abitudine però.
Prendetelo
come un regalo prima delle ferie, se lo gradite.
Per questo capitolo avevo le idee abbastanza chiare ed è venuto piuttosto spontaneamente. Credo che per Carlisle trasformare Esme sia stato un po’ diverso rispetto a quando trasforma Edward, almeno io ho immaginato che fosse così; insomma, questa volta era direttamente coinvolto anche sul piano affettivo, e c’erano anche altre considerazioni che ho cercato di valutare, ad esempio la reazione di Edward alla cosa. Certo, di Esme non ho ancora detto tutto, ma altre domande penso si chiariranno nel prossimo capitolo. Intanto spero che questo vi sia piaciuto, ma come al solito, se qualcosa non vi convince o soddisfa ditemelo. Io cerco di fare del mio meglio e di migliorare, ma non disdegno un aiuto se arriva. Come sempre, grazie a tutte voi che commentate, leggete in silenzio, apprezzate, preferite e seguite con interesse questa storia. Spero sempre di non deludervi. Passerà un po’ di tempo prima del prossimo aggiornamento, che sarà dopo le vacanze estive. Ne approfitto per salutarvi tutte e augurarvi una buona estate. A presto.
[1] Un omaggio a uno stile e
pittori che amo particolarmente. Naturalmente Carlisle non può avere visto le
opere impressioniste, perché lui è vissuto per un po’a Parigi nel ‘700, e gli
impressionisti sono pittori che operarono in Francia nella seconda metà
dell’800, e all’epoca il nostro dottore/vampiro era già sbarcato in America,
questo almeno nella mia storia.