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Autore: Shinalia    28/07/2010    9 recensioni
questa sarà una mini-ff composta da 2 o 3 capitoli... che farà parte di una SERIE: "Essere genitori." Dove mi divertirò a scribacchiare delle coppie + famose della saga (e magari anche qualche altra meno famosa) alle prese con i loro pargoli.
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Altro personaggio, Jasper Hale
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Essere genitori.'
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Vi ringrazio per le vostre bellissime recensioni e il vostro sostegno. Grazie!!


Vedo e Provvedo



Osservo la bambina allontanarsi di corsa, mentre un conflitto di emozioni si fa largo in me. Il desiderio di scoprire quale sia la sua casa, chi i genitori che a quanto pare non le prestano le dovute attenzioni. Vorrei comprendere il motivo dell’esitazione insita in ogni suo gesto, malgrado la persuasione esercitata dal mio potere.

Il perché del perseverare del suo silenzio.

Quante volte allo specchio ero stato costretto a far fronte a quello stesso sguardo avvilito, a quel timore per quel mondo che mi aveva condannato e circondato da sole bestie. Possibile che una creatura tanto piccola potesse aver sperimentato una simile angoscia?

Non riesco a capacitarmene.

Scuoto il capo, sospirando sommessamente, imponendo ai miei piedi di riprendere la strada di casa. Qualcosa mi dice che Alice ha visto ogni cosa, prima che accadesse.

Ma per quale motivo indurre un simile incontro?

Talvolta i recessi della mente di mia moglie sono a tal punto contorti da essere incomprensibili, per qualsiasi persona dotata di senno. È difficile non lasciarsi turbare dalle sue macchinazioni, maledettamente difficile.

Lascio scivolare la mano destra nella tasca, alla ricerca del cellulare, quando un commento colorito attira la mia attenzione.

« Come diamine ha fatto? » mi volto verso il padrone degli chalet, che non smette fissarmi con palese stupore. Non l’avevo neanche notato, troppo preso dalla bambina.

« Prego? » chiedo mantenendo il mio solito garbo, nonostante avverta una certa curiosità, intuendo a cosa possa riferirsi la sua domanda.

L’uomo mi squadra da capo a piedi, con un cipiglio, quasi in attesa di veder spuntare un coniglio dalla mia giacca a vento. Peccato che i conigli non siano il mio pasto preferito, né il mio prediletto animale da compagnia, a dirla tutta.

Non mi scompongo e rispondo al suo sguardo senza alcuno indugio.« Signor Dewey, si sente bene? »

Pare ignorare la mia domanda, ma la risposta che attendo non si fa aspettare a lungo. « Luna non si avvicina mai agli sconosciuti. – esita per qualche istante, ponderando le sue stesse parole. – In realtà non si avvicina mai a nessuno. » si corregge. Percepisco distintamente l’amarezza nel suo tono, e non me ne sorprendo. La ritrosia di quella bambina non ha nulla di normale.

Perché?

« Lei la conosce? » domando sorpreso, voltandomi istintivamente verso la strada ormai vuota dove l’ho vista fuggire. « Sembrava molto triste. » azzardo, desideroso di cavare la verità su quella faccenda.

Già… non riesco a dimenticare quel suo sguardo.

Lo vedo annuire, mentre un’ondata di compassione, proveniente da lui, mi sovrasta, stordendomi. Non posso fare a meno di comprendere che, qualunque sia la verità, non è nulla di piacevole. « Luna vive in orfanotrofio da qualche anno. – sospira, mentre una smorfia di disappunto gli increspa le labbra. In questo istante vorrei tanto possedere il potere di mio fratello, per infrangere la riluttanza dell’uomo accanto a me. Contro ogni buon senso faccio leva sul mio dono, persuadendolo ed invogliandolo a snocciolare i dettagli che desidero.

« Perché è così riservata? »

Ti prego, spiegami…

Si arriccia i baffi, con fare meditabondo, perso in chissà quale elucubrazione, ma infine si decide a parlare. « Viene da una famiglia disastrata, credo che abbia visto più di quanto una bambina di quell’età debba vedere. Non so con precisione i dettagli, naturalmente. – ammette, alzando le spalle. - Sono solo a conoscenza del fatto che la madre si prostituiva, portando in casa i suoi clienti, mentre il padre… »

Si interrompe schiarendosi la gola, forse comprendendo di star dando informazioni private ad un perfetto sconosciuto. L’imbarazzo per quella conversazione non è poi lieve ed io infrango quella titubanza, avvolgendo subdolamente il mio interlocutore con il mio potere, annullando completamente ogni sua reticenza.

Parla!

« Il padre? »

Il suo sguardo si fa vacuo mentre, malleabile come cera, plasmo la sua volontà inducendolo a rispettare il mio volere e la sua voce atona fuoriesce, flebile e sommessa, permettendomi finalmente di comprendere quella situazione che forse avrei preferito ignorare.

Talvolta la follia non è che una scelta sbagliata fatta in un attimo di sconforto, che si infrange contro le mura della ragione, quando questa non concede alcuna accettabile soluzione.

« Non ha gradito scoprire il mestiere della moglie. – asserisce, scegliendo con cura le parole, lasciando intendere la realtà cruenta di cui la piccola può essere stata spettatrice, ed io raggelo al solo pensiero di quell’innocenza brutalmente strappata, da mani che al contrario avrebbero dovuto preservarla. - è in carcere da due anni e da allora la bambina è stata affidata ai servizi sociali. »

« Lei era lì quando… » le parole mi muoiono in gola ed esterrefatto osservo l’uomo annuire, deglutendo a fatica.

Ha assistito a tutto…

Scuoto il capo, tentando di riprendermi dalla scomoda rivelazione, assimilando voracemente quelle informazioni tanto sconvolgenti, sperando di trovare in esso un senso, ma soprattutto una via di scampo. « E perché era qui al freddo, tutta sola? Non dovrebbero tenerla all’interno dell’istituto? È ancora piccola. – protesto con veemenza. – Non avrà neanche dieci anni. »

« Otto per la precisione. – ammette, grattandosi il capo, quasi imbarazzato. -  Sono abituati. Lei scappa di frequente ma alla sera torna sempre, hanno tentato di tutto, ma lei non parla e quando riescono ad impedire le sue fughe è anche peggio. »

Buon Dio, perché?

Perché marchiare una creatura tanto innocente, facendo gravare sulle sue esili spalle simili pene?

Quale atrocità assistere alla morte di chi si ama dalle mani di chi dovrebbe essere un esempio ed un porto sicuro?

Se un Dio esiste come può permettere tutto ciò?

« Una brutta storia. » l’uomo mi strappa dalle mie elucubrazioni, rimuginando su quella confessione che gli ho subdolamente estorto.

« Già. » convengo, stordito da tutte quelle informazioni.

« Sarà meglio che vada, tutte quelle buste della spesa devono pesarle. »  commenta, sospirando sommessamente. Non desidera continuare a parlare di questa storia ed io stesso non credo potrei sopportare altro.

Turbato così annuisco, incapace di perseverare nella tortura straziante di quella conversazione e, con poche e frettolose parole, congedo l’uomo dinanzi a me, dirigendomi verso l’auto. Come un automa, in trance, getto le buste della spesa sul sedile anteriori del mio furgoncino, lasciando vagare lo sguardo per quelle strade innevate, alla ricerca di quel cappottino logoro, quasi speranzoso di poterlo nuovamente vedere.

Per fare cosa poi…?

Parlarle pur consapevole del suo desiderio di silenzio?

Tentare di rievocare i suoi spiacevoli ricordi, permettendole di affrontare il trauma…

No… per un simile compito sono certo più adatti gli psicologi della struttura, presso cui alloggia. Non è l’aiuto di un vampiro di cui necessita.

Eppure, io la comprendo.

Io che con la morte ho convissuto nella brutale esperienza della guerra, osservando le sue tetre braccia tirare a sé chiunque giungesse sul suo cammino. All’epoca a malapena avevo sopportato la vista di sconosciuti condannati ad esalare il loro ultimo respiro, su un terreno ostile e arido. Ma non vi era con loro nessun legame… ed era questo che mi aveva permesso di costruire un muro, uno spesso ostacolo alla follia che avrebbe potuto attanagliarmi dinanzi a tali atrocità. Ciò che mi aveva permesso di tener ben saldo il filo della ragione, annegando così volontariamente in un mare di indifferenza. La mia unica via di salvezza.

Un’apatica accettazione.

Ed ero ormai un uomo, quando tutto ciò era accaduto.

Come può una bambina poter ancora sorridere, ancora gioire, quando la morte è giunta a toccarla tanto da vicino e con una simile brutalità?

Ora comprendo il perché del suo sguardo.

Ora capisco…

La morte nei miei occhi era ciò che Alice aveva trovato al suo arrivo, lei aveva sanato le mie ferite, lenendo il dolore… ma solo in superficie. Nessun profondo trauma svanisce in un lampo, esso ha i suoi lasciti che incombono, attendendo un solo istante di debolezza per poter riaffermare il loro controllo, loro influenzano, non si annullano.

Non si cancellano.

Ma si affrontano se si ha il coraggio e la forza di alzare il capo e fronteggiarli.

La mia forza è stata Alice.

Ma quella bambina? Chi potrà mai essere la sua di forza? Chi la spalla su cui versare le lacrime amare, per permetterle di rifuggire dal dolore, di rinchiuderlo in un recondito spazio della sua mente, un luogo nel quale isolarlo per poter così finalmente tornare alla vita?

Chi?

L’istituto a cui poco importa delle sue fughe e dei suoi drammi? Quello stesso che si è ormai arreso dinanzi ai suoi silenzi?

No!

Afferrai saldamente il volante, avvertendo una furia smodata montare dentro di me, mentre osservo distrattamente la strada scorrere veloce, ben oltre i limiti del codice stradale. Un lampo invade la mia mente, fulmineo, con il ricordo di quegli occhi color onice, colmi di amarezza, ma anche di forza e volontà.

Io non posso ignorarla… questa è la consapevolezza che mi invade, lenendo la mia ansia e l’agitazione che preme dentro di me, con quel bisogno funesto che mi invade.

Non posso!

Rinnovato di una nuova forza, premo l’acceleratore a tavoletta, desideroso di giungere a casa nel minor tempo possibile. Lei deve aver visto tutto.

Lei sa.

Lei voleva questo.

Lei mi aspetta.

Sgommando parcheggio l’auto, aprendo la portiera di scatto, non premurandomi neanche di richiuderla.

Devo raggiungerla…

Lei saprà come agire.

Lei mi appoggerà.

« Alice… » urlo correndo verso il portico, sino a quando non percepisco la sua presenza, che mi raggiunge con quella fragranza di menta che tanto amo e che ha il potere di confortarmi all’istante.

Mi volto e la osservo, nel suo candido pallore tanto simile alla neve, nella sua nivea purezza, con quelle labbra rosse stese in un sorriso rassicurante e dolce, grondante di amore ma anche di una punta di soddisfazione. La stessa che guizza nei suoi occhi quando si posano su di me.

« Ti stavo aspettando. – sussurra, lasciando penzolare le gambe giù dall’alto muretto all’entrata dello chalet. Mi aspettava. – Saremo noi la sua forza.  »

   
 
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