Osservo
la bambina allontanarsi di corsa, mentre un
conflitto di emozioni si fa largo in me. Il desiderio di scoprire quale
sia la
sua casa, chi i genitori che a quanto pare non le prestano le dovute
attenzioni. Vorrei comprendere il motivo dell’esitazione insita in ogni
suo
gesto, malgrado la persuasione esercitata dal mio potere.
Il
perché del perseverare del suo silenzio.
Quante
volte allo specchio ero stato costretto a far fronte
a quello stesso sguardo avvilito, a quel timore per quel mondo che mi
aveva
condannato e circondato da sole bestie.
Possibile che una creatura tanto piccola potesse aver sperimentato una
simile
angoscia?
Non
riesco a capacitarmene.
Scuoto
il capo, sospirando sommessamente, imponendo ai miei
piedi di riprendere la strada di casa. Qualcosa mi dice che Alice ha
visto ogni
cosa, prima che accadesse.
Ma
per quale motivo indurre un simile incontro?
Talvolta
i recessi della mente di mia moglie sono a tal
punto contorti da essere incomprensibili, per qualsiasi persona dotata
di
senno. È difficile non lasciarsi turbare dalle sue macchinazioni, maledettamente difficile.
Lascio
scivolare la mano destra nella tasca, alla ricerca
del cellulare, quando un commento colorito attira la mia attenzione.
«
Come diamine ha fatto? » mi volto verso il padrone degli
chalet, che non smette fissarmi con palese stupore. Non l’avevo neanche
notato,
troppo preso dalla bambina.
«
Prego? » chiedo mantenendo il mio solito garbo, nonostante
avverta una certa curiosità, intuendo a cosa possa riferirsi la sua
domanda.
L’uomo
mi squadra da capo a piedi, con un cipiglio, quasi in
attesa di veder spuntare un coniglio dalla mia giacca a vento. Peccato
che i
conigli non siano il mio pasto preferito, né il mio prediletto animale
da
compagnia, a dirla tutta.
Non
mi scompongo e rispondo al suo sguardo senza alcuno
indugio.« Signor Dewey, si sente bene? »
Pare
ignorare la mia domanda, ma la risposta che attendo non
si fa aspettare a lungo. « Luna non si avvicina mai agli sconosciuti. –
esita
per qualche istante, ponderando le sue stesse parole. – In realtà non
si
avvicina mai a nessuno. » si corregge. Percepisco distintamente
l’amarezza nel
suo tono, e non me ne sorprendo. La ritrosia di quella bambina non ha
nulla di
normale.
Perché?
«
Lei la conosce? » domando sorpreso, voltandomi
istintivamente verso la strada ormai vuota dove l’ho vista fuggire. «
Sembrava
molto triste. » azzardo, desideroso di cavare la verità su quella
faccenda.
Già…
non riesco a dimenticare quel suo sguardo.
Lo
vedo annuire, mentre un’ondata di compassione,
proveniente da lui, mi sovrasta, stordendomi. Non posso fare a meno di
comprendere che, qualunque sia la verità, non è nulla di piacevole. «
Luna vive
in orfanotrofio da qualche anno. – sospira, mentre una smorfia di
disappunto
gli increspa le labbra. In questo istante vorrei tanto possedere il
potere di
mio fratello, per infrangere la riluttanza dell’uomo accanto a me.
Contro ogni
buon senso faccio leva sul mio dono, persuadendolo ed invogliandolo a
snocciolare
i dettagli che desidero.
«
Perché è così riservata? »
Ti
prego, spiegami…
Si
arriccia i baffi, con fare meditabondo, perso in chissà
quale elucubrazione, ma infine si decide a parlare. « Viene da una
famiglia
disastrata, credo che abbia visto più di quanto una bambina di
quell’età debba
vedere. Non so con precisione i dettagli, naturalmente. – ammette,
alzando le
spalle. - Sono solo a conoscenza del fatto che la madre si prostituiva,
portando in casa i suoi clienti, mentre il padre… »
Si
interrompe schiarendosi la gola, forse comprendendo di
star dando informazioni private ad un perfetto sconosciuto. L’imbarazzo
per
quella conversazione non è poi lieve ed io infrango quella titubanza,
avvolgendo subdolamente il mio interlocutore con il mio potere,
annullando
completamente ogni sua reticenza.
Parla!
«
Il padre? »
Il
suo sguardo si fa vacuo mentre, malleabile come cera,
plasmo la sua volontà inducendolo a rispettare il mio volere e la sua
voce atona
fuoriesce, flebile e sommessa, permettendomi finalmente di comprendere
quella situazione
che forse avrei preferito ignorare.
Talvolta
la follia non è che una scelta sbagliata fatta in un attimo di
sconforto, che
si infrange contro le mura della ragione, quando questa non concede
alcuna
accettabile soluzione.
«
Non ha gradito scoprire il mestiere della moglie. – asserisce,
scegliendo con cura le parole, lasciando intendere la realtà cruenta di
cui la
piccola può essere stata spettatrice, ed io raggelo al solo pensiero di
quell’innocenza
brutalmente strappata, da mani che al contrario avrebbero dovuto
preservarla. -
è in carcere da due anni e da allora la bambina è stata affidata ai
servizi
sociali. »
«
Lei era lì quando… » le parole mi muoiono in gola ed
esterrefatto osservo l’uomo annuire, deglutendo a fatica.
Ha
assistito
a tutto…
Scuoto
il capo, tentando di riprendermi dalla scomoda
rivelazione, assimilando voracemente quelle informazioni tanto
sconvolgenti,
sperando di trovare in esso un senso, ma soprattutto una via di scampo.
« E
perché era qui al freddo, tutta sola? Non dovrebbero tenerla
all’interno
dell’istituto? È ancora piccola. – protesto con veemenza. – Non avrà
neanche
dieci anni. »
«
Otto per la precisione. – ammette, grattandosi il capo,
quasi imbarazzato. - Sono abituati. Lei
scappa di frequente ma alla sera torna sempre, hanno tentato di tutto,
ma lei
non parla e quando riescono ad impedire le sue fughe è anche peggio. »
Buon
Dio, perché?
Perché
marchiare una creatura tanto innocente, facendo
gravare sulle sue esili spalle simili pene?
Quale
atrocità assistere alla morte di chi si ama dalle mani
di chi dovrebbe essere un esempio ed un porto sicuro?
Se
un
Dio esiste come può permettere tutto ciò?
«
Una brutta storia. » l’uomo mi strappa dalle mie
elucubrazioni, rimuginando su quella confessione che gli ho
subdolamente
estorto.
«
Già. » convengo, stordito da tutte quelle informazioni.
«
Sarà meglio che vada, tutte quelle buste della spesa
devono pesarle. » commenta, sospirando
sommessamente. Non desidera continuare a parlare di questa storia ed io
stesso
non credo potrei sopportare altro.
Turbato
così annuisco, incapace di perseverare nella tortura
straziante di quella conversazione e, con poche e frettolose parole,
congedo l’uomo
dinanzi a me, dirigendomi verso l’auto. Come un automa, in trance,
getto le
buste della spesa sul sedile anteriori del mio furgoncino, lasciando
vagare lo
sguardo per quelle strade innevate, alla ricerca di quel cappottino
logoro,
quasi speranzoso di poterlo nuovamente vedere.
Per
fare cosa poi…?
Parlarle
pur consapevole del suo desiderio di silenzio?
Tentare
di rievocare i suoi spiacevoli ricordi,
permettendole di affrontare il trauma…
No…
per
un simile compito sono certo più adatti gli psicologi della struttura,
presso
cui alloggia. Non è l’aiuto di un vampiro di cui necessita.
Eppure,
io la
comprendo.
Io
che con la morte ho convissuto nella brutale esperienza
della guerra, osservando le sue tetre braccia tirare a sé chiunque
giungesse
sul suo cammino. All’epoca a malapena avevo sopportato la vista di
sconosciuti
condannati ad esalare il loro ultimo respiro, su un terreno ostile e
arido. Ma
non vi era con loro nessun legame… ed era questo che mi aveva permesso
di costruire
un muro, uno spesso ostacolo alla follia che avrebbe potuto
attanagliarmi
dinanzi a tali atrocità. Ciò che mi aveva permesso di tener ben saldo
il filo
della ragione, annegando così volontariamente in un mare di
indifferenza. La mia unica via di salvezza.
Un’apatica
accettazione.
Ed
ero ormai un uomo, quando tutto ciò era accaduto.
Come
può una bambina poter ancora sorridere, ancora gioire, quando
la morte è giunta a toccarla tanto da vicino e con una simile brutalità?
Ora
comprendo il perché del suo sguardo.
Ora
capisco…
La
morte nei miei occhi era ciò che Alice aveva trovato al
suo arrivo, lei aveva sanato le mie ferite, lenendo il dolore… ma solo
in
superficie. Nessun profondo trauma svanisce in un lampo, esso ha i suoi
lasciti
che incombono, attendendo un solo istante di debolezza per poter
riaffermare il
loro controllo, loro influenzano, non si annullano.
Non
si
cancellano.
Ma
si affrontano se si ha il coraggio e la forza di alzare
il capo e fronteggiarli.
La
mia forza è stata Alice.
Ma
quella bambina? Chi potrà mai essere la sua di forza? Chi
la spalla su cui versare le lacrime amare, per permetterle di rifuggire
dal
dolore, di rinchiuderlo in un recondito spazio della sua mente, un
luogo nel
quale isolarlo per poter così finalmente tornare alla vita?
Chi?
L’istituto
a cui poco importa delle sue fughe e dei suoi
drammi? Quello stesso che si è ormai arreso dinanzi ai suoi silenzi?
No!
Afferrai
saldamente il volante, avvertendo una furia smodata
montare dentro di me, mentre osservo distrattamente la strada scorrere
veloce,
ben oltre i limiti del codice stradale. Un lampo invade la mia mente,
fulmineo,
con il ricordo di quegli occhi color onice, colmi di amarezza, ma anche
di
forza e volontà.
Io
non posso ignorarla… questa è la consapevolezza che mi
invade, lenendo la mia ansia e l’agitazione
che preme dentro di me, con quel bisogno funesto che mi invade.
Non
posso!
Rinnovato
di una nuova forza, premo l’acceleratore a
tavoletta, desideroso di giungere a casa nel minor tempo possibile. Lei deve aver visto tutto.
Lei
sa.
Lei
voleva
questo.
Lei
mi
aspetta.
Sgommando
parcheggio l’auto, aprendo la portiera di scatto,
non premurandomi neanche di richiuderla.
Devo
raggiungerla…
Lei
saprà
come agire.
Lei
mi
appoggerà.
«
Alice… » urlo correndo verso il portico, sino a quando non
percepisco la sua presenza, che mi raggiunge con quella fragranza di
menta che
tanto amo e che ha il potere di confortarmi all’istante.
Mi
volto e la osservo, nel suo candido pallore tanto simile
alla neve, nella sua nivea purezza, con quelle labbra rosse stese in un
sorriso
rassicurante e dolce, grondante di amore ma anche di una punta di
soddisfazione. La stessa che guizza nei suoi occhi quando si posano su
di me.
«
Ti stavo aspettando. – sussurra, lasciando penzolare le
gambe giù dall’alto muretto all’entrata dello chalet. Mi
aspettava. – Saremo noi la
sua forza. »