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Autore: _KyRa_    29/07/2010    2 recensioni
Si sentiva ancora una bambina, piccola, immatura. Come poteva solo lontanamente pensare di compiere un salto talmente grande da gravare sulla sua intera vita?
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'This is it.'
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fear of the truth

Chapter Two.
- Fear of the truth -



Gemette, riportando la testa fuori dal water, per poi andare a sciacquarsi la bocca al lavandino.

Stava tranquillamente traducendo delle lettere che le erano state assegnate nel suo ufficio, quando improvvisamente un senso di nausea l'aveva colta alla sprovvista, portandola a precipitarsi nel bagno lungo il corridoio. Aveva sempre avuto paura di vomitare sin da bambina, era una cosa che la mandava nel panico più totale.

Si osservò tremante e con le lacrime agli occhi allo specchio, mentre si passava una mano bagnata sul viso, per poi chiudere l'acqua ed asciugarsi con il telo poggiato vicino al lavello. Cercò di assumere un'espressione sicura, per non destare sospetto, ed uscì dal bagno. Si guardò attorno e corse successivamente verso il suo ufficio.

Quando vi entrò, impuntò sui propri piedi, quasi spaventata: Tom era davanti a lei, al centro della stanza, a darle le spalle. Il ragazzo doveva aver sentito il suo arrivo perchè si voltò nella sua direzione, osservandola con la solita freddezza.

«Hai da fare qui. Vedi di non andartene in giro a distrarti.» la ammonì, dandole di nuovo la schiena. Monique strinse i pugni con tutta la forza che possedeva in corpo.

«Io non mi distraggo.» sussurrò flebilmente, reprimendo la voglia di prenderlo a pugni. Lui non poteva capire cosa stava passando. Non poteva decisamente farlo.

Fece il giro della scrivania per risedersi sulla poltrona, decisa a rimettersi al lavoro. Il chitarrista, davanti a sé, non accennava ad andarsene, sfogliando distrattamente alcuni fogli che riportavano le traduzioni di Monique. Quest'ultima gli lanciava occhiate furtive, domandandosi quando l'avrebbe fatta respirare. Non poteva sorvegliarla costantemente a quella maniera.

«Non ti fidi di quello che faccio?» domandò incauta, riprendendo a scrivere e senza degnarlo di un ulteriore sguardo. Tom ripose i fogli sul tavolo e spostò lo sguardo su di lei.

«Non si sa mai.» rispose incolore, per poi lasciarla nuovamente sola in quella stanza.

Con un sospiro pesante, buttò la schiena all'indietro, poggiandosi stancamente allo schienale imbottito. Le sue dita andarono a sfiorare distrattamente la pelle del suo ventre, scostando di poco la maglietta.

La situazione stava degenerando. Presto i ragazzi e David avrebbero intuito che in lei vi era qualcosa che non andava e quel problema sarebbe diventato evidente con l'acquisto di qualche chilo in più. Si sentiva inchiodata, con le spalle al muro, senza via d'uscita. Era tutto così complicato e trovare una soluzione non sarebbe servito a niente, dal momento che non avrebbe mai potuto nascondere l'evidenza.

Fece una smorfia di disgusto, sentendo che la nausea non cessava a svanire, così come il mal di testa. Odiava star male fisicamente; non poteva sopportarlo.

«Hey, Monique. Ti vedo piuttosto stanca; prenditi una pausa, dai.» la voce di Bill aveva fatto capolino in quella stanza, come un fulmine a ciel sereno. Per questo motivo si affrettò a togliere la mano dal suo ventre, rimettendosi composta sulla poltrona. Quando sollevò lo sguardo, un infinito senso di tenerezza e gratitudine la invase: il vocalist le sorrideva, tenendo in mano una tazza di caffèlatte, accompagnata da una brioche interamente cosparsa di zucchero a velo. Prese a boccheggiare, non sapendo che dire. «Spero che ti piaccia la brioche con la marmellata.» aggiunse posandole la tazza sulla scrivania e porgendole la brioche avvolta nel tovagliolo. Si sentiva mortificata: in un altro momento avrebbe sicuramente apprezzato di più quel meraviglioso gesto. Come poteva dirgli che la nausea la uccideva e non se la sentiva di mettere nulla sotto i denti?

«Grazie, Bill. Sei... Molto gentile.» gli sorrise, adocchiando ripetutamente quel cornetto e deglutendo più volte ed a fatica i conati che tornavano a farsi sentire.

«Di nulla.» rispose il ragazzo, sedendosi sulla scrivania di fronte a lei ed osservandola attentamente. «Tutto bene?» le domandò dopo un po', notando il viso sbattuto.

«Sì, sì.» annuì lei più volte, prendendo poi un bel respiro per dare il primo piccolo morso alla brioche. Si trattenne dallo stringere le palpebre con espressione disgustata, per non offendere Bill, e si affrettò a bere un sorso di caffè.

«No perchè ti vedo un po' pallida.» continuò il vocalist.

«Sarà che non ho dormito molto, stanotte.» mentì lei, continuando a mangiare con una lentezza ed una fatica disarmanti. Bill annuì distrattamente. Finalmente Monique terminò di masticare ed accartocciò il tovagliolo nella sua mano, per poi finire di bere le ultime gocce di caffè. «Grazie, Bill.» gli sorrise, riponendo la tazza sulla scrivania e buttandoci dentro il tovagliolo.

«Di nulla. Allora, ti lascio al tuo lavoro.» concluse allegro per poi salutarla ed uscire dalla stanza.

Di nuovo sola, recuperò velocemente la bottiglietta d'acqua fresca che aveva portato con sé quella mattina e ne bevve più di metà in un solo sorso. Scivolando quasi congelata lungo la sua gola, la portò a chiudere gli occhi infastidita. Quando sarebbe terminata quella tortura?


**


«Dovresti prendere l'appuntamento per la prima ecografia, sai?» le rammentò Jessica che giocherellava distrattamente con la forchetta sul tavolo, aspettando che anche Monique si sedesse a tavola per poter mangiare.

Quest'ultima aveva invitato la rossa a cenare a casa sua: aveva dannatamente bisogno di compagnia e la sua era sicuramente la migliore.

Finalmente si sedette di fronte a lei e prese ad infilzare la carne sul piatto.

«No.» rispose monocorde, senza nemmeno guardarla. Percepì Jessica immobilizzarsi e fissarla sconcertata.

«Come no?» le domandò allibita, continuando a mantenere la forchetta a mezz'aria.

«No.» ripetè come fosse ovvio Monique, con una scrollata di spalle.

«Dico, sei impazzita, per caso? Devi farla un'ecografia, diamine! È importante!» esclamò la rossa quasi scandalizzata. Monique si incupì ulteriormente, rifiutandosi di sollevare lo sguardo su Jessica.

Fare un'ecografia sarebbe stato come ammettere definitivamente che era incinta e per un qualche strano motivo di codardia voleva continuare a vivere con la consapevolezza non dimostrata. Voleva forse racchiudersi nella menzogna, fino a che quei mesi non fossero effettivamente trascorsi. Fino a quel momento, probabilmente, non avrebbe mai accettato la sua gravidanza.

«So bene che è importante ma io non voglio farlo. O almeno non ora. Cerca di capirmi, Jess... Non è facile per me.» sussurrò, sollevando finalmente lo sguardo sulla sua amica che ora la guardava con severità.

«Io ti capisco eccome, Monique, ma ora penso proprio che tu stia esagerando e che ti stia comportando da bambina immatura.» rispose fermamente. Una scossa di indignazione attraversò Monique che lentamente percepiva la rabbia crescere.

«Credi che io stia esagerando?! Io sarei la bambina immatura?! Se non te ne sei accorta, Jessica, io sto lottando con un problema molto più grande di me, che mi ha sconvolto la vita! Ancora devo finire io di crescere e devo preoccuparmi che lo faccia anche questa creatura assieme a me! Ho tutto sulle mie spalle perchè i miei genitori non devono assolutamente sapere nulla... Ed io starei esagerando?! Vorrei che solo per un minuto, un fottutissimo minuto, tu potessi entrare nella mia testa e sentire quello che sto provando. Che razza di paura bastarda mi attanaglia lo stomaco, giorno e notte! Ma tu non puoi capire perchè non ci stai passando; ovvio che ti sembra tutto più facile! Tu pensi che io debba comportarmi come una normalissima donna incinta?! No, Jessica, mi dispiace ma proprio non posso!»

Aveva urlato per tutto il tempo. Le aveva sputato in faccia tutto quello che pensava, tutto quello di cui aveva mostruosamente paura, tutto quello che sentiva nel cuore. Aveva sfogato con lei gran parte del suo dolore, ma non sarebbe bastato. Jessica, per tutto il tempo, era rimasta in silenzio, ad osservarla con lieve stupore. Non si sarebbe mai aspettata una reazione del genere, almeno non in quel momento. Forse aveva sbagliato a scegliere quelle parole da dirle, ma non poteva fare a meno di pensare il significato che racchiudevano.

La rossa abbassò lo sguardo sul suo piatto, prendendosi una breve pausa, per poi parlare di nuovo senza guardarla.

«Scusa... Forse ho usato le parole sbagliate, me ne rendo conto. Ma tutto ciò che ti dico, se te lo dico è perchè tengo a te ed automaticamente tengo al bambino. Non fare quella faccia... Che ti piaccia o no, ormai questo bambino c'è e tu non puoi farci nulla. Non ti dico che devi saltare dalla gioia, perchè una gravidanza a quest'età non la auguro a nessuno. Ma per lo meno accettalo, Monique. È sangue del tuo sangue... E' un essere innocente che quando verrà al mondo desidererà di essere amato dalla sua mamma. Non è colpa sua se si trova nel tuo grembo, Monique. Come fai a non amarlo?» cercò di spiegarle con molta calma e con tutta la dolcezza di cui riusciva ad armarsi. Monique prese una pausa, per poi sospirare appena.

«Semplicemente perchè è di Christian... Ed io non sono pronta a diventare madre.» sussurrò freddamente, per poi alzarsi dalla sedia – con la carne ancora nel piatto – ed uscendo dalla cucina senza aggiungere altro.

Salì silenziosamente le scale fino a rintanarsi in camera sua, unico rifugio sicuro in grado di farla sentire protetta da qualsiasi pericolo esterno. Adagiò il suo corpo sulle coperte ancora sfatte e strinse a sé il cuscino, con tutta la forza che possedeva in corpo. Non appena i suoi occhi si chiusero, rilasciarono sulla federa calde e salate lacrime, che ormai – da tante notti – erano state protagoniste del suo malumore.

Quando la porta della sua stanza si riaprì, non si sorprese. Nemmeno dopo, quando Jessica si sdraiò affianco a lei, stringendola fortemente a sé. Per questo motivo non si dimenò nella sua presa; piuttosto la assecondò e la rafforzò.

Sentì la mano della sua migliore amica carezzarle lievemente la testa, mentre sosteneva il suo pianto silenzioso, e ciò la aiutò a ritrovare la calma, trascinandola lentamente in un sonno profondo.


**


Fosse stata una nuova collaboratrice, del tutto priva di esperienza, al suo primo giorno di lavoro, si sarebbe sicuramente scandalizzata nel constatare la grande quantità di lettere indirizzate a Tom Kaulitz, da parte di ragazze perennemente arrapate che avevano avuto il privilegio di passare una notte selvaggia con il chitarrista. Stando al giudizio di queste ultime, il ragazzo doveva essere una bomba del sesso estremo e passionale; ma stando allo scetticismo di Monique su tale argomento, doveva essere un normale ragazzo che aveva rapporti, non così fuori dal comune.

Il suo viso si contrasse in una smorfia e passò ad una lettera indirizzata a Bill, senza dubbio più casta e normale.

Proprio in quel momento il suo cellulare prese a squillare: sua madre. Già, erano giorni che non si sentivano... Per la precisione, da prima che lei scoprisse di essere incinta. L'unica cosa da fare era ignorarla spudoratamente, anche se la cosa le provocava una fastidiosissima fitta di dolore al petto. Era affezionata a sua madre, sin da quando era piccola, ed il non sentirla – o peggio, l'ignorarla – la faceva stare ancora più male. Non poteva rivelarle di essere incinta; non ancora.

Presto il cellulare smise di vibrare e lei poté sospirare rincuorata, tornando ad occuparsi del suo lavoro.

Distrattamente prese a pensare ai giorni a venire. L'indomani mattina sarebbe dovuta partire assieme alla band e a David. Avrebbe dovuto alloggiare in un albergo assieme a loro e questo la buttava ancora più giù. Si sarebbero accorti del suo malumore? Si sarebbero accorti che non si sentiva bene? Le avrebbero fatto domande?

«Hey, Monique, vieni. C'è tua madre al telefono, dice che non le rispondi.» le sorrise David, dopo essersi affacciato con la testa nella stanza.

Monique non sapeva se apprezzare quel riguardo da parte di David o meno. In certi momenti avrebbe tanto desiderato trucidarlo con un solo sguardo, come in quel momento... Ma d'altronde lui non poteva sapere che aveva ignorato appositamente quelle chiamate.

Non potendo più negare l'evidenza, si alzò dalla poltrona e lo seguì. Recuperò la cornetta del telefono fisso dello studio di registrazione, in mezzo al salotto che dava sul vetro della stanza dove si trovavano tutti gli strumenti dei ragazzi, e rispose non troppo convinta.

«Ciao, tesoro! Come stai? È da un po' che non ti fai sentire!»

Sua madre, Ester. La donna più solare e dolce che avesse mai avuto la possibilità di conoscere. Il bene che si volevano a vicenda era sconfinato e, proprio per lavoro, Monique era stata costretta a lasciarla sola con suo papà Alfred, per trasferirsi a Berlino, dalla lontana Amburgo.

«Ciao, mamma.» sorrise appena, mentre un incredibile senso di nostalgia prese a diradarsi dentro di lei. «Io sto bene... Tu?»

«Anche io. L'unica cosa è che mi manchi. Sono tre mesi che non ti fai vedere. Quando mi vieni a trovare?»

«Non so, mamma. La situazione qui è un po' complicata. Lo sai che devo lavorare, ho bisogno di soldi. Non posso permettermi troppe vacanze.»

«C'è Lilli che ti cerca, ogni tanto.»

Sorrise intenerita al pensiero del suo cane – un piccolo Cocker Spaniel, bianco e nero – che vagava per casa, alla ricerca della sua padrona. Aveva preso in considerazione di portarla con sé, ma sua madre ormai si era affezionata a quella piccola palla di pelo e comunque non avrebbe avuto abbastanza soldi per procurarle da mangiare: a malapena riusciva a mantenere se stessa.

«Falle una carezza da parte mia e dille che quando arrivo le porto un osso nuovo di zecca. Papà come sta?» chiese Monique, giocherellando con il filo della cornetta.

«Un po' di acciacchi ogni tanto. Ma è sempre giovane e bello.» Era incredibile come quei due fossero ancora uniti da un amore tanto forte. «Tesoro, tu sei sicura di stare bene?»

«Sì... Perchè?»

«Non so... Hai una voce strana; ti sento un po' mogia.»

«No, mamma, tranquilla. È solo la stanchezza, sto lavorando tanto in questo periodo. Domani sarò anche in Francia per un'intervista.»

«Oh, tesoro, che bello! Starò davanti al televisore tutto il giorno!»

«Mamma, l'intervista dura un'ora.»

«Non fa nulla!»

«Come vuoi. Adesso ti saluto. Appena posso vi vengo a trovare, promesso.»

«D'accordo. Ti voglio bene.»

«Anch'io, mamma.»

Riattaccò e prese un bel respiro, chiudendo gli occhi. Sarebbe dovuta uscire da quel pasticcio, prima o poi. Non poteva continuare a vivere nelle menzogne.

Quando rialzò lo sguardo, sussultò, ritrovandosi di fronte il chitarrista, intento a scrutarla con la solita espressione severa.

«Tutti i minuti che perdi verranno scalati dalla tua paga, ti conviene fare attenzione.» disse freddamente, per poi passarle affianco, sfiorandola appena con una spalla. Monique si portò distrattamente la mano sul punto che le aveva toccato e si voltò a guardarlo con l'ira negli occhi. Dandole le spalle, si accingeva a camminare con una mano in tasca e l'altra che teneva una bottiglietta d'acqua, fino a chiudersi nella stanza assieme agli altri per riprendere a suonare.

Monique reprimette un grugnito di disapprovazione: Tom era uscito momentaneamente per prendere quella dannata bottiglietta d'acqua dalla macchinetta di fronte a lei, ma era sicura che avesse solamente usato quella scusa per darle ancora il tormento.

Con lei non tirava fuori stupide frecciatine, quasi scherzose... No. Con lei era sempre terribilmente glaciale.

Non sapeva cosa spingesse il ragazzo a comportarsi ad una maniera tanto cattiva e spudorata nei suoi confronti. Non gli aveva mai risposto male, non gli aveva mai dato motivo di prenderla in antipatia.

Una cosa però era certa: non lo sopportava.


**


Sbatté il cambio di vestiti che aveva preparato per il viaggio in Francia nel piccolo borsone che poggiava sul suo letto e sbuffò sonoramente.

Non riusciva a mandare giù il comportamento di Tom nei suoi confronti.

Lavorava, si faceva il culo per guadagnare quei maledetti soldi che portava a casa per mantenersi; obbediva continuamente alle richieste di chiunque si trovasse lì dentro, anche se non era propriamente tenuta a farlo, ed in cambio riceveva un trattamento del genere. Proprio non riusciva a comprendere il meccanismo che animava quell'ambigua situazione.

Tutti erano gentili con lei. Tutti tranne lui.

La osservava in tutte le sue movenze quasi con odio, come se in una vita precedente o in un qualsiasi momento in cui la sua mente non era lucida, gli avesse fatto qualcosa di male.

Com'è che non riusciva a ricordare un episodio simile? Poteva per lo meno degnarla di una spiegazione plausibile? Non poteva accettare di essere trattata a quella maniera, senza nemmeno un chiarimento sul perchè. Ma presto quel chiarimento glielo avrebbe domandato; non poteva continuare a beccarsi le pseudo-minacce di Tom, costringendosi a fare finta di nulla. Anche lei aveva una dignità, proprio come quella del chitarrista, ed anche lei esigeva rispetto come lei stessa lo dava agli altri.

Chiuse quasi con schizofrenia la cerniera e poi buttò il borsone ai piedi del letto, con poca grazia. Sbatté le mani sul materasso e si sdraiò pesantemente su di esso.

Poco dopo si accorse di non aver agito a meraviglia, dato che si ritrovava inchinata sul water a rimettere anche l'anima. Strinse gli occhi, mentre le lacrime – le ennesime – colavano lungo le sue guance.

Non ce la faceva più. Se pensava che era già arrivata al capolinea della sua pazienza ed era solo all'inizio di tutto quello, le veniva voglia di buttarsi nel vuoto, dal suo terrazzo.

Si rialzò, dopo aver tirato l'acqua, ed andò a lavarsi i denti al lavandino. I suoi occhi erano perennemente fissi nei suoi, attraverso lo specchio, cercando di scovarvi all'interno una spiegazione a ciò che le era successo.

Spesso si fermava a riflettere sulla sua vita, chiedendosi se si fosse comportata male in determinate occasioni. Quella gravidanza inaspettata e non voluta era solamente la punizione per un qualcosa di sbagliato che aveva commesso? Avrebbe tanto voluto saperlo, visto che la testa le stava andando in fiamme.

Uscì dal bagno, spegnendo la luce e tornò in camera, dove il suo letto – spettatore di tanti incubi – la attendeva. Tirò le coperte, fino a scomparire al di sotto di esse; una lunga notte insonne la attendeva.

  
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