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Autore: Sanya    31/07/2010    2 recensioni
Alice Cullen non riesce a ricordare nulla del suo passato. Vede solo uno spesso muro nero, quando ci pensa. Ma vi siete mai chiesti cosa c'era esattamente nel suo passato? Quali sono state le decisioni che l'hanno portata a finire in manicomio e ad essere trasformata in una vampira?
E poi, siamo davvero sicuri che il suo creatore rappresentasse per lei solo uno sconosciuto?
Capitoli in via di revisione. Work in Progress
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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Buon Sabato a tutti ^^

Eccomi qua con un nuovo aggiornamento....

Allora, questo capitolo sarà particolarmente importante perchè da qui in poi cominceranno i problemi, le complicazioni (chi più ne ha più ne metta xD), insomma la storia vera e propria.....

Ci sarà un altro salto temporale in questo capitolo....Probabilmente vi faranno impazzire ma effettivamente non so cosa scrivere -.-" La vita di Byron e Alice è sempre stata piuttosto tranquilla per ora: partite a scacchi, a carte, pomeriggi passati a giocare a nascondino o a guardare le nuvole. Insomma, nulla di che...

Ora però vi prometto che la storia si farà molto più intrigante e i salti temporali non saranno più così frequenti....

Come al solito, ringrazio tutti quelli che si armano di azienza e leggono la storia fino alla fine e magari lasciano pure un commentino ;) Vi Adoro!

Saluto (e ringrazio) la carissima Mafra che è partita per la Croazia! Eh, Beata lei!!!! [Ti ringrazio tanto, cara! Sono felice che la storia, questa come l'altra, ti piaccia molto! Le tue recensioni mi dano davvero un gran sostegno!!! Grazie Mille ^^]

E kloe2004 che ha commentato il capitolo precedente e ha aggiunto la storia alle seguite ;) [Sono felice che ti piaccia il modo in cui mi sono immaginata i personaggi....Spero che anche il resto della storia ti piaccia. Fammi SApere ;)]

Ovviamente non possono mancare Elena e Marina che sono i miei due angeli custodi! Grazie Ragazze!!! E, Ele, grazie ancora per la dedica ^^

Ora vi lascio alla lettura....E, ricordate, qualsiasi commento, anche negativo, è sempre ben accetto :)

 

CAPITOLO 4

Sei anni. Erano passati sei anni dal giorno in cui mi ero presentato ufficialmente a Alice. In quegli anni avevo vissuto intensamente ogni singolo istante che avevo passato con lei, cercando di assaporare la gioia e la pienezza che la sua presenza donava alla mia vita vuota e buia.

Tutto era più colorato e brillante in sua presenza. Lei era la piccola luce, luminosa come solo il sole può, che ravvivava le mie nottate di morte e dolore.

Il suo odore non era più un problema. Ma, infondo, lo era mai davvero stato? Forse solo la prima volta che l’avevo adocchiata. Perché poi il senso di amore nei suoi confronti aveva superato ogni cosa; ogni sentimento possibile era stato spazzato via dal pensiero di proteggerla, prima di tutto da me stesso e dal mostro che viveva dentro di me.

In quei sei anni l’avevo vista crescere e maturare. Era diventata una ragazza, ormai. Aveva lasciato già da tempo le forme tenere e abbozzate dell’infanzia: i fianchi le si erano allargati, i piccoli seni cominciavano a spuntare dai vestiti ormai stretti, il portamento si stava trasformando in quello di una donna adulta e aveva abbandonato i comportamenti da bambina ribelle. Era sempre la mia Alice, solo più matura. Ora, raramente, ci veniva in mente di arrampicarci sul vecchio salice come facevamo quando era più piccola. Lei preferiva fare lunghe passeggiate nella boscaglia accompagnata da me, oppure sdraiarci fianco a fianco sull’erba per guardare il cielo e le nuvole e a riconoscere le immagini che formavano portate dal vento. Inoltre passava le ore a leggermi i suoi libri preferiti. Più il tempo passava, più i minuti che passavo con lei diventavano fondamentali per la mia sopravvivenza. Probabilmente non sarei riuscito a uscire di scena facilmente, ovviamente se avessi deciso di farlo di mia spontanea volontà. Se fosse stata lei a chiedermelo, probabilmente avrei preferito accontentarla andandomene così da vederla felice piuttosto che intristirla o irritarla con la mia presenza.  

Ma sarei riuscito davvero ad allontanarmi da lei senza problemi? Sarebbe stato davvero così scontato come pensavo che fosse? Ero davvero certo che questa decisione non avrebbe portato conseguenze sulla mia natura di vampiro? Ne dubitavo.

Dal canto suo, Alice non sembrava detestare la mia compagnia. Quando la osservavo giocare in giardino con la sorella o con la governante, oppure quando mi perdevo nella sua espressione concentrata mentre ricamava seduta sulla sedia a dondolo della veranda, la vedevo scrutare intensamente la boscaglia con quei suoi luminosi occhi neri. Quasi aspettasse qualcuno. Quasi aspettasse me.

Come me, anche lei sembrava cambiata dalla mia presenza. Forse troppo rispetto alla bambina serena e felice che vedevo prima della mia comparsa. Era cambiata forse in modo troppo malsano. Il che non faceva che accreditare le possibilità che frequentarmi le facesse male, che per lei sarebbe stato meglio che io me ne andassi. I sospetti che la mia presenza fosse dannosa per lei mi giunsero in un pomeriggio di autunno. Era autunno inoltrato, quasi inverno. Come ogni giorno aspettavo che il mio piccolo angelo mi raggiungesse al limitare del bosco per fare la nostra solita passeggiata serale. Il sole, nonostante fosse ancora alto nel cielo, lottava contro le pesanti nuvole grigie che cercavano di nasconderlo, con scarsi risultati. Quelle nuvole non promettevano nulla di buono; pensai che sarebbe stato meglio che Alice e io facemmo una veloce passeggiata. Non badai molto a quale dovesse essere la temperatura: le sensazioni di freddo e di caldo mi avevano abbandonato parecchi anni prima.

Finalmente la vidi uscire. La mia stella. La mia unica ragione per combattere. Lei. Alice.

-Ciao- mi salutò appena mi fu abbastanza vicina. Le sue labbra si aprirono in un sorriso che illuminò subito quella giornata spenta. Il mio sole.

-Ciao, Alice- ricambiai il saluto porgendole il mio braccio –Andiamo?- chiesi gentilmente. Lei annuì e si aggrappò a me saldamente.

Quel giorno rimanemmo stranamente silenziosi, ognuno perso nei propri pensieri e nelle proprie riflessioni.

-Alice, tutto bene?- gli chiesi, rompendo il silenzio. Non mi sembrava normale che la mia piccola, sempre così estasiata e elettrizzata durante i pomeriggi che passavamo insieme, fosse così pensierosa e giù di morale. Ormai avevo imparato a conoscerla, sapevo esattamente i sentimenti che provava solamente guardandola in faccia o seguendo i suoi comportamenti.

-S-sì…- rispose titubante. Oltre a essere giù di morale, cercava di nascondermi qualcosa.

-Mi stai facendo preoccupare…- la avvertii fermandomi e lasciando cadere il mio braccio. Non poteva più mentirmi ora che eravamo faccia a faccia. La parte più razionale e indipendente di me mi diceva che non avrei dovuto comportarmi in quel modo: infondo, toccava a lei decidere se parlarmene o meno, non doveva sentirsi costretta a raccontarmi tutto quello che le succedeva. Ma, dall’altra parte, la parte più protettiva e amorevole nei suo confronti mi diceva che facevo bene a indagare.

Lei, per tutta risposta, mi fissò intensamente con i suoi profondi occhi neri.

-Byron, non è importante, davvero…- mormorò, voltando la testa.

-Se ti fa star male e non ti fa essere te stessa, certo che è importante- controbattei.

Restò a fissare la fitta boscaglia che ci circondava. Non riuscivo a comprendere il perché di quel suo comportamento. Perché cercava di nascondermi qualcosa? Improvvisamente aveva smesso di fidarsi di me?

Sospirò e tornò a guardarmi negli occhi –Mio padre è molto malato, Byron- sputò, quasi fosse un insulto. Notai che la sua espressione riprese il tono triste e senza speranza che aveva cercato di camuffare, senza successo. I suoi occhi divennero velati.

-Come? Che cosa?- chiesi, pensando di aver capito male. Suo padre malato? Non avevo visto nessun movimento nella casa nei giorni precedenti.

-Sì, hai capito bene. Il dottore è venuto a visitarlo stamattina dopo una nottata molto dura. Lui dice che non è possibile far niente, che qualsiasi cura sarebbe inutile. Ha aggiunto anche che, molto probabilmente, non vedrà nemmeno l’arrivo della primavera- riuscì a mormorare prima di scoppiare in lacrime.

Ero impietrito. Sapevo quanto Alice fosse legata a suo padre. Per lei era sempre stato uno dei suoi punti fermi e ora, sapere che molto probabilmente avrebbe dovuto dirgli addio, era doloroso.

-Alice…- le dissi abbracciandola.

-Sta morendo… Sta morendo- continuava a ripetere con il viso premuto contro il mio petto freddo. Io le accarezzavo dolcemente i capelli per calmarla.

Le nuvole si erano fatte più cupe e intense e una pioggerellina leggera cominciò a scendere dal cielo, bagnandoci. Le goccioline si imperlavano nei capelli neri di Alice rendendoli un po’ crespi.

Continuava a singhiozzare. Come avrei voluto riuscire a piangere insieme a lei. Ogni volta che la vedevo triste il mio cuore di ghiaccio si spezzava come se fosse stato colpito da un grosso colpo di martello. Sentivo un groppo in gola talmente grosso che mi impediva di respirare correttamente.

-Mi dispiace tanto, piccola. Dimmi, ti prego, posso fare qualcosa per voi?- chiesi, non sapendo in che altro modo avrei potuto stare accanto a lei e alla sua famiglia.

Alzò lo sguardo verso di me -Mi basta sapere che tu sia qui. E che ci sarai sempre. Promettimi che non mi abbandonerai anche tu, ti prego-

In quel momento avrei voluto fare un sacco di cose tutte insieme: urlare, mettermi a piangere o a correre, una parte di me avrebbe voluto perfino baciarla. Ma semplicemente le asciugai le piccole gocce che le coprivano il viso con il pollice e la abbracciai stretta a me, evitando di farle male. Lei per un attimo ricambiò l’abbraccio, poi il suo corpo mi ricadde smorto tra le braccia.

-Alice…?- domandai tentando di risvegliarla. –Alice!- urlai.

Dannazione! Cosa le era successo?

Che le avevo fatto?!

Demonio, demonio, demonio gridava forte una parte di me.

Appoggiai il suo corpo al suolo; mi misi le mani sul viso e cominciai a singhiozzare. Gli occhi cominciarono a pizzicare, non proprio una sensazione piacevole ma sapevo sopportare.

-Alice, ti prego, rispondi! Svegliati!- dissi scuotendola un po’. Cercai di ricacciare indietro il magone che mi formava un groppo in gola.

Era viva. Sentivo il suo cuore battere leggero e il suo sangue scorrere lento in tutto il corpo. Ma allora che cosa aveva? Perché tutto d’un tratto era svenuta? Soprattutto, cosa avrei dovuto fare ora? Avrei dovuto presentarmi dai suoi come se niente fosse? No, non potevo.

Forse, l’idea migliore era di lasciarla davanti a casa, come se fosse stata male lì sulla soglia: qualcuno, prima o poi, l’avrebbe vista e l’avrebbe portata in casa. No, non potevo lasciarla sola in quel modo: mi ero ripromesso che mi sarei preso cura di lei, sempre.

Non puoi esporti così con gli umani. Pensa a cosa potresti fare ai suoi famigliari. Li metteresti in pericolo. Esordì la parte più ragionevole di me. Ed, effettivamente, aveva ragione.

Tirai su da terra il corpo di Alice e mi misi a correre molto più velocemente del normale, con lei tra le braccia. Dovevo affrettarmi. Nonostante non potessi accompagnarla a casa e prendermi cura di lei, decisi che più velocemente sarei arrivato a destinazione meglio sarebbe stato per lei.

Passarono pochi secondi e mi ritrovai nel enorme giardino di casa Brandon. Posai con delicatezza il corpo di Alice sul vialetto, in modo che potessero vederla più facilmente e mi dileguai, salendo su una grande quercia.

Rimasi lì a fissare intensamente il suo corpicino lasciato alla furia delle intemperie. Cominciò a piovere più forte, ma, prima che la parte più protettiva di me prendesse il sopravvento e decidesse di portarla in casa, sentii la porta sbattere con un colpo secco.

-O Signore, Alice!- urlò la governante. Si accovacciò e prese la testa della mia piccola sul grembo. –Signora Meg! Signora Meg!- chiamava ansiosamente.

-Virginia, è mai possibile ch…- tentò di replicare la donna ma, vedendo il corpo della figlia a terra, esclamò –Alice!- e corse anche lei verso la governante.

Dopo essersi chinata e aver preso tra le mani quella della figlia cominciò a singhiozzare -Virginia, di’ a Patel di venire subito qui, digli di chiamare il dottor Scott immediatamente. Vai, Forza!- ordinò alla governante.

-Subito, signora- e velocemente si rialzò per correre in casa.

Lei rimase lì, sotto i tuoni e la pioggia scrosciante, a coccolare la figlia e a dire che sarebbe andato tutto bene. Anche io rimasi lì, tutta la notte. Vidi arrivare Patel, il maggiordomo, che aiutò a portare in casa Alice. Aspettai perfino l’arrivo del dottore. Sarei rimasto lì per l’eternità se sarebbe servito. Stavo ascoltando con ansia e bramosia il verdetto del medico.

-È la stessa malattia del padre- lo sentii dire.

La stessa malattia del padre. Mi sentii mancare l’aria. Il padre stava morendo a causa di quel male. Trasalii al pensiero che un destino simile potesse abbattersi sulla mia Alice.

La madre fece una domanda che mi sfuggì –Se devo essere onesto, signora Brandon, non so cosa dirle. Essendo Mary Alice più giovane e più forte, potrebbe essere che sopravviva. Ma non posso darle nessuna certezza- si bloccò e per un attimo mi immaginai il dottore prendere le mani della donna tra le sue -Abbiate fede- disse.

Se ne andò. Lo sentii scendere le scale, aprire e chiudersi la porta alle spalle.

Sentii la madre singhiozzare violentemente e la governante tentare di consolarla.

E fu in quel momento che desiderai morire.

 

//Howard Shore – Rosalie//

 

   
 
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