Nightmare
Verde.
Solo boscaglia verde mi circonda.
Solo boscaglia verde mi circonda.
Non so
esattamente in che parte del bosco mi trovo.
Sono
sola.
È
umido. La terra, la corteccia degli alberi, il muschio che
copre le rocce. Tutto quello che mi circonda trasuda acqua. La sento
passare attraverso
i vestiti, entrare nelle ossa, mescolarsi al calore della mia pelle.
Fa
freddo.
È
buio.
C’è
silenzio.
Troppo.
Non una
foglia ondeggia al contatto col vento, nessun
animale notturno si fa sentire.
Tutto
è fermo.
Sembra
non ci sia vita.
D’un
tratto una voce fin troppo familiare risuona nel
silenzio.
«Non
sono ciò che ti aspettavi che fossi,
Bella…» dice.
Il mio
stomaco sussulta. Sento che è vicino. Stavolta è
qui.
Lo so.
Aspettavo
di sentire questa voce da troppi giorni, da troppe
settimane. Sono rimasta troppo tempo a sperare che questa non si
dissolvesse
nella mia mente come fumo. E ora è qui. Lo sento.
«Edward…»
tento di esclamare ma sento che le parole si
bloccano nei polmoni, producendo solo un lieve sussurro che si perde
nell’oscurità
della notte e nel silenzio che aleggia intorno a me.
«Tutto
è cambiato…» dice ancora.
Alle
mie orecchie pare di ascoltare il velluto che sfrega.
Dolce.
Soffice.
Inconfondibile.
«Edward…»
riprovo a pronunciare, come per riuscire ad
assaporare ogni sfaccettatura che il suo nome nasconde.
È
qui. È vicino. Sento la sua presenza tra le fronde degli
altissimi alberi che mi circondano.
Faccio
un passo avanti.
Un
altro.
Lo
cerco.
Lo
chiamo.
Niente.
Comincio
a correre nella speranza di riuscire a raggiungerlo
in tempo, abbastanza in tempo per riuscire a non farmelo sfuggire di
nuovo.
Abbastanza
in tempo per evitare di perdere tutto di nuovo,
come già una volta è successo.
Corro.
Le gambe si muovono a stento tra il folto sottobosco
ma le costringo ad andare sempre più veloce.
Devo fare in fretta.
Contino
a correre finché non vengo catapultata in una parte
del bosco che conosco fin troppo bene.
«Dobbiamo
lasciare Forks…» sento mormorare a qualche passo
da dove mi trovo io.
Mi
avvicino sempre più finché non mi trovo a pochi
passi
dalla scena che mi si presenta davanti. Nascosta dietro un grande pino,
ascolto
e osservo.
«Perché?»
sento chiedere dalla ragazza che sta proprio di
fronte a Edward.
«Non
possiamo più nasconderci… Stiamo dando troppo
nell’occhio,
qui» mormora, neutro.
«D’accordo.
Devi… devi solo lasciarmi un po’ di tempo per
parlarne con Charlie…» esclama ansiosa.
«No.
Tu rimani qui»
dichiara lui, impassibile e freddo.
La
ragazza sussulta in risposta al suo modo così distaccato.
«Edward,
non posso rimanere qui…da sola. La mia vita è con
te» mormora a stento, abbassando gli occhi e fissando lo
strato erboso sotto i
suoi piedi.
«Il
mio posto è dove sei tu» aggiunge quasi in
lacrime.
«No,
non è più così… E tu lo sai
benissimo» replica lui
duro. Prende un lungo sospiro mentre fissa le foglie scure degli
alberi.
«Non
sono più intenzionato a fingere» aggiunge,
fissando un
punto perso tra la vegetazione.
«Quello
che è successo due giorni fa è stata
semplicemente
un’eccezione. Solo un piccolo incidente di percorso. Se la
mia anima…» tenta di
spiegare lei.
La
vedo, la capisco. Sta cercando di aggrapparsi a quelle
poche e instabili certezze che la circondano, ma nulla è
abbastanza stabile da
riuscire a non farla cadere.
«Incidente
di percorso…» mormora lui, sprezzante. Chiude gli
occhi e quando li riapre tutto cambia.
«Non
c’entra quello che è successo due giorni fa e
neppure
la tua anima» esclama, tentando di non scomporsi.
«Tu
non sei più la persona giusta per me» afferma
indifferente, come se stesse parlando del tempo.
La
ragazza sussulta di nuovo e riesco a vedere due minuscole
lacrime bagnarle il viso.
Trema.
Cerca
di mantenere la calma facendo dei respiri profondi. Ma
non ce la fa.
È
come se avesse preso una pugnalata dritta al petto.
Il
dolore da sopportare è tanto. Troppo intenso. È
impossibile da nascondere.
Scuote
la testa e cerca di tenere a freno le lacrime e i
singhiozzi.
«Tu…
non… mi vuoi… più?» riesce a
biascicare.
Lui
scuote la testa, convinto «No…» mormora.
Improvvisamente
capisco cosa sta succedendo.
Quella
scena è già stata vissuta, fa parte del passato.
Del mio passato.
La
ragazza che sta parlando con Edward non è
un’estranea,
sono io. Ha la mia stessa voce, il mio stesso viso, gli stessi
lineamenti di
una ragazza a cui è stato spezzato il cuore.
Siamo
la stessa persona.
Lei
è me, io sono lei.
La
scena che ha fatto finire la vita di quella ragazza è la
stessa che ha fatto finire la mia. Che ha messo fine alla mia
felicità, come
alla sua, con un colpo di sciabola.
È
l’abbandono.
Il suo abbandono.
Rialzo
gli occhi e la scena di poco prima sta sparendo.
Le voci
e le immagini che mi circondano si fanno sempre più
sfocate e lontane, come se le stessi ascoltando e vedendo attraverso
uno spesso
strato di plexiglass scuro.
D’un
tratto la scena cambia completamente.
Non
sono più la spettatrice inerme che guarda intristita il
dolore di qualcun altro.
Sono
diventata la protagonista. Ma quando tocca a me salire
sul palco, non c’è più nessuno per cui
valga la pena recitare.
Sono
sola. Di nuovo.
Mi
guardo intorno smarrita per cercare di capire qual è la
cosa migliore da fare.
Il
nulla.
Il
vuoto.
Non
c’è niente che io possa fare.
Perché
io non sono più niente.
Una
folata di vento gelido mi sale su per la schiena e mi fa
tremare.
Se ne è andato.
Le
ginocchia cominciano a cedere e un secondo dopo mi
ritrovo inginocchiata sul terreno. Lo sento fresco, morbido, denso
attraverso
il tessuto dei jeans. Lo afferro con le mani e l’odore
intenso di muschio
diventa parte di me.
Ed
eccola, la sensazione di vuoto, di perdita.
Il
buco, la ferita pulsa intensamente nel petto.
Non mi
da tregua. Non mi da pace.
Dolore.
Brucia
intenso sotto ogni centimetro quadrato del mio corpo.
Per certi aspetti mi ricorda molto la primavera precedente, quando quel
veleno
acido era entrato in circolo nel mio corpo e mi aveva fatto urlare,
contorcere.
La
sofferenza è la stessa.
C’è
un'unica differenza. Quando il veleno aveva cominciato a
mescolarsi al sangue e a far morire pian piano ogni cellula del mio
corpo
sapevo che quella sofferenza prima o poi sarebbe finita. Al massimo tre
giorni,
aveva detto Alice. L’importante era stringere i denti e
soffrire in silenzio.
Solo per tre, eterni giorni.
Ora
invece quella pena non sarebbe mai finita. Sarebbe stata
eterna.
L’angoscia
continua a straziarmi, a debilitarmi.
Nessuna
parte di me riesce più a stare in piedi.
Cado e
vengo inghiottita dal terreno.
Comincio
a piangere.
Singhiozzo.
Cerco
di aggrapparmi alla realtà che mi circonda, ma non
c’è
niente di stabile.
Niente.
Solo
dolore, frustrazione, assenza.
Ho
corso per cercalo, per ritrovarlo ma non sono stata
abbastanza perspicace da capire che non potevo più arrivare
a lui. Che non
c’era più niente da cercare, se non altra
sofferenza.
Sento
un urlo e mi sveglio di soprassalto, piangete.
Lui non
c’è.
Se ne
è andato.
Piccola One-Shot
riguardante gli incubi di Bella in New Moon..E io sono niente.
**********Ok, non chiedetemi come possa essermi uscita. Diciamo che non stavo molto bene mentalmente quando l'ho buttata giù.
Spero di essere riuscita a far trasparire le emozioni di Bella nel vedere l'abbandono da un punto di vista esterno e nel capire come la sua vita sia cambiata da quel momento...
Mi ha ispirato molto nella scrittura la melodia di Thomas Newman Any Other Name e infine il questo video.
Spero vivamente che vi sia piaciuto! Per qualsiasi correzione o commento, anche solo per dirmi di ritirarmi, mandatemi una piccola recensione, mi farebbe molto piacere sapere il vostro parere!