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Autore: Fedepex    02/08/2010    2 recensioni
Com'è possibile?! Si chiese.
Avrebbe dovuto aver paura: due persone morte da secoli che ballavano tranquillamente davanti a lei, dovevano fare un certo effetto. Lei però, era così incantata da quella visione che non riusciva a pensare ad altro.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Libro Aperto


Era mattina. Sofia aprì gli occhi e dalla finestra di camera sua vide spuntare il sole. Quella luce accecante era difficile da sopportare dopo giorni di pioggia perenne.

Maledetto sole... pensò.

In fretta e furia si preparò ad andare a scuola, visto che come al solito era in ritardo. Un bicchiere di succo di frutta e uscì di casa.

Durante il tragitto le dava fastidio avere la luce del sole in faccia , preferiva molto di più le nuvole o la pioggia, e quando il cielo si faceva plumbeo, la città sembrava avvolta da un'aura di mistero. Quel giorno andare a scuola non le dispiacque: c'era autogestione il che voleva dire libertà assoluta per gli studenti.

Dopo aver fatto i soliti tre piani di scale, entrò in classe. Il professore non si curò neanche di segnare sul registro il ritardo, l'ennesimo.

La classe era nel caos totale e Sofia cercava disperatamente di leggere un libro mentre aspettava l'arrivo delle sue amiche. Quando Lidia e Chiara arrivarono, Sofia si sentì subito meglio.

Non era brava a socializzare con i ragazzi della sua età, o meglio, con le persone in generale, ma con loro, le veniva naturale dare confidenza, era facile come respirare. Si conoscevano da anni.

Così si misero a parlare di cosa avrebbero potuto fare quella sera, ma le loro idee non erano molto interessanti.

Sofia guardò fuori dalla finestra attratta dal colore della foglie in autunno; alcune avevano un colore vicino al rosso bordeaux e al marrone, ma più intenso. Non seppe descrivere quel colore, ma lo adorava in una maniera eccessiva, maniacale.

Dovrei dipingere le pareti di camera mia di quel colore...

-Sofia? Mi stai ascoltando?- Chiara impaziente, scosse la spalla della sua compagna.

-Si certo.- disse – Ehm... di cosa stavamo parlando?

-Ecco come al solito pensavi ad altro...- disse Lidia, con un tono finto rassegnato.

-Scusate, non capiterà più.- affermò lei e sorrise.

Ma le sue amiche sapevano che le sarebbe capitato di nuovo, era fatta così; nonostante fosse una ragazza riservata, era un'inguaribile sognatrice. Si perdeva nel suo mondo molto spesso e si distraeva con qualsiasi cosa.

Se poi si metteva a leggere un libro era la fine. Perdersi tra le pagine dei suoi libri preferiti, era la prima causa dei suoi ritardi a scuola: in autobus le capitava spesso di perdere la sua fermata perché era troppo presa dalla lettura.

Questa caratteristica l'aveva ereditata da sua madre, morta in un incidente d'auto quando lei aveva solo otto anni. Da quel momento è cominciato il mutismo, l'isolarsi dalle persone, persino dal padre che cercava in tutti i modi di non far pesare la mancanza della madre in casa.

Ma nonostante il suo chiudersi a riccio, si vedeva che provava un dolore immenso.

Nessuno poteva capirla.

Le uniche ad avvicinarsi a lei durante una giornata primaverile della quarta elementare, furono Lidia e Chiara. Non era pena quella che provavano, ma pura voglia di fare amicizia con quella piccola bambina isolata da tutto e tutti. E anche se non potevano capire il suo dolore, riuscivano ad alleviarlo. Con il tempo, impararono a decifrare tutto di lei, specialmente i suoi pensieri, che sembravano scritti a caratteri cubitali sulla sua fronte. A volte la chiamavano libro aperto, e anche se le dava un po' fastidio, sapeva che era un modo per comunicare loro cose che erano troppo difficili da dire a parole.

Grazie a loro riuscì a scappare dal baratro di solitudine che si era creata, e una parte del suo cuore, quella riservata a sua madre, le faceva meno male.

-Siamo arrivate ad una conclusione, signore?- chiese con ironia Chiara.

-Sì!- esclamò convinta Lidia -Cinema!.

-Oh no.. tutto tranne quello!- disse Sofia esasperata.

-No, no, no! Non se ne parla neanche, non voglio stare a vedere un altro dei soliti film strappa lacrime che guardi tu! Andiamo al Bowling!- disse l'altra.

-Con quella puzza di piedi? No grazie, io passo!- sentenziò Lidia tappandosi teatralmente il naso in segno di disgusto.

-Su ragazze dobbiamo trovare assolutamente qualcosa da fare!- disse Sofia- Altrimenti ci ritroveremo come ogni sabato a guardare uno dei film western di mio padre, inoltre ci costringerà a mangiare i suoi dolci che ha preparato proprio ieri.. e lo sapete... non è un asso in cucina..

Tutte e tre rabbrividirono all'idea.

Finiva sempre così, strette su un divano a guardare un film di Clint Eastwood con suo padre.

Era un po' stanca della solita routine. Non che la sua vita fosse noiosa, sempre a seguire suo padre nelle sue gite familiari strampalate, ma a volte aveva l'impressione che le mancasse l'adrenalina, come quella che sentiva ogni volta che sua madre le raccontava delle storie.

Quelle che prediligeva erano quelle di fantasmi, anche se non credeva alla loro esistenza. Le pareva a volte di vedere sua madre in cucina la mattina, intenta a preparare la colazione. Si diceva che era solo frutto della sua immaginazione.

Ed è lì che si ricordò di una storia vera, ambientata in un casa abbandonata, che si trovava proprio nella sua città.

Come ho fatto a non pensarci prima?! Si domandò.

 Era un'occasione perfetta per realizzare un suo sogno, e allo stesso tempo divertirsi con le sue amiche.

-Ragazze?- disse con un sorriso sornione - Mi è venuta un'idea... 

quello sguardo furbo non era un buon segno per le due  amiche. Lo sapevano.

Sofia era un libro aperto.

 

-Io non ci entrerò mai!- dissero all'unisono le sue due amiche, che rabbrividivano alla vista di quella vecchia e logora villa. Eppure a Sofia era parso che fossero entusiaste all'idea di entrare a dare un'occhiata in una casa così antica.

Villa De Angelis non è poi così male... si disse.

Questo “modesto” focolare di ben tre piani più mansarda, era conosciuto anche con il nome “Villa Fantasma”. Si diceva che fosse infestata dai fantasmi dei proprietari, la Famiglia De Angelis appunto, una ricca quanto vecchia casata.

Ma, quando la moglie del Conte morì di tubercolosi e lui, crogiolato dal dolore della perdita, si uccise, l'abitazione andò in rovina e nessuno volle più entrarci. Si pensava addirittura che la ristrutturazione di quel luogo portasse sfortuna. Sciocchezze pensava Sofia, ma le sue due amiche non erano dello stesso parere.

Così, infreddolite, davanti all'enorme villa, alle 21.00 di sera, le ragazze avevano perso la spavalderia di quella mattina. E Sofia non sapeva cosa fare.

-Sentite- disse lei- Non so voi cosa volete fare, ma io entro lo stesso.

La sua voce era decisa e sicura. Per la prima volta sembrava veramente determinata.

Non poteva perdere quell'unica opportunità di entrare nella casa dei racconti di sua madre.

E' anche un modo per esserle più vicina...pensò.

-Voi, se volete, aspettatemi qui, tanto entro solo per dare un'occhiata, per curiosità.

Le sue amiche avevano una faccia a dir poco sconvolta: avevano paura: avevano paura che si cacciasse nei guai imbranata com'era. Dopotutto era una proprietà privata... anche se i proprietari erano assenti da secoli.

E con un sorriso, che tentava di essere rassicurante, si avviò.

L'enorme portone non era chiuso a chiave, oppure bloccato da travi di legno come si aspettava, quindi fu piuttosto facile entrare.

L'interno era molto più grande di come si immaginava: il pavimento in granito, che una volta doveva essere lucido come uno specchio, ora era coperto da uno spesso strato di polvere, così come alcuni dei pochi mobili che non erano coperti da un lenzuolo bianco.

Si addentrò nelle altre stanze della casa e pensò anche si salire ai piani superiori, ma della scala, grande e dalle curve aggraziate, rimanevano solo i gradini più alti, che portavano verso il buio. Era una visione surreale che sembrava uscire da uno di quei quadri di Dalì o Magritte che a sua madre piacevano tanto. Questo pensò si sarebbe chiamato “Scala per il Nulla”.*

Così, girando alla cieca insieme alla pila elettrica che le faceva di guida, si ritrovò in quella che doveva essere la sala da ballo.

Il pavimento era in parquet, sempre coperto di polvere, come tutto il resto: i mobili, l'enorme lampadario, e i quadri, tranne uno.

Si avvicinò all'oggetto in questione, un quadro molto più grande rispetto tutti gli altri che circondavano la sala. Stranamente, era perfetto, forse anche troppo. Non un filo di polvere sulla cornice, e la tela era in condizioni perfette, come se qualcuno ogni giorno lo restaurasse.

Si ritrovò attratta soprattutto dai soggetti del dipinto. Una coppia di ballerini, che volteggiavano in quella che, dietro di loro, doveva essere sicuramente la sala da ballo nel pieno del suo splendore.

La donna, era avvolta in un abito stile impero, con delle spalline sottilissime, che arrivava a coprirle le gambe fino alle caviglie. Un nastro nero alla base del seno, che finisce a fiocco dietro la schiena, contrastava con il colore del vestito: un bordeaux molto scuro tendente al marrone.

I capelli, erano dei boccoli color mogano che, delicati, le cadevano sulle spalle e le incorniciavano il viso pallido con la forma a cuore. Gli occhi erano di un marrone intenso e le labbra rosse come una rosa.

Lui, come la sua compagna, era di una bellezza accecante. Il corpo alto e atletico, le spalle larghe e il portamento regale lo rendevano ancora più affascinante. Lo smoking che indossava era nero e al petto era appuntata una rosa rossa, che spiccava in mezzo al quel trionfo di colori, nonostante le sue piccole dimensioni. I capelli erano bronzei, i lineamenti del viso spigolosi, decisi, ma al tempo spesso, di una dolcezza devastante. Ma la cosa più bella di lui, erano gli occhi. Un verde intenso, come il verde di un bosco incontaminato, ed erano indirizzati verso quelli della sua compagna di ballo.

Un po' mi dispiace che non siano indirizzati a me.

Si maledisse subito di quel pensiero sciocco e ritornò alla realtà.

Si chiese chi fossero e con la pila illuminò la targhetta d'oro con le incisioni dei loro nomi.

Conte Umberto e Contessa Greta De Angelis.

D'istinto tocco la tela del quadro per sentirne la ruvidezza. Nell'esatto momento del contatto con la tela, Sofia sentì la musica di un violino provenire dal piano di sopra. Ebbe l'irrefrenabile voglia di andare al piano superiore ma poi si ricordò che l'assenza della scala le impediva di accedervi.

Così si limitò a chiudere gli occhi e ascoltare le note da lontano, che dolcemente riempirono tutta la sala.

Li riaprì e le parve di essere tornata indietro nel tempo. La sala si mostrava ai suoi occhi com'era una volta.

Il pavimento, il lampadario luccicanti e i mobili erano come nuovi.

E poi apparvero, proprio davanti a lei.

Volteggiavano per la sala, così silenziosi e aggraziati che sembrava non toccassero terra. Gli abiti erano gli stessi del dipinto e ballavano seguendo la dolce melodia del violino. Le loro figure erano avvolte da una luce soffusa che dava loro un'aria ancora più celestiale.

Com'è possibile?! Si chiese.

Avrebbe dovuto aver paura: due persone morte da secoli che ballavano tranquillamente davanti a lei, dovevano fare un certo effetto. Lei però, era così incantata da quella visione che non riusciva a pensare ad altro.

Non credeva possibile una cosa del genere: quando sua madre le raccontava questa storia, Sofia la prendeva scherzosamente in giro, dicendole che era più bambina di lei se credeva ai fantasmi.

Ora, guardando questo spettacolo, doveva ricredersi.

Speranzosa, si chiese se, solo per quella volta, quegli occhi verdi che tanto amava potessero incrociare i suoi. E, come se le avesse letto nel pensiero, il Conte la guardò per un istante, che a lei parve una vita e, dolcemente, si perse in quel verde intenso. Si sentì subito meglio e restò ancora qualche attimo a osservare la coppia che danzava.

Sono bellissimi pensò.

Poi in un secondo tutto svanì: prima la sala da ballo con il pavimento luccicante, poi la coppia di amanti e infine la musica, che terminò il suo piccolo concerto con un lungo La.

Per tutta la durata di quell'episodio le sembrava di essere in contatto diretto con sua madre, ed è stata una sensazione indescrivibile. Gli anni senza di lei si erano annullati in un secondo.

-Mi manchi tantissimo mamma...- e mentre lo diceva, silenziosamente le lacrime cominciarono inevitabilmente a scendere. Passati alcuni minuti si ricompose, asciugandosi le guance con la manica del maglione.

Capì che era giunto il momento di tornare dalle sue amiche, non sapeva neanche da quanto tempo la stessero aspettando. Sembravano passate ore.

Con lentezza studiata, come per prolungare la sua permanenza in quella casa, si avviò verso il portone principale.

Prima di uscire si voltò un'ultima volta verso quel luogo magico che, sicuramente, non avrebbe rivisto mai più. Impugnato il pomello del portone di legno, sentì una voce provenire da dietro di lei, incredibilmente identica a quella di sua madre.

-E tu che non mi credevi... - e una dolce risata, la sua dolce risata, riecheggiò per tutta la casa.

Sofia, incredula, si voltò nella vana speranza di poterla vedere, ma davanti a lei c'era solo un vecchio salone.

Sospirò affranta, ma felicissima di aver sentito per l'ultima volta la sua voce.

Già... aveva proprio ragione, che stupida sono stata - si disse ridendo da sola.

Con quel bellissimo ricordo, varcò la soglia della villa, che, oltre a condurla fuori da quel posto, la conduceva verso la realtà.

 

Lidia e Chiara rimasero pazientemente ad aspettare la loro amica, ma la preoccupazione non svaniva dai loro volti. Per un momento avevano pensato di entrare dentro per assicurarsi che non fosse successo nulla di grave, ma l'aspetto tenebroso dell'abitazione annullava tutta la loro determinazione.

Dopo ben tre quarti d'ora, la videro uscire. Si erano già preparate una ramanzina degna delle loro madri, ma quello che videro le fece ammutolire.

Non sembrava lei: pallida, fatta eccezione per le guance che erano di color rosso fuoco, gli occhi che luccicavano e sulle labbra un sorriso malinconico.

Così si presentò Sofia ai loro occhi. Timorose si avvicinarono a lei e iniziarono il tragitto verso casa di Lidia.

-Perché mi guardate in quel modo?- chiese Sofia.

Stupite di non essersi accorte di fissarla troppo intensamente, si riscossero dai loro pensieri e Lidia, con un po' di coraggio, rispose: -No niente..sembri solo un po'..strana. Hai la faccia di un'allucinata! Non ti sarà per caso apparso l'Arcangelo Gabriele per dirti che sei incinta del nuovo messia! Ahah!!

-Secondo me invece- disse Chiara- si è solo allontanata per fumarsi una canna! Parla! Dove la nascondi la roba??

-Invece siete voi quelle che si sono fumate qualcosa! Che cosa vi viene in mente? Ahahah!

Con questo giro di battute, le due amiche si resero conto che era tutto normale e si diedero delle stupide.

Sofia, invece, sapeva che non poteva dir loro che aveva visto dei fantasmi, e che sua madre le aveva parlato.

Mi prenderebbero per pazza, e mi rinchiuderebbero in un manicomio! pensò divertita.

Quella fu la prima volta che non riuscirono a leggere veramente Sofia.

Lei stessa sapeva che dopo quella notte, tutto sarebbe cambiato.

Non era più un libro aperto.

 

* Frase presa in prestito dal romanzo “La città di Ossa” di Cassandra Clare. ^_^

 

 

Ciao a tutti!!!

Beh che dire… prima fan fiction… e sono agitatissima!!! O.O

Prima di tutto ringrazio la mia amica Alise per aver sopportato tutte le mie crisi di nervi e i miei dilemmi alla Amleto *metto…o non metto la fan fiction??? Questo.. è il problema u.u*, e anche perché mi ha aiutata nella correzione.. diciamo che è stata una pseudo - beta! xDD

Spero vi sia piaciuta la storia! Forse ho messo troppe descrizioni, ma quando scrivevo non riuscivo più a fermarmi! Non so se mi spiego eheh! J

Ringrazio chiunque abbia letto questa one-shot (spero che qualcuno la legga! xD)!

Sono gradite le recensioni naturalmente! ^^

Un abbraccio

 FedePex

 

  
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