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Autore: _KyRa_    03/08/2010    6 recensioni
Si sentiva ancora una bambina, piccola, immatura. Come poteva solo lontanamente pensare di compiere un salto talmente grande da gravare sulla sua intera vita?
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'This is it.'
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metter of kowledge

Chapter Four.
- Metter of knowledge -



Il muro reso freddo dalla leggera brezza serale francese, a contatto con la sua schiena, le provocò una piacevole scarica di brividi lungo la colonna vertebrale. Il cielo scuro, sopra di lei, ospitava una gran quantità di stelle, rese perfettamente visibili, grazie all'assenza di ogni nuvola. I suoi piedi, fasciati da scarpe da ginnastica, erano a contatto con l'erba altrettanto fresca del giardino, sul retro dell'albergo. Disegnava cerchi invisibili su di esso con un piede, mentre i suoi occhi vagavano distrattamente verso l'alto, alla ricerca di un qualcosa che andasse oltre quel blu infinito.

I ragazzi erano a qualche passo da lei, intenti a chiacchierare mentre soddisfacevano i loro sensi con una sigaretta. Gustav era l'unico che aveva optato per dei polmoni in salute, mantenendo quindi le sue grosse mani nelle tasche dei suoi pantaloncini e rimanendo in silenzio, come era solito fare il più delle volte. Bill teneva tra le dita una sigaretta, con eleganza, poggiato con il bacino ad un muretto alle sue spalle e parlava con suo fratello, il quale anch'egli aspirava un po' di fumo, di tanto in tanto, dalla sua sigaretta, con una mano nella tasca dei suoi jeans oversize. Georg prestava semplicemente attenzione ai movimenti di Gustav, pensando a chissà cosa, mentre sedeva sul muretto, a qualche centimetro di distanza da Bill.

Monique non poteva fare a meno di osservare quella situazione di fronte a lei e studiare i quattro ragazzi attentamente. La sua attenzione veniva catturata spesso dalla figura alta ed imponente del chitarrista, portandola a vagare con la mente vero l'accaduto di qualche minuto prima, quando ancora sedevano al tavolo della sala da pranzo. I suoi comportamenti, ma soprattutto quelli di suo fratello Bill, le erano parsi a dir poco sospetti e non riusciva a non darvi un certo peso. Voleva capire se il vocalist fosse effettivamente al corrente di qualcosa a lei sconosciuto... Quello sguardo enigmatico che si era scambiato con Tom era stato del tutto strano.

«Hey, che fai qui da sola?» la voce di Gustav la riportò alla realtà, facendole voltare appena il capo alla sua sinistra. Non si era nemmeno accorta dell'avvicinamento del batterista, mentre era troppa assorta nei suoi pensieri. Sorrise appena, abbassando lo sguardo per qualche secondo.

«Nulla, contemplo il vuoto.» rispose gentilmente, stringendosi nelle spalle.

«Mmm... Scoperto qualcosa di interessante?» le domandò scherzoso.

«A dire il vero sì. Nel vuoto puoi vedere molte più cose di quanto tu possa credere, fidati.» sorrise la ragazza, tornando a poggiare la testa all'indietro, sul muro roccioso.

«Perchè non vieni lì con noi?» le propose successivamente il ragazzo, piegando leggermente il capo per guardarla in volto con espressione estremamente dolce sul volto.

«Perchè qualcuno non gradirebbe la mia presenza.» commentò con leggerissimo sarcasmo Monique, curvando appena le labbra all'insù.

«Tom è un tipo complicato, ma non è cattivo.» Monique sollevò le sopracciglia con espressione scettica. Non sapeva il motivo, ma non riusciva a credere fermamente a ciò che il batterista aveva appena detto. «Fa il buzzurro, l'antipatico e l'egoista, ma in realtà ha un cuore grande.» continuò ed a quel punto Monique non seppe trattenere una lieve risata. Le rimaneva piuttosto difficile concordare sul fatto che egli avesse un così detto cuore grande. «E' la verità.» le sorrise il biondino. «Può sembrar strano, ma è solo questione di conoscenza.» aggiunse.

«Sarà, ma è lui che non vuole farsi conoscere da me.» scrollò le spalle la ragazza, dando una veloce occhiata al chitarrista, alle prese in una conversazione con gli altri due.

«Tu hai mai provato a farti conoscere da lui?» le domandò dolcemente. Monique sollevò lo sguardo su di lui, specchiando i suoi occhi castani in quelli del ragazzo. A tale domanda non seppe dare risposta; forse perchè effettivamente non aveva mai provato ad intraprendere un discorso con il chitarrista. Aveva sempre e solo taciuto di fronte alle sue provocazioni; gli aveva solamente fatto notare la sua sgarbatezza nei suoi riguardi una volta, ma – pensandoci – non aveva mai provato a parlare d'altro con lui. D'altronde come avrebbe mai potuto farlo, visto il suo ripudio per lei? «Dai, vieni.» le intimò Gustav, invitandola ad avvicinarsi agli altri. Obbedì a quella richiesta e lo seguì fino a raggiungere il muretto in marmo bianco.

L'improvviso irrigidirsi ed il cambio di espressione di Tom non le passarono di certo inosservati, ma si ostinò a fare finta di nulla, mantenendo un semplice sorriso sul suo volto.

«Hey, Monique, vuoi una sigaretta?» le domandò Bill con estrema ilarità, porgendole il pacchetto.

«No, grazie, Bill, non fumo.» declinò gentilmente l'invito ed il vocalist lo infilò nuovamente in tasca. Anche l'avesse fatto, non avrebbe potuto.

«Domani si torna alla realtà di tutti i giorni... Cominciavano a piacermi questo albergo e Parigi.» esortò Georg, portandosi dietro l'orecchio una ciocca di capelli rossi, perfettamente piastrata.

«Taci, io rivoglio il mio letto. Prima mi sono seduto su quello della mia stanza... E' duro come il marmo.» si lamentò Bill, sbuffando una boccata di fumo precedentemente inspirata.

«Tu ti lamenti sempre, Bill.» commentò Gustav, sorridendo appena.

«No, mi lamento quando è giusto farlo.» ribattè il moro, schiacciando la sigaretta sotto al piede.

«Oh, coglione, non puoi lasciarla per terra. Siamo in un albergo.» borbottò Tom, raccogliendola con la punta delle dita, piuttosto schifato, e buttandola successivamente nel bidone della spazzatura.

«Tu e le tue manie ambientaliste...» commentò Bill, sollevando gli occhi al cielo.

«Caso mai, io e la mia educazione.» ribattè nuovamente il chitarrista, dopo aver gettato anche la sua sigaretta. Monique sollevò un sopracciglio, senza farsi notare. Era solo con lei, allora, che sfoggiava il meglio di sé e della sua non educazione?

«Monique, non ci hai mai parlato veramente di te.» disse improvvisamente Gustav, guardandola con un piccolo sorriso in volto. Sapeva che lo stava facendo apposta, proprio per il loro precedente discorso.

«Già, è vero... Perchè non ci racconti un po' di te?» lo assecondò Georg, accomodandosi meglio su quel muretto.

Monique aveva sempre odiato parlare di sé, che fosse in bene o in male, non le era mai piaciuto... Ed ora aveva un'enorme motivazione in più per non farlo. Ma come poteva dire di no agli occhi curiosi di Georg?

«Beh, di me non c'è molto da dire. Da quando lavoro per voi, mi sono dovuta trasferire qui a Berlino: prima abitavo con i miei ad Amburgo.» cominciò con un lieve impaccio e con le mani rifugiate nelle tasche. Quando era nervosa, pregava perchè avesse delle tasche a disposizione, o avrebbe cominciato a torturarsi le mani ad ogni parola che pronunciava.

«Vivi da sola, quindi?» domandò Bill, piuttosto interessato.

«Sì.»

«Ti mancano i tuoi?»

«Molto ma, appena posso, li vado a trovare.»

«Tra l'altro, sei figlia unica vero? Sai, perchè io e Tom, per lo meno, possiamo sostenerci a vicenda. Quando sentiamo troppa mancanza dei famigliari, comunque ci diamo sostegno. Immagino che per te sia più difficile.»

«Beh, sì, lo è. Ma alla fine ho imparato a farci l'abitudine. Non serve che mi pianga addosso, non li fa avvicinare.»

«E non ce l'hai il ragazzo?»

Monique serrò la mascella, mentre la tempia prendeva a pulsarle velocemente.

«No.» sibilò a denti stretti. «Ma ho una migliore amica, che viene a stare da me molto spesso, per farmi un po' di compagnia.» decise di cambiare subito discorso, sforzando un sorriso nel pensare a Jessica.

«Strano che una bella ragazza come te non abbia il fidanzato.» commentò Bill quasi perplesso.

«Bill, che ne dici se andiamo a dormire? David poi si incazza... E' già l'una.» intervenne per la prima volta Tom in quel discorso. Il vocalist buttò un occhio al suo orologio da polso e poi annuì.

«Sì, hai ragione. Beh, Monique, avremo altre occasioni per parlare.» le sorrise amabilmente il ragazzo. Monique annuì non troppo convinta e seguì i ragazzi verso l'entrata dell'albergo.


**


Non riusciva a chiudere occhio. Per sbaglio, quella notte – vista la mancanza di sonno – aveva acceso la televisione della sua stanza d'albergo, a volume minimo, e la prima cosa che le era balzata all'occhio era stata una donna in procinto di partorite. Non poteva sentire, ma poteva perfettamente osservare il suo volto contratto in una smorfia di dolore. Aveva guardato qualche secondo quella scena alquanto macabra con sguardo perso e scandalizzato, fino a che non ebbe spento velocemente il televisore, alla vista della testa del bambino che cominciava ad uscire. Non aveva voluto assistere oltre. Era sempre stata fifona per certe cose e la sua soglia del dolore l'aveva sempre fregata in molte situazioni.

Così si era ritrovata nel letto, con due fanali al posto degli occhi, e con quell'unica immagine impressa nella mente, chiedendosi come mai avrebbe fatto ad affrontare una cosa simile. La paura aumentava attimo dopo attimo, così come i suoi battiti cardiaci, ragion per cui decise di alzarsi dal letto ed aprire silenziosamente la portafinestra che dava sul balconcino della sua camera. Una bella boccata d'aria non le avrebbe fatto male.

A contatto con la brezza fresca rabbrividì, stringendosi con le sue stesse braccia nel suo semplice pigiama grigio, ma poi un piacevole senso di sollievo la pervase. Si appoggiò con i gomiti sulla ringhiera e planò il suo sguardo sul paesaggio notturno di Parigi: senza dubbio era uno spettacolo degno di essere visto.

Nella sua mente apparve, in un lampo, uno schema del suo futuro incombente. Quel bambino non lo aveva ancora accettato... Forse da una parte l'aveva già fatto, scegliendo di tenerlo – ma per il semplice ed unico fatto che non avrebbe mai voluto uccidere una vita umana; quello non lo avrebbe mai fatto a prescindere. Non riusciva lo stesso, però, a visualizzarsi nei pesanti panni di madre. Quella parola le suonava anche troppo stonata, se accostata affianco al suo nome. A dire il vero non aveva mai pensato di diventare madre nemmeno in un futuro più lontano; per di più ora si trovava da sola, nonostante la presenza costante della sua migliore amica che, era sicura, ci sarebbe sempre stata per darle una mano.

Quando – per caso – voltò lo sguardo sulla sua destra, per poco non emise un urlo acuto che sarebbe stato in grado di risvegliare l'intera città dormiente. Tom era seduto sulla sedia in vimini del balconcino adiacente, intento a fumare una sigaretta, con una semplice tuta nera a fasciargli il corpo. Anche lui aveva tutta l'aria di essersi appena alzato dal letto – anche se qualche attimo prima di lei – ed aver indossato i primi capi trovati a portata di mano per non sentire freddo.

Monique si chiese cosa ci facesse ancora sveglio alle tre di notte, quando proprio lui, poco prima, aveva intimato ai suoi compagni di tornare in stanza per dormire, vista l'ora avanzata.

Evidentemente non si era accorto di lei perchè continuava a fumare come se nulla fosse, osservando con sguardo perso il paesaggio di fronte a sé. La ragazza non poté fare a meno di pensare che preso a quella maniera sembrava quasi un ragazzo dolce e profondo. Non aveva mai negato di trovarlo piuttosto carino, per quanto riguardava l'aspetto fisico, ma il suo carattere tremendamente testardo e scortese l'aveva sempre portata a non vedere altro in lui che i suoi difetti.

«Se vuoi, scattami una foto, così te la puoi guardare quanto vuoi senza infastidire me.» aveva parlato il ragazzo, senza degnarla di uno sguardo e facendo il tutto come se lei non fosse mai esistita. Monique, presa alla sprovvista, arrossì violentemente, reprimendo un pericolosissimo istinto omicida.

Quindi si era accorto della sua presenza...

«Mi chiedevo solo cosa ci facessi ancora sveglio, tutto qui.» borbottò quest'ultima, voltandosi nuovamente verso il paesaggio di fronte a lei. Rimasero qualche attimo in silenzio, fino a che Monique non decise di parlare di nuovo. «Non riesci a dormire?» domandò, scrutandolo appena con la coda dell'occhio.

«Non sono affari tuoi.» la liquidò il ragazzo, come sempre. Monique venne pervasa da mille e più brividi di rabbia, ma cercò di contenersi. Ricordava perfettamente le parole di Gustav di quella stessa sera... Tom è un tipo complicato, ma non è cattivo... Fa il buzzurro, l'antipatico e l'egoista, ma in realtà ha un cuore grande... E' solo questione di conoscenza. Doveva darvi ascolto? Ci avrebbe provato, ma la sua pazienza – comunque – stava arrivando al limite.

Sospirò appena, distogliendo nuovamente lo sguardo da lui per spremersi su un qualcosa che potesse dire.

«Sai cosa penso, Tom?» esortò improvvisamente, d'impulso.

«Non mi interessa saperlo.» ribattè il ragazzo, ma Monique agì come se non avesse mai parlato.

«Penso che tu abbia paura di conoscermi.»

«E perchè dovrei averne? Non mi interessa fare la tua conoscenza, tutto qui. Mi sei indifferente.»

«Se ti fossi del tutto indifferente, non ti comporteresti in modo tanto scorbutico con me.»

«Ne sei davvero sicura?» A quella domanda, entrambi si guardarono per qualche attimo. Lui con sguardo di sfida, penetrante e freddo; lei più insicura, ma solamente per il fatto che quelle occhiate cariche di odio la mandavano sempre nel pallone. Non appena il chitarrista distolse nuovamente lo sguardo, per continuare a fumare con tranquillità infinita, Monique riprese a respirare. «Ti consiglio di non essere così presuntuosa, Schmitz.» disse poi, portando fuori dalle sue labbra carnose e contornate dal piercing nero una nuvola di fumo grigiastra, ad ogni parola che pronunciava. Monique si era soffermata sui movimenti leggeri e quasi sensuali (?) della sua bocca, trovandosi a deglutire più volte. Come potevano delle labbra così ben fatte sputare tutte quelle cattiverie con così tanta facilità?

«La mia non è presunzione. Sto solo cercando di capire i tuoi strani comportamenti. Non puoi odiarmi, non si può odiare una persona senza nemmeno conoscerla.» disse Monique, cominciando ad alterarsi e rendendo così la sua voce più tremolante. Vide Tom sospirare scocciato e spegnere la sigaretta nel posacenere accanto a sé, per poi sollevarsi dalla sedia di vimini. Guardò Monique e si aggiustò il cappuccio della felpa dietro alle spalle.

«Sai che ti dico? Mi sono stufato di sentire le tue lamentele.» disse acido, voltandosi poi in direzione della sua portafinestra e camminando verso essa, con l'intento di tornare in camera sua a dormire. «Tu lavori per me, Schmitz, e basta. Non è scritto da nessuna parte che tra noi debba esserci un qualche rapporto differente; mettitelo in quella testa dura.» sibilò freddo, prima di chiudersi la porta in vetro alle spalle e tirare le tende, per permettergli di sparire dalla vista di Monique. Quest'ultima reprimette un urlo di ira e tornò in camera a grandi falcate.

Ci aveva provato, con lui, e non aveva concluso nulla. Al diavolo le parole di Gustav: Tom era solamente un bambino egoista.


**


«Sul serio ti ha risposto così?» lo voce di Jessica risuonò piuttosto sorpresa e sconcertata attraverso quell'apparecchio telefonico. Monique continuava a fare avanti e indietro per la sua camera d'albergo, gesticolando più e più volte, mentre attendeva che qualcuno la venisse a chiamare per la partenza.

Aveva raccontato la conversazione – se così si poteva chiamare – di quella notte che aveva dovuto tenere con quell'essere spregevole – detto anche Tom – alla sua migliore amica, in cerca di un appiglio su cui sfogare la propria rabbia.

Lei aveva fatto esattamente come le aveva consigliato Gustav: aveva cercato la conversazione; avrebbe anche provato a farsi conoscere per quanto possibile, ma Tom aveva troncato sul nascere quell'idea. Per lo meno lei la forza di volontà ce l'aveva messa ed aveva anche represso più volte la voglia di prenderlo a pugni. Più di quello, non sapeva proprio cos'altro dovesse fare. Lui non voleva instaurare un normalissimo rapporto civile con lei, e lei di certo non si sarebbe più sforzata di ottenerlo. D'altronde le interessava così tanto instaurare un rapporto con Tom?

«Sì! Avrei voluto tirargli una craniata in piena fronte per poi sputargli in un occhio, ma ha fatto in tempo a rinchiudersi in camera sua...» rispose Monique, presa dal nervoso. Udì la risata lieve di Jessica dall'altra parte del telefono e si imbronciò ulteriormente. «Non c'è niente da ridere.» obiettò. Improvvisamente sentì bussare alla porta della stanza.

«Monique? Sei pronta?» la chiamò David, da dietro essa.

«Sì eccomi! Ti devo lasciare, Jess, ci vediamo stasera.»

«D'accordo, a stasera.»

Monique ripose il cellulare nella tasca dei suoi jeans attillati e, preso il piccolo borsone, uscì dalla camera. Trovò in corridoio i quattro ragazzi al completo assieme a David e Tobi, pronti per ripartire. Lanciò una gelida occhiata a Tom, il quale la guardava come se mai nulla fosse successo, ma con la solita freddezza, e seguì il resto del gruppo verso l'ascensore.

Avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle quella vicenda di Parigi e concentrarsi esclusivamente su se stessa.


**


La crema alla nocciola stava rinfrescando piacevolmente la sua bocca. Rannicchiata sul divano, in pigiama, era intenta a ripulire un enorme cucchiaio ancora interamente ricoperto di gelato. Quale soluzione migliore se non quella, per sfogare i propri nervi?

Di fronte a lei, Jessica la osservava con lieve divertimento, spostando ogni tanto il suo sguardo sulla vaschetta ormai vuota, poggiata sul tavolino affianco al divano.

«Sei un pozzo senza fondo. Ormai mi rifiuto di dirti qualunque cosa.» ridacchiò, poggiando la testa sulla sua mano e continuando ad osservare la sua migliore amica, piacevolmente soddisfatta da quella mangiata. Quando Monique ripose il cucchiaio nella vaschetta, si stravaccò meglio sul divano, sospirando sorridente.

«Ora sì che sto bene.» commentò la castana, chiudendo gli occhi.

«Io comunque mi sono fatta una mia opinione di tutta questa storia.» esortò Jessica, improvvisamente, rigirandosi tra le dita una ciocca di capelli.

«Quale? Che Tom è un buzzurro, egoista, poppante con seri problemi di egocentrismo e presunzione?» domandò Monique, schifosamente ironica.

«Apparte quello.» tagliò corto la rossa. Monique si voltò verso di lei, attendendo che parlasse. «Non è che è attratto da te, a dispetto di ciò che vuole dimostrare?» domandò seriamente. La castana impiegò qualche secondo per afferrare pienamente il senso logico – se mai l'avesse avuto – di quella frase, per poi scoppiare a ridere quasi istericamente. «Noto con piacere che il pensiero ti diverte.» sorrise Jessica, sollevando un sopracciglio; al che Monique si ricompose.

«E' semplicemente impossibile. Mi odia dal profondo del cuore e non so il perchè. Ma comunque non mi interessa più.» rispose con superficialità, recuperando la vaschetta vuota di gelato ed incamminandosi verso la cucina per buttarla.


  
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