Sotto l’inchiostro
_Reminescenza
- Becky lo osservava, stupita dal fatto che le sembrasse di
conoscerlo. Forse era solo la mente che le faceva brutti scherzi.
Forse erano le esalazioni
dell’alcol, il buio, la tensione.
Tutte quelle cose assieme, probabilmente. Ad ogni modo,
continuava a guardarlo, senza dire niente.
Lui sorrideva, rilassato. La osservava, senza muoversi, senza
parlare. Non sembrava avere nessuna fretta, nessuna cosa da fare. Era come se
il suo unico desiderio in quel momento fosse continuare a stare lì, di fronte a
quella ragazzetta. A quella piccoletta che si fingeva coraggiosa, che se ne
stava nascosta in una felpa che era il doppio di lei. Fissava gli occhi in
quelli grandi e spaventati di lei e non pensava a nient’altro. Lo
aspettavano di sotto: aveva detto agli altri che sì, sarebbe tornato subito.
Pochi minuti, ragazzi e torno giù, non preoccupatevi.
Ci divertiremo. Così aveva detto. Ora però non se lo ricordava.
Aveva completamente dimenticato gli amici, le ragazze, tutto.
Non rimaneva niente al di fuori della ragazzina che aveva davanti.
“ Vuoi qualcosa da bere, Becky ? ” chiese cortese,
rompendo il pesante silenzio.
Lei scosse la testa, cercando di arretrare.
Non appena lui se ne accorse, capì di aver sbagliato. Non era
l’approccio giusto, e lo aveva sospettato fin dall’inizio. Era
diversa.
Sembrava che si trovasse decisamente nel posto sbagliato e ancor
di più nella serata sbagliata.
Non era tipo da quelle cose e a Duncan, senza capire neanche
perché, quell’idea piacque tantissimo.
“ Hai ragione. Per ubriacarsi qui basterebbe respirare a
pieni polmoni, vero ? ” continuò lui, addolcendo il sorriso e
avvicinandosi di un passo.
Becky lo osservava, con i nervi tesi, pronta a scattare. Al
minimo segno di pericolo si sarebbe messa a correre e lui non sarebbe riuscito
neanche a vedere da che lato era sparita.
Non lo sentiva davvero quel senso di pericolo, però. Non
riusciva a capire come fosse possibile, ma l’istinto in quel momento non
le ispirava paura, tutt’altro…
Studiava il ragazzo, molto vicino e con sorpresa si accorse di
come nel suo alito non ci fosse il minimo sentore di alcol.
Non aveva un atteggiamento provocatorio: le mani in tasca, i
piedi irrequieti, sembrava piuttosto a disagio.
“ Vieni a fare un giro con me, Becky ? ” chiese
ancora, senza toni di urgenza nella voce. Accomodante, rilassato. E sempre
sorridente.
Becky osservò la fossetta che si era creata nella sua guancia e
ne rimase spiazzata.
Per qualche motivo assurdo si sentiva sicura. Aveva
l’impressione di doversi fidare, di dover acconsentire, di dover andare
con lui. Con Duncan.
Il ragazzo aveva spalle larghe, forti. Una caratteristica che
avrebbe tanto potuto tanto spaventarla quanto confortarla.
Quando annuì, le sembrò che a farlo fosse stata un’altra.
Non potevo essere che avesse acconsentito, vero ? E se era un
maniaco ?
Non voleva morire quella notte Becky, a soli diciannove anni, in
una casa sconosciuta.
Duncan si era già avviato lungo il corridoio, facendole strada,
ma lei non si era mossa.
Quando lui si girò, tornando a fissarla, si sentì rivolgere una
domanda che lo sconcertò:
“ Vuoi farmi male, Duncan ? ”
Ecco cosa gli aveva chiesto. Con voce sicura, affatto tremante.
Lo fissava, con aspettativa, attendendo solamente di veder comparire negli
occhi di lui una luce maligna.
Non successe.
Duncan la guardava, non riuscendo a credere alla domanda. Non
aveva mai incontrato una ragazza così, non riusciva a spiegarsi cosa in lei gli
piacesse tanto.
Solo tornò ad avvicinarsi, cacciando una mano dalla tasca del
jeans ed allungandola verso di lei, con il palmo rivolto verso l’alto.
Voleva che lei la prendesse. Voleva che fosse lei a fare il
primo passo, fidandosi.
“ Non lo farei mai, Becky. ”
Qualcosa nella voce del ragazzo la toccò fin nel profondo.
Il tono, la serietà nello sguardo: o era un bugiardo di prima
qualità, o diceva la verità.
E Becky propendeva per la seconda. Sorrise, portando con timore
la mano in quella di lui.
Duncan ricambiò il sorriso, facendo formare di nuovo le fossette
di poco prima, e strinse la mano della ragazza. Protezione, ecco cosa sembrava
volerle assicurare con quella presa.
La guidò lungo il corridoio, svoltando poi a destra e
proseguendo a passo svelto. Non correva troppo, aveva anzi adeguato il suo
passo a quello della ragazza. Becky non riusciva a guardarsi attorno. Non
vedeva niente: né i corridoi né le porte né le scale. Niente al di fuori di
lui. Di Duncan.
Ne fissava la mano: quella che stringeva, grande, calda,
morbida. Quella che contro ogni logica le ispirava sicurezza, calma. Promesse
in cui stentava a credere.
I suoi occhi erano come incatenati. Se non fissavano la mano di
lui, si spostavano a rilento sulla sua schiena, sulle sue spalle. Al massimo
sulla testa. Non riuscivano ad inquadrare nulla di più e lei non ne sembrava
preoccupata. Non le importava. Quando Duncan si fermò, lo fece con calma,
dandole modo di percepire il leggero rallentamento e di non finirgli contro,
sbilanciandolo. Becky sollevò irrequieta lo sguardo, trovandosi di fronte una
porta finestra. Era grande, enorme quasi. Fu lui ad aprirla, facendola scorrere
piano.
“ Andiamo? ” chiese, con voce bassissima.
Lei non rispose, seguendolo docilmente. Uscirono, accolti subito
da una forte brezza.
Era fredda, sinuosa: morbida e al tempo stesso raggelante.
Non vi erano illuminazioni e ci misero qualche minuto ad
abituare la vista, quando gli occhi si furono sufficientemente abituati però
riuscirono tranquillamente ad inquadrare il luogo. Duncan sapeva dove si
trovavano, non ne rimase sorpreso più di tanto. Becky invece restò sconcertata,
al punto da non accorgersi che lui le aveva lasciato la mano.
Erano usciti all’esterno: in terrazza. Un balcone enorme.
Pieno di fiori, con un muretto basso a recintarne il perimetro. Grazie
all’assenza di luci, l’atmosfera era bellissima.
Suggestiva, sarebbe stato solo un eufemismo.
Il cielo era di un nero pece, così scuro da sembrare
un’unica macchia di inchiostro. C’erano però, dei minuscoli puntini
luminosi a brillare in quel nero.
Tanti, tantissimi, innumerabili puntini. Brillavano, quali più
quali meno. Di una bellezza incomparabile.
Becky adorava le stelle, le erano sempre piaciute. Mai quanto
quella sera, però.
Il vento agitava le foglie, era come se desse voce a tutte
quelle piante. Muoveva i fiori, dava vita ad ogni cosa.
E anche i capelli di Becky cedettero presto a quella forza:
presero a sollevarsi e ruotare, abili e vivaci.
Lei non se ne accorse. Non pensava a sé, non pensava al vento, e
nemmeno a Duncan.
Il paesaggio in qualche modo era riuscito a distrarla
totalmente.
Lo sguardo non si fermava, scorrendo su ogni cosa, veloce,
instancabile. Passò senza fermarsi dal cielo al terrazzo, raggiungendo rapida
la discesa sotto di loro: la base della collina, ecco cosa avevano sotto i
piedi. E continuando, proseguendo lungo quella strada, si raggiungevano le
miriadi di altre lucine: quelle che sembravano voler far concorrenza alle
stelle, quelle che però si trovavano per terra. Ed erano le case. Erano i
lampioni, le finestre, le vetrine, le macchine. Tutto ciò che era vita. Sintomi
del fatto che la vita continuava…
Becky sorrise, estasiata da quella vista, e solo in quel momento
si accorse del fatto che Duncan non le teneva più la mano: non era vicino a
lei, né alle sue spalle. Si era allontanato di qualche passo, fermandosi vicino
al parapetto, i gomiti poggiati sul muretto ed il viso fra le mani. Non la
guardava, lo sguardo perso sotto di sé.
“ Cosa ci fai qui, Becky? ”
Lo aveva chiesto lui, facendo trasalire la ragazza. Lei lo
credeva distratto, per questo non si aspettava di sentirne la voce. Era un tono
dolce il suo, però, un tono che le piacque.
Perciò, dopo un attimo di silenzio, rispose.
“ Non credo di aver capito la domanda ”
“ Perché sei qui? ” ripeté lui, girandosi per
guardarla in viso. Sorrideva.
“ Non è il tuo posto, Becky ” continuò, cercando di
chiarirsi.
“ Sembri un pesce fuor d’acqua. Non sei adatta a
queste feste, o sbaglio? ”
Lei non rispose, respirando piano, le mani in tasca. Sembrava
voler imitare il modo di fare del ragazzo, quasi per sentirsi più sicura.
Lui la osservava, in attesa.
“ Sbagli ”
“ Tu dici? ” ribattè lui, senza spostarsi,
continuando semplicemente a fissarla.
“ Sì. Perché non mi conosci. Perché non sai niente, e non
hai il diritto di giudicare. Perché per quello che sai, io potrei anche essere
una prostituta, o una poliziotta in borghese. Tu non sai niente, e non…”
Lui non le lasciò il tempo di concludere, interrompendola quasi
brutalmente:
“ Non sei una prostituta e nemmeno una poliziotta. Di
questo sono sicuro. So anche che sei una studentessa, che frequenti lettere,
terzo anno. Certo, hai ragione su qualcosa: è vero che non ho il diritto di
giudicare. Ma non stavo giudicando. Ti chiedevo semplicemente il perché della
tua presenza qui, nell’ultimo posto in cui mi sarei aspettato di
incontrarti ”
Becky rimase in silenzio per qualche minuto questa volta.
Era rimasta sconcertata dalle parole di Duncan, parole che non
si aspettava. Aveva detto cose vere, con una sicurezza allarmante. Sapeva che
frequentava l’università, così come che aveva scelto lettere e che era al
terzo anno. Eppure lei non era riuscito a riconoscerlo.
Vedendolo aveva avuto una sensazione di familiarità, ma non se
la spiegava.
Poi, lui l’aiutò. Inconsapevolmente.
Mosse la mano, portandosela dietro il collo. In un gesto che
poteva tanto sembrare di pudicizia quanto di autorevolezza. Un gesto ambiguo ed
al tempo stesso dolce, rassicurante.
E fu per quel gesto a colpirla, quel gesto a farle capire con
chi aveva a che fare.
Ritornò subito con la mente a tutte le lezioni che aveva avuto
con il professor Belga, e pensando a quelle lezioni, ricordò anche lui. Il
tirocinante.
Ripensò a quando camminava fra i banchi, chiedendo il silenzio,
consegnando compiti e ritirando fogli… distribuendo sorrisi a ragazze
sognanti. Sì, era proprio lui. Lui che non riusciva a smettere di passarsi
quella mano dietro il collo.
Duncan si accorse subito del lampo che passò negli occhi della
ragazza e capì di essere stato riconosciuto. Se lo aspettava anzi. Ci era
rimasto quasi male quando si era accorto che lei non lo aveva inquadrato sul
momento. Lui l’aveva riconosciuta istantaneamente.
“ Non mi andava di studiare ”
Duncan rialzò gli occhi, fissandoli in quelli enormi e spauriti
di lei.
“ Come? ” chiese, distratto e sorpreso.
“ Ho risposto alla domanda che mi avevi fatto. Sono qui
perché non mi andava di studiare, stasera. Qualcosa in contrario? ”
Duncan sorrise, scrollando le spalle.
“ Tutt’altro, per carità. Per quanto mi riguarda
poi, l’esame con me l’hai già dato o sbaglio? Tu non sei quella che
aveva quella buffa teoria sulla reminescenza? ”
Sorrideva sotto i baffi mentre lo aveva chiesto, perché era una
domanda falsa: conosceva già la risposta. Voleva però vedere come avrebbe
reagito lei.
Becky strinse gli occhi, accalorandosi subito.
“ Buffa, un accidenti! E’ la mia teoria. Una giusta
teoria! Come ti permetti di definirla buffa? Buffa! Ma per cortesia! Ti sei almeno
degnato di leggerla? O parli così, a vanvera, dopo averne letto meno di due
righe? Non sopporto critiche da chi non sa di cosa parla. Non è stupida né
errata né buffa! Mi sono documentata, ho chiesto in giro, cercato… ci ho
sudato su quella dannata tesina. Non sarebbe giusto penalizzarmi solo per aver
provato a … ”
“ Non ti ho penalizzata ”
“ L’hai appena definita buffa ”, replicò lei
secca, con gli occhi stretti.
“ Hai preso il massimo dei voti ”
“ Non capisco ”
“ Non sono stato io a definirla buffa, Becky. E’
stato il professor Belga. Dopo di lui l’ho letta anche io. E mi sono
trovato completamente in disaccordo. Così ho modificato il voto ”
Lei sgranò gli occhi, credendo a stento alle parole del ragazzo.
Non lo credeva possibile.
Eppure gli occhi di lui erano sinceri, fermi nei suoi, affatto
indecisi. Il sorrisetto era vero, affascinante, provocatorio. Tutto in lui era
eccitante.
“ Cosa avresti fatto? ”
Duncan capì in quel momento di aver vinto.
Lo capì dal viso di lei, dal modo in cui si avvicinò: gli occhi
aperti, leali. Un sorrisetto al tempo stesso incerto e indisponente. Con
una mano Becky si portò i capelli dietro le orecchie, l’altra ancora
affondata nella tasca della felpa.
“ Ho modificato il voto ” rispose lui, senza indugi.
Becky avanzò di un altro passo ancora, ritrovandosi così a
sfiorare il corpo di lui con il suo.
Si toccavano, quasi in modo impercettibile.
Lei doveva tenere lo sguardo rivolto verso l’alto e lui il
viso piegato verso il basso.
Gli occhi erano incatenati gli uni negli altri, non riuscivano a
separarsi.
“ Grazie ” sussurrò lei, la voce portata subito via
dal vento.
Duncan estrasse la mano dalla tasca, portando due dita sotto il
mento della ragazza: le sollevò il viso, avvicinandolo ancora di più a sé.
Sorrise, formando le fossette che a lei piacevano tanto. Non sapeva cosa
rispondere.
Non aveva idea di cosa dire. Era come paralizzato. Dagli occhi
di lei, dal rossore timido ed eccitato delle guance, dalle labbra così
inavvertitamente sensuali. Poi se ne accorse.
Si accorse di quel piccolissimo movimento, e allora seppe cosa
fare.
Vide come lei si mordeva l’interno guancia, tirando piano
con i denti.
Nervosismo, paura, frenesia. Qualunque cosa fosse, lo portò a
decidersi in un attimo.
Senza nemmeno pensarci con l’altro braccio le avvolse i
fianchi, stringendola a sé.
Senza nemmeno rifletterci la guardò come se non l’avesse
mai vista e non avrebbe mai smesso di farlo per questo.
Sensa fare niente, e allo stesso tempo facendo tutto, la baciò.
*
Lo ammetto, come storia è alquanto strana…
Probabilmente a ben pochi potrebbe piacere,
nonostante ciò, purtroppo per voi ho intenzione di continuarla ^^
Detto questo, vi faccio tanti auguri per
Ferragosto!
Non so voi ma io le vacanze non le ho ancora
finite e si prospetta una prossima partenza per la Grecia…
… assenza durante la quale né io né la
mia assurda storia daremo fastidio a qualcuno ^^
Un bacio,
Sara