Fanfic su attori > Orlando Bloom
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Autore: NiNieL82    15/08/2010    2 recensioni
POSTATO IL FINALE
“Non me ne frega niente di questo Orlando Bloom, non so se hai capito, Laura. Di pure al boss che questa me la paga. Non me lo sarei mai immaginato che avrebbe fatto una cosa simile!” esclamò Edith dirigendosi verso l’entrata del privè, dove avrebbe tenuto l’intervista.
“Ma miss Norton, Orlando Bloom e un attore di fama mondiale, il capo ha affidato a lei questa intervista proprio per questo motivo” rispose una terrorizzata Laura, segretaria personale di Edith, dall’altro capo del telefono.
[Dal primo capitolo].
“Sono lieta di conoscerla, mister Law.”
Jude sorrise e replicò:
“Ti prego, non mi far sentire più vecchio di quello che sono dandomi del lei. Chiamami Jude e tagliamo la testa al toro. Che ne dici?”
Edith sentì le gambe cederle. Certo, se lo avesse raccontato anche a Rachel sarebbe stramazzata al suolo per la sorpresa. Dare del tu a Jude Law mica è cosa di tutti i giorni.
Sorrise, un po' nervosa e disse:
“Ok, Jude!”
Gli occhi azzurri dell'attore ebbero come un lampo. Edith sentì una strana molla allo stomaco.
[Dal capitolo 22].
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie ' I was born to love you.'
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Capitolo 18: La vendetta di Brian.



Stretta in un bellissimo vestito grigio chiaro, con le maniche larghe, tenendo il cappotto appoggiato su di un braccio, Edith ticchettava tra le scrivanie dell'ufficio, ignorando apertamente i sussurri che i colleghi si scambiavano al suo passaggio.

Sapeva che la voce del suo addio con Brian sarebbe girata. E il primo che non fece nulla per nascondere la fine della storia, fu lo stesso Brian che, da una settimana a quella parte, si presentò in vari locali con una ragazza diversa ogni sera.

Edith, dal canto suo, si stava riorganizzando la vita da una settimana a quella parte.

Il giorno dopo il suo addio con Brian, Rachel, aiutata da John e Orlando, andò nell'appartamento al centro vicino a Piccadilly per prendere tutte le cose della ragazza, Posh inclusa. La gattina quando vide la padrona, miagolò lamentosa, strofinandosi e facendo le fusa, spaventata dal fatto che era stata strappata dal posto che, fino a quel momento, aveva chiamato casa.

Un po' come si sentiva Edith insomma.

E come sapeva si sarebbe sentita anche molte mattine a seguire.

Il suo orgoglio però, le imponevano di non mostrare il dolore e, quando quella mattina entrò nella redazione di 'Vanity Fair', altezzosa come suo solito, con un giorno d'anticipo rispetto a quello che aveva detto al suo capo, non ascoltò gli attacchi al vetriolo dei colleghi che, forse, si chiedevano che cosa avrebbe fatto ora che la sua relazione con Brian Stephensons era finita.

Arrivò davanti alla porta del suo ufficio -era pur sempre un pezzo grosso, dato che non lavorava nell'open space con gli altri- e non vide Laura al suo posto. Non preoccupandosi più di tanto e pensando che fosse da qualche parte per eseguire l'ordine di qualcuno più in alto, aprì la porta dell'ufficio e rimase immobile sulla soglia.

C'era il suo capo che parlava con una donna sulla cinquantina, che lei conosceva bene, mentre Laura sistemava tutti gli effetti personali di Edith dentro una scatola:

SI PUÒ SAPERE CHE DIAVOLO STATE FACENDO?” esclamò indignata Edith.

Frank Ronson, il suo principale, la guardò un attimo sorpreso. Poi, riprendo il controllo della situazione, disse:

Edith. Ti aspettavamo per domani!”

Vedo. Altrimenti avresti fatto attenzione a non farmi trovare questo comitato di benvenuto!” disse Edith con un nervo che ballava sulla faccia.

Edith lascia che ti spieghi!” mormorò Frank scuro in volto.

COSA MI DEVI SPIEGARE? CHE ALLA FINE STAVO DAVVERO QUI SOLO PERCHÉ SAPEVO CHI DOVEVO SCOPARMI?” urlò Edith divincolandosi.

Nell'ufficio il silenzio divenne assordante. Laura, con la scatola delle cose di Edith in mano, tremava spaventata. La donna che doveva prendere il posto di Edith guardava la scena deglutendo a vuoto. Frank che era, invece, in un evidente stato d'imbarazzo, disse:

Patty, potresti aspettarmi qua con Laura. E tu Laura finisci il lavoro che hai cominciato!”

Laura guardò Edith con il terrore dipinto in volto.

Edith fece un cenno d'assenso con la testa e Laura continuò, con le lacrime agli occhi a raccattare le cose della ragazza.

Edith, dal canto suo, seguì Frank che, ignorando a sua volta gli sguardi dei vari dipendenti, attraversò lo spazio tra l'ufficio di Edith e il suo a grandi falcate, con la giovane giornalista che lo seguiva senza cadere dagli altissimi tacchi dodici.

Entrarono nell'ufficio e Frank lasciò il passo ad Edith, come si confà ad un vero gentleman inglese.

Quando furono dentro, Edith si mise a sedere nella poltrona di fronte al boss e guardandolo, quasi sfidandolo, impaziente disse:

Allora? Cosa mi devi dire, capo?”

Frank sospirò e unendo le mani davanti alla bocca prese un po' di tempo prima di rispondere. Edith, infastidita da questo comportamento, sapendo di aver perso il lavoro, continuò:

Sto aspettando Frank. Perché mi hai licenziata?”

Frank la guardò negli occhi e poggiando le mani su di un plico davanti a lui, che aprì lentamente, rispose:

Lo sai che non dipende da me. Tu sei una ragazza di talento. Una che farà strada comunque, che può togliersi dalla merda da sola.”

Non mi sembra di essere nella merda!” disse Edith sicura.

Lo sei Edith. Lo sei eccome!” esclamò tristemente Frank.

Che vuoi dire?” domandò nervosa Edith.

Frank mise le braccia conserte e rispose:

Una settimana fa, mentre stavo entrando in ufficio e ricevevo il tuo avviso che non saresti venuta a lavoro almeno sino ad oggi, ho trovato quattro chiamate di Brian, il tuo compagno, che chiedeva, ogni volta, alla mia segretaria, di parlarmi urgentemente. Preoccupato dal fatto che tu non fossi a lavoro e che Brian mi volesse parlare, ho chiamato immediatamente e ho parlato con lui. E ti giuro, avrei preferito non farlo...”

Ti ha chiesto di licenziarmi?”

Frank annuì cupo e continuò:

Non mi ha detto le vere ragioni. Mi ha detto che, voleva, anzi, esigeva che tu venissi licenziata in tronco... Mi ha anche detto che si sarebbe incaricato di trovare una nuova giornalista ai tuoi livelli, quando mi sono lamentato del fatto che, lasciando te, avrei perso un pezzo importante per la mia redazione!”

E lui ti ha mandato quella che è l'amante del padre, per tenere alte le vecchie tradizioni di famiglia. Volevano un'arrampicatrice sociale. Ora ce l'hanno. Patricia Tarlenton non è brava nemmeno a ricopiare le vecchie ricette della nonna su Word, immagina a scrivere su di un giornale come 'Vanity'. È assurdo...” sbottò Edith.

Lo so. E ti giuro, la decisione di prenderla non è stata la mia, ma di una sorta di commissione, che ha accettato la domanda di Patty appena l'ha proposta.. Indovina quando?”raccontò Frank.

La mattina stessa che Brian ti ha chiesto di licenziarmi?” chiese sarcastica Edith, fingendosi stupita.

Frank annuì e rispose con un tono di voce basso, fingendo allegria:

Bingo! È stata l'operazione più schifosa che abbia mai visto condurre da quando sono dietro questa scrivania. Ho provato a lamentarmi. Ho esposto le mie idee sul fatto che, quasi quattro anni fa, quando avevi appena finito l'università, in anticipo rispetto a quelli del tuo corso, riponevo in te grandi speranze. E che, ancora oggi le ripongo. Fu inutile. Mi arrivò una risposta che, i tuoi comportamenti non erano accettabili e che dovevano per forza licenziarti. Non ti sto dicendo bugie, ho tutto qui. Ho stampato le mail affinché le vedessi!”

Edith lesse interessata tutto. Era impossibile che Frank avesse montato tutto quel teatrino così accuratamente. E poi a che scopo? Sapeva da quando aveva visto i tre intrusi nel suo ufficio che in quel casino c'era lo zampino di Brian.

Vedo che non hai insistito. Dopo la seconda mail che ti diceva che non potevo più stare in questa redazione, hai deposto le armi senza lottare. Lo trovo molto avvilente..” disse Edith poggiando il plico.

Frank la guardò stupefatto. Forse pensava che Edith reagisse in modo diverso davanti ai suoi tentativi, seppur flebili, di aiutarla.

Ma ti ho aiutata..” balbetto Frank.

Oh! Certo. Mi hai aiutata tantissimo!” e alzandosi, mettendo le mani sulla scrivania, disse allungandosi e mormorando sarcastica: “Lo so che la poltrona piace una volta che si è visto come è morbida! Ti auguro solo che, un giorno, tutto questo 'potere' non ti si rivolga contro. E che ti faccia pagare tutto quello che hai sbagliato!”

Edith, ti chiedo solo di aspettare che le acque si calmino... E poi ti riprenderò a lavorare...”

Tu puoi anche richiamarmi a lavorare... Ma sono io a dirti che preferisco la fame piuttosto che tornare qua...” rispose Edith guadagnando l'uscita.

E senza salutare, lasciò l'ufficio sbattendo la porta.

Molte teste si voltarono dall'open space. Sapeva cosa pensavano tutti. Aveva sempre saputo quello che mormoravano. Lei era la stronza spocchiosa Edith Norton. Quella che aveva saputo da subito che cosa doveva fare per arrivare in alto. Erano gli stessi che si avvicinavano e la guardavano raggianti per una nuova grande intervista, complimentandosi untuosamente!

Non li degnò nemmeno del lusso di regalar loro un attacco d'ira. Ticchettò veloce, sempre senza una storta, verso il suo ufficio, sinuosa, come suo solito, come una pantera. Entrò, senza bussare e guardando Patricia Tarlenton, la giornalista amante dello Stephensons senior, disse, senza preamboli, ad alta voce, senza chiudere la porta:

Allora lei è quella che prenderà il mio posto? Beh. La voglio avvisare che, già a me che mi sono messa con Brian quando questa scrivania l'avevo già di diritto, mi hanno detto che ero una che aveva capito chi doveva portarsi a letto per arrivare in altro. Immagino che lei, che sappiamo tutti, più o meno con chi è legata, otterrà al più presto la simpatia di tutti i miei, ormai, ex colleghi!”

Patricia la guardò. Non l'aveva mai potuta sopportare. Edith, infatti l'aveva sempre guardata con quell'aria di sufficienza, non provando mai a legare con lei, trattandola non decisamente bene e non nascondendo la sua ostilità nei confronti della donna che scaldava il letto del suocero quando la suocera non c'era.

Ricordava ancora bene un loro litigio, una sera, ad una festa che il padre di lui diede in onore di un successo del figlio, che aveva regalato alla Stephensons Inc. un grosso gruzzoletto. E ricordava di aver fatto la parte di una lavandaia davanti a tutti, mentre Edith la fissava con divertita incredulità.

Badò quindi bene, conoscendo la lingua tagliente di Edith, a ribattere, ma sibilò solo uscendo, quando le fu molto vicino:

Sei finita Norton. Ora che Brian ti ha lasciato non potrai nemmeno più scrivere l'oroscopo nei giornali gratis che danno in metropolitana!”

Edith la guardò divertita e voltando, puntando gli occhi azzurro verde sulla donna più grande di lei, rispose alla provocazione:

Hai ragione. HO lasciato Brian, quindi SAPEVO a cosa andavo incontro. Forse, invece, non posso dire la stessa cosa di TE, vero Pat?”

Che vuoi dire?” chiese confusa la donna.

Stavolta fu il turno di Edith di mormorare e rispose:

Edward ormai sta diventando vecchio. E un uomo di settant'anni, che comincia a dimenticare le cose e di cui, persino la moglie e il figlio si stanno stancando. Di sicuro, tra poco, non andrà più bene nemmeno alla quarantaseienne che, invece tu sei. E anche tu, piccola mia, dovrai fare una scelta. Lasciare per sempre Edward e perdere tutti quei privilegi che hai ottenuto per fare quello che sua moglie non voleva più fare con un uomo meschino ed infimo qual era marito; o continuare ad 'addolcire' l'esistenza di Edward, combattendo il disgusto. Ti conosco abbastanza per sapere che sarà la prima la tua scelta di vita... E, a quel punto, mia cara, nemmeno tu potrai scrivere su i giornali gratis della metropolitana...” e abbassando notevolmente la voce, aggiunse:

Ti auguro buona fortuna e sai perché? Perché io ho ventisei anni. Tu nei hai venti più di me...” e voltandosi verso Laura, senza nemmeno guardare Patricia che lasciava l'ufficio nera di rabbia, disse:

Laura. Finisco io qua. Torna a lavorare...”

Laura lasciò la scatola e si voltò a guardare Edith, con il labbro tremante, poi, a testa china, senza dire nulla, lasciò l'ufficio.

Guardandosi intorno, Edith sentì una morsa stringersi intorno al cuore e capì, guardando la scatola quasi colma, che non era possibile rinchiuderci dentro gli ultimi quattro anni e mezzo della sua vita.

Ma doveva farlo. Aprì i cassetti, trovò quelli che Laura non aveva ancora svuotato, facendolo lei. Prese i libri che le appartenevano e un quadro dove c'era una foto di lei che sorrideva con Nelson Mandela. Lo aveva intervistato quasi un anno prima e, in quel momento, vedere quella foto le fece venire un groppo alla gola: aveva dato il meglio a 'Vanity'. E lo aveva fatto davvero non perché era la fidanzata di Brian, -motivo per cui tutti quelli del suo ambiente non credevano in lei, nonostante le prove scritte- ma perché lo meritava. Aveva vinto premi, scritto interviste che avevano reso al testata inglese di Vanity la più quotata dopo quella americana, che alle volte chiedeva i suoi pezzi per pubblicarli sul suo mensile.

Ora, per il capriccio di un trentatreenne, doveva lasciare tutto, per sempre.

Perché Edith era certa di una cosa. Non sarebbe più tornata in quella redazione. Fosse l'ultima cosa che faceva, ma la dentro non avrebbe più messo piede.

Avrebbero imparato, quelli di Vanity a metterla in un angolo. Era una promessa.

Guardò la cornice sulla scrivania, dopo aver sistemato il portatile nella sua borsa e sollevandola, accarezzò il vetro. Era una foto sua e di Brian, assieme, quella dove lui la stringeva facendola aderire al suo petto, fatta a New York all'inizio della loro storia.

Amava Brian, le mancava, nonostante quello che aveva fatto e la rabbia che sentiva. Amava il suo modo di farla sentire una donna. Amava le sue sorprese, quando lo trovava fuori dalla porta dopo un lungo viaggio, con giorni d'anticipo da quello che le aveva dato per sicuro come giorno di ritorno.

Amava il fatto che, quando si doveva far scusare di qualche cosa, si chiudeva nell'appartamento di Edith e dopo aver prenotato una cena sontuosa, che gli portavano direttamente da casa, finivano a fare l'amore per tutta la notte.

Le mancava fare l'amore con lui...

Chiuse gli occhi e voltò la cornice. L'aprì e tolse la foto. La strappo dividendo sulla carta quello che era stato diviso anche nella realtà.

Continuò a tagliare e ridusse la foto in coriandoli piccoli e plastificati. Aprì la finestra a ghigliottina e lasciò cadere i pezzetti sulla folla che passava. Li osservò danzare per un attimo come fiocchi di neve. Poi, poggiando le mani sul piccolo davanzale, respirò a fondo l'aria fresca e guardò il cielo di Londra, sempre scuro. Prometteva pioggia, ma se faceva ancora più freddo avrebbe di sicuro nevicato.

Lasciò la finestra aperta. Non le importava se la stanza non si sarebbe riscaldata, tanto non doveva usare l'ufficio. Non era più il suo.

Prese la scatola, lasciò la cornice sulla scrivania e sorrise a Laura che, in piedi, aspettava che Edith uscisse. Si guardarono a lungo. Edith avrebbe voluto dirle grazie o buona fortuna, ma non ci riuscì. Chinò la testa e si allontanò. Passò in mezzo all'open space e sentì gli occhi di tutti puntati addosso. Edith Norton usciva di scena, ma lo faceva da quello che era: una vera signora.

Raggiunse l'ascensore e pigiò il tasto di chiamata diverse volte. Stava per salirci quando sentì qualcuno gridare:

EDITH! EDITH!”

Si voltò e vide Laura, con i capelli scompigliati, che le correva incontro e le tendeva una mano:

Spero di rivederti Edith!”

Edith guardò la mano, poggiò la scatola per terra e la strinse. Sorrise e rispose:

Non succederà. Non tornerò a 'Vanity' per tutto l'oro del mondo!”

Laura sorrise e rispose:

Non ti sto chiedendo di tornare a Vanity. Ti ho solo detto che spero di rivederti. E che da te ho imparato che bisogna essere duri nella vita, se non si vuole finire schiacciati!”

Laura.. Grazie! Ma siamo oneste... Sono stata una stronza con te!” replicò imbarazzata Edith.

Non lo metto in dubbio. Anzi! Ora che lo posso dire liberamente, Edith Norton sei la più grande stronza che abbia mai conosciuto!” aggiunse Laura ridendo assieme ad Edith. Poi, seria, continuò: “Ma mi hai aiutato a crescere e a togliere un po' di palle...”

Stavolta, Edith rimase scioccata. Laura l'abbraccio e stringendola, commossa, le sussurrò:

Buona fortuna Edith.” e le infilò qualche cosa in tasca.

Edith la guardò allontanarsi. Era stupita. Tutto immaginava meno che Laura le saltasse al collo e le augurasse buona fortuna. Richiamò l'ascensore che aprì le porte poco dopo e, quando fu dentro, cercò l'oggetto che Laura le aveva infilato in tasca.

Era un bigliettino.

Lo guardò attentamente. Sembrava uno di quelli che i fiorai mettono nei mazzi per scrivere i messaggi. Scese e quando entrò in Regent Park, si poggiò su di una panchina e si mise a leggere il bigliettino.

La grafia era quella di un fioraio, ne era sicura, ma le parole la toccarono:
Solo uno stupido come me non si poteva rendere conto che sotto la scorza dura che mostri si nasconde il cuore tenero e puro come quello di una rosa. Accetta le mie scuse. Ti prego. Orlando!

Edith sorrise tra le lacrime. Era uno dei bigliettini di Orlando. Laura doveva aver mantenuto il più bello, ripromettendosi di mostrarglielo.

Aveva fatto bene. Asciugò le lacrime con un fazzoletto e poi chiamò un taxi. Quando salì non si voltò a guardare dietro. Se ti volti dietro torni sempre nel posto che stai lasciando. Ed Edith, nella redazione di 'Vanity' non voleva mai più mettere piede.



Il taxi la fermò davanti ad un altro edificio, dove, sopra, stava scritto: The Guardian.

C'era solo una persona che poteva fornirgli una dettagliata cronaca di quello che sarebbe stato il suo destino da quel giorno in poi.

Scese e andando alla reception, posando la scatola sul marmo scuro del banco, con non nonchalance, annunciò:

Devo vedere Thomas Carlyle...”

La receptionist, sollevando appena lo sguardo sulla scatola e non su di Edith, con voce asciutta, continuando a leggere il giornale che stava leggendo, replicò:

Deve avere un appuntamento!”

Edith sollevò un sopracciglio e rispose:

Io non ho bisogno dell'appuntamento!”

La donna, sollevò lo sguardo e la sqaudrò con la stessa espressione e ribatté:

E chi sarebbe lei per non aver bisogno dell'appuntamento? La Regina Elisabetta?”

Edith sorrise e rispose:

Sono Edith Norton.”

La receptionist studiò Edith con un aria stupita. Poi volse uno sguardo veloce, per l'ennesima volta alla scatola, ed infine al numero del Sun che aveva sulla scrivania e che stava divorando, prima che Edith la interrompesse. Edith, allungandosi appena, sorrise perché si rese conto che, la donna stava leggendo l'ultimo articolo sull'infondato triangolo amoroso tra lei, Brian e Orlando. Infondo, anche Felton doveva vivere e, finché c'erano donne come quelle che aveva di fronte, persone come lei e Orlando, non avrebbero avuto la vita facile.

La receptionist, invece, rendendosi conto che la ragazza della foto sul giornale, era la stessa e, per di più, una vecchia conoscenza di Thomas Carlyle, chinò la testa imbarazzata. Per evitare altre brutte figure, quindi, prese la cornetta e disse:

L'uffico di sir Carlayle”

Edith attese qualche minuto, guardando l'entrata del palazzo.

Conosceva bene quel luogo e Carayle stesso le aveva chiesto di lavorare per il suo giornale. Ma Edith, in debito di riconoscenza con Frank Ronson aveva rifiutato.

Ora se ne pentiva. Anche se...

L'attende nel suo ufficio al settimo piano...” disse la receptionist distraendola dai suoi pensieri.

Edith sorrise, stava per prendere la scatola ed allontanarsi dalla reception, quando le venne un'idea e si bloccò, dicendo, con un sorriso malizioso, poggiando nuovamente la scatola sul marmo scuro:

Non è che per caso...?”



Thomas Carlyle era il padre di Jennifer Elizabeth Carlyle.

La stessa Jen sposata con Fred William Bennet, giornalista sportivo del 'Sun'.

Tom, come lo chiamava Edith, era il mentore di quest'ultima. Da lui, infatti, aveva imparato cosa fosse il giornalismo e quale fosse il suo significato.

Con lui aveva imparato come si impone lo schema di un'intervista, come si fanno le domande e cosa tenere d'importante di quello che si è scritto.

Tom, oltre ad essere il padre di una delle sue due migliori amiche, era anche il padre putativo di Edith che, l'aveva aiutata in quella strada tortuosa chiamata giornalismo, mettendola sulla buona strada per diventare qualcuno, oltre che ospitarla in casa sua ogni volta che poteva, feste natalizie incluse, una volta saputo quello che aveva comportato la scelta di Edith di lasciare la musica per la carta stampata.

Quella mattina, però, stretto in un impeccabile vestito nero, con i capelli sempre più grigi, magro, forse un po' troppo, Tom l'accolse quasi con un sorriso tirato, guardandola preoccupato.

Non fare quella faccia Tom e arriva dritto al punto. Non sono più una bambina e so quello che ho fatto e le conseguenze ad esso legate!” disse Edith, guardandolo negli occhi seria, dopo essersi sciolta dall'abbraccio di benvenuto dell'uomo.

Tom sorrise amaro e facendole strada con una mano, disse:

Parliamone nel mio ufficio!”

Edith fece come ordinato ed entrò nell'ufficio di sir Thomas Carlyle. Ordinato come sempre, quasi interamente rivestito di legno, con una grossa scrivania in mezzo e una lampada verde sopra. Non c'erano computer sopra perché, Tom aborriva la tecnologia e tutti i suoi derivati che stavano rendendo la società, a detta sua, 'una massa di idioti pronti a comprare una qualcosa che un mese è il non plus ultra e vederlo inutilizzabile un mese dopo'.

Edith sorrise e disse:

Non è cambiato niente qua. È sempre tutto uguale!”

Tom prese posto davanti a lei e serio rispose:

Vorrei poter dire lo stesso anche io di te, piccola...”

Edith lo guardò e tesa disse:

Raccontami tutto, Tom!”

Tom sospirò, guardò Edith e poi voltò la sedia verso la finestra. Edith sapeva che stava cercando le parole per non ferirla, ma quel silenzio la stava rendendo tesa come una corda di violino, pronta a spezzarsi se tirata ancora troppo.

Poi, voltandosi di nuovo verso di lei, esordì come Edith non avrebbe mai immaginato:

Perdona Brian per qualunque cosa ti ha fatto e torna con lui!”

Tom non sopportava Brian Stephensons. Lo definiva 'un citrullo fascista', che controllava molte delle azioni e parte delle redazioni inglesi che, anche se lo attaccavano, dato che la stampa inglese non accettava il bavaglio da nessuno, non lo facevano mai per bene, perché, con le sue pressioni, Stephensons riusciva a mettere a tacere anche le lingue più insolenti.

Quella frase, quindi, per Edith, era come un fulmine a ciel sereno.

Scusa?”

Tom sorrise e rispose:

Non hai capito vero?”

Edith scosse la testa interdetta. Tom si sollevò, versò un bicchiere d'acqua dal dispositore vicino alla finestra e bevendone un lungo sorso, mostrandole il bicchiere, le chiese:

Vuoi?”

Voglio solo che mi dici la verità Tom. E nient'altro!”

Era stata dura probabilmente. E si sentiva un po' in colpa. Ma era l'unico modo che aveva per farlo parlare e, dal momento che non lo aveva ancora fatto, significava solo una cosa: quello che le doveva dire era davvero grave.

Tom sorseggiò l'acqua quasi fosse un bicchiere di vino e poi, con un sorriso, si mise a sedere e dolce, prendendo le mani di Edith disse:

Ti ho detto che è meglio se torni a stare assieme a Brian. E se l'ho fatto è perché so che, quello, quando vuole, sa essere davvero un bastardo in piena regola... Una settimana fa, ero ad una cena dove c'erano molti giornalisti e vari pezzi grossi della carta stampata e no. Brian era a quella cena. Naturalmente, io, sapevo il perché dato che, Jen e Fred mi hanno raccontato tutto. E sapevo che il modo in cui vi siete lasciati non avrebbe portato nulla di buono. Infatti mi si avvicinò Frank, il tuo ex capo, pallido in volto, e mi confessò che, quella mattina, Brian aveva detto che doveva licenziarti di botto. Conoscendoti mi chiese quale fosse il modo migliore per farlo senza ferirti e per uscirne pulito...”

Patetico!” esclamò disgustata Edith.

No. È solo un piccolo uomo sopra una sedia troppo grande per lui. Come i bambini, quando giocano a farei grandi e mettono le scarpe del padre o della madre che, ai loro piedino sembrano grottescamente grandi. Così è per lui. Non è adatto a quel posto e non lo sarà mai. Comunque gli dissi che doveva essere diretto e che non doveva fare troppi giri con te. Mi chiese, o meglio, mi implorò di dirtelo io. Mi rifiutai. Non per codardia, sia chiaro, ma perché non volevo fare l'ambasciatore di Ronson, permettendogli, per l'ennesima volta di nascondersi dietro un dito. Anzi! Lo incitai a provare fino allo strenuo di aiutarti, di perorare la tua causa. Mi ripromise che lo avrebbe fatto. E, su questo, non so darti risposta.. Ma, visto che sei qui...”

Ha mandato un paio di ridicole e-mail a qualcuno che non so nemmeno chi fosse, ma nient'altro!” rispose Edith.

Tom sorrise amaro e continuò:

La mattina dopo ricevetti una chiamata di un mio amico, anche lui capo di una grossa rivista. Mi disse che correva voce che, chiunque assumesse Edith Norton si sarebbe cacciato nei guai. Perplesso, chiesi spiegazioni e ascoltai quello che il mio amico mi raccontò. Feci anche un paio di telefonata a quelle che, in questo caso, si definiscono le persone giuste. Ebbi la conferma di ciò che temevo appena due giorni fa. Qua in Inghilterra, nessuno -e ripeto NESSUNO!- ti assumerà più Edith Norton. Brian Stephensons ha abbastanza potere da riuscire ad esiliarti dal mondo della carta stampata, mettendosi in tasca il tuo talento innato per la cronaca, per vendetta. Solo per mera vendetta.”

Edith guardò Tom fisso. Quelle parole suonavano come una condanna a morte. Non poteva più scrivere. Che cosa avrebbe fatto, allora?

Aveva un buon conto in banca. Ma se non lavorava, come lo manteneva?

C-cosa.. Cosa posso fare? I-io voglio scrivere!” balbettò Edith.

Tom la guardò e disse:

Dal momento che anche le testate più piccole sono legate a quelle grandi e nessuna delle testate grandi può prenderti per paura di ritorsioni da parte della famiglia Stephensons -e credimi ci sono moltissime vie non violente, molte di più di quelle che incutono terrore e morte, per rovinare una persona- ho solo un consiglio da darti piccola: se vuoi continuare a scrivere, vai via dall'Inghilterra. Parli bene il francese e l'italiano per quello che so. Perché non provi là. Oppure negli USA. Là una come te farebbe palate d'oro”

Edith rimase in silenzio, sconvolta.

Andare via.

Lasciare Londra, la sua città, che amava come nessuna delle città che aveva visitato fino a quel momento, per andare a cercare fortuna da qualche altra parte.

Era inaudito!

Sollevò la testa piano e con la gola secca, chiese a Tom:

E non potrò più tornare?”

Tom la guardò con la stessa dolcezza di un padre. Sorrise e rispose:

Certo. Ma dovrai aspettare che si calmino un po' le acque prima di tornare in Inghilterra. Lo so che è difficile, che qua hai la tua vita. Ma so che sei amica di Orlando Bloom, che ti sta ospitando lui, ora, a casa sua. Perché non provi a partire con lui? Un amico non ti nega mai il sui aiuto se ne hai bisogno. E, per quello che mi ha raccontato Jen, lui farebbe i salti mortali per te!”

Edith sospirò. Sentiva la testa girare.

Brian, la sua vendetta. Le bugie di Frank. La verità indiscutibile di Tom. Le parole di Orlando nel foglietto. Quelle di Laura davanti l'ascensore. Il disgusto di trovarsi l'amante dell'ex suocero nel suo ufficio, pronta a prenderne possesso.

Tutto prese a vorticare in un vortice di voci e colori che Edith non distingueva. Sentì come da lontano e rallentata la voce di Tom chiederle se stava bene e se tutto era apposto.

Non capì mai se riuscì a dire si. Seppe solo che quando credette di pronunciare la sillaba, cadde sul pavimento e il contatto con il terreno duro le fece perdere conoscenza.



Orlando la guardava serio. Jen l'aveva riportata a casa e il padre aveva chiamato per sapere come stava Edith.

A dire il vero, Orlando, non era per niente convinto che Edith stesse bene, ma dovette arrendersi quando la ragazza lo minaccio di morte se solo avesse provato a fare la mamma affettuosa con lei.

Hai una faccia terribile!” le disse canzonandola.

Vedessi la tua!” replicò Edith sistemando la borsa del ghiaccio sulla testa, nel punto esatto in cui aveva sbattuto e dove un bernoccolo era spuntato inesorabile gonfiandosi d'ora in ora.

Bene! Vedo che rispondi acida come tuo solito. Il che può significare soltanto che stai bene!” disse Orlando sollevandosi e andando a prendere il caffè che aveva preparato in cucina.

Anche io!” disse Edith come una bambina.

Non esiste proprio!” rimbeccò Orlando avvicinandosi con la sua mug fumante. “Con tutto quello che è successo oggi vuoi che ti dia il caffè? Tu sei fuori!”

Edith guardò storto il ragazzo e togliendo la borsa del ghiaccio dalla testa, disse:

Orlando se non la smetti immediatamente...”

La mamma premurosa la faccio come e quanto mi pare, Norton, specialmente se stai a casa mia e se non la smetti di fare i capricci come una bambina di tre anni!” la bloccò Orlando.

Edith rimise la borsa sulla testa e schiacciandola appena, sbuffò infastidita.

Orlando la fisso sorridendo per qualche secondo, poi sereno le chiese:

Che cosa è successo nell'ufficio del padre di Jen?”

Edith guardò fisso Orlando che ricambiava tranquillo lo sguardo.

Sapeva che cosa era successo. E sapeva che le faceva male solo pensarci.

Sospirò, ritardando, come tanti avevano fatto con lei quella mattina, la schiacciante verità e, buttando la testa indietro, socchiuse gli occhi.

Allora?” chiese Orlando non abbandonando il suo tono.

Edith deglutì e piano rispose:

Si sta vendicando di me?”

Chi?”

Brian!”

E come?”

Edith si sollevò e poggiando la borsa del ghiaccio sul tavolino disse:

Come solo un bastardo come lui si può vendicare. Mi ha praticamente estromesso da qualsiasi redazione di Londra e di tutta l'Inghilterra...”

Orlando la guardò corrugando al fronte. Rimase qualche secondo in silenzio poi, formulò:

E tu? Che hai intenzione di fare?”

Edith fece una strana espressione che esprimeva dubbio e perplessità.

E con la voce rotta disse:

Stavo pensando di andare in Italia o in Francia. Infondo parlo bene entrambe le lingue...”

In Italia o in Francia?” chiese Orlando stupito.

Edith annuì e continuò:

Non posso stare qui e sperperare quello che ho guadagnato in questi anni perché sono ferma... Cerca di capire... Devo andare in un posto dove possa lavorare, in attesa di tornare in patria.”

Orlando rimase fermo, guardando Sidi che scodinzolava piano vicino a lui. Posh stava da una parte, a giusta distanza da quello che poteva sembrare, a prima vista, un nemico, avvicinandosi a Sidi di tanto in tanto per valutare la situazione, scappando quando le cose sembravano si stessero mettendo male.

Ma in quel momento la convivenza tra i due animali domestici non era il problema principale per Orlando. Non voleva che Edith lasciasse la Gran Bretagna per un posto dove sarebbe stato difficile raggiungerla.

Portala in America per un po' di tempo... portala con te.... Tienila lontana per un po' da Londra.

Ricordò le parole di Rachel la sera che Edith aveva lasciato Brian. E gli venne in mente una cosa. Lui poteva permettere che Edith continuasse a lavorare e stesse vicino a lui.

Si illuminò e guardando l'amica disse:

Io so come fare!”

Edith aggrottò la fronte. Guardò Orlando e domandò:

Che vuoi dire?”

Non c'è bisogno che tu vada in Italia o in Francia. Vieni in America con me!” rispose Orlando sollevandosi e allargando le braccia.

Edith sorrise e rispose:

Orlando, anche in America non ho lavoro e starei ferma. E non sono abituata. Stai parlando con una che faceva la carriera concertistica quando era una bambina, che ha fatto lo stage di lavoro con Thomas Carlyle e che, appena laureata, ha trovato lavoro alla redazione di 'Vanity Fair'. Non sono mai stata ferma, Ob. E cominciare da adesso mi farebbe impazzire...”

Orlando scosse la testa e poggiando le braccia sulle gambe di Edith, disse:

Non hai capito. Non c'è bisogno che tu vada in Italia o in Francia a lavorare. Ho due amici molto cari a Los Angeles che dirigono una testata giornalistica, uno di quei giornali indipendenti che non ha paura di dire quello che pensa a Bush e al suo governo. Vieni con me a Los Angeles e, dato che sanno che ti conoscono e che, uno di loro mi ha chiesto il tuo autografo, credo che sarebbero più che felici di aiutarti e prenderti a lavorare nella loro redazione.”

Edith valutò l'offerta. Un giornale libero dove, probabilmente avrebbe potuto scegliere gli articoli da scrivere, senza che qualcuno gliel'imponesse.

Era un'offerta ghiotta, davvero. Sospirò e guardò Posh che si leccava una zampa e poi la passava dietro l'orecchio.

Dire di no sarebbe stato stupido. Accettare sarebbe stato da matti.

Guardò Orlando e cominciò:

Non ho una casa a Los Angeles e non conosco nessuno...”

Ci sono io” rispose Orlando. “Ti ho ospitata ora, lo posso fare anche quando comincerai a lavorare a Los Angeles, non trovi?”

Edith sorrise guardando il volto allegro di Orlando. Los Angeles. La città degli angeli.

Quasi non ci credeva. C'è un detto che fa:

OGNI VOLTA CHE SI CHIUDE UNA PORTA, SI APRE SEMPRE UN PORTONE

Brian era un portoncino blindato, lo stesso dell'appartamento che aveva occupato a Piccadilly.

Lui era stato l'opportunità di vivere una vita che mai avrebbe immaginato da brava ragazza, una dei tre figli della famiglia medio borghese Norton che, nonostante desse tutto ai figli, alle volte li costringeva a qualche rinuncia. Brian l'aveva portata in un mondo di paillette e di feste, in mezzo a gente che non le piaceva e che le faceva venire il mal di testa.

Brian era quello delle fughe d'amore, quello che la viziava dove Patrick, il padre di Edith non era riuscito.

Ora, quella piccola porta rossa come la loro passione si era chiusa e Edith vedeva aprirsi un portone che la faceva affacciare ad una nuova vita.

E quel portone era Orlando. Lo stesso con cui, non meno di tre mesi prima, litigava come una pazza, che la faceva disperare con le sue bizze da grande star del grande schermo.

Lo stesso che, ora, la stava portando a vivere in America, dove Brian non l'aveva mai portata.

Allora? Accetti?” chiese Orlando allegro.

Edith sorrise e abbracciandolo rispose:

Certo. E bada che se va male voglio il rimborso spese!” e assieme risero.



Posh dormiva tra le braccia di Edith.

Le grandi emozioni di quella giornata l'aveva stancata da morire, facendola crollare davanti al televisore.

Orlando, invece, la guardava e non riusciva a dormire.

Era elettrizzato dall'idea di poter condividere con lei, ancora per molto, una casa.

Certo. Edith era disordinata all'ennesima potenza, abituata al fatto che, intanto, ovunque lasciasse le sue cose c'era sempre qualcuno che le risistemava nel suo armadio.

Era anche un po' troppo sarcastica. Non cinica, ma molto, troppo sarcastica. E alle volte, per quello, lui e lei litigavano.

Voleva avere ragione su tutto, anche quando aveva torto.

Voleva sempre decidere lei cosa mangiare a pranzo.

Dava sempre ragione a quell'insopportabile gatta, anche quando distruggeva cose preziose.

Passava ore al PC e non parlava con Orlando, lasciandolo come un'idiota a guardarla, sapendo che lui, tecnofobo per antonomasia, non poteva fare lo stesso.

Ma, nonostante questo, Edith era diventata una parte troppo importante della vita di Orlando e, per niente al mondo l'avrebbe allontanata da lui, se poteva permetterlo.

La fissò per qualche secondo, poi andò nella sua stanza e prese il diario che Edith gli aveva regalato.

Da una settimana a quella parte, aveva riempito le sue pagine quasi giornalmente, specialmente nei momenti in cui Edith faceva ticchettare i tasti della tastiera del suo portatile.

Aprì una nuova pagina a prese la penna.

Venerdì 20 Gennaio 2006...

Mi spieghi come, ogni volta che cerco di trovarle un pregio pesco solo difetti, grossi difetti che farebbero scappare anche il più masochista degli amanti? E mi spieghi perché, ora sono felice all'idea di non doverla perdere di vista, portandomela dietro. Difetti inclusi, naturalmente...

E per un po' lasciò che la penna sporcasse di fili d'inchiostro le pagine bianche del suo diario, trascrivendo tutti i pensieri della giornata.

Pensieri che, Orlando non lo sapeva nel momento in cui li scriveva, ma il giorno dopo avrebbero fatto paura perfino a lui.


   
 
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