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Autore: Fiamma Drakon    16/08/2010    2 recensioni
Erika cercò di districarsi dalle lamiere contorte del mezzo, senza riuscirci.
Della piramide che aveva gelosamente custodito, nessuna traccia.
Le lacrime le pungevano gli occhi e il fumo le impediva di respirare. Gli occhiali erano volati chissà dove a seguito dell’impatto e tutto il mondo circostante le appariva come una sfocata chiazza di colori.
Tossì, lacrimando.
«Papà! Papà!» chiamò, piangendo e imprecando tra sé.
Ma io, come diavolo ci sono finita in questo inferno...?!

[Linguaggio colorito; possibile cambio di rating]
Genere: Azione, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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4_Notizie non proprio rassicuranti Non perse tempo: corse al letto di suo padre e si sedette sul bordo, fissandolo in silenzio, in nervosa attesa.
Alan era ancora steso, con un braccio sopra gli occhi, come a ripararsi da una forte luce e sembrava che l’intenso rossore che fino a poco prima aveva imporporato le sue guance stesse pian piano scemando.
Il silenzio si protrasse per interi minuti, finché Erika non si decise finalmente a romperlo: «Allora... cosa devi dirmi?».
«Non è tanto un... “cosa devi dirmi”, quanto... piuttosto un “cosa devi raccontarmi”...» la corresse debolmente lui.
«È lunga?»
«Dipende da quanto sei disposta ad ascoltare: sembri stanca...» disse, spostando il braccio da sopra gli occhi, puntando questi ultimi su di lei.
Questa scosse il capo, scacciando ogni possibile segno di stanchezza dall’espressione.
«Tranquillo, sono tutta orecchi» esclamò, sorridendogli.
Lui allungò lentamente un braccio verso di lei, passando delicatamente il dorso della mano sulla sua guancia.
La sua pelle era fredda, di ghiaccio, ma il contatto era estremamente piacevole ed Erika non era disposta a rinunciarvi tanto in fretta: allungò le sue mani verso quella di lui e la trattenne contro il suo viso.
Alan le sorrise tristemente.
«È iniziato tutto quando ho lasciato te e tua madre. Non pensare che me ne sia andato perché non avevo intenzione di crescere un figlio - anzi tutt’altro: ti attendevo con impazienza - bensì per proteggervi»
«Da chi?» domandò di getto Erika.
«Un’organizzazione di loschi figuri con cui ero accidentalmente entrato in contatto nell’acquisto di un oggetto raro» continuò.
All’occhiata perplessa che la figlia gli rivolse, lui si spiegò meglio: «Ero solito commerciare oggetti rari, e questo lo era particolarmente, oltre che antico»
«Che cos’era?»
«Un’antica piramide di granato, di epoca azteca, che si favoleggiava possedere poteri magici».
Il tono con cui suo padre pronunciò le ultime due parole convinse Erika a chiedere: «Non credevi affatto che ne possedesse, vero?».
Lui si strinse debolmente nelle spalle ed emise un sospiro a metà tra l’esasperato e lo sfinito.
«Prima di morire ero piuttosto scettico circa questo genere di cose. Ora non posso certo esserlo: se non fosse per pratiche esoteriche io non sarei qui a raccontarti tutto questo».
La ragazza rise tristemente.
«Va’ avanti. Poi che è successo?» chiese.
«Quelli volevano la piramide ad ogni costo, ma io non ero disposto a cedergliela. Non dopo tutta la fatica che avevo fatto per averla» proseguì Alan.
Dal tono, pareva proprio che ci fosse dell’altro.
«Cos’hanno fatto poi?» lo incalzò prontamente la figlia, ansiosa di venire a conoscenza di tutto.
«All’inizio non avevo capito che genere di organizzazione fosse: sapevo solo che non era molto affabile e che sembrava losca. Ma poi è saltata fuori la verità - s’interruppe un istante - Gli acquirenti erano i boss di un’organizzazione illegale alla ricerca del potere sovrannaturale che risiedeva nella piramide. Mi hanno cercato per mezzo mondo, e alla fine sono riusciti a prendere me e la piramide, circa tre anni fa. Mi pestarono a sangue, cercando di convincermi ad aiutarli. Sfortunatamente per loro, qualcuno o qualcosa di sovrumano è arrivato in mio soccorso e ha sottratto loro l’oggetto. Ricordo di averlo visto svanire in un turbinio di piume nere, una cosa strana oltremodo. Allora i due che mi avevano preso, credendo che io sapessi chi fosse il ladro, hanno cercato di estorcermi l’informazione - s’interruppe ancora una volta - Quando hanno visto che non ero intenzionato a collaborare, mi hanno sparato. E così, eccomi qua, Alan Reagh, il redivivo...» concluse semplicemente e in tono rapido.
Erika lo osservò per qualche istante: la rassegnazione con cui accettava il suo essere morto era qualcosa che la inquietava e la rendeva estremamente nervosa e depressa.
Lo fissò intensamente negli occhi, senza sbattere le palpebre, in trance. Si riprese alcuni attimi dopo.
«E così devi ritrovare questa misteriosa piramide...?» domandò.
«Esatto...» confermò suo padre, annuendo debolmente.
«Ma te l’ha soffiata un essere misterioso quando eri ancora in vita...»
«Già»
«Quindi... - concluse Erika - ... non hai la più pallida idea di dove si trovi»
«Questo non è del tutto... esatto».
Alan emise un sospiro, sintomo inequivocabile di stanchezza. Pareva star male, però il rossore delle guance era meno evidente di prima, segno che stava lentamente “assimilando” il suo sangue.
«Mentre ero morto, ho incontrato Circe e le ho spiegato la situazione. Le ho raccontato anche del misterioso ladro... lei ha acconsentito ad aiutarmi e mi ha dato un possibile indizio circa la natura del ladro».
Erika percepì un’esitazione nella parte finale del discorso, come se suo padre l’avesse tenuta all’oscuro di una parte.
Cadde qualche istante di silenzio, che incrementò la tensione e la suspense del momento fino a livelli critici.
Erika fissava suo padre in spasmodica attesa, letteralmente appesa alle sue labbra. Infine, quest’ultimo decise di rompere il silenzio.
«Ha detto che potrebbe essere un guardiano appartenente ad una setta adoratrice dei corvi»
«Be’, perfetto! Le sette non sono così facili da trovare, e chissà dove potrebbe essere...» sbuffò la ragazza, contrariata.
«Ricorda che... la piramide l’ho acquistata in questa zona...»
«Però potrebbe benissimo esserne venuto a conoscenza anche a chilometri da qui e noi non abbiamo un punto di partenza!»
«Potremmo iniziare cercando informazioni sulla piramide stessa: se aveva dei poteri, finché era con me non ne ha mai manifestati. Probabilmente erano sigillati in qualche modo...» azzardò Alan.
«Certamente per mezzo di un rituale di qualche tipo» confermò Erika, sicura.
L’improvviso borbottio del suo stomaco la indusse a distogliere lo sguardo, a disagio.
Suo padre alzò il capo per poterla guardare meglio.
«Non è niente» si affrettò a dire lei, alzandosi.
«Davvero? A me pareva fame...»
«Sto bene, posso resistere»
«Devi mangiare. Tu sei ancora viva».
Dicendo ciò, Alan si tirò su, sedendosi sul bordo del suo letto, ma se ne pentì subito.
Stupido mal di testa...! esclamò tra sé, ma non si sdraiò di nuovo.
«Posso farne a meno, per stasera. E poi non vedo modo di procurarmi del cibo, ti pare?».
Anche quello era vero: non poteva andarsene in giro come se niente fosse, non con quei maledetti killer in circolazione. Magari erano già in agguato in qualche punto della città e stavano aspettando solo il momento più opportuno per catturarla.
Non aveva altra soluzione che darle retta, anche se ciò non riusciva a non preoccuparlo: era pur sempre suo padre, anche se morto! Era naturale che si preoccupasse per lei!
«Coraggio papà, dormi adesso. Domani penseremo al da farsi...» esclamò Erika.
«L’hai sentita Circe, no? Io non posso dormire» ribatté seccamente lui, ostinandosi a rimanere seduto, resistendo eroicamente alle vertigini che minacciavano di sovrastarlo.
«Già... è vero» convenne la ragazza tristemente, quindi si affrettò ad aggiungere un sentito: «Mi dispiace».
«E per cosa? Non posso sentire il freddo né il caldo, non posso morire, non patisco la sete e, fino a prima di tornare qui, non sentivo nemmeno la fame. Sono morto e non me ne pento. L’unico mio rimpianto è non averti vista crescere».
Erika lo fissò, scioccata: non credeva che suo padre ci tenesse a lei fino a quel punto, dato il fatto che era stato assente in tutta la sua vita fino a qualche ora prima. Non di sua propria volontà, okay, però lo era stato. Era abituata ad immaginarlo come un uomo privo di sentimenti verso sua figlia e scansafatiche, non così.
Diamine, adesso gli voleva un bene dell’anima e le sembrava il miglior padre del mondo, anche se morto!
«Vai a dormire. Terrò d’occhio la situazione, in caso quelli dovessero tornare...» esclamò Alan, alzandosi.
Barcollò un po’, ma non si risedette. Andò invece verso lo stipite della sacrestia e vi si appoggiò, guardando fuori.
La giovane Reagh piegò da un lato la testa, perplessa, ma non fece domande.
«Allora... buonanotte» si limitò a dire, togliendosi gli occhiali e infilandoli nella custodia che portava sempre con sé. Posò la tracolla vicino al lato del letto e si sdraiò sulle coperte: non voleva certo infilarsi sotto quel lenzuolo bucherellato, al di sotto del quale avrebbe potuto nascondersi di tutto.
Dopo qualche istante, suo padre le rispose con un dolce: «Buonanotte, tesoro...».
A quel punto, lasciò che la stanchezza avesse il sopravvento su di lei.





Angolino autrice
Spero che finalmente si riesca a capire qualcosa ^^''' anche se è ancora tutto un po' confuso u.u''
Cooomunque u-u i ringraziamenti *O*
Sachi Mitsuki
xXxNekoChanxXx
E coloro che hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite ^^
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
   
 
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