Scomparsa
Capitolo
1
Lanciai
l’ennesimo diario contro il muro. Cadde con un rumore sordo sul pavimento.
Era
tutto inutile. Li avevo letti e riletti fino all’esasperazione, conoscevo ogni
maledetta parola di quelle vecchie pagine ingiallite dal tempo. E come ogni
volta, appena il volto di mio padre affiorava nella mia testa, la rabbia
ribolliva in me e la tentazione di distruggere la sua stanza era troppo forte
perché potessi riuscire a controllarla. A quel punto, come adesso, era
intervenuto mio zio Jasper a “iniettarmi”, per così dire, una dose invisibile
di camomilla.
Strinsi
i pugni fino a far diventare le nocche bianche. Sollevai il capo e puntai lo
sguardo in direzione della porta. Come già avevo intuito anche soltanto
dall’odore, mio zio stava appoggiato allo stipite della porta con le braccia
incrociate.
Nei
suoi occhi non c’era pietà, né compassione. Lui sapeva che odiavo chiunque mi
guardasse così, lo sentiva ogni volta che mi era vicino.
«Va
tutto bene, zio Jasper, non preoccuparti» dissi.
Inarcò
un sopracciglio, lanciando una rapida occhiata al diario che avevo gettato lì.
Scrollai
le spalle. «Lo sai, questa stanza mi fa uno strano effetto».
Altro
che strano, direi furioso, pensai.
«Se
è così» guardandomi con l’aria di uno che non se la beveva «dovresti evitare di
entrarci».
Come
se non ci avessi già provato…
«Sì,
forse…» replicai poco convinta.
«Leggere
quei diari non ti sta aiutando ad andare avanti».
M’irrigidii.
«Forse non voglio andare avanti, non trovi?»
Si
scostò dallo stipite e avanzò fino alla grande vetrata, poggiando un palmo su
di essa. «Dovresti farlo, invece, anche se aggrapparsi al passato sembra la via
più facile. I ricordi belli resteranno tuoi anche quando volterai pagina. Non
preoccuparti di questo».
Abbassai
il capo. Aveva ragione, ma il passato non era fatto solo di ricordi belli ed
era proprio questo il problema: erano quelli brutti a prendere il sopravvento
ogni volta che il pensiero volava a mio padre.
«Lui
non sa che aspetto ho, adesso. O se lo conosce, è solo per merito delle foto
che mi avete scattato durante questi anni. Capisci? Foto che avete fatto voi,
perché lui non c’è mai stato». Riesci
a sentire l’amarezza che si cela dietro
queste parole?, avrei voluto dire ad alta voce se si fosse trattato di
qualche altro Cullen, ma con Jasper non ce n’era bisogno. Era un empatico, il
suo era sia un dono che una maledizione, proprio come la sua incontrollabile
sete.
Anche
se si era esercitato molto negli ultimi anni, non era ancora riuscito ad eguagliare
lo straordinario controllo che aveva ottenuto mia madre sin dall’inizio.
Il
nonno era giunto alla conclusione che la forza di volontà di Jasper non aveva
raggiunto l’apice e che ci doveva lavorare sopra. Il periodo passato con i
vampiri del Sud non lo aiutava, anzi… lo tormentava.
«Tu
sai perché tuo padre non è qui. E sai anche che se lui ci dicesse dove si trova
in questo momento, non esiteremmo a partire» disse.
Sì,
lo sapevo, ma questo non faceva meno male. Anche i miei zii sarebbero stati
lontani, no? Altre persone che mi lasciavano indietro perché mi ritenevano
troppo fragile, delicata come un fiore, per poter aiutare nella ricerca di mia
madre.
Erano
passati dieci lunghi anni dalla sua scomparsa e ancora adesso brancolavamo nel
buio. Nessun indizio di dove cercarla.
Sapevamo
solo che un giorno era uscita a caccia con me, Jacob e Seth.
Qualche
ora dopo, di lei e Seth si erano perse le tracce.
Io
e Jacob avvertimmo mio padre e il resto dei Cullen, che si precipitarono lì
dove si erano diretti il giovane lupo e mia madre.
I
loro odori erano svaniti non appena capitammo in una piccola radura.
Mio
padre dovette riconoscerla, così come mia zia Alice, perché si irrigidirono e
si scambiarono una breve occhiata.
Era
la prima volta che vedevo mio padre in quello stato. Non che io fossi messa
meglio, ma non avrei più dimenticato quell’espressione: un misto di
smarrimento, paura e rabbia.
Si
era diretto verso il centro della radura, cadendo in ginocchio sotto lo sguardo
preoccupato dei Cullen e aveva gridato il nome di mia madre, accompagnato
dall’ululato straziante del branco di La Push che
probabilmente stava chiamando per via telepatica il loro compagno disperso.
Quel
giorno capii che ciò che era accaduto qualche mese prima con i Volturi era
stato solo una piccola scheggia conficcata nel palmo della mano.
Un
dolore che ero riuscita a superare quasi subito, perché tutto si era risolto
per il meglio. Ma non la volta successiva. Ancora adesso il coltello piantato
nel cuore sanguinava e l’unica in grado di cacciare via il dolore era colei che
lo aveva piantato.
Mia
madre.
Ritornai
al presente. Ripensare a quel maledetto giorno era come rigirare quel coltello
nella ferita aperta.
Mi
voltai verso mio zio e notai che mi stava fissando adesso.
«Ma
è proprio qua che sta il nocciolo della questione» sollevai dal pavimento il
diario e glielo porsi. «Mio padre è un egocentrico. Contano solo i suoi
sentimenti, solo lui sta soffrendo per una perdita».
M’incamminai
verso l’uscita. «Ha mai capito cosa significa essere padre, secondo te? Io
direi proprio di no».