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Autore: Vivien L    16/08/2010    7 recensioni
Isabella Swan, una ragazza semplice e anonima, che abita nella periferia di Washington, ha una vita perfetta. Dei genitori affettuosi, un lavoro affermato, un uomo che l'ama. E poi c'è lui, Edward Cullen,l'uomo dalla bellezza irraggiungibile, che nutre un odio profondo e sviscerale nei suoi confronti. Un odio nato dalle origini più meschine,un odio insormontabile per entrambi,un odio che stravolgerà le loro vite. Due anime divise dal destino, ma un grande dolore riuscirà ad avvicinarli, finchè l'odio non si trasformerà in amore. E dall'amore, Edward e Bella lo sanno, non si può fuggire.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I GIORNI DELL'ABBANDONO'
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"I giorni dell'abbandono"
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capitolo 2
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Capitolo betato da Yara89
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Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono, ma sono di proprietà di Stephenie Meyer. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopro di lucro.
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Prima di lasciarvi alla lettura, una piccola raccomandazione: attenzione alle date, sono fondamentali per la corretta interpretazione del capitolo.
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L'amore è fuoco. Ma non sai se scalderà il cuore o ti brucierà l'anima. 
(Joan Crawford)
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Sabato 24 gennaio 2010

Guardai ancora una volta il mio pallido riflesso allo specchio. Il mio viso era smunto e smagrito, gli occhi rossi, spenti e privi di vita, le labbra contratte in una smorfia di sofferenza. Mi sentivo svuotata di ogni sentimento, sola e abbandonata. In quel momento volevo solo morire.

Lui non ti merita.

Presi le forbici dal ripiano del lavandino con mani tremanti, il ricordo della sua voce scorreva come arsenico nelle mie vene.

Lui non merita le tue lacrime.

Sollevai le forbici, accostandole alla mia chioma castana, osservando per l'ultima volta l'ondeggiare fluente dei miei boccoli scuri.

Lui ti ha riempita di bugie, non ti ha mai amata.

Adorava immergere il viso nei miei capelli. Respirare il mio profumo, accarezzare le onde setose che mi circondano il viso. Mi diceva che i miei capelli erano una delle cose che più lo attraevano di me.

E' scappato con un'altra, ti ha abbandonata. Ma non sei sola.Non più.

Un rumore metallico risuonò nel tetro silenzio del bagno, e vidi una prima ciocca castana cadere nel lavandino, insieme ai ricordi che lentamente mi stavano uccidendo dentro. Lui adorava i miei capelli. Lui li baciava, lui respirava il mio profumo. Mi sussurrava Ti Amo, mi diceva che ero tutta la sua vita.

Ti ha mentito, tu non sarai mai nulla per lui.

Quelle parole bruciavano, mi logoravano il cuore e l'anima come il peggiore dei tormenti.

Lui era la mia croce, non avrei mai potuto vivere senza il suo amore. Come una furia iniziai a recidere la mia chioma, le lacrime scorrevano copiose sul mio volto stanco, i singhiozzi risuonavano nell'immobilità del mio cuore ferito. Non volevo più soffrire, ma il suo ricordo era ancora troppo vivo, troppo radicato in me. E la sensazione d'essere abbandonata mi aveva travolta come un mare in tempesta, facendomi affogare nell'oceano della mia disperazione.

Iniziai a tremare, il corpo non rispondeva più ai segnali che mi inviava la mente.

Una ciocca cadde a terra, seguita da un altra, un altra e un altra ancora.

Il respiro divenne affannoso, gli occhi si spalancarono quando sentii il familiare senso di soffocamento invadermi il corpo e l'anima.

Guardai ancora una volta la mia immagine riflessa al lucido specchio del bagno, e ciò che vidi mi fece paura. Avevo lo sguardo sconvolto, le guance rosse dal pianto,i capelli erano corti e disordinati, alcune ciocche erano sparate in aria, altre ancora  completamente recise.

I miei capelli non c'erano più.

Ma il suo ricordo persisteva, come il più atroce di tormenti. E le forbici caddero a terra, producendo un rumore sordo, eco del mio cuore infranto. Scoppiai a piangere, cadendo in ginocchio, piegata in due, sottomessa al dolore d'immensa portata che aveva travolto la mia vita. In quel momento sentii una porta sbattere, e subito dopo due braccia calde e confortevoli stringermi a sé. Un profumo familiare, eppure un tempo così ostile e temuto, mi invase le narici, e delle labbra calde e morbide si posarono fra i miei capelli.

- Va tutto bene- sussurrò Edward, sollevandomi e prendendomi in braccio.

Mi strinsi a lui, avevo bisogno di qualcuno, ma la realtà era che il mio cuore e la mia anima viravano verso un'unica direzione:Jacob.

Singhiozzai più forte, e le labbra di Edward si posarono sulla mia fronte. Edward era diventato il mio eterno conforto, la mia ancora di salvezza, la mia unica ragione che mi legava alla vita.

La sua voce, quando parlò, era roca e incrinata, il mio dolore aveva avvolto anche lui, come se le nostre anime fossero collegate da catene invisibili.

Baciò le mie mani con devozione, sfiorando con le labbra il sottile cerchietto d'oro che avvolgeva il mio anulare sinistro.

Il simbolo del mio legame. Del nostro legame.

Mio, e di Edward.

- Va tutto bene- ripeté stringendo la mia mano, a cui mi ancorai come se fosse la mia unica salvezza

- Non sei sola. Non più.-. E quelle parole, quelle parole ebbero il potere di riportarmi indietro nel tempo, al giorno in cui tutto ebbe inizio, e tutto ebbe fine. 

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--------Un anno prima---------

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Quando aprii l'uscio della porta, sconvolta e con il cuore a pezzi, non potevo credere ai miei occhi. E il dolore subito si trasformò in umiliazione, quando vidi il suo sguardo altero e spavaldo soffermarsi sul mio pallido viso.

Uno sguardo che divenne preoccupato, ansioso e intimorito, alla vista del mio volto stravolto dall'angoscia.

Lui non c'era.

Avevo sperato che cambiasse idea, che tornasse da me.

Che rinnovasse le promesse che mi aveva fatto in passato, quando io ero la sua unica ragione di vita.

Illusa, lui non sarebbe mai più stato tuo. Perché tu non meritavi il suo amore.

E la delusione fu indescrivibile, quando vidi che gli occhi che mi scrutavano non erano neri come quelli del mio amore, ma verdi e lucenti come il cristallo.

Occhi preoccupati, un sentimento che non avrei mai creduto lui potesse provare per me. Caddi in ginocchio, il dolore mi sommerse ancora, la voglia di urlare divenne istintiva e prepotente. E allora urlai, urlai prendendomi la testa fra le mani, urlai seppellendo il viso fra le ginocchia, mentre due braccia forti mi sollevavano di slancio, trascinandomi in casa.

- Isabella che succede?- chiese Edward allarmato, a voce alta e angosciata. Non risposi, iniziai a dibattermi fra le sue braccia, la rabbia era troppa, il dolore ancor più forte, il senso di vuoto acuito dalla pietà che leggevo nei suoi occhi.

- Vattene, va' via!!- il mio fu un urlo disperato, che lo indusse a stringermi con maggior forza, mentre continuavo a dibattermi, a tentare di sottrarmi al suo tocco. - Bella!- continuava a pronunciare il mio nome, non volevo mi chiamasse in quel modo.

Lui non era nessuno per farlo, lui era solo il mio odioso e arrogante capo, che non aveva mai perso occasione per deridermi e rimproverarmi. Non volevo la sua compassione.

Volevo solo morire.

Volevo Jacob.

E il ricordo del suo viso mi tornò in mente, facendomi urlare ancor più forte, stretta fra le braccia estranee di Edward Cullen. Non riuscivo a respirare, sentivo un peso opprimente nel petto che mi schiacciava, e la consapevolezza che nulla sarebbe più stato come prima.

Io non sarei più stata come prima.

Perché nessuno mi avrebbe amata, io ero un rifiuto umano, non ero degna di vivere. E con quella dura verità a rimbombarmi nell'anima e nella mente, il mio cuore cessò di battere. E con esso, il buio mi travolse, irreversibile come il peggiore dei tormenti...

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Edward mi stette accanto tutta la notte, cercò di calmare le mie crisi di panico, inutilmente. Le sue parole non mi erano di conforto, le sue braccia calde non mi  facevano sentire protetta. Perché il mio posto era affianco a Jacob Black, l'uomo che mi aveva spezzato il cuore, che aveva distrutto ogni mia certezza, che mi aveva rovinato la vita. La presenza del mio datore di lavoro non faceva altro che acuire il vuoto che sentivo dentro.

Non sopportavo la sua compassione, la pietà con cui, quella notte lontana, aveva cercato di prendersi cura di me. La mattina dopo mi svegliai di soprassalto, spossata da incubi in cui le parole di Jacob mi risuonavano in mente con acredine, quasi per prendersi gioco della mia sofferenza.

Quella mattina mi svegliai sola, anche Edward mi aveva abbandonata.

E nei giorni successivi, non tornò.

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Lunedì 12 Settembre 2008 

Varcai le porte del Washington State Building con passi lenti e decisi, pronta a tornare a lavoro, a riprendere in mano ciò che restava della mia vita. Dopo un mese di assenza , avevo deciso di fare un tentativo, di cercare di riunire i cocci del mio passato, e di concentrarmi solo sul futuro.

Jacob mi aveva abbandonata, ma ciò non significava che il mondo si fosse fermato, e che potessi permettermi il lusso di prendermi altri giorni di permesso. Ero decisa a fingere che nulla fosse successo, che fossi rimasta la ragazza allegra e solare di sempre, ma tutto, in me, faceva presagire che un atroce dolore si fosse all'improvviso riversato nella mia vita.

Le porte dell'ascensore si aprirono, quando vi entrai non percepii neanche più il consueto senso d'inquietudine che mi avvolgeva quando mi ritrovavo imprigionata in luoghi chiusi.

Il dolore aveva spazzato via ogni altra cosa...

Guardai il mio volto allo specchio addossato alla parete dell'ascensore, e notai quanto i miei occhi fossero diversi, l'espressione più matura, emanavo un'aura estranea, non mi sentivo più me stessa.

Il dolore aveva spazzato via ogni altra cosa...

Sospirai, scrutando il mio volto accigliato, pallido e smunto, senza un velo di trucco a migliorare la mia immagine. Perché avrei dovuto truccarmi? Nessuno mi avrebbe guardata, ero sempre la solita ragazzina che voleva giocare a fare l'adulta.

Il dolore aveva spazzato via ogni altra cosa...

Le porte dell'ascensore si aprirono al ventottesimo piano.

Presi un respiro, profondissimo, e a testa alta m'incamminai nel corridoio che portava alla mia scrivania, sotto gli sguardi compassionevoli e leggermente sorpresi dei miei colleghi.

Loro sapevano...

Una risatina stridula attirò la mia attenzione. Mi voltai, scorgendo Jessica parlare animatamente con una ragazza che dimostrava avere a mala pena vent'anni, e le sorpresi a distogliere lo sguardo dalla mia figura.

Loro sapevano...

Non mi salutò, non mi rivolse il sorriso caloroso che era solita avere nei miei confronti, si limitò a squadrare il mio viso con uno sguardo strano, ironico, mortificante nella sua audacia.

Si voltò di nuovo verso la sua amica, e scorsi le sue labbra piegarsi all'insù , in quello che probabilmente era un sorriso derisorio.

Distolsi lo sguardo, gli occhi lucidi, un sentimento mai provato prima mi fece quasi tremare le gambe.

Umiliazione.

Perché loro sapevano, e provavano compassione, pena, divertimento, per la donna che era stata distrutta da colui che l'aveva abbandonata senza alcuno scrupolo, senza alcuna pietà.

Boccheggiai in cerca d'aria, arrancando verso la mia scrivania e, incurante degli sguardi curiosi che i miei colleghi mi rivolgevano, mi appoggiai con le braccia alla cattedra in legno, abbassando il capo e cercando di respirare regolarmente.

- Signorina Swan!- una voce fredda e suadente mi giunse alle orecchie, accompagnata da un sospiro di rassegnazione.

Feci un respiro profondo, un altro e un altro ancora, una pallida lacrima mi scese dagli occhi, la sofferenza stava tornando, più forte di prima.

-Isabella?- la voce adesso era decisamente preoccupata, ma anche più dolce.

Boccheggiai in cerca d'aria, dovevo calmarmi, dovevo rispondere.

Lui non ti ha mai amata.

Non ti merita, non merita il tuo amore.

Ma soprattutto, non merita la tua sofferenza.

Finalmente alzai lo sguardo, quelle parole erano servite a farmi riprendere il controllo di me stessa.

Mi scontrai con due occhi verdi, splendenti come il cristallo, ma che non avevano nulla dello spietato fascino che caratterizzava lo sguardo del mio Jake.

Basta Bella ti prego, non pensarci più.

Basta.

Mi ricomposi, asciugandomi velocemente la pallida lacrima che era sfuggita ai miei occhi, e m'immersi nello sguardo profondo di Edward Cullen, che mi fissava, ansioso e intimorito.

Il mio dolore stava scavalcando la sua maschera di indifferenza, esattamente come era successo in quella notte lontana.

- Buongiorno, Signor Cullen - faticai persino a pronunciare quelle parole, la mia voce era roca, quasi inesistente.

Lui aggrottò le sopracciglia, immergendosi nei miei occhi, e per un secondo mi sembrò di poter annegare nella sua anima.

- Potrebbe seguirmi nel mio ufficio?- mormorò con voce fredda e professionale, e io annuii.

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- Innanzitutto volevo dirti che sono molto contento di riaverti al lavoro...-sussurrò la voce di Edward, e io sospirai, guardando il suo volto cupo, dal fascino misterioso,  che aveva sedotto e ammaliato centinaia di donne...

- Ma converrai con me, Isabella, che è giusto che mi aspetti una spiegazione per quello che è successo - continuò, e io arretrai di un passo.

Scossi il capo quando lo vidi alzarsi dalla sua comoda poltrona in pelle, e arretrai, appiattendomi contro la porta dell'ufficio.

- Non posso - mormorai con voce rotta, e lui sospirò, avvicinandosi lentamente a me.

Il suo viso era vicino, troppo vicino.

Non era la persona che avrei voluto avere accanto.

Sentire accanto a me persone che non siano lui mi causava un vuoto dentro incolmabile, e il dolore tornava, travolgendomi con maggior audacia.

Forte, potente, le sue spire mi graffiavano la pelle, la nostalgia scorreva come arsenico nelle mie vene.

Perchè mi hai abbandonata, amore mio?

Le sue mani sfiorarono delicatamente le mie, sentivo il suo respiro caldo sul mio viso.

Un profumo dolce, delicato, così diverso da quello dell'unico uomo che abbia amato.

Quel tocco delicato mi turbò, la pietà che vedevo nei suoi occhi mi faceva sentire ancora più sola, abbandonata.

Jacob...

- Posso aiutarti, Isabella - sussurrò Edward, gli occhi lucidi e dispiaciuti.

Perché tutta quella gentilezza? Perché non tornava ad essere l'uomo cinico e freddo che tanto mi aveva intimorita?

Scossi il capo, tentando di sottrarre le mie mani dalle sue, ma lui me lo impedì.

- Non ho bisogno d'aiuto. Sto bene.- mormorai con gli occhi bassi, e lui si avvicinò ulteriormente, cercando di prendere il mio viso fra le mani.

Mi scostai, inorridita.

Non poteva toccarmi.

Soltanto lui mi toccava in quel modo. Non glielo avrei permesso.

- Non voglio farti del male. Vorrei soltanto che mi parlassi. Che mi dicessi...- tentò ancora una volta di sfiorare il mio viso , ma mi sottrassi, gli occhi lucidi e infuriati. Non mi avrebbe toccato.

Soltanto Jacob poteva farlo.

Sospirò, spostando lo sguardo sul mio viso inondato di lacrime - dimmi cosa ti è successo, Bella. Ti prego, io...- la sua voce si spezzò, una pallida lacrima luccicò nei suoi occhi chiari.

- Non posso. Non posso farlo. Ti prego, non posso- urlai prendendomi la testa fra le mani.

Il dolore mi stava dilaniando l'anima. Non riuscivo a respirare.

Sfilai la mia mano dalle sue e mi precipitai verso la porta, ignorando le sue suppliche sussurrate e il suo sguardo preoccupato.

Uscii nell'atrio dell'ufficio, e vidi tutti presenti girarsi nella mia direzione e osservarmi come se fossi un fenomeno da baraccone. Mi guardai intorno, ovunque scorgevo occhi curiosi, sguardi indiscreti, alcuni addirittura divertiti.

Mi sentivo un animale in gabbia, non riuscivo a respirare. La testa iniziò a girarmi, le lacrime presero a scorrere sul mio viso contro la mia volontà.

Dovevo andarmene, dovevo isolarmi dal mondo, dovevo sparire.

Nessuno avrebbe sentito la mia mancanza.

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Lunedì 12 settembre 2008, ore 17 

Afferrai la mia valigetta il mio portatile, pronta a tornare a casa.

Non avevo fretta, nessuno a casa attendeva il mio ritorno.

Ad attendermi avrei trovato soltanto quella straziante solitudine che mi affliggeva da mesi, nulla più.

Con calma indossai il pesante cappotto in Patchwork, lo sguardo basso e gli occhi lucidi. La discussione avvenuta con Edward mi aveva spossata, non avrei mai immaginato che potesse dimostrare una tale premura nei miei confronti.

E' compassione, nessuno si interesserebbe a te.

Cercai di scacciare la voce molesta che mi tormentava da giorni, sistemando con premura maniacale i miei effetti personale sulla mia scrivania.

L'ordine era un buon metodo per scacciare i pensieri furiosi del mio subconscio.

Dopo aver constatato che non c'era null'altro da sistemare, con un sospiro rassegnato mi diressi verso l'ascensore, pregando intensamente di non incontrare nessuno durante il mio tragitto.

Fortunatamente nessuno era ancora in ufficio, ero la sola che si era trattenuta più del dovuto, cercando di non pensare all'infinito oceano di dolore che avrei dovuto affrontare a casa, in quelle mura che avevano visto nascere la mia storia prima - e unica- storia d'amore.

Le porte dell'ascensore si chiusero con un rumore fastidioso e stridulo.

Rimasi immobile per attimi che sembrarono ore, pensando a quelle parole che un tempo erano state la mia unica certezza di vita.

La mia storia d'amore.

Mia, perché lui non mi ha mai amata.

Mi ha mentito, ingannata, soggiogata con il suo fascino da seduttore, con quegli occhi neri e penetranti.

Occhi che mi causavano un brivido, quando si posavano sul mio volto innamorato.

Occhi che sfioravano il mio corpo in una leggera carezza, quando facevamo l'amore.

I suoi baci, le sue mani sui miei fianchi, la sua anima a contatto con la mia.

Immersi l'uno nel corpo dell'altra, in quei momenti mi sentivo la donna più fortunata del mondo, indegna di possedere un simile cimelio.

Mio, e di nessun altra. Come io ero sua, incatenata da un amore che aveva travolto la mia vita, il mio cuore, la mia  stessa essenza di vita.

Ma lui non è qui. Lui non mi vuole.

Io non sono abbastanza, non lo sono mai stata.

E finalmente anche lui se n'era reso conto.

Caddi in ginocchio, il dolore mi colpì come una frustata, le ferite si riaprirono, letali, squarciando la mia anima in mille frammenti.

La testa fra le mani, per non pensare a ciò che avevo perso, a ciò che non avrei mai più avuto.

Io non ero abbastanza.

Iniziai a singhiozzare, arrancando in cerca d'aria.

E' colpa mia, è tutta colpa mia.

Non l'ho mai amato abbastanza, non gli ho mai detto che lui era tutta la mia vita, non ho mai fatto nulla per essere alla sua altezza.

La testa iniziò a girare vorticosamente, un gemito di disperazione risuonò nell'abitacolo dell'ascensore,

Mi presi i capelli fra le mani, tirandoli con forza.

Il dolore fisico era l'unico elemento che riusciva a lenire la sofferenza che sentivo dentro.

Ansimai, mentre un singhiozzo isterico mi sfuggì dalle labbra, seguito da un altro e un altro ancora, finché non sentii la porta dell'ascensore spalancarsi all'improvviso.

Un grido lacerò l'aria, e poi fu il nulla. 

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Lunedì 12   settembre 2008, sera

Mi svegliai con una strana sensazione di calore sulla pelle.

Calore, ciò che da tempo non riuscivo più a sentire.

Nel cuore e nell'anima.

Mi stropicciai gli occhi, mentre la familiare fitta allo stomaco mi invadeva la mente, sintomo di un disagio fisico che da mesi mi opprimeva.

Avevo perso la voglia di vivere. E con essa, il desiderio di prendermi cura del mio corpo.

Due mani calde e delicate mi sfiorarono la fronte in una carezza leggera.

Aprii gli occhi, scontrandomi con un viso familiare, ma che in quel momento non mi era di alcun conforto.

- Che cosa ci fai qui?- chiesi, la mia voce era spenta, non riuscivo a provare alcuna emozione. Edward sospirò, distogliendo lo sguardo.

- Mi ero preoccupato, sei svenuta all'improvviso -

- Perché non mi lasci in pace? Cosa vuoi da me?-

- Voglio solo proteggerti. Voglio che tu torni a vivere- abbassò la voce, mentre la sua mano si posava sul mio viso, obbligandomi ad incrociare i suoi occhi tormentati.

- E' la compassione che ti spinge a fare ciò?- sibilai disgustata - io sto bene. Non ho bisogno di te-

Il silenzio si cristallizzò fra noi, finché le sue parole non m dilaniarono l'anima.

- Non è vero, tu non stai bene, Bella- mi interruppe lui deciso, e sentii i miei occhi riempirsi di lacrime - tu soffri, ti stai distruggendo per amore- continuò, osservando la mia bocca spalancarsi in cerca d'aria. Mi prese il viso fra le mani con forza, quasi con prepotenza, costringendomi a guardare il suo viso - sono mesi che non dormi, che non mangi, che non esci di casa. Sono mesi che non vivi, e io non posso accettare questa situazione - sputò quelle parole con rabbia, e io spalancai gli occhi, incredula.

- Come...come fai a...-

- Come faccio a saperlo?- sibilò, e il suo sguardo bruciò nel mio come lava ardente - credevi che potessi lasciarti a te stessa, dopo ciò che ho visto quel giorno? Credevi che, dopo aver visto i tuoi occhi dilaniati dal dolore potessi dimenticarmi di te??- gridò, la sua stretta divenne dolorosa, sofferente.

Come i suoi occhi, che sembravano penetrare a fondo la mia anima, addentrarsi nelle infinite piaghe di sofferenza del mio cuore corrotto.

- No, Isabella, non avrei potuto farlo. Perché ciò che ho sentito quel giorno, mentre ti vedevo svenire fra le mie braccia, è un dolore talmente forte che non lo augurerei a nessuno, neanche al mio peggior nemico - prese fiato, sembrava esausto dal suo discorso pieno di sentimento. Avvicinò il suo viso al mio, fino a poggiare la sua fronte sulla mia guancia. Sentivo il suo fiato caldo sul collo, ero confusa, non riuscivo a credere alle sue parole.

- ti sono sempre stato accanto, ma tu non te ne sei mai resa conto. Mai, nemmeno quando passavo le notti fuori dalla porta di casa tua, supplicandoti di lasciarmi entrare. E sentivo le tue urla,  i tuoi pianti disperati, e mi sembrava di morire. Ma il tuo dolore... è come se lo avessi percepito anch'io, come se fra me e te ci fosse una connessione che ci spinge l'uno nelle braccia dell'altra- sospirò, prendendo le mie mani fra le sue e baciandole con devozione - tu credi nel destino?- 

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 In questa storia, le date sono fondamentali per comprendere la trama della fic, che subirà numerosissimi sbalzi temporali. Il prossimo capitolo sarà il penultimo, e si chiariranno molte cose che in quest'ultimo capitolo sono state tralasciate o appena accennate. Vorrei ringraziare tutte le lettrici che hanno recensito il primo capitolo della storia, e chi l'ha inserita fra le preferite/seguite/da ricordare.

Questa fic è molto importante per me, perchè mi riguarda direttamente, in quanto in questi mesi sono stata vicina ad una presona che si è completamente annullata per amore, e che ancora non riesce ad uscire dal baratro. Credo che l'indifferenza sia uno dei mali peggiori del mondo, e sono feicissima che le lettrici condividano con me quest'esperienza che , anche se indirettamente, mi ha segnata nel profondo.

La prima fase della depressione da abbandono è l'accettazione del dolore, l'elaborazione della sofferenza, la presa di coscenza.

In pratica, l'ammettere di avere un problema. Questo è ciò che Bella non ha ancora fatto.

Questa storia è molto introspettiva, c'è poca azione, per cui capisco se i lettori si possano sentire annoiati da una simile lettura, e non posso fare altro che scusarmi con chi mi segue, nel caso troviate la narrazione particolarmete prolissa.

La fic ha un tema centrle che è difficle da descrivere in tutte le sue sfaccettature: il dolore, la perdita. Per questo motivo mi sono trovata molto in difficoltà nello scrivere questo capitolo, ma spero che apprezziate comunque.

Non ho altro da dire, come ho già accennato prima, dubbi e misteri verranno svelati nel prossimo capitolo. Non posso rispondere alle recensioni, ma ringrazio di cuore chi mi a lasciato un parere , è la prima volta che scrivo una fic di qesto genere e i vostri commenti mi hanno davvero aiutata e incoraggiata a continuare.

Entro domani inserirò le risposte alle recensioni. Un bacio, elisa

   
 
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