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Autore: Josie_n_June    18/08/2010    2 recensioni
"Non c'entra niente da chi sei stato generato, o perché. Tu sei chi sei. [...]Non è la discendenza a stabilire ciò che siamo, è quello che facciamo della nostra vita. [...] Tu puoi scegliere la tua parte. Anzi, l'hai già fatto." Un Cavaliere di Drago. Una sacerdotessa. Un mago. Un'Assassina. A dieci anni dalla Grande Battaglia d'Inverno, un nuovo periodo oscuro travolge il Mondo Emerso. Non ci sono più eroi a combattere. Quattro ragazzi si trovano dentro una guerra che non si è mai conclusa, senza alcuna garanzia di vederne la fine. E sta a loro, decidere il loro destino. Una storia a due mani scritta qualche capitolo a testa, e quindi imprevedibile anche per noi che siamo le autrici. Se vi abbiamo incuriosito almeno un po', perché non date una sbirciata?
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ad Elnath si chiudevano gli occhi.

Il pomeriggio prima, mentre dormiva nel suo sacco a pelo, avevano sentito dei rumori. Così si era subito alzato, era salito sulla groppa di Morwen ed erano partiti.

Il tutto in anticipo di quasi quattro ore, e adesso erano quasi dodici che volavano senza sosta sulla Terra del Mare, alla ricerca di un posto sicuro dove accamparsi e fare provviste.

Il ragazzino riusciva a stento a reggersi sulla sella di Morwen.

Cercava di ripetersi che, comunque, era meglio non dormire per quasi ventiquattr’ore filate piuttosto che trovarsi a dormire per sempre.

La dragonessa sotto le sue gambe reagì con uno sbuffo seccato.

Elnath l’imitò. “Senti, Morwen, non è colpa mia se ci eravamo accampati in un posto pieno di cacciatori. Mica potevo lasciare che ci ammazzassero, no?”

Morwen voltò il testone e gli lanciò uno sguardo con gli occhi rossi come braci ardenti, quasi luminescenti nell’oscurità della notte.

Elnath sorrise. “Dai, bella. L’abbiamo fatto altre volte, non morirò per aver perso qualche ora di sonno.”

Lei emise un gorgoglio infastidito, che pareva ribattere che era proprio il fatto di averlo fatto così tante volte il punto.

Questo era l’inconveniente di viaggiare di notte. Dovevano farlo per forza, visto che Morwen sarebbe stata troppo visibile sul cielo azzurro, ma era difficile imparare a dormire di giorno. Infatti, nonostante fossero più o meno due anni che lo faceva, Elnath non era ancora riuscito ad abituarcisi.

Il bambino le batté una mano sulle lucide squame nere. “Ho quasi dodici anni e mezzo, Morwen. Posso resistere quanto voglio senza dormire. Sono un uomo ormai.”

Altro sbuffo scettico.

“Oh, sta’ zitta!” sbottò Elnath, ferito nell’orgoglio “Guarda che sei più piccola di me!”

La dragonessa fece una virata piuttosto brusca, e il bambino per poco non cadde. Le lanciò un’occhiataccia, e lei emise un altro gorgoglio molto simile a una risata.

“Esibizionista.” sibilò il ragazzino, reggendosi forte all’arcione.

Si voltò, offeso, a guardare il mare il lontananza. Brillava appena, illuminato dalla luna e dalle stelle. Era una distesa infinita, di un nero così profondo e omogeneo che competeva quasi con le squame di Morwen.

C’era una grande baia, poco distante dalla zona che stavano sorvolando. Il bambino distinse una piccola casa sulla spiaggia, lontana dall’acqua per quel tanto che bastava da essere protetta dall’alta marea e dalle tempeste.

Anch’io vivevo in una casa così, una volta, pensò Elnath, con un triste sorriso.

La ricordava ancora come se ce l’avesse avuta di fronte…

 

 

Elnath ha quattro anni.

Sua madre, Lilia, è davanti al focolare. Gli sorride mentre prepara la cena.

Lui è disteso a terra, a pancia in giù, e gioca con i soldatini che gli ha intagliato suo padre. Gamnar è bravo a intagliare. E’ bravo a fare tutto.

Elnath lo aspetta, e lancia occhiate impazienti alla porta. Sa che manca poco prima che torni dal lavoro.

Suo padre fa lo studioso, e loro abitano vicino a Laia. Ad Elnath piace il mare, e la sua famiglia ha una casetta proprio sulla spiaggia.

Tutto il giorno si sente il riflusso delle onde, e di pomeriggio Elnath si diverte a fare il bagno con gli altri bambini del paese.

Ma il momento che ama di più è la sera, quando Gamnar torna dal lavoro e loro cenano tutti insieme, e poi lui e Elnath si mettono davanti al camino, a leggere le Cronache del Mondo Emerso. E’ il suo libro preferito. Elnath ha ormai imparato a leggere da solo, ma vuole che sia suo padre a raccontare. Lo fa troppo bene.

In quel momento, la porta si apre, ed Elnath alza lo sguardo, con gli occhi spalancati. La figura di suo padre entra in casa trafelata, insieme al vento e alla sabbia. Elnath è in piedi in un attimo, e gli corre incontro. Ma, poi, si blocca in mezzo alla stanza.

C’è qualcosa che non va.

Gamnar sta appoggiato con la schiena contro la porta, e ansima. Tiene le braccia chiuse attorno a un grosso rigonfiamento del mantello.

Non sembra accorgersi di nient’altro finché Lilia non esclama, nervosa:

“Gamnar!”

Lui alza la testa, e guarda prima la moglie e poi Elnath.

“Va tutto bene.” dice per tranquillizzarli.

Ma Elnath continua ad avere  paura.

Suo padre apre il mantello, e ne esce un involto di stracci, che però sembra molto pesante, e che Gamnar maneggia con cura. Lo stringe al petto e sospira. Lilia è immobilizzata contro il muro, con gli occhi spalancati e il viso pallido.

Il silenzio regna sovrano nella stanza.

Elnath avanza piano un passo verso suo padre, poi un altro, finché non gli si trova davanti.

Piano allunga le manine verso l’involto di stracci, e intanto la presa di Gamnar si allenta. Elnath comincia a tirare via gli stracci uno dopo l’altro, e alla fine, sotto l’involucro di stoffa, appare una pietra nera.

E’ ovale e liscissima, ed è attraversata da numerose venature bianche. Elnath rimane a guardarla a lungo.

Ad un tratto sente un grido, e un rumore di cocci infranti. Sussulta e si volta di scatto verso sua madre, in simultanea con Gamnar. A terra ci sono i resti di uno dei piatti che Lilia stava mettendo in tavola. Sembra furiosa.

“E’ quello che penso che sia?” chiede, con la voce che trema.

Gamnar non risponde subito.

“Lilia…”

“No, Gamnar, no!” grida lei, mettendosi le mani tra i capelli “Come hai…?”

“Cerca di capire, Lilia.” la interrompe Gamnar “Ho dovuto farlo.”

“L’unica cosa che capisco è che non hai esitato a mettere in pericolo la tua famiglia solo per salvare la tua coscienza! E ad Elnath non ci pensi? Cosa succederebbe se ti scoprissero?”

Lilia è fuori di sé. Elnath non l’ha mai vista così. Sua madre corre verso Gamnar, che lascia scivolare la pietra nelle mani di Elnath. E’ pesante. E stranamente calda.

“E’ proprio a voi che penso, Lilia! Come si sentirebbe Elnath a sapere che suo padre non ha fatto niente per evitare un assassinio? Era la cosa giusta da fare!”

“No, Gamnar! La cosa giusta da fare era proteggere la tua famiglia! Quella… cosa non è più importante di nostro figlio!”

“Lilia, tu non capisci…”

“No, Gamnar, capisco benissimo!”

Suo padre e sua madre hanno cominciato a gridare. Lilia appoggia le mani sulle spalle di Elnath, e continuando a urlare qualcosa lo conduce fino alla stanza accanto. Poi richiude la porta, e le voci concitate dall’altra parte si fanno meno forti. Elnath rimane da solo al buio, con quella pietra liscia e tiepida fra le mani.

 

 

 

Elnath si svegliò di soprassalto, e se non fosse stato assicurato alla sella per i lacci attorno alle gambe sarebbe caduto di sotto.

Per un attimo richiuse gli occhi, accecato dalla luce del sole.

… Del sole?

Li riaprì di scatto, in preda al panico. Era già l’alba!

“Morwen, scendi!” gridò, afferrando con forza l’arcione.

La dragonessa obbedì, e cominciò a planare lentamente verso il basso. Elnath le dette un pugno sul dorso –l’equivalente di un pizzicotto, per lei- e disse:

“Dovevi svegliarmi!”

Morwen si limitò a emettere un sibilo orgoglioso, e a continuare a scendere. Intanto, il bambino si guardava intorno, cercando un posto sicuro dove atterrare.

Stavano sorvolando una zona piena di orti e campi coltivati, piuttosto lontana dai centri abitati.

“Lì, Morwen!” gridò, con il vento forte che gli frustava la faccia e gli tirava indietro i capelli corvini, indicando un campo di cereali scuri.

Almeno là in mezzo sarebbero stati meno evidenti che su una distesa di grano.

Morwen si diresse immediatamente in quella direzione, e poco dopo fece un atterraggio vellutato sopra le piante marroncine, che si piegarono all’aria sollevata dal movimento delle sue grandi ali diafane.

Elnath aspettò che le abbassasse per scivolare lungo il suo fianco.

Subito cominciò a slegare una piccola bisaccia dalla sua sella. Era quasi vuota; dovevano proprio fare provviste.

Morwen chinò il grande muso nero alla sua altezza, e piantò gli occhi rossi nei suoi.

Il bambino sostenne il suo sguardo con uno severo, nonostante avesse una gran voglia di ridere.

Dopo un po’, la dragonessa accostò la fronte a quella di Elnath, inondandolo di fiato caldo, e il bambino si permise di lasciarsi andare. Scoppiò a ridere e l’abbracciò.

“Ma sì che ti perdono, stupido grosso piccione!”

Per tutta risposta, Morwen gli passò sulla faccia la grossa lingua ruvida e bagnata.

Il bambino rimase qualche attimo ad occhi chiusi, immobile e disgustato, e poi si passò una mano sul viso.

“Bleah.” mormorò.

Morwen gorgogliò la sua bizzarra risata, e Elnath finì di slegare la bisaccia.

A quel punto, la dragonessa gli tirò un altro buffetto. Stavolta, il bambino indietreggiò di qualche passo.

“Ehi!”

Lei lo guardò dura, e il ragazzino sospirò.

“Smettila, Morwen. Devo andare a fare provviste. Non posso vivere di carne, io.”

Mosse qualche passo tra le spighe, ma Morwen lo seguì e lo circondò con il lungo collo per bloccargli la strada.

Elnath non poté fare a meno di sorriderle. “Torno subito, piccola, davvero… Dopo mi metto subito a dormire.” le assicurò, accarezzandola. Ma la dragonessa non si mosse.

“Guarda, prendo l’arco e le frecce. E anche la spada di papà.” aggiunse allora il bambino, staccando il vecchio fodero dalla sella della dragonessa e legandoselo alla cintura. Sentire il suo peso gli strinse il cuore. “Sei più tranquilla, adesso?”

Morwen emise un basso mormorio di gola, poco convinta, ma lo lasciò passare.

“Torno subito.” le ripeté Elnath, rassicurante “Davvero. Riposati, e se arriva qualcuno, vola via, d’accordo?”

La dragonessa sbatté le palpebre, e i suoi occhi luccicarono. Chinò il capo, ma il bambino sapeva che, purtroppo, non l’avrebbe mai lasciato lì.

“Torno subito.” disse per l’ennesima volta “Te lo prometto.” aggiunse, per poi riprendere a farsi strada tra le spighe che gli arrivavano al petto.

Si mosse più veloce che poteva.

Non aveva intenzione di infrangere la sua promessa.

 

 

Il Generale dell’Accademia dei Cavalieri di Drago Endacril Parascheuazo, parecchi piedi più in alto, aveva appena cominciato il suo turno.

Il suo compito, per quella giornata, era volare a vuoto tra il confine della Terra del Sole con la Terra del Mare, dal quale era partito, e quello della Terra del Mare con la Terra dell’Acqua.

Per coordinare il rientro dei Cavalieri.

Un corno, pensò l’uomo con un moto di stizza.

La sua dragonessa, Estella, gl’inviò mentalmente un flusso di calma, che però non lo calmò affatto. Il Generale, comunque, apprezzò il gesto.

“Grazie, vecchia mia.” le disse, battendole affettuosamente una mano sul collo. “Ma servirà molto di più perché possa smettere di detestare il moccioso, lo sai.”

Il moccioso, al solito, era Dohor.

Anche Estella, al suono del suo pseudonimo, fremette appena. E il Generale sorrise.

“Già. Lo penso anch’io.”

A Parascheuazo, la Terra del Mare era sempre piaciuta. Ci aveva passato anche qualche tempo, durante la guerra, come soldato nell’esercito delle Terre Libere. Anni prima, quando era ancora giovane e convinto della bontà di quel Mondo. Ma il paesaggio florido e profumato di salsedine stava cominciando a diventargli insopportabile, da un mese a quella parte.

Dohor era riuscito anche in quello.

I pensieri di Parascheuazo si persero nel vento, e corsero velocemente nella Terra del Sole, a Makrat, nel palazzo del re. In una delle grandi stanze, probabilmente stava ancora dormendo la sua Sulana. Endacril si sentì devastato all’idea che non la vedeva da almeno due anni, che non aveva potuto rimanerle vicino e sostenerla in quei tempi difficili.

Parascheuazo aveva servito sotto suo padre, l’ultimo vero re della Terra del Sole, che l’aveva accolto nella sua corte quando non aveva più nessuno. Si era subito affezionato a quella bambina testarda e coraggiosa che saltellava in giro per il palazzo. Giocava con lei, le faceva cavalcare la sua dragonessa, l’accompagnava in lunghe passeggiate per il parco del castello, e mano a mano che passavano gli anni, aveva cominciato a considerarla come una sorellina.

L’aveva vista crescere, diventare una ragazza, avere i primi problemi con se stessa e affrontare con coraggio il dolore per la morte di suo padre, e infine trasformarsi in una donna, una donna bellissima piena di forza e voglia di vivere.

Era rimasto al suo fianco per tutti i lunghi anni in cui aveva regnato da sola, e anche dopo che, stanca e prostrata da un peso che nessuno di così giovane avrebbe dovuto portare, aveva deciso di sposarsi.

Ricordava ancora i suoi occhi verde brillante guardare nel vuoto fuori dalla finestra, il giorno in cui era andato a trovarla…

 

 

Endacril entra nella grande stanza ormai familiare. Se si concentra, può ancora vederla com’era  quando la regina era ancora  bambina, piena di giochi e bambole che però non riuscivano mai ad estinguere la sua creatività.

E Sulana è  lì, seduta sul divanetto sotto la grande finestra, con il viso poggiato alla mano e lo sguardo perso nel vuoto.

Endacril si schiarisce la gola per annunciare la sua presenza.

“Mia regina…” dice, accennando un inchino.

La regina si volta e gli sorride. “Da quando ti inchini a me, Endacril?”

L’uomo ride. “Da sempre, in realtà. Fino a qualche anno  fa non avevo scelta, se volevo guardarti in faccia.”

Sulana sorride di nuovo debolmente. Non ride. Endacril non saprebbe neanche dire da quanto tempo non la sente ridere.

“Temo che non mi abituerò mai a vederti con quella cicatrice.” dice la donna, cercando di scherzare.

Endacril si passa una mano sulla lunga ferita che, da pochi mesi a quella parte, gli deturpa il viso altrimenti bello, paralizzandogli la bocca verso il basso. Abbozza un sorriso.

“Neanch’io, sai?” replica, stringendosi nelle spalle con aria tranquilla.

“Non è così male.” lo rassicura Sulana sinceramente “Ti rende affascinante.”

Endacril scoppia a ridere.

Come no…

“Volevi parlarmi?” le chiede poi, curioso.

Quando l’ha convocato, mentre faceva lezione in Accademia, gli era sembrata una cosa urgente.

La regina abbassa il capo, improvvisamente seria, e batte un paio di volte la mano sul cuscino vicino a sé, per invitarlo a raggiungerla. Endacril attraversa la stanza e le si siede accanto, su quel divanetto antica sede di tante fantasticherie.

Sulana non parla subito. Rimane a lungo a fissare fuori dalla finestra, prima di prendere un respiro profondo, e piantare gli occhi nei suoi. Endacril rimane sempre stupito di quanto, nonostante il dolore abbia ormai sciupato il suo bel viso, quello sguardo rimanga ancora vivo e brillante.

“Ho deciso di sposarmi.” dichiara la regina, in tono più rassegnato che deciso.

Endacril spalanca gli occhi e sbatte le palpebre, stupito. “Credevo che…”esita. Non vuole ferire i suoi sentimenti. “Alla fine il  Consiglio ti ha convinta.”osserva infine.

Sulana accenna un altro sorriso “Sono semplicemente stanca delle loro insistenze. Sono stanca di tutto, Endacril.” lo guarda, e Endacril legge nei suoi occhi una fragilità nuova, che non le aveva mai visto e che non le riconosce.

“Sulana…”

“E’ così, Endacril. Non posso farci niente.” mormora la donna. Sembra voler piangere… Ma forse è stanca anche di piangere. “Ho quasi ventun’anni, lo sai. Ho visto morire mio padre, e gli sono succeduta a quattordici anni. Ho assistito alla rovina del mio popolo,  ho combattuto per la sua libertà... E l’ho conquistata. In sette anni ho visto più morte e dolore di quanto avrei voluto vederne in tutta la mia vita. Adesso basta.”

Torna a guardare fuori, e stavolta il suo sguardo è determinato. Endacril guarda il suo viso pallido, il suo profilo nobile, la sua statura eretta e regale, e non può credere che quel corpo in fiore nasconda un’anima stanca e molto più vecchia dei suoi anni.

“Non devi arrenderti!” le dice accorato “Hai fatto grandi cose per questa Terra, non puoi rinunciare adesso! D’ora in poi sarà tutto più facile, vedrai Sulana, io…”

“Ma io mi sono già arresa!” esclama la regina, voltandosi a guardarlo. Stavolta, una lacrima le scende lungo la guancia “Mi ero già arresa quando l’esercito delle Terre Libere ha vinto nella Grande Battaglia, mi ero già arresa quando ho firmato il trattato di pace con gli altri sovrani! Non c’è più niente in me di quello che c’era un tempo.” sospira, e si asciuga gli occhi “ Sono vuota, Endacril. Sono prosciugata. Non ho più niente da dare al nostro popolo.” abbassa lo sguardo “Adesso tutto ciò che posso e voglio dare loro è un erede che continui la discendenza reale, così come avrebbe voluto mio padre. E non credi che me lo meriti? Che dopo tutto quello che ho fatto abbia diritto a un po’ di pace? Voglio solo vivere come qualunque donna di questo Mondo! Avere un marito e una famiglia, com’è normale! Perché vuoi negarmelo, Endacril?”

Di nuovo torna con lo sguardo sulla finestra, mentre le lacrime continuano a scenderle sulle guance e le sue spalle ad essere scosse da lievi singulti.

Endacril sa che non può darle torto. E’ davvero suo diritto, e non può certo rifiutarglielo.

Le prende una mano. La stringe.

“Ho capito.” mormora “Ho capito, Sulana. Devi fare ciò che credi giusto. Solo...”  esita di nuovo, cercando le parole adatte “Solo cerca di scegliere bene, d’accordo? Fa’ quest’ultimo sforzo, fallo per il tuo regno. Ignora chi ti sta intorno, fidati solo del tuo istinto… Non ha mai sbagliato in tutti questi anni.”

Le sorride, e Sulana si volta piano verso di lui. Per la prima volta da tanto tempo, ricambia con sincerità  il suo sorriso.

“Grazie.” mormora “Grazie di aver capito.”

Gli circonda il collo con le braccia e nasconde la testa nel suo petto. Endacril la stringe a sé e le accarezza i capelli, sentendosi come se stesse abbracciando la Sulana bambina, e non quella adulta.

In quel momento, si promette che le rimarrà accanto. Per sempre.

 

 

Beh, grazie a Dohor non aveva potuto mantenere la sua promessa. Appena il moccioso si era accorto del rapporto d’affetto tra la sposa e il Generale dell’Accademia che l’aveva addestrato, e che gli era divenuto ostile, gli aveva proibito di vederla.

Aveva proibito a tutti di vederla. La giustificazione erano le sue fragili condizioni di salute.

Endacril sapeva perfettamente che non era altro che una scusa; Sulana non era mai stata né fragile né cagionevole, il Generale non ricordava neanche che fosse mai stata malata per più di un giorno.

Ma il suo timore più grande, che era più una sicurezza, era che il re predicasse la grande delicatezza della sposa in modo che, quando non avesse più avuto bisogno di lei, avrebbe potuto liberarsene senza problemi.

Da quasi due anni, Parascheuazo non la vedeva se non da lontano, nelle occasioni ufficiali. Per qualche tempo si erano scambiati delle lettere, ma poi, progressivamente, Sulana aveva smesso di scrivergli. E il Generale era più che certo che non fosse stata una sua decisione.

Non sapeva neanche se fosse mai rimasta incinta…

Improvvisamente, Estella lanciò un grido acuto.

Parascheuazo si riscosse dai suoi pensieri e le batté una mano sul fianco. “Calma, bella, calma! Che succede?”

La dragonessa si lanciò in una lieve picchiata, inducendolo a guardare in basso. E Parascheuazo capì.

Cosa accidenti…?

“Scendi, Estella!” esclamò, e la dragonessa cominciò a planare lentamente verso il basso. “Atterragli lontano.” aggiunse, sporgendosi dalla sella per vedere meglio quella stranezza “E dopo che sono sceso vola in cerchio sopra di noi. Meglio che mi avvicini da solo.”

Che razza di bestia è?

La dragonessa rispose con un altro ruggito, e prese a scendere sempre più velocemente sui campi di cereali.

 

 

Elnath superò in un balzo le ultime spighe e il piccolo fossato, per poi trovarsi di fronte al cancello dell’orto. Dopo essersi accertato che non ci fosse nessuno, si arrampicò oltre il recinto, e cadde morbidamente dall’altra parte.

“Oh oh…”

Il suo atterraggio aveva svegliato un cane dal pelo marroncino e dalle dimensioni improbabili, che lo guardò per qualche istante interrogativo, come se non riuscisse a credere che quel piccolo umano avesse osato entrare nel suo territorio.

Prima che avesse il tempo di realizzare, però, Elnath aprì la bisaccia e gli lanciò un grosso pezzo di carne secca.

Il cagnone l’annusò con cura, guardandolo di sottecchi, e poi ne staccò un morso. Convinto, ingoiò tutto il resto.

Elnath rimase qualche altro istante immobile, accovacciato per terra, e poi si ritirò su e gli si avvicinò. Il cane si lasciò accarezzare senza esitazioni, e gli leccò la mano.

Il bambino sorrise. Aveva sempre avuto una grande intesa con gli animali.

Prese a camminare in giro per l’orto, cercando di riconoscere le piante che vi crescevano, e inginocchiandosi infine davanti a un piccolo quadrato coltivato a carote. Aprì la bisaccia e scavò con le dita finché non riuscì a tirarle fuori dal terriccio, poi cominciò a riempirne la borsa.

Elnath non lo considerava proprio come rubare. Lo vedeva più come un… risarcimento per tutto quello che aveva perso.

Intanto, il cane scodinzolava intorno alla sua bisaccia, sperando in un altro pezzo di carne.

Quando ebbe finito con le carote si mise a sradicare delle rape e qualche ravanello grossissimo, per poi concludere con un bel cavolfiore.

Si fermò soltanto quando la bisaccia fu piena fino in cima. A quel punto tornò al cancello e si issò a cavalcioni sul muretto. Prima di scendere dall’altra parte, però, ficcò la mano nella borsa e tirò fuori un altro pezzo di carne secca, che lanciò al cagnone.

Poi, soddisfatto, si calò fino a terra.

Riprese a camminare in direzione dell’accampamento stringendo i lacci della bisaccia sulle spalle, e fischiettando una buffa canzone di cui non ricordava le parole.

Doveva essere una di quelle che gli cantava sua mamma prima di dormire, una di quelle su prodi Cavalieri e avvincenti battaglie. Oppure su quanto facesse bene mangiare le verdure.

Cercando di riportare alla mente il testo della canzone giunse in poco tempo vicino al campo di cereali scuri dove si trovava Morwen.

E a quel punto si fermò, agghiacciato. C’era qualcuno.

 

 

Parascheuazo si avvicinò con cautela. Non era possibile. Quello che vedeva era del tutto impossibile.

A una decina di braccia da lui, c’era un drago che, a occhio a croce, non poteva avere più di cinque anni. Ed era nero. Un drago nero.

Anzi, una dragonessa nera.

Il Generale aveva riconosciuto la sagoma anche dall’alto, ma non ci aveva creduto. Così, dopo aver lasciato Estella a volare in cerchio sopra di loro, si era avvicinato alla strana creatura usando l’erba alta come nascondiglio.

E adesso se lo trovava davanti, incredibile e terribilmente possibile, a quanto pareva.

Un bell’esemplare femmina di Drago Azkur, o Drago Nero da battaglia. Di quelli che si era soliti vedere ai tempi del Tiranno volare a contrasto con il cielo, per poi essere assaliti da un terrore glaciale. Solo che quelli non erano i tempi del Tiranno, e Parascheuazo non aveva paura. Non molta.

Ma quell’esemplare era troppo giovane per venire dalle stalle del Tiranno. Di cinque anni troppo giovane, per la precisione.

Ma che accidenti avevano combinato i responsabili della Terra del Vento? Credeva che tutti i draghi neri fossero stati sterminati dopo la caduta della Rocca. Allevarli era illegale e, decisamente, quel drago non aveva potuto sopravvivere da solo appena uscito dall’uovo.

Parascheuazo non sapeva bene cosa fare. Non poteva certo affrontare un drago da solo, e poi, a dirla tutta, perché avrebbe dovuto affrontarlo?

Il drago non era colpevole di essere nato. L’unico colpevole era il Cavaliere che, a giudicare dalla sella ancora legata al dorso dell’animale, non doveva essere molto lontano.

Endacril sentiva la strana voglia di andarsene e lasciar perdere. Era un desiderio stupido. Insomma, quel Cavaliere era un fuorilegge, e magari aveva anche delle intenzioni poco innocenti. A cosa sarebbe servito il suo viavai ininterrotto sulla Terra del Mare, se non a rendersi conto di situazioni del genere?

L’unica cosa bizzarra era che non aveva mai sentito parlare di un Cavaliere di Drago Nero da almeno dieci anni a quella parte, e che, chiunque egli fosse, fosse riuscito a sfuggire così a lungo alla giustizia.

Dev’essere abile.

L’impulso a lasciar perdere continuava a perseguitarlo. Dopotutto, lui conosceva i draghi, e aveva letto numerosi trattati che affermavano che i Draghi Neri erano per davvero una minima parte più aggressivi degli altri per natura. Il resto era una conseguenza dell’addestramento e dei maltrattamenti subiti nelle stalle del Tiranno.

E chi ti dice che il Cavaliere di questo drago non l’abbia addestrato allo stesso modo?

Il cucciolo di Drago Nero si stava pulendo le ali con la grossa lingua, e in quel momento a Parascheuazo sembrava davvero poco aggressivo.

Ma è la legge. Devo fare qualcosa.

Emise un inudibile sbuffo.

Proprio io parlo di legge.

Beh, non poteva non fare niente. Perciò, il Generale riprese ad avanzare verso il drago a passi lenti, e nascosto nell’erba alta. Dette un’occhiata al cielo per controllare Estella, e la scorse mentre, molto sopra di loro, si produceva in una virata.

Bene. Doveva agire.

Continuò ad avvicinarsi finché non arrivò al punto dove l’erba era stata schiacciata dall’animale, che ancora non si era accorto della sua presenza. A quel punto, estrasse la spada e si alzò in piedi.

E nello stesso istante, qualcun altro uscì allo scoperto.

 

 

Il cuore di Elnath batteva fortissimo. Il bambino si era subito accorto della presenza dall’altra parte dell’accampamento, che spiava Morwen. L’aveva sentito, e si era accovacciato tra le spighe. Improvvisamente la figura si mosse, e per un attimo Elnath venne abbagliato da un luccichio metallico.

E’ un soldato!

Il ragazzino strinse i denti e i pugni. Li avevano trovati, e adesso avrebbero provato a uccidere Morwen.

No…

Il soldato si avvicinava alla sua dragonessa sempre di più, e qualche secondo dopo, Elnath lo scorse muovere il braccio con un movimento ampio e circolare.

No!

L’uomo uscì dal suo nascondiglio, e nello stesso attimo Elnath si tolse l’arco dalla spalla, estrasse una freccia dalla faretra e la incoccò con una velocità impressionante.

“Fermo!”

Si alzò in piedi e si parò davanti a Morwen, che ruggì spaventata dalla vista dell’estraneo e dal movimento fulmineo di Elnath.

Sta’ tranquilla!, pensò il bambino con forza, e la dragonessa si calmò, estraendo i lunghi artigli.

Elnath puntò l’arco in direzione del soldato e lo guardò con gli occhi neri ridotti a due fessure. “Prova ad avvicinarti e ti ammazzo.”

 

 

Parascheuazo spalancò gli occhi e si mise in posizione di guardia con la spada, stupito.

Fissò il ragazzino che era sbucato dal nulla, e che adesso lo minacciava con un arco troppo grande per lui. Magro, esile, non molto alto, con un irregolare caschetto di capelli neri, aveva negli occhi scuri un odio e una determinazione tali che il Generale non riusciva a credere potessero essere racchiusi in quel corpicino.

Endacril sentì una fitta allo stomaco.

Cosa può averlo spinto a odiare così tanto?

Valutò velocemente il ragazzino. Quanti anni poteva avere? Tredici? Non poteva essere il Cavaliere di un Drago Nero. E come poteva viaggiare da solo? Come aveva fatto a sfuggire alla legge per tutto quel tempo?

Endacril mosse un passo verso il bambino e il suo drago.

Il primo indietreggiò e tese ancora di più l’arco, il secondo ringhiò. Endacril si chiese quanto ancora le braccia esili del ragazzino sarebbero riuscite a tenere la corda in tensione.

“Non avere paura. Non ho intenzione di farvi del male.” disse, sinceramente.

Dopotutto non avrebbe giovato a nessuno. Il Generale era semplicemente curioso, e preoccupato.

“La tua spada dice il contrario.” replicò il ragazzino sprezzante “Vattene e neanche noi avremo intenzione di farti del male.”

Parascheuazo sorrise appena. Arrogante, il ragazzino.

“Non dovresti usare l’arco come minaccia.” l’avvisò con tranquillità.

Il bambino ghignò sarcastico. “E perché no?”

“Sei troppo vicino a me, ti vedo benissimo.” gli spiegò Endacril “Non sarebbe difficile schivare la tua freccia, e non faresti neanche in tempo ad incoccare la seconda che avresti già la mia spada puntata alla gola.”

Il ragazzino dondolò sul posto, a disagio, ma riassunse quasi immediatamente la sua espressione sicura e supponente “Come sai che non potrei difendermi? Chi ti dice che non sono un abile spadaccino?” fece, con un cenno del capo al lungo fodero che aveva legato alla cintura.

Parascheuazo si strinse nelle spalle. “Il fatto che mi minacci con l’arco.”

Il ragazzino spalancò gli occhi e arrossì appena sulle guance pallide. Il drago ringhiò, e il Generale sospirò. Non sarebbero arrivati da nessuna parte così. E in più, le braccia del bambino cominciavano a tremare per lo sforzo.

“D’accordo, facciamo a modo tuo, allora.” disse, prima di buttare la spada a terra “Non mi avvicino, contento?” aggiunse, piantando solidamente i piedi dov’era “Permettimi, in cambio, di farti qualche domanda. In primo luogo” cominciò “Chi sei?”

Il ragazzino abbassò lentamente l’arco, senza però metterlo via. “Questi non sono affari tuoi.” rispose cupo.

“Io credo di sì, invece.” replicò Parascheuazo, leggermente irritato.

“Ah sì? Io no. E poi non so chi sei tu, perché tu dovresti sapere chi sono io?”

“Mi chiamo Endacril Parascheuazo.”

“Oh, questo cambia tutto.” ribatté il ragazzino ironicamente “Senti, ti dispiacerebbe far scendere il tuo drago?” chiese poi, alzando un attimo gli occhi al cielo “O vuoi continuare a minacciarci dall’alto come un codardo?”

Parascheuazo spalancò gli occhi.

Brillante, non c’era che dire. Se si era accorto della presenza di Estella a una tale distanza doveva avere un grande spirito di osservazione e, come minimo, qualche ulteriore capacità.

Guardò a sua volta verso il cielo, e fischiò forte.

Estella!

La dragonessa si lanciò in picchiata, e divenne via via più grande finché non arrivò a coprire tutto il loro campo visivo, e fare loro ombra dal debole sole mattutino. Estella atterrò con grazia vicino a Parascheuazo, il cui mantello si sollevò alla forte folata di vento che creò con le ali, e che fece indietreggiare d’un passo il bambino.

L’enorme dragonessa bianca scrutò quella piccola e nera con vago e tranquillo interesse, senza scomporsi minimamente. L’altra, al contrario, emise uno stupito e allegro mormorio di gola. Doveva essere il primo suo simile che vedeva.

Il ragazzino, dal canto suo, aveva un’aria così ammirata che era impossibile dire se avesse più spalancati gli occhi o la bocca.

Il Generale gli sorrise, soddisfatto. “Sei sveglio, ragazzo.”

“Mi chiamo Elnath.” balbettò il bambino “E lei è Morwen.”

A quel punto si riscosse e si accigliò, rendendosi conto che forse aveva detto troppo.

Parascheuazo gli fece un nuovo sorriso, cercando di rassicurarlo. “Piacere di conoscerti, Elnath. E adesso che abbiamo superato l’ostacolo del tuo nome, dimmi… Come accidenti ha fatto un bambino come te a procurarsi un drago nero?”

La dragonessa di nome Morwen e il bambino di nome Elnath ringhiarono all’unisono.

“Io non me la sono procurata.”sbottò Elnath, sdegnato “Il suo uovo si è schiuso di fronte a me.”

Parascheuazo si sorprese. Nessuno era stato capace di studiare bene l’argomento, ma i fatti documentavano che una cosa del genere accadeva soltanto quando Cavaliere e Drago erano destinati a un fortissimo legame. E il più delle volte, questo significava che erano destinati a grandissime cose.

“D’accordo.” disse “E allora come ti sei procurato un uovo di Drago Nero?”

“Mio padre.” rispose di getto il bambino “Mio padre l’ha…”

Esitò, e poi tacque. Parascheuazo lo vide stringere i pugni.

“Non sono cose di cui voglio parlare. E poi, tu chi sei per fare così tante domande?” fece Elnath, con aria di sfida.

Il Generale sorrise. Più tempo passava, più quel ragazzino gli piaceva. “Un Cavaliere di Drago, non è abbastanza?”

“Beh, anch’io…” cominciò il bambino.

“Mi dispiace contraddirti” l’interruppe Parascheuazo, che, come insegnante, si sentiva in dovere di precisarlo “Ma non basta avere un drago per essere un Cavaliere.”

“E che serve, allora?” esclamò Elnath, con una superbia mista a stupore e curiosità.

“Tanto allenamento. E tanta esperienza.” rispose Endacril “Forse hai già una delle due. Da quanto tempo tu e Morwen siete insieme?”

Il bambino non esitò a rispondere. Il Generale capì che, nonostante la diffidenza e la paura, aveva ancora l’istinto infantile di essere riconosciuto importante dai grandi.

“Morwen ha quattro anni.” disse con orgoglio “Ma la cavalco solo da due. Prima era troppo piccola.” aggiunse a voce più bassa.

Parascheuazo annuì. “Ci possiamo lavorare.”

Il ragazzino spalancò gli occhi “Lavorare su cosa?”

“Sul tutto.” rispose il Generale “L’esperienza, le capacità di volo, l’arte della scherma.” disse, con un cenno allusivo alla spada del ragazzino “Forse non sarà facile, ma vale la pena provare. Dopotutto non mi sono mai arreso di fronte a una sfida.”

Il ragazzino era semplicemente sbalordito. Lo fissava stralunato con gli occhi neri, e si era bloccato immobile con l’arco e la freccia tra le mani. “Cosa?”

Endacril rise. “Mi sto offrendo di addestrarti, mocciosetto presuntuoso.” disse “Mi era sembrato che fossi un tipo sveglio.”

“Ma… ma…”. Il bambino balbettava. Parascheuazo capì che non si aspettava niente del genere. “Addestrarmi? Io…” ripeté Elnath, guardandolo smarrito. Poi scosse forte la testa, e assunse di nuovo un’espressione sprezzante. “No.” disse, gelido, arretrando verso la dragonessa.

Anche Morwen parve riscuotersi, e chinò il muso sulla spalla del bambino.

Il Generale non si scompose. “Perché no?”

“Non ne ho voglia.” accampò il ragazzino, sistemando la bisaccia che aveva sulle spalle alla sella della dragonessa.

Parascheuazo rimase a fissarlo, in silenzio, finché non ebbe finito. Aspettava. E infatti, poco dopo, Elnath si voltò, e lo guardò altero.

“Non voglio essere addestrato da nessuno. Noi non lo vogliamo. Non abbiamo bisogno di nessuno, noi.” esclamò con convinzione che, intuì Parascheuazo, era più testardaggine puerile.

“Tutti hanno bisogno di qualcuno, Elnath.” disse semplicemente.

Il bambino alzò di nuovo lo sguardo su di lui e, per un attimo, di nuovo smarrito. Ma si ricompose in fretta.

“Beh, ti sbagli. Noi stiamo meglio da soli. Ce la siamo cavata da soli per due anni, e così continueremo per sempre. Io posso proteggerla da solo. Non abbiamo bisogno di nessuno.” continuò piccato, giocherellando con un laccio della sacca a spalla.

Il suo ripetere con ostinazione quella frase era, per Endacril, un’evidente dimostrazione della sua falsità. Sapeva benissimo che tentando di spiegargli che era troppo piccolo per continuare a vivere da solo, o addirittura obbligandolo a seguirlo, non avrebbe ottenuto niente. Per convincerlo, l’unica strada era stuzzicare il suo senso di sfida.

“E’ una tua scelta.” si limitò a dire il Generale, e a quel punto il bambino sollevò su di lui uno sguardo incredulo.

Evidentemente, si aspettava che insistesse.

“Sì, è tua, Elnath, e di nessun altro.” ribadì Parascheuazo, tranquillamente “Ma mi sento in dovere d’informarti. Sai cosa sta accadendo nel Mondo Emerso in questo periodo, ragazzino?”

Il ragazzino inarcò un sopracciglio, e fece una smorfia. “No. E non m’interessa.”

“E perché no?” chiese di nuovo Endacril.

“Perché nessuno si è interessato di me, quando ne avevo bisogno. Perché io dovrei interessarmi di loro?” ribatté, aspro.

Quella frase colpì Parascheuazo nel profondo. In quell’affermazione infantile c’era una coscienza adulta, e terribilmente ferita.

“Lo so.” rispose “Ma sbagli a generalizzare. Per esempio, io adesso mi sto interessando di te, o no?”

Il bambino si strinse nelle spalle. “Non so ancora se questo mi fa piacere o no.”

Parascheuazo sorrise. Almeno erano passati dall’ostilità all’indecisione.

“E tu non vuoi essere migliore delle persone che ti hanno ignorato, Elnath?” chiese.

Elnath abbassò gli occhi, e non rispose. Così, il Generale proseguì:

“C’è una guerra. Non è ancora aperta, e per i più è sconosciuta, ma c’è. Il re della Terra del Sole, Dohor, ha l’intento d’impadronirsi di tutto il Mondo Emerso con una politica fatta di diplomazia e protettorati, ma non meno decisiva di una conquista vera  e propria. Sta riuscendo a ricostruire ciò che a suo tempo aveva creato il Tiranno, e nessuno sembra accorgersene. E sono sicuro che, se sei dotato di un minimo di buon senso, non vuoi che questo succeda.”

Il bambino lo guardava con occhi sbarrati, in silenzio.

“Nella Terra dell’Acqua si stanno organizzando delle persone pronte a fronteggiarlo, e questa guerra già si combatte. Sotto altre spoglie, nella Terra dei Giorni, si sta già combattendo per proteggere il Mondo Emerso da questa nuova minaccia. E tutti coloro che possono dovrebbero partecipare a questo Conflitto occultato con tutte le loro forze, senza risparmiarsi.” disse Parascheuazo, guardandolo fisso negli occhi “E se non vuoi che ciò che ti ho detto accada, dovresti fare qualcosa anche tu.”

Il ragazzino indietreggiò. “Cosa c’entro io?”

“Quello che c’entro io, o c’entrano tutti quelli che combattono con me. Tu sei un abitante di questo Mondo, Elnath.” gli spiegò Parascheuazo “E se vuoi che sia il Mondo che desideri, è tuo dovere cercare di trasformarlo.”

Elnath lo guardò confuso “Ma io credevo che Nihal…”

“Nihal ha sconfitto il Tiranno.” l’interruppe Endacril “Ma sfortunatamente, non era l’unica persona cattiva del Mondo.”

Il bambino abbassò il capo. “Lo so.” rialzò lo sguardo, e lo piantò nel suo “Ma tu lavori per delle altre persone. Dei sovrani, dei tizi al governo, proprio come quel Dohor. Mio padre diceva che le lotte tra Terre non sono altro che questo, lotte di potere. E che gli unici che ne traggono vantaggi sono i re, mentre la popolazione soffre e muore. Mi dici cosa c’è di giusto in questo?” esclamò Elnath, con forza.

Di nuovo, la sua maturità sorprese Parascheuazo. Gli sorrise con comprensione.

“In questo caso è diverso. Io siedo in un Consiglio insieme ai sovrani, decido insieme a loro e a tante altre persone di quello che accadrà. Non è una lotta di potere. Coloro che cadono sono volontari, persone che si sono legate di loro spontanea volontà alla causa. Non c’è un sovrano che li porta via dalle loro famiglie e li obbliga ad arruolarsi, è una loro scelta. E sanno che muoiono per la vita di altri, e per ciò che è giusto.”

“Uccidendo soldati come loro, che invece sono stati obbligati ad essere dove sono!” ribatté Elnath.

Parascheuazo annuì con serietà. “Questo è vero. Ma non c’è scelta, su questo punto. E’ la nostra vita, o la loro.”

A quel punto, il bambino ammutolì. Posò di nuovo lo sguardo a terra, e prese a spostare la sabbia con la punta dello stivale.

Dopo un po’, gli lanciò un’occhiata. “Io e Morwen siamo sempre stati rifiutati. Ci hanno sempre visti come una minaccia, e soltanto perché lei è diversa. I sovrani che stai cercando di aiutare sono… sono responsabili della morte dei miei genitori.” mormorò, con voce spezzata.

Endacril capì immediatamente da dove veniva tutto l’odio che gli aveva visto negli occhi.

“E io non voglio avere a che fare con loro.” concluse Elnath.

“Se lo vorrai” rispose Parascheuazo con fermezza “Potrai dimostrare loro che si erano sbagliati. E non far soffrire nessun altro come hai sofferto tu.”

Elnath lo guardò.

Morwen fece un basso gorgoglio, e gli picchiettò il muso sulla spalla. Il ragazzino fece un gesto di stizza.

“Finiscila. Non ho ancora deciso.”

A quel punto, Endacril sbuffò. “Beh, moccioso, non ho tutto il giorno.” disse brusco, raccogliendo la spada da terra e rinfoderandola “Il sole è già sorto, e io ho un compito da svolgere. Quindi, se non ti dispiace, muovi il sedere e monta in sella.”

Detto questo, salì sul dorso di Estella, che si era già abbassata alla sua altezza, e prese le redini.

Poi inarcò un sopracciglio, guardando il ragazzino ancora immobile.

“Allora? Andiamo?”

 

 

Elnath fissò negli occhi il Cavaliere di Drago, squadrò la sua faccia storpiata da quella brutta cicatrice che gli piegava la bocca in un’eterna smorfia, e poi guardò Morwen.

La sua dragonessa fremeva dalla voglia di seguire l’enorme dragonessa bianca, per imparare e diventare un giorno grande come lei.

Ed era un desiderio che Elnath, anche se in modo un po’ meno esplicito, condivideva nei confronti del Cavaliere.

Non si era mai fidato dei soldati. Non si era mai fidato di nessuno, dalla notte in cui i suoi erano stati brutalmente uccisi. Eppure, quell’uomo gliel’aveva ispirata immediatamente, e alle sue parole, per la prima volta da tanto tempo, Elnath si era sentito di nuovo proprietario di un futuro.

Di nuovo un bambino, che non doveva fare affidamento soltanto su se stesso. Che poteva appoggiarsi a qualcuno.

Ma non sapeva niente di quel tizio. Guardò di nuovo Morwen, e si accigliò.

Non poteva metterla in pericolo. Era l’unica cosa importante della sua vita, l’unica parte della sua famiglia che gli rimaneva. Se quel Cavaliere gliel’avesse portata via, non sapeva cos’avrebbe fatto.

Ma le parole di Endacril Parascheuazo continuavano a riecheggiargli nella mente, implacabili.

Elnath lo guardò, imponente e spaventoso sul dorso della sua dragonessa, prese un respiro profondo… e decise.

 

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Note:

Ecco qui altri due personaggi. Tre. I draghi possono essere considerati come personaggi? Bhé, Morwen ed Estella sì XD

Vi dico subito che siamo tremendamente affezionate al piccolo Elnath e alla sua Morwen, per il momento sono due dei nostri personaggi preferiti. La loro storia si svolgerà piuttosto lentamente, per forza di cose, ma acquisteranno importanza via via. Non c'è dubbio che, nel trovare un drago nero a dieci anni dalla caduta della Rocca, ci siamo dovute sforzare molto XD Però, come scoprirete più in là, siamo riuscite a trovare un modo per conciliare il tutto senza contaminare la trama generale delle Cronache e delle Guerre. E dopotutto, Dohor non aveva fatto incrociare i draghi neri con i draghi comuni?

Il problema è che io (Elisa) me ne sto per andare. Eh sì, partirò per la Spagna questo sabato, e rimarrò a Barcellona per dieci giorni. Il capitolo 4 sarà postato inderogabilmente al mio ritorno, promesso, con un ritorno in grande stile anche dei nostri Taras e Algeiba. A presto, continuate a recensire, vi prego, i vostri commenti ci fanno bene! XD

Asteria 95: Wow che teoria interessante! o.ò Davvero, complimenti! In quanto alla sua realtà... Potrebbe essere così... O forse no XD. Chissà. Mi piacerebbe risponderti, ma non vogliamo fare spoiler XD. Solo un appunto; sei piedi d'altezza corrispondono a circa 1 metro e 85 , quindi il povero Taras non è granché basso XD

Scusa, è colpa nostra, avremmo dovuto specificarlo. La prossima volta che mettiamo delle misure provvederemo a convertirle in nota. Grazie mille della tua recensione, è bello vederti così appassionata e intuitiva e indagatrice! *__* E siamo contente che adori il personaggio di Taras!

MonyPurpa: Addirittura una parabola di matite? Siamo lusingate! XD Aspetta, se vuoi intercediamo presso Taras a nome tuo per chiedergli di prestarti i suoi occhi... Non sarà facile convincerlo, però, ci è molto affezionato!

XD A parte questo, grazie! *__* Fatti coraggio, e resisti all'assenza di cioccolata! A presto!

 

 

 

  
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