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Autore: ISI    18/08/2010    2 recensioni
"Mi passai le mani sulla faccia per poi ficcarmele tra i capelli, ogni singolo muscolo del mio corpo scosso da un tremito che, ne ero sicuro, un giorno avrebbe finito per contrarmi tanto e tanto forte il cuore da farmelo scoppiare.
“Se spera che io faccia davvero ciò che voleva l'uomo che l'ha accompagnata, allora, può benissimo girare sui tacchi e fare dietro-front: mi è bastato l'Afghanistan per giocare a fare l'assassino e sinceramente non ne ho più alcuna voglia, quindi...” ma prima che potessi finire quella minacciosissima frase la ragazza scoppiò il lacrime ed esausta quanto me, senza più un briciolo di forze in quel suo corpicino magrissimo e scarno che un'indesiderata maternità aveva reso leggermente più morbido, si lasciò scivolare piano lungo la parete dell'ingresso."
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dall'altra Parte


Special thanks to

-Alchimista: Eh, lo so, povero Silvio, non ha un passato facile, ma chi in questa storia ne ha avuto uno? Sinceramente parlando ero effettivamente indecisa se inserire la scenetta della piccola Roxanne nel testo o se accennarne più velocemente, senza mettermi a parlarne troppo in particolare, ma alla fine, come al solito, non ho resistito e il risultato è quello che è... sono contenta che le ultime frasi del capitolo ti abbiano incuriosita e chiedo scusa a te e a tutti i miei quattro lettori per tutti gli errori presenti nel testo: la mia beta di fiducia è un po' di tempo che è incasinata con l'università e detesto stare lì a leggere e rileggere un capitolo da me scritto, perché subito dopo averlo riguardato mi fa schifo e mi vengono una marea di paranoie... Ok, lo so, sono strana, ma non posso farci niente. Ti ringrazio ancora per tutti i bei complimenti e scusami per il ritardo dell'aggiornamento.

-Anne London: Ci sei quasi, mia cara, ma non voglio svelarti niente di quello che accadrà più avanti...Piuttsoto voglio scusarmi per il ritardo con il quale ho pubblicato questo capitolo, ma tra gli sconvolgimenti interni a quell'incasinamento che oso chiamare casa ed il lavoro (il giorno di ferragosto avremmo dovuto quadruplicarci...) non ho avuto molto tempo da dedicare agli aggiornamenti, specialmente a questo che mi ha messo non poco in difficoltà... ora incomincia la parte deduttiva di tutto il fatto e anche se non mancheranno i colpi di scena ho comunque paura che con tutte queste chiacchiere il racconto finisca per diventare piuttosto noioso. Ah, speriamo in bene e mi raccomando fammi sapere che cosa ne pensi, son tutt'orecchi!

Grazie anche a Bellis e a Sihaya10 per aver inserito la mia storiellina tra i seguiti: fatemi sapere che ne pensate, avanti, non è mica così difficile!

E ora, a tutti voi, buona lettura!



Capitolo IV – Chi, come e perché



Dalle memorie del dottor John H. Watson



Ci guardammo in faccia per qualche secondo, increduli ed incapaci di farci alcun'altra tacita domanda che non fosse: perché?

“Non ha alcun senso!” esclamai interrompendo quel silenzio così denso d'interrogazioni e di dubbi cui in quell'attimo mi parve impossibile dare una risposta che potesse essere anche solo lontanamente credibile “Perché qualcuno, chiunque esso sia, avrebbe dovuto rubare un libro scritto da me? E soprattutto che ci faceva nella sezione della biblioteca che custodisce i codici e le carte più antiche ed importanti? Non sarò analfabeta, si capisce, ma le mie cronache dei casi di Sherlock Holmes non valgono così tanto, non dal punto di vista monetario almeno, da esser degne di venir trafugate come fossero i papiri che riportano le liriche di Saffo o i carme di Catullo!” ragionai ad alta voce rimettendomi seduto, piuttosto inquietato da quanto appena scoperto.

Anche se i miei racconti avessero avuto in seno loro qualche informazione sul mio amico a che sarebbe valsa, in mano a chi avrebbe dato frutti sperati, allorché il suo cadavere, sepolta una bara vuota come un inutile feticcio ed assieme ad essa un pezzo della mia vita, si era ormai disfatto tra le acque impetuose delle cascate di Reichenbach assieme a quello del Professor Moriarty?

“C'è un'altra cosa assai strana...” proferì Henry dopo aver osservato la pagina strappata con cipiglio confuso e meditabondo “Se non sbaglio, e raramente, modestia a parte, ciò accade, vista la mia memoria fotografica, credo che questa sia tutt'altro che la tua grafia, John...”

“E' vero!” esclamò il fiorentino, che nel frattempo si era alzato e s'era messo a fissare curioso il pezzetto di carta da sopra le spalle del rosso.

Mi feci ripassare la pagina di quella strana edizione de Uno studio in rosso e inforcati gli occhiali da lettura mi soffermai sulla linea dolce ma al contempo forte e ben decisa disegnata dall'inchiostro nero contro la carta bianca, dalla filigrana di buona qualità ma comunque piuttosto comune e mi accorsi che il mio collega dalla chioma ardente aveva pienamente ragione, ma chiarito questo altri leciti quesiti si unirono ai primi e mi ritrovai a chiedermi chi e soprattutto per quale ragione avrebbe avuto interesse a fare l'amanuense e copiare a mano un testo stampato che avrebbe potuto comodamente acquistare in una qualsiasi libreria con una spesa effettivamente esigua.

Chiusi gli occhi e presi un profondo respiro, cercando di sgomberare la mente da ogni azzardata ipotesi o bizzarra teoria che vi fosse sbocciata e richiamatomi al metodo deduttivo del mio caro amico defunto, riaperti gli occhi, cercai di osservare ciò che avevo tra le mani senza alcun pregiudizio di sorta, come avrei fatto se mi fossi trovato innanzi ad un problema di matematica i cui dati non si possono cambiare così come si vuole a proprio piacimento, ne se possono introdurre di nuovi, a meno che non derivino da una relazione sensata effettuata tra quelli già in nostro possesso.

“Bene...” borbottai con lo sguardo fisso su quell'indizio così sconvolgente “La carta è di buona qualità, piuttosto comune, ma di buon qualità, e, a guardarla così, sembrerebbe far parte di uno di quei quaderni rilegati in pelle che si suole usare spesso come diari o commentari, un po' come quello che ho portato giù un attimo fa e nel quale, per l'appunto, descrissi le prime vicende che coinvolsero me e Sherlock Holmes ai tempi della nascita della nostra amicizia, quando io ero da poco tornato dall'Afghanistan e lui era ancora alla ricerca di un coinquilino con il quale poter condividere l'onere dell'affitto...”

“Bé, questo 'omunque non ci aiuta più di tanto...” notò Silvio sottolineando, come gli avrebbe rimproverato Holmes, l'ovvio “Insomma, mi sembra un tipo di articolo di 'ancelleria piuttosto 'omune, non alla portata di tutti ovviamente, ma neanche troppo dispendioso, non so se mi spiego...”

“Ti spieghi benissimo, ma andiamo avanti... Che questa grafia non sia la mia, bé, di questo ce ne siamo resi conto, occhiali da lettura permettendo...” ironizzai aggiustandomeli meglio sul naso “quasi subito, ma allora la mano di chi ha vergato, copiandole, queste parole? Il modo in cui il nostro sconosciuto amanuense scrive è chiaro e lineare, ma in certi punti il tratto dell'inchiostro, lo vedrete anche voi, si fa meno aggraziato che in certi altri... guardate com'è strano il trattino di quella t e come ondeggia fino quasi a sembrare una s il corpo di quella f... E' indubbiamente una persona di cultura e d'intelligenza, ma allora perché queste piccole imprecisioni ricorrenti?”

“Potrebbe darsi che sia un nostro collega...” azzardò d'un tratto Henry e due sguardi incuriositi, il mio e quello più scuro dell'italiano, furono su di lui in un attimo “Insomma, lo sanno tutti che noi medici, per quanto ci s'impegni, generalmente non siamo, né, probabilmente, saremo mai campioni di calligrafia. Prendi me e Silvio ad esempio, per imparare a decifrare l'uno i geroglifici dell'altro ci abbiamo impiegato qualcosa come un mese e posso assicurarti che a tutt'oggi io non riesco ancora minimamente a comprendere e neppure solo ad afferrare il senso degli scarabocchi di Hansen, il cardiologo biondo norvegese, avete presente?”

“Potrebbe essere una possibilità, ma cerchiamo di non pronunciarci fino a che non avremo tra le mani prove concrete e solide sulle quali costruire la nostra teoria...” dissi mettendo comunque al sicuro in un cantuccio del mio cervello l'ipotesi di Henry “Non possiamo fare come a suo tempo il signor Descartes che, ripromessosi di utilizzare il suo bel metodo scientifico, lo lasciò infine da parte, senza troppi ripensamenti, per fare dell'universo un vorticare instancabile... Cos'altro possiamo dedurre da questo foglio di carta?” chiesi ed un silenzio di tomba cadde nella stanza, mentre sguardi attenti scandagliavano centimetro per centimetro quanto avevo in mano pur senza risultati: a parte quanto già detto e il fatto evidente che fosse strappata non vi era null'altro che fosse degno di nota, nessuna macchia strana d'inchiostro o di qualsiasi altra sostanza, nessuna particolarità di sorta, niente di niente.

“A parte 'he il nostro amanuense è un tipo piuttosto ordinato e preciso, direi...” dedusse Silvio con un'alzata di spalle “Nient'altro...”

Posai il foglio sul tavolo e corsi a prendere la lente d'ingrandimento di Holmes, ritrovandola tristemente impolverata, ma anche questa volta non vi fu alcun miglioramento nello stato delle nostre ricerche, cosicché scoraggiati lasciammo perdere quell'indizio per concentrarci su di un altro punto della medesima questione.

“Quando il vecchio ti ha detto che aveva strappato una delle pagine de Uno studio in rosso... che cosa ha farneticato dopo, poco prima di svenire?” chiese infatti Henry, piuttosto perplesso su questo particolare che io gli rammentai immediatamente.

“Che in questo modo il libro non potrà essere utilizzato in alcun modo da chi lo ha rubato a meno che non quest'ultimo non riesca a riprendersi questa...” lo delucidai indicandogli quello che fino a poco prima era stato stato il nostro oggetto di studio “Anche se effettivamente la cosa, appurato questo, si fa ancora più assurda: questo volume, come ho già detto, lo si può trovare in una qualsiasi libreria a poco prezzo e quindi mi chiedo: perché proprio questa pagina quando se ne potrebbe prendere la corrispondente da un'altra edizione? Le informazioni in essa contenute sono le stesse tanto su questa pagina, tanto che sulle mie brutte copie, tanto che su quelle battute a macchina e pubblicate dal mio editore... Che cosa, dunque, ci sfugge?”

“Forse dovremmo provare ad interrogare il vecchio bibliotecario...” propose ancora Henry ed un coro di approvazioni si sollevò entusiasta.

“E dovremmo tornare anche tornare sulla scena del crimine, anche se come credo ho l'impressione che le fiamme e peggio ancora l'intervento della squadra dei pompieri avranno finito, se non per distruggere, almeno per inquinare tutte le prove e gli indizi presenti...” dissi dando voce ai miei pensieri e perdendo, una parola dopo l'altra, ogni speranza.

“Va bene, ma forse qualcosina l'è rimasto e se 'osì fosse...” cercò d'incoraggiarmi Silvio lasciando il discorso sospeso sul più bello mentre la curiosità divorava il mio buon senso.

“Bene signori!” esclamai allora, alzandomi all'improvviso dalla poltrona di Holmes con uno scatto felino “Fatevi un ultimo goccio di brandy e prendete i vostri soprabiti: andiamo alla Loreen Glasgow Library!”

Il viaggio in carrozza non fu troppo lungo attraverso le strade umide dell'eterna pioggia della nostra cara Londra, ma ci fu concesso comunque il tempo per meditare, cosa che forse avremmo dovuto fare prima di agire, sui passi già compiuti e su quelli che di lì a poco avremmo mosso.

“Avremo bisogno di una lampada là dentro, visto e considerato che ormai è notte fonda...” realizzò il rosso essendosi domandato come, in effetti, la nostra missione avrebbe potuto realizzarsi al buio.

“E ovviamente noi non s'è pensato a prenderne una, vero miei 'ari?” incalzò il riccio falsamente compiaciuto della nostra comune dimenticanza “Siam proprio i re di tutti i bischeri di 'sto mondo, signori!”

“Non disperate!” esclamai io che pur nella mia ingenuità, per non dire anche stoltezza, avrei comunque fatto ciò che dovevo e volevo “C'è sempre una lampada e dell'olio di riserva dietro il bancone, all'ingresso del secondo piano: lo so perché la Loreen Glasgow Library non mi era sconosciuta quando ieri notte accadde ciò che accadde, ci sono tra i testi di medicina più affascinanti ed antichi di tutta l'Inghilterra...” e mentre, con il senno di chi per ore ed ore s'è perduto nella lettura dei sopracitati tomi, dicevo questo, i cavalli si fermarono bruscamente sotto l'ordine secco delle briglie del vetturino, al quale avevamo ordinato di lasciarci non propriamente davanti alla nostra meta, ma qualche isolato più indietro, perché non dessimo troppo nell'occhio.

“Il problema 'he si pone adesso è 'ome entriamo se la porta l'è chiusa a doppia mandata?” borbottò l'italiano cercando di forzare l'uscio, ma senza risultato alcuno.

“Non così!” lo rimproverò allora Henry facendosi spazio davanti alla serratura “In quel modo finirai col fare solo un gran baccano e non otterrai nulla: lascia fare a me!” e detto questo il rosso tirò fuori da una delle tasche del suo cappotto un astuccetto di metallo dal quale estrasse un bisturi piuttosto vecchio, che dai grafi sulla punta e dalle imperfezioni sulla lama dava l'idea d'esser stato usato molto più di quanto potreste immaginare “Ecco qua, questo era il mio kit di sopravvivenza quando ancora vivevo in America, a Las Vegas nel deserto del Nevada... Dio solo sa quante pallottole ho cavato via dalla carne di certa gente con questo mio arnese... una volta, me lo ricordo come fosse ieri, estrassi quindici e ripeto, quindici once di piombo dalla medesima persona e potei farlo solo grazie a lui! Quando arrivai qui in Inghilterra mi dissi che non avrei certo potuto continuare ad usare un attrezzo tanto vecchio, ma ponderai comunque che sarebbe stato saggio portarselo dietro per usarlo così, in caso di necessità estrema qualora fossi incappato in brutte acque, perchè come diceva sempre il vecchio Joe: 'anche i coltelli più vecchi san fare buchi nuovi' ” e mentre diceva questo, infilata la lama del bisturi nel buco della serratura la faceva, con una semplicità ed una velocità estreme, neanche fosse stata la cosa più semplice di questo mondo, scattare, aprendoci dunque la via che ci indicò alla fine di quel lavoretto silenzioso e ben fatto con un mezzo inchino “Prima lor signori...”

“C'è una 'osa 'he però non mi quadra...” borbottò il Roccaverde strofinando la testa fosforosa di un fiammifero contro la superficie ruvida di un muro per fare un po' di luce sui nostri passi “Quando tu hai sentito il grido e hai capito da dove proveniva ti sei fiondato subito qui, il che significa che il portone giù di sotto era aperto, giusto?” a quella domanda io annuì.

“Sì. In quel momento non ci ho fatto caso, ma effettivamente ho solo dovuto spingere la porta perché questa si aprisse e mi lasciasse passare: non c'è stato bisogno, contrariamente a quanto è accaduto stasera, di forzare nessuna serratura, il che probabilmente potrebbe significare che il nostro ladro è entrato da lì prima di me utilizzando il tuo stesso metodo, Henry...” ipotizzai volgendomi poi a guardare il rosso che fece spallucce.

“Potrebbe darsi, come potrebbe darsi che la porta fosse stata lasciata aperta dal vecchio stesso o da qualcun altro: come avrete notato ho una certa esperienza con le serrature e se qualcuno l'avesse forzata prima di me, bé, me ne sarei indubbiamente accorto e ve l'avrei detto, ma là non c'era niente che non andasse, era tutto a posto...” ci spiegò e Silvio mugolò ancora più confuso.

“Ma a 'he pro, sapendo di dover nascondere quell'importantissimo libro, avrebbe lasciato la porta aperta il vecchio?” chiese logicamente dando voce alla comune domanda di tutti noi “Insomma avrebbe potuto entrare chiunque, chiunque avrebbe potuto rifugiarsi tra queste mura e lo sapete anche voi come sono fatti i vagabondi: dove trovano un uscio aperto s'insidiano e lo colonizzano rendendolo inespugnabile dal loro controllo...”

“Forse aspettava qualcuno, ma anche in tal caso lasciare il portone aperto significherebbe aver compiuto una leggerezza non indifferente...” ponderai scartando l'ennesima ipotesi del caso “Il vecchio doveva essere già al piano di sopra, nella stanza dei codici più preziosi quando si è accorto del ladro, altrimenti, anche nella fretta di capire cosa stesse accadendo quando andai ad assistere il vecchio bibliotecario, mi sarei comunque accorto se ci fossero stati segni di lotta su per questa scale o anche solo nelle sale antecedenti a quella in cui è scoppiato l'incendio...” spiegai loro cercando di ripercorrere il più chiaramente possibile con la mia memoria quanto era accaduto la sera precedente, diradati ormai i fumi dell'alcool, che fino a poche ore prima avevano offuscato il mio pensiero, nonostante la testa mi dolesse ancora un po'.

“Eccoci arrivati alla biblioteca vera e propria...” annunciai poi loro quando ci fummo lasciati alle spalle quattro rampe di scale “i piani sottostanti, cui si accede per mezzo di quelle due porte che abbiamo constatato essere entrambe ben chiuse, contengono schedari e fascicoli di ogni genere, ma dato che adesso siamo qui proporrei di andare a controllare se quanto ho detto fino ad ora corrisponde a realtà o se la mia memoria mi sta già tirando dei brutti scherzi a causa dell'età...” e detto questo per prima cosa mi misi alla ricerca della lampada ad olio che fortunatamente ritrovai proprio là dove avevo detto che sarebbe stata e alla cui luce il luogo intorno a noi apparve ovviamente più chiaro: proprio come avevo detto ai miei colleghi nonché novelli compagni d'avventura come lo ero stato io la prima volta per Holmes, nelle sale che avevo percorso in tutta fretta per raggiungere quella in cui il vecchio era entrato in lizza con il ladro per il libro, non vi era la benché minima traccia di lotta o di violenza, cosicché ci recammo proprio là, dove una candela, rovesciata forse per caso, forse e più probabilmente per astuzia, avrebbe potuto cancellare la mia esistenza e quella del vecchio.

La stanza era ancora come l'avevo lasciata, con un paio di scaffali riversi a terra e qualche centinaio di libri dalle pagine divorate dalle fiamme prima e inzuppate dall'acqua poi, se si escludevano le centinaia di orme lasciate dai pompieri e da tutti coloro che in generale, oltre al sottoscritto, erano accorsi per poter spegnere l'incendio.

“E se si fosse sbagliato?” domandai d'un tratto volgendomi verso gli altri due che, con sguardo attento e concentrato, si stavano dando da fare per esplorare ogni più piccolo angolo di quell'immane confusione “Pensateci bene: può darsi che il ladro senza accorgersene abbia preso il titolo sbagliato e che il vecchio abbia comunque messo su quella scenata per scampare al pericolo assieme al suo tanto adorato libro, come chi si finge morto per scampare ad una morte ben più vera di quella che inscena per ingannare il proprio aguzzino...”

“Il problema l'è 'he, da quanto tu c'ha' detto, il blibliotehario ha 'ontinuato a sbraitare di 'sto maledetto libro anche un bel po' dopo 'he il ladro se n'era andato, quindi...” ragionò Silvio lisciandosi il mento con la destra “Non 'redo 'he ci sia stato lo sbaglio di 'ui parli.” a quelle parole Henry annuì convinto.

“E' vero e sicuramente se il delinquente che ha messo in atto il furto ieri notte avesse compiuto un errore tanto grossolano, che lavori in proprio o per conto d'altri, in ogni modo avrebbe dovuto difendere i propri interessi e tornare sui propri passi per portare a termine il proprio compito come si deve.”

A quelle obiezioni non poter che dar ragione, pur continuando a trovare assurdo che qualcuno fosse così interessato ad una edizione de Uno studio in rosso, della cui copia originale e manoscritta solo io ero in possesso.

Avrei continuato a rimuginare ancora a lungo su questo particolare se, tra le tante ombre tremule di quel luogo i miei occhi non ne avessero colto un altro: la finestra dal vetro rotto, dalla quale il nostro sconosciuto era fuggito, portandosi dietro ciò per cui era venuto, dava su di un piccolo davanzale formato da una lastra di pietra larga circa una trentina di centimetri che si estendeva per tutta la lunghezza dell'intelaiatura della finestra, ossia per poco meno di un metro.

Su tale pietra un solco scavato quasi sicuramente da un oggetto appuntito in metallo, probabilmente un gancio o qualcosa di simile, si apriva chiaro ed evidente ai nostri occhi dandoci un'idea di come l'intruso, entrato chissà come, avesse potuto andarsene quasi del tutto indisturbato come gli era effettivamente riuscito di fare: mandato in pezzi il vetro doveva essere stato uno scherzo calarsi da lì ed atterrare sulla strada che, ancora sgombra, si sarebbe però presto riempita di gente, un buon repellente per un mascalzone interessato solamente alla salvezza dei propri loschi affari.

“Eppure 'onverrete 'on me 'he l'è un bel po' strano...” borbottò l'italiano seguendo con un indice la riga impressa sul marmo come la linea di un bassorilievo “Vedete dove 'omincia il segno? Parte subito dopo, a valle, per 'osì dire, dell'intelaiatura della finestra e continua fino alla fine della pietra, mentre se avesse adoperato un uncino legato ad una 'orda per 'alarsi, 'ome reputo 'ha abbia fatto, allora gli sarebbe 'onvenuto di gran lunga fissare i' gancio a monte della balza di legno 'osicché da avere qualcosa 'he facesse resistenza al suo peso. Io penso 'he il nostro mariuolo, 'ome li si suol 'hiamare dalle mie parti, trovatosi a dover scappare a gambe levate da qui a causa del tuo arrivo, John, non abbia avuto il sangue freddo di assicurarsi bene con i mezzi che ha utilizzato per calarsi giù...” ma questa volta il rosso, nonostante l'evidenza del segno, non parve convinto da quella spiegazione.

“Ma se così fosse dovrebbe essere caduto e dato che siamo a più di dieci metri da terra...” constatò affacciandosi per poi ritrarsi subito, vista la sua fobia delle altezze “non credo che avrebbe potuto riprendere a correre come niente fosse dopo un volo del genere, a meno che non sia stato tanto fortunato da ritrovarsi a meno di due, massimo tre metri dal suolo quando il gancio, o qualsiasi altra cosa abbia usato, si è sganciata dalla pietra.”

Vagammo per la biblioteca ancora per un po', ma alla fine dovemmo abbandonare la nostra ricerca sconsolati, ripromettendoci però che il giorno seguente, dopo aver interrogato il vecchio bibliotecario, saremmo tornati di nuovo lì per cercare quegli altri indizi che la presenza chiarificatrice della luce del sole ci avrebbe indubbiamente rivelato.

Avevamo grandi speranze, ma questo perché non sapevamo ancora che cosa ci attendesse al Saint George.




Ah, questo capitolo deve essere stato per voi davvero una palla immane, con tutte queste descrizioni di graffi, di filigrane e di calligrafie... indubbiamente non so tenere viva l'attenzione come fecero a suo tempo Doyle o la Christie. Per scrivere un giallo, cosa che questo racconto sarà molto molto molto e ripeto, molto, alla lontana, serve una mente lucida ed ordinata come mai: questo non solo per riuscire a tenere tutti i capi della vicenda, ma anche per poter capire quale sia il modo migliore di descrivere la scena del crimine, quali parole usare, quali termini tecnici prendere e tralasciare, quali neologismi potersi permettere di prendere in considerazione,per non parlare di tutte le domande che potrebbero venirmi in mente se mi ritrovassi nella stessa situazione del mio caro, adorato, Watson. E' meglio trascriverle queste domande per bocca di un personaggio e cercare, come ho provato a fare in questo punto della storia, di trovar loro una risposta, oppure è cosa ben più saggia e conveniente lasciarle tacite, almeno per ora, porgendosele solo ed unicamente quando la soluzione del mistero è ormai prossima a dischiudersi innanzi ai nostri occhi?

Vi lascio con questi miei dubbi sperando che qualcuno di voi più lucido di me possa darmi un'idea e soprattutto una mano, perché in questa sfida con me stessa sono certa di non poter vincere da sola!

Alla prossima e avanti tutta!

ISI!

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